Ares era schizzato dritto in zona di guerra. I sensi di Gregor furono assaliti da ciò che gli stava davanti, sotto, e tutto intorno.

Si trovavano in una delle enormi caverne delle Terre Infuocate. Il campo di battaglia era più luminoso di quanto Gregor si fosse aspettato perché le pareti erano tempestate di fiaccole ardenti, rette da supporti di un materiale che non riconosceva. Argilla, forse? Vide una Sottomondo gettare a terra una fiaccola ormai consumata e sostituirla con una nuova.

Nonostante la luce, era comunque difficile vedere perché l’esercito dei ratti aveva agitato la polvere vulcanica sul fondo, trasformandola in una nube soffocante che si innalzava fino al soffitto. I pipistrelli volteggiavano intorno a Gregor, trasportando i loro vincolati. Quasi tutti gli umani avevano le spade sguainate. Qualcosa nascondeva le facce degli umani e dei pipistrelli.

Uno dei combattenti passò loro accanto in volo e un involto colpì Gregor al petto. — Mettetevi questa! — credette di sentirlo urlare, ma non ne era proprio sicuro perché l’intera caverna rimbombava di voci. Gregor srotolò l’involto e trovò due maschere, una per sé e una per Ares. Ecco cosa portavano tutti. Si affrettò a sistemare quella da pipistrello su Ares e si fece scivolare l’altra sul naso e la bocca. Era soffocante, ma di certo ti evitava di respirare la robaccia che c’era nell’aria. E riduceva il tanfo del sangue.

Sembrava che il sangue fosse dappertutto. Grondava dagli umani, macchiava il pelo dei pipistrelli, si spargeva dai corpi dei ratti a terra. Gregor si rese conto che l’obiettivo principale di ciascuna fazione era privare l’altra del suo sangue e di conseguenza eliminarla. Per un istante, si sentì nauseato. Poi ricordò perché era lì.

— Vedi Luxa? — chiese ad Ares.

— No! — replicò il pipistrello.

Era quasi impossibile trovare qualcuno in quella baraonda. E non solo per via delle maschere. Nei punti in cui non erano macchiati di sangue, ratti, pipistrelli e umani erano coperti di polvere, il che rendeva ognuno di loro praticamente irriconoscibile. Avrebbe potuto volare per ore in cerca di Luxa e non trovarla comunque. Poi gli venne in mente il Flagello. Sarebbe stato capace di riconoscere quella figura colossale anche sotto la polvere. Ma non riusciva a individuare nessun ratto che fosse più grosso della media.

Poteva solo tenere gli occhi aperti e sperare per il meglio. Nel frattempo, Gregor non sapeva bene come unirsi alla battaglia. Doveva presentarsi a qualcuno? Esisteva una strategia di qualche genere? Perché, in tal caso, non riusciva a vederla. Più che di un’azione di guerra, quella aveva l’aria di una rissa generale.

— Cosa facciamo? — chiese. — Possiamo buttarci dove ci pare?

— Dove ci pare — confermò Ares.

Ma persino ora, persino dopo tutto quello che aveva passato e visto, qualcosa nell’animo di Gregor era riluttante all’idea di scendere là sotto e infilzare un ratto con la spada come se niente fosse. Quell’esitazione stava interferendo con la sua capacità di collegarsi al suo lato di furia. Si concentrò intensamente per un attimo, sforzandosi di determinare il proprio posto in tutto quel caos. La ragione per cui doveva uccidere i ratti, la ragione per cui i ratti dovevano morire aveva a che fare con… aveva a che fare con… i topi boccheggianti nella fossa, sua madre in ospedale, Boots e quei piccoli piluccatori nella nursery… e Luxa, che era, anzi, doveva per forza essere da qualche parte in mezzo a quel putiferio. Aveva a che fare con ciò che era e sarebbe successo, non solo a lui ma a chiunque non fosse un guerriero, se i ratti non fossero stati fermati.

— Laggiù! Vicino alla parete di destra! — gridò Ares.

Gregor vide una donna che cercava inutilmente di rialzarsi da terra. Perdeva sangue da uno squarcio a una gamba. Sopra di lei era sospeso un pipistrello che sferrava colpi di artigli a un ratto in avvicinamento.

Il sangue cominciò a ronzare nelle vene di Gregor. — Vai — disse.

Non avevano mai volato insieme in battaglia, lui e Ares. L’unico vero scontro in cui Gregor aveva combattuto, era stato quello con le formiche, nella giungla, e all’epoca Ares era ricoverato nell’ospedale di Regalia, dove lottava per sopravvivere all’epidemia. Ma si erano allenati per ore e ore nell’arena e si erano trovati fianco a fianco in così tante situazioni difficili da sapere che potevano contare totalmente l’uno sull’altro.

