Gregor rimase senza parole. — Cosa? Ma tu… tu le segui sempre alla lettera!

— Ti sbagli. Se ci credessi davvero, pensi che avrei inseguito il Flagello per provare a ucciderlo io stesso? Sarebbe stato inutile. Fingo di crederci, per brevi periodi cerco persino di convincermi che sia così, perché quaggiù ci credono tutti. E se vuoi indurli a fare qualcosa, quel qualcosa deve coincidere con le profezie, capisci? — disse il ratto.

— Non proprio — replicò Gregor. Cosa stava dicendo Ripred?

— Senti, esistono centinaia di profezie che prevedono eventi di ogni genere. Se stai lì e aspetti abbastanza a lungo, è destino che di quegli eventi ne saltino fuori parecchi, praticamente identici. Prendi l’epidemia. Ne abbiamo avute un mucchio, qua sotto. La profezia avrebbe potuto essere interpretata in modo da adattarsi a una qualsiasi di quelle che si sono verificate — spiegò Ripred.

— Ma tu provi a interpretarle in continuazione, le profezie — protestò Gregor.

Devo farlo. Se non sono io il primo a trovargli un’interpretazione ragionevole, poi spunta qualcun altro che ne dà una assurda — disse Ripred. — E dopo mi tocca un sacco di lavoro supplementare per far cambiare idea a tutti.

— E nella giungla? Quando le formiche hanno distrutto l’ombrastella e noi ci siamo arresi? — obiettò Gregor.

— Pensavo davvero che Neveeve avesse ragione e l’ombrastella fosse la cura. Dopo che è andata distrutta, tutti voi eravate già pronti a scavarvi la fossa. L’idea che potessimo aver male interpretato la profezia era l’unico modo per farvi muovere. Ho colto al volo quell’occasione. E abbiamo continuato a riflettere. E abbiamo trovato la cura. L’alternativa era lasciare tutti seduti là a piangersi addosso fino a morirne — spiegò Ripred.

Gregor aggrottò la fronte. — E la storia del guerriero? E il mio salto dal precipizio?

— Forse hai saltato solo perché la profezia suggeriva che era la cosa giusta da fare — disse il ratto. — Forse la filastrocca sull’uccisione dei topi era soltanto una filastrocca. Forse Sandwich era un pazzo che si è chiuso a chiave in una stanza e ha riempito le pareti di poesie folli. E forse… tu non stai per morire.

Non stava per morire? Quelle parole investirono Gregor come un camion. Possibile? No, lo sapevano tutti che sarebbe morto. L’avrebbe dimostrato a Ripred. Si sforzò di pensare a un incidente che non potesse essere contestato. — Ma… e Nerissa? Quando era piccola, ha detto a Hamlet che dieci anni più tardi sarebbe stato nella giungla con un sibilante e un bambino.

— Sì, ammetto che questo è difficile da spiegare. A meno che Hamlet non si sia messo alla ricerca di un sibilante proprio a causa di quel suggerimento e poi non abbia detto di no quando nella sua vita è comparsa la madre di Hazard. Oppure potrebbe essere una strana coincidenza. Capita. In ogni caso, Nerissa non è Sandwich, ed è di lui che stiamo parlando — disse Ripred. — La Profezia del Tempo. Guarda con che facilità l’abbiamo adattata in modo da sostituire Boots con Lizzie. E cosa prevede, in realtà? Una guerra? Qui abbiamo guerre in continuazione. Un codice? Ogni nuova guerra ha un nuovo codice. La morte di un guerriero? Be’, se possiamo rimpiazzare le principesse così facilmente, perché i guerrieri no? Ne saranno morti a migliaia quando questo macello si concluderà. Ma non sono convinto che sarai morto tu. Da una furia a un’altra, credo che tu possa battere il Flagello. Credo che tu sia migliore di lui. E non credo che le chiacchiere senza senso di Sandwich possano cambiare questo fatto. A meno che tu non glielo permetta. Perciò combatti, Gregor di Sopramondo. E non abbassare la guardia neanche un attimo perché pensi che sia tutto già scritto!

