25

 

 

 

 

Lo scopo dei nuovi villaggi era di isolare i terroristi dai loro simpatizzanti. Lydia lo sapeva, ma rimase comunque impressionata dalle punte acuminate di bambù, conficcate in un fossato che circondava tre reticolati paralleli di filo metallico e, di tanto in tanto, enormi torrette d’osservazione.

Lanciò un’occhiata a Jack. In una camicia bianca, fresca di bucato, era molto attraente, ma sembrava fuori posto.

«La polizia ci farà sapere se trova qualche traccia, ma ho pensato che questo posto fosse la nostra miglior opportunità. A meno che non sia nella giungla», le disse lui.

Una volta superata la recinzione, iniziarono a cercare.

Lydia arricciò il naso. «C’è una puzza tremenda».

«Sono le latrine», le spiegò Jack. «Non c’è acqua corrente».

Il posto era più grande di quanto Lydia avesse creduto, rumoroso e zeppo di gente. Per un attimo, si sentì scoraggiata. «Sarà come cercare un ago in un pagliaio. Quante persone ci sono?»

«Un paio di migliaia».

«Cosa ci fanno qui?»

«Alcuni sono miei estrattori».

«E gli altri?».

Jack fece spallucce. «Gli altri sono un problema».

Lydia scacciò via le zanzare dalle braccia e fissò le agghiaccianti file di tuguri grigi, nessuno più grande di un capanno da giardino.

«Sembra un campo di concentramento», commentò.

Una campanella trillò e da un altoparlante venne sbraitato un annuncio. La ressa si infittì e il chiasso aumentò di un tono. La gente iniziò a dirigersi verso una piattaforma rialzata in fondo a uno spiazzo. Erano le sei in punto e stava scurendo.

Il cuore le fece un balzo. «Guarda! Laggiù».

Un ragazzino piccolo dalla pelle scura indugiava nell’ombra di una casupola.

«Maz?», chiamò dirigendosi verso di lui. «Sei tu?».

Il bambino uscì dall’oscurità, un piccolo lacero dagli occhi scuri.

Lydia sospirò. «Suppongo che fosse una speranza un po’ eccessiva».

Jack la cinse con un braccio.

«E se è ferito? C’è un medico?».

Jack scosse il capo. «Ci fermiamo un po’ da queste parti? Se Maz si trova qui, è probabile che venga a vedere».

«Non se è tenuto prigioniero. In quel caso, no».

«Limitiamoci a esaminare la folla, giusto per sicurezza, e dopo spargiamo la voce. Cerca di non far capire troppo che stai cercando qualcuno».

Mentre seguivano l’orda che si raccoglieva intorno al palco, Lydia si sforzò di ignorare l’odore acre dei corpi sudati. Jack riuscì a fare in modo di infilarsi insieme a lei in uno spazio libero sul davanti, dove erano state appese diverse lanterne ricoperte con dei sari verdi e arancioni per creare un’atmosfera da giungla. Un colpo di gong segnalò l’inizio.

Dei ballerini cinesi con indosso abiti tradizionali e copricapo elaborati uscirono da un sipario improvvisato. Ruotando la testa, Lydia guardò oltre gli artisti e scrutò la folla. C’erano moltissimi bambini che avrebbero potuto essere Maz. Iniziava a sorridere, pensava di averlo individuato, si entusiasmava ma poi, ogni volta, non era lui.

Il viceufficiale del distretto uscì sul palco per presentare lo spettacolo.

«È un’opera di propaganda a favore dei nostri», spiegò Jack. «Per convincere le ragazzine a smetterla di idolatrare i ribelli».

In quel frangente, a Lydia non importava per niente. Tutto quel che le interessava era ritrovare Maz.

Lo spettacolo ebbe inizio.

«Sorridi. Cerca di comportarti in modo naturale», le sussurrò Jack.

Lydia non lo stava ascoltando. Il sangue le rombò nelle orecchie. Aveva visto qualcuno. Non Maz, ma, tra la folla riunita sull’altro lato del palcoscenico, Lili era schiacciata tra due uomini dall’aspetto rude. Non più vestita in maniera elegante, sembrava malata. Scioccata dal volto smagrito della ragazza, Lydia prese Jack per il gomito.

«Guarda. C’è Lili. Ha una gran brutta cera».

Quando tornò a volgere lo sguardo, la ragazza era sparita.

«Non credo che fosse lei», commentò Jack. «Lili sa badare a se stessa. Sono sicuro che sta bene. Vieni, andiamo. Maz non è qui».

«Dove andiamo ora?»

«Adesso setacciamo la zona esterna. Poi torniamo verso il centro».

Dopo essersi fatti strada a gomitate, superarono un tozzo container metallico, una sorta di grosso capanno, chiuso con molti lucchetti. Un mucchio di uccelli stava becchettando nella polvere.

«È un silo per il cibo», le spiegò lui vedendo la sua aria perplessa. «La polizia tiene sotto controllo le scorte».

Proseguirono verso l’estremità del campo, dove un acre fetore di palude li raggiunse da dietro il fossato. Lì, i sentieri tra i tuguri erano fangosi, l’aria gravida di insetti era pesante e non c’erano bambini che giocavano. Lydia guardò dietro il filo spinato, osservando gli abissi verde scuro della giungla. Ne sentiva il silenzio persino più del rumore. Non sopportava di pensare che Maz potesse essere là.

«Non c’è molto da sperare, qui», disse Jack.

Lei scosse il capo e incrociò le dita augurandosi che il piccolo si trovasse da qualche parte lì al campo.

Tornando sui loro passi, si fermarono davanti a una rivendita di caffè. «Aspettami qui. Chiedo al proprietario», disse Jack.