Ares scese in picchiata sul ratto che caricava, inclinandosi di lato per portare Gregor il più vicino possibile all’obiettivo. Il ratto spiccò un balzo verso la donna proprio mentre la spada di Gregor lo colpiva. La lama gli mozzò di netto un orecchio. L’animale si girò verso di lui con un sibilo inferocito.

— Be’, questo ha attirato la sua attenzione — commentò Gregor mentre Ares eseguiva un giro della morte all’indietro per tornare all’attacco.

Un’espressione di sorpresa attraversò il muso del ratto quando li riconobbe. Persino in mezzo a quel trambusto, sarebbe stato difficile non fare caso a un pipistrello imponente come Ares con un Sopramondo come cavaliere. — È il guerriero! Il guerriero! — urlò il ratto.

Gregor sentì quelle parole rimbalzare da una parte all’altra dell’esercito rodente, man mano che la notizia della sua presenza si diffondeva. Sapeva che di recente i ratti avevano riso di lui per via dello scontro che aveva avuto qualche settimana prima sotto Regalia. Twirltongue, la femmina dalle ipnotiche capacità di persuasione che consigliava il Flagello, gli aveva aizzato contro due dei suoi amici. Gregor aveva combattuto molto bene finché uno dei ratti non aveva fracassato la sua torcia elettrica, lasciandolo al buio e riducendolo all’impotenza. Si era trascinato a quattro zampe sul fondo della galleria come un topo messo alle strette da un paio di gatti randagi e ne era uscito vivo per un soffio.

“Bene” pensò Gregor. “Lascia che ridano.”

Perché adesso, con tutte quelle fiaccole, non correva alcun pericolo di restare senza luce. Perché adesso aveva visto ciò che avevano fatto ai topi. Perché adesso era tutto diverso.

Il pipistrello che erano andati a soccorrere aveva raccolto la donna ferita e si era allontanato, così Gregor riportò la sua attenzione alla scena che si svolgeva più in basso. Circa otto ratti si erano radunati sotto di lui, senza dubbio impazienti di prenderselo come trofeo. Ares poteva volare altrove con facilità, ma Gregor volle vedere fino a che altezza riuscivano a saltare i ratti. Il pipistrello si abbassò e tutto il branco spiccò un balzo. Il più atletico riuscì ad arrivare a quasi cinque metri da terra. La spada di Gregor colpì un paio di artigli che stavano per lacerare l’ala sinistra di Ares.

— Fa’ attenzione alle tue ali — disse Gregor.

— È proprio questo il problema — osservò il pipistrello. — Per combatterli dobbiamo avvicinarci, ma se ci avviciniamo troppo, non riesco a evitarli. Quando la situazione precipiterà, dovrai fidarti delle mie scelte.

Gregor capì cosa intendeva. Nel pieno della battaglia, non avrebbero potuto fermarsi a discutere i dettagli del prossimo obiettivo da attaccare. La maggior parte di quelle decisioni sarebbero toccate ad Ares, e Gregor avrebbe dovuto adeguarsi.

— Qualunque cosa ti venga in mente, io sono con te — lo rassicurò.

E su quelle parole, i due si gettarono nella mischia. Ovunque si girassero, gruppi di ratti inferociti li attendevano al varco. Più che attaccare, si ritrovarono a dover respingere gli attacchi di quella massa di nemici. Gregor era avvolto in una nebbia di zanne mortali e artigli taglienti come rasoi che sembravano tutti determinati a squarciargli almeno un’arteria. Ma lui non aveva nessuna intenzione di morire. Non mentre il Flagello era ancora vivo. Se doveva andarsene, era decisissimo a far avverare la profezia e a portare con sé il ratto bianco.

La sensazione della furia pulsava dentro di lui, ma stava riuscendo a non abbandonarvisi del tutto. Forse tutte le ore di addestramento nell’arena lo aiutavano a rimanere concentrato. I movimenti gli erano così familiari. Quell’estate, Mareth aveva messo alla prova Gregor e Ares in mille modi – attacco in picchiata, finta a destra, arresto delle ali, giro della morte all’indietro – ma, nell’arena, di solito la spada di Gregor incontrava l’aria o qualche sacco di sabbia collocato in posizione strategica. Qualche volta avevano lavorato con carcasse di mucca destinate alle cucine. Mareth aveva voluto che Gregor si abituasse ad affondare la spada in un corpo vero. Era molto più difficile di quello che sembrava. La lama doveva penetrare la pelle, poi il muscolo e a volte finiva contro l’osso prima di riuscire a raggiungere gli organi vitali. Ci voleva molta forza. Le lezioni con le mucche lo avevano sempre un po’ nauseato, ma adesso le benediceva. Come benediceva la superiorità dell’arma che aveva ereditato da Sandwich. La spada di Sandwich stava a una normale spada del Sottomondo come un coltello da bistecca stava a un coltello da burro. Era veloce come una saetta e scivolava con molta più facilità su una gola, tra le costole, attraverso l’articolazione di una zampa anteriore. Poteva addirittura tagliare di netto una fila di denti di ratto in un colpo solo. O almeno poteva farlo in mano a Gregor.