Quel nuovo punto di vista gli faceva girare la testa. In realtà, erano loro stessi a far avverare le profezie di Sandwich. A basare le loro decisioni sulle sue parole. Fece una risata incredula. — Credevo che stessi per dirmi addio.

— No, purtroppo — grugnì Ripred. — Ma acqua in bocca! Se si scopre come la penso, perderò anche quel minimo di credibilità che ho. Forza, svegliamo gli altri. Sarà una lunga giornata.

Gregor si avvicinò a Boots e le fece qualche pernacchia sulla pancia. La piccola si svegliò ridacchiando. — Smettila! Io ancora nanna! — esclamò, fingendo di rimettersi a dormire tre volte per farsi svegliare con altre pernacchie. Gregor la prese in braccio e, mentre la portava a fare colazione, Boots gli diede una ditata sul petto. — Sembri te di nuovo — disse.

— Sembro me di nuovo? — chiese Gregor.

Poi capì cosa voleva dire. Era un pezzo che non prendeva in giro Boots. Forse non le aveva mai neppure sorriso. Ma le parole di Ripred gli avevano ridato qualcosa che aveva abbandonato dalla prima volta in cui aveva letto la Profezia del Tempo.

La speranza. La speranza di poter sopravvivere. La speranza che Sandwich si sbagliasse.

Si chiese se il ratto gli stesse mentendo per farlo combattere al meglio. No, non lo pensava. Il fatto che Ripred non credesse alle profezie spiegava alcune cose. Non solo perché avesse tentato di uccidere lui stesso il Flagello, ma la facilità con cui aveva scartato Boots a favore di Lizzie e il suo eterno sarcasmo sulle capacità di Nerissa di vedere il futuro. Probabilmente non voleva che se ne uscisse anche lei con un’altra stanza delle profezie per controllare la gente. Non che Ripred non usasse le profezie a proprio vantaggio. Se ne era servito più volte per manipolare Gregor. Aveva persino sfruttato la morte del guerriero per indurlo a permettere a Lizzie di restare. Ma il ratto faceva qualsiasi cosa per ottenere ciò che voleva.

Sempre.

Gregor si rese conto anche di un’altra cosa. Nemmeno lui voleva credere alle profezie. Non solo perché prevedevano la sua morte, ma perché detestava Sandwich. Sin da quando aveva saputo di come aveva assassinato le ruspe per impadronirsi del territorio che adesso era Regalia, Gregor aveva desiderato prendere le distanze da quell’uomo. Screditarlo. Rifiutare i suoi consigli. E ora Ripred gli dava modo di farlo. “Siamo solo io e il Flagello. Combatto contro di lui perché ha ucciso tutti quei topi e quegli umani innocenti, e devo fermarlo. Non perché lo dice Sandwich, ma perché sono io a dirlo. E Ripred ha ragione. Io sono migliore del Flagello. E posso farcela” pensò.

E così, Gregor fu in grado di superare il momento che aveva temuto sopra ogni altro: salutare le sue sorelle. Sistemò lo zaino rosa, riempiendo di nuovo le bottiglie dell’acqua e mettendo batterie nuove nell’unica torcia che gli era rimasta, poi lo affidò a loro.

— Non avrai bisogno della torcia, in battaglia? — indagò Lizzie, preoccupata.

— Ho capito come funziona quella cosa dell’ecolocalizzazione — le sussurrò all’orecchio Gregor, e la ragazzina spalancò gli occhi per la sorpresa.

Wow. Me la insegnerai? — chiese.

— Puoi scommetterci — rispose Gregor. — E guarda qui. — Tirò fuori la scacchiera da viaggio. — L’ho trovata al museo. È tua.

— Per sempre? — si meravigliò Lizzie. — Jedidiah ha una scacchiera, ma la sua non è magnetica.

— Sì. Lo farai morire di invidia — disse Gregor.

Boots cercò di infilare il naso nello zaino. — Dov’è il mio regalo?

— Il tuo regalo? — chiese Gregor. Ripescò quanto rimaneva dei biscotti di farina d’avena e uvette della signora Cormaci, ancora avvolti nell’alluminio. — Tu hai i biscotti.