Mucchi di opuscoli giacevano nella polvere. Lydia ne raccolse uno e fissò le fotografie di grassi ex terroristi che si pavoneggiavano davanti ai compagni affamati. Le scritte in cinese stampate in alto erano senza dubbio un invito ad arrendersi. Sedette in attesa di Jack e vide una banda di bambini correre sullo stretto sentiero. Era possibile che Maz fosse tra loro? Provò a urlare il suo nome, ma non si voltò nessuno. In compenso venne avanti un uomo che odorava di tabacco forte. L’uomo allungò una mano, il volto troppo vicino, mentre con l’altra si frugava nella tasca degli ampi pantaloni neri. Lydia si ritrasse temendo che stesse per tirar fuori un coltello, ma invece l’uomo estrasse un borsellino di tessuto lacero.

Lydia frugò nella borsa in cerca di monete e mise sul tavolo dieci centesimi. Si sentiva inquieta. Stava sopraggiungendo il crepuscolo e le lanterne a cherosene che gettavano luce dalle casupole rendevano il luogo più accogliente, ma il suo cuore continuava a martellare.

In quell’istante, Jack uscì con due tazze di caffè.

«Sono contenta che tu sia tornato. Notizie?»

«No. Ma guarda: c’è Bert», le disse indicando un uomo che sorvegliava la folla dall’altro lato della stradina mentre due soldati andavano di casupola in casupola, trascinando fuori di tanto in tanto qualche persona.

«Stanno cercando tutto quello che è illegale, per far smettere il contrabbando verso l’esterno. Se trovano qualcosa, il proprietario viene detenuto per diciotto mesi».

«Senza processo?».

Lui annuì. «Temo di sì».

I due raggiunsero Bert e gli chiesero se avesse visto Maz.

Il poliziotto scosse il capo. «Gli agenti malesi mi hanno riferito di un bambino scomparso. Mi dispiace, non ho sentito niente. Venite. Cercherò con voi e poi vi accompagnerò all’uscita».

Un centinaio di metri più avanti, entrarono in una bottega. Era buia, fatte salve due chiazze di luce che emanavano da lampade a cherosene. Jack interrogò il negoziante e gli chiese di avvertire in caso vedesse il bambino.

Continuarono a chiedere in ogni negozio e rivendita di caffè per un’altra mezz’ora, poi Bert li condusse di nuovo oltre il fetore di palude e li riportò presso la recinzione. Sembrava vi si stesse dirigendo una folla. Lydia si sentì formicolare la pelle. Un bambino urlò e una fila di accattoni faceva ala lungo il sentiero cosparso di rifiuti. Prendendola per il gomito, Jack si fece faticosamente strada tra la ressa.

Lydia continuò a scrutare in cerca di Maz per tutto il tempo.

Le mancavano i suoi fiduciosi occhi chiari, il volto gentile, il modo in cui contava e rincorreva le farfalle. Non riusciva a sopportare l’idea che fosse sperduto da qualche parte in quel mondo alieno. Pregò di nuovo che la madre l’avesse ripreso con sé, ma non per portarlo tra i ribelli della giungla. Alzò lo sguardo. Anche contro il cielo che stava scurendo, la giungla continuava a balzare agli occhi, nera, informe e arruffata. Uccelli rapaci le volteggiavano sulla testa. Lydia avrebbe voluto piangere.

Voci stridule provenienti da un capannello ammassato all’uscita li raggiunsero. Lydia percepì una vaga sensazione di paura. Jack si irrigidì e lei allungò il collo per vedere. Spalancando la bocca, afferrò il braccio di Jack.

Due cadaveri erano stati gettati nel fango all’interno della recinzione, denudati e crivellati da colpi d’arma da fuoco. Nella semioscurità, Lydia fissò i corpi emaciati e violati e gli occhi senza vita. Il figlio di qualcuno, il fratello di qualcuno. Udendo delle voci che contavano, si guardò intorno e vide una fila di donne anziane nerovestite che si indicavano l’un l’altra il numero di ferite e scuotevano il capo.

«È un notevole deterrente», disse Bert vedendo i corpi.

Lydia lasciò andare il braccio di Jack e fece un passo indietro. «Quindi da una parte li intratteniamo e dall’altra li spaventiamo a morte».

«In pratica sì», rispose Jack.

«Ma sono persone, Jack».

«Probabilmente le stesse che hanno dato fuoco all’edificio del protettorato», replicò Bert con espressione impassibile. «Loro vogliono spaventare noi, farci sentire talmente in pericolo da arrenderci».

Senza parole, Lydia smise di ascoltare. L’odore, le immagini, il rumore erano troppo. Si sentì barcollare, vide Jack accigliarsi prima di allungare una mano per sostenerla.

«Non lasciarti ingannare», le disse. «La chiamano Emergenza per questioni di sicurezza, ma dai retta a me, è guerra. E tutti cercano di guadagnarci».

«Be’, che il cielo ci aiuti», replicò lei.

Jack sbuffò. «Il cielo? Non direi proprio».

I riflettori posizionati al cancello si accesero e un uomo alto li fece passare oltre il fossato, la testa rasata e la statura sopra la media a ricordarle Adil, l’uomo con cui aveva condiviso il viaggio in treno. Per un istante, pensò addirittura che fosse lui. Si augurò che potesse essere lui, venuto ad aiutarli con la sua conoscenza di come funzionavano le cose in quel Paese. Ad aiutarli a trovare Maz. Ma, naturalmente, non era Adil, e mentre lo superavano Lydia vide che la somiglianza era minima. Erano soli. Anche se Jack avesse fatto del suo meglio, non avrebbero ricevuto alcun aiuto per ritrovare un ragazzino meticcio. Né dalla polizia, né da nessun altro.

La Separazione
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