— Oh! — esclamò Boots. — Tutti per me?

— Be’, faresti meglio a dividerne almeno uno con Ripred — rispose Gregor.

Boots si spartì i biscotti con gli altri, arrivò persino a infilarne due nella tasca di Gregor perché più tardi lui e Ares potessero fare uno spuntino. Poi venne il momento della partenza. Gregor attirò le sorelle in un abbraccio e le strinse forte. — Fate le brave, d’accordo?

— D’accordo — rispose Lizzie.

— Io sono brava — protestò Boots.

— Lo so. Vi voglio bene. Ci vediamo presto — disse.

— Ci vediamo presto — gli fecero eco le due bambine.

Ripred aveva già dato istruzioni ad Ares riguardo alla loro posizione sulla Piana di Tartarus. — Ricorda che ti credono morto, Gregor. Perciò non farti vedere finché non compare il Flagello.

— Ricevuto — replicò Gregor.

— Benissimo. Volate alto, voi due — disse Ripred.

— Corri come il fiume, Ripred — lo salutò Gregor. E poi Ares decollò. Volarono nell’oscurità, un’oscurità che per Gregor non era più tale. Anche se schioccando la lingua e tossendo otteneva risultati più chiari, per vedere si concentrò sull’uso del respiro. Le immagini non apparivano altrettanto nitide, ma in compenso erano continue, dato che inspirare ed espirare era un gesto naturale. E più si affidava al respiro, più l’ambiente circostante si faceva definito. Nel giro di un’ora circa, Gregor e il suo vincolato raggiunsero la loro destinazione. Ares atterrò sul fondo di una piccola galleria, proprio davanti a un muro fatto di grossi sassi impilati. Gregor avvertì il vuoto al di là. Smontò con prudenza e avanzò fino al muro. Sporse la testa oltre il bordo e fece un respiro profondo. Nella mente gli apparve l’immagine di una caverna così grande che non riusciva a scorgerne il fondo. Le pareti inclinate si ergevano ad angolo acuto. Molto sotto di lui, il fondo della caverna era occupato dalla più alta concentrazione di ratti che avesse mai incontrato. Dovevano essere ben più di mille, e dormivano, si agitavano, curavano le loro ferite. Normalmente, Gregor si sarebbe preoccupato di più che potessero sentire il suo odore. Ma l’aria era pesante per il fetore di uova marce che ricordava dal suo primo viaggio, quando Ripred aveva trascinato lui e i suoi compagni attraverso grotte gocciolanti, facendoli inzuppare di un liquido solforoso per nascondere il loro odore naturale. Stavolta, la puzza sembrava venire dalla nebbiolina emanata da un fiumiciattolo sporco che serpeggiava lungo il fianco della caverna. Persino a quella distanza, Gregor era sicurissimo che l’acqua non contenesse niente di vivo.

— Allora è questa la Piana di Tartarus? — sussurrò ad Ares.

— Sì. Riesci a vederla? — bisbigliò il pipistrello di rimando.

— Sì. Alla fine, Ripred è riuscito a farmi entrare in testa l’ecolocalizzazione — rispose Gregor. — Devo ammetterlo, è bellissimo. Tu vedi il Flagello, da qualche parte?

— No. Però deve essere vicino. È lui il motivo per cui sono venuti qui — disse Ares.

Si misero comodi e aspettarono. Gregor passò ad Ares un biscotto e mangiò l’altro. Se proprio doveva morire, era lieto che l’ultimo sapore nella sua bocca venisse dalla cucina della signora Cormaci. Ma non era più rassegnato alla propria morte. Non dopo quello che aveva detto Ripred. Poi gli venne in mente che non era solo: rappresentava la metà di una squadra, e anche per Ares poteva essere importante sapere ciò che pensava Ripred.

— Ehi, Ares, sai tenere un segreto? — chiese Gregor.

— Direi che è uno dei miei pochi talenti — ribatté Ares.

— Ripred non crede alle profezie. Secondo lui, Sandwich era matto da legare e tutti noi non facciamo che correre di qua e di là nel tentativo di far avverare le sue parole — sintetizzò Gregor.

Ares rimase in silenzio per un po’. — Mentirei se dicessi che non mi sono mai passati per la testa pensieri simili — dichiarò.

— E perché non l’hai detto? — chiese Gregor. C’erano altri Sottomondo che avevano dei dubbi?

— Perché tutti nutrono una devozione assoluta per le sue parole. Ma chi era veramente Sandwich? Non una persona gentile e nemmeno un uomo saggio. Le sue profezie parlano solo di morte e fanno leva sul terrore per costringerci a uccidere il nostro prossimo — osservò il pipistrello.

— Sai, la prima volta che sono arrivato quaggiù, non credevo affatto a quella roba. Poi però succedevano delle cose, e sembrava che le predizioni si avverassero. Ma se avessimo semplicemente adattato le parole ai fatti? Prendi la Profezia del Grigio. Tutta quella storia su di me che saltavo e su Henry che moriva. Potevo morire io e la profezia avrebbe comunque avuto un senso. Di conseguenza, l’unica cosa davvero degna di nota che è successa quel giorno… è stata la tua decisione di salvarmi la vita — rifletté Gregor.

— Io non pensavo alle parole di Sandwich. Pensavo a ciò che era giusto — replicò Ares. Sgranocchiò il suo biscotto. — Forse non lo sai, ma quando una profezia non si realizza in modo coerente, noi diciamo sempre che non era ancora giunto il suo tempo. E ci rimproveriamo di non averla fatta avverare.

— Sto cominciando a pensare che dovremmo rimproverarci soprattutto per aver permesso a Sandwich di comandarci a bacchetta invece di fare quello che ritenevamo giusto — disse Gregor. — Per averlo usato come scusa per ucciderci a vicenda. Alla fine, siamo noi quelli che impugnano le spade.

— Devono esistere parole migliori da seguire — concordò Ares.

— Certo che esistono. Io e te potremmo metterne insieme di migliori anche a occhi chiusi — ribatté Gregor.

D’un tratto, il pipistrello sollevò il mento e rizzò le orecchie.

— Cosa c’è? — chiese Gregor.

— Ci siamo — rispose Ares.

Si alzarono e guardarono sopra il muro di sassi. All’inizio, Gregor non notò niente di diverso, solo l’esercito dei ratti che dormiva di un sonno agitato nell’enorme caverna. Poi una leggera corrente d’aria gli sfiorò la guancia, e la scena che aveva davanti esplose.

Era un attacco ben coordinato e non somigliava a niente che Gregor avesse mai visto. La corrente che aveva avvertito veniva dal battito delle migliaia di ali su cui una marea di umani attraversava l’oscurità in direzione dei ratti. I pipistrelli trasportavano tra gli artigli insoliti pacchi di grosse dimensioni. Un volta giunti sopra i ratti, lasciarono andare il loro carico. Quando toccarono terra, i pacchi esplosero in piccoli falò. Dovevano contenere combustibile in abbondanza, perché continuarono a bruciare intensamente anche dopo l’atterraggio.

Il sistema di allarme dei ratti non funzionò a dovere. Probabilmente Ripred aveva mandato in anticipo dei soldati a uccidere le sentinelle. Gregor aveva sentito alcune grida di avvertimento, ma non erano bastate a svegliare l’esercito del Flagello. Perciò i ratti dormivano ancora quando vennero lanciate le bombe incendiarie ed ebbe inizio l’assalto di spade e artigli.

Contemporaneamente, altri avversari attaccavano da tutte le parti. Gli scarafaggi e i topi si riversavano nella caverna da destra e da sinistra. I ragni – che a quanto pareva avevano deciso di unirsi agli umani – scendevano dal soffitto. E poi, dalle gallerie dietro l’esercito rodente, apparvero i ratti di Lapblood, che in sostanza bloccarono ogni possibile via di fuga. Avevano intinto le code in una specie di vernice luminescente, forse a base di fosforo, in modo che i loro alleati riuscissero a distinguerli dal nemico.

Svegliandosi in quella situazione, i soldati del Flagello furono presi dal panico. Alcuni di loro bruciavano, altri avevano già ricevuto ferite mortali. Le coppie umano/pipistrello e i ratti di Lapblood sostenevano il grosso del combattimento, ma anche le creature più piccole stavano infliggendo parecchi danni. I topi e gli scarafaggi individuavano i rodenti feriti, sciamavano su di loro e li finivano. I ragni si lasciavano cadere all’improvviso sui nemici ignari, li mordevano con le loro zanne velenose e risalivano velocissimi lungo i fili di seta prima ancora che le loro vittime capissero cosa le avesse colpite. Ma i ratti del Flagello erano soldati induriti da mille battaglie, e dopo lo shock iniziale, si ripresero e contrattaccarono.

In silenzio, dall’alto del loro punto di osservazione, Gregor e Ares assistevano allo scontro. Quando i fuochi a terra si esaurirono, i portatori di fiaccole avevano già rischiarato la zona a sufficienza e a Gregor non serviva più l’ecolocalizzazione per vedere la scena infernale che si svolgeva sotto di lui. Ben presto la battaglia perse ogni parvenza di organizzazione e degenerò in una frenesia omicida. Ovunque, a ogni istante, morivano delle creature. Sul fondo della caverna si accumularono corpi di umani, ratti, pipistrelli, topi, scarafaggi e ragni, finché quelli che erano ancora vivi si ritrovarono a battersi su un tappeto di cadaveri. Regnavano il panico e il caos. I combattenti dovevano guardarsi persino dai propri alleati. Un umano trafisse un piluccatore con la spada, un ratto accecò un altro ratto dello stesso schieramento, un portatore di fiaccola diede fuoco a un tessitore. Nel subbuglio, lo scopo che aveva portato i soldati in battaglia stava perdendo chiarezza.

Per il momento lontano e al sicuro, Gregor faticava a dare un senso a quelle immagini. Gli sembravano irreali, come un film che poteva interrompere cambiando canale. Era impossibile che stesse succedendo davvero, quel massacro, quello spreco di vita preziosa. Chi avrebbe mai fatto una cosa del genere? Perché? Per raggiungere quale risultato? Uccidevano, uccidevano, si uccidevano a vicenda fin quasi ad annientarsi, ma poi… cosa sarebbe cambiato? Di colpo, tutta quella faccenda sembrava un gioco ridicolo che avrebbe potuto benissimo essere rimpiazzato da un altro gioco, una mano di carte, una partita a scacchi, un lancio di dadi. Un gioco dal quale tutti avrebbero potuto tornarsene a casa vivi.

— Gregor! Là! Sopra il fiume! — esclamò Ares.

Gregor staccò a fatica gli occhi dalla battaglia e scrutò la parete che si innalzava sul fiume. In lontananza, scorse Nike battere le ali a strisce bianche e nere all’imbocco di una grotta o di una galleria – non riusciva a capirlo – mentre ricacciava un ratto sulla sporgenza rocciosa davanti a lei. Sopra la sua testa, a meno di venti metri, gli artigli di una ruspa stavano allargando un nuovo buco nella parete scoscesa. Una fiumana di ratti si riversava da quel buco e, scivolando o aggrappandosi alla roccia, scendeva verso Nike.

— Cosa ci fa lei qui? — chiese Gregor. Avrebbe dovuto essere con Boots e Lizzie, lontano dalla battaglia, come aveva promesso Solovet. Se il pipistrello era lì, allora dov’erano le sue sorelle? Bloccate da qualche parte con solo Temp, Hazard, Reflex e Heronian a proteggerle? E perché Nike non si limitava a volare via? Non era abbastanza grossa per affrontare quel ratto senza un compagno umano. Cosa stava…?

E a quel punto Gregor vide qualcosa che gli fermò il cuore. Un sottile fascio di luce brillava dall’apertura dietro Nike. Lampeggiava secondo uno schema che Gregor conosceva bene. Tamburellato sulla parete della camera da letto, martellato con una forchetta sul tavolo di cucina, trasmesso con una torcia elettrica… tre punti-tre linee-tre punti… tre punti-tre linee-tre punti… SOS. SOS. SOS.

— Lizzie — mormorò. Poi cominciò a urlare. — Le mie sorelle! Le mie sorelle sono là dentro!