Ben presto, lui si ritrovò coperto di sangue e Ares con il pelo tutto umido e appiccicoso, ma nessuno dei due riportò più di qualche graffio. Gregor non doveva nemmeno pensare a come brandire la spada perché era la spada stessa a passare istintivamente di bersaglio in bersaglio. E ogni volta che colpiva, Gregor si faceva più sicuro, più forte. Ferì molti ratti, qualcuno anche a morte, secondo lui, ma il numero degli assalitori continuava ad aumentare. Le immagini dei topi e dei suoi cari che aveva dovuto evocare per indursi a combattere vennero sostituite in fretta dal puro istinto di conservazione. — Non hai proprio idea di quanto ti detestino, vero, Sopramondo? — gli aveva detto Luxa mentre litigavano perché lei aveva dichiarato guerra. Be’, adesso un’idea ce l’aveva.

— Cavolo, questi ratti mi vogliono morto! — commentò Gregor, rivolto ad Ares, quando si alzarono sopra la mischia per prendersi un attimo di respiro.

— L’hai capito solo adesso? — chiese il pipistrello, e Gregor sentì il raro uh, uh, uh della risata di Ares. Si mise a ridere anche lui. Erano entrambi di un buonumore per loro insolito.

In effetti, erano secoli che Gregor non si sentiva così bene. “È questa faccenda della furia” pensò. Gli era stato detto che, durante il suo ultimo combattimento contro i serpenti della giungla, aveva avuto un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, e all’epoca la cosa lo aveva turbato. Ma lì, con la battaglia che infuriava, non gli importava.

E quanto ad Ares che rideva… per la prima volta Gregor si chiese se il suo pipistrello non avesse anche lui un po’ di sangue di furia nelle vene. O forse era solo il sollievo di poter fare qualcosa, finalmente, qualcosa di tangibile. Il sollievo di poter cancellare il senso di profonda frustrazione che avevano provato guardando i topi morire asfissiati senza poter intervenire in nessun modo.

In ogni caso, volavano alto tutti e due.

— Sei pronto per riprendere? — chiese Ares.

— Sì, vai — rispose Gregor. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. — No, aspetta!

Sembrava che l’azione a terra avesse assunto di colpo un minimo d’ordine. Gregor e Ares si trovavano in mezzo a un gruppo che combatteva i ratti su un fronte. Ma sul lato opposto della caverna c’era una seconda linea di accesi scontri, quasi nascosta dalla nube di polvere che sollevava. — Cosa succede laggiù?

Mentre Ares volava verso la nube, Gregor cominciò a distinguere altri particolari. Una lunga piattaforma di roccia sporgeva dalla parete della caverna a circa quattro metri da terra. Sotto il bordo della piattaforma, un muro di umani appiedati tentava di respingere un violento attacco di rodenti. Dall’alto, invece, i pipistrelli eseguivano una specie di offensiva a volo radente, piombando sui ratti e strappando letteralmente brandelli di carne dai loro corpi.

— Sono i piluccatori! Il nostro esercito sta cercando di condurli in salvo! — esclamò Ares.

Gregor strizzò gli occhi tra la polvere e riuscì a scorgere una fila di topi. Gli umani li proteggevano mentre si precipitavano da una rientranza nella parete all’ingresso di una galleria distante una ventina di metri. Ma era un compito molto pericoloso, perché battersi a terra rappresentava un enorme svantaggio per gli umani. Però non avevano altra scelta. Gregor lo capiva. La sporgenza di roccia rendeva impensabile un combattimento aereo. A quell’altezza, i ratti avrebbero abbattuto i pipistrelli senza difficoltà.

Davanti all’imbocco della galleria, gli scontri erano particolarmente violenti. I corpi degli umani e dei ratti continuavano ad accumularsi a ritmi preoccupanti. I regaliani avevano assunto uno dei loro classici schieramenti difensivi a semicerchio. Ma al centro di quel semicerchio, nel punto chiave della formazione, c’era un ratto. Ripred. Roteava su se stesso a una tale velocità che intorno a lui si era alzata una nuvola di polvere a forma di imbuto. Qualunque rodente entrasse nel suo raggio d’azione, veniva ucciso all’istante. Gregor non sapeva da quanto tempo stesse tenendo quella posizione, ma sapeva che persino Ripred aveva un punto di rottura. Cos’era che gli aveva detto, una volta? — Io comincio a stancarmi un po’ quando siamo circa quattrocento contro uno.

Proprio allora, le sue giravolte furono interrotte da un ratto enorme che si scagliò dritto contro di lui. Ripred riuscì comunque a squarciargli la gola, ma venne catapultato con violenza all’indietro, apparentemente stordito.

— Devo andare là! — urlò Gregor.

Ares non gli fece domande, si abbassò in picchiata e Gregor lo sentì gridare: — Sono qui!

I ratti colsero al volo l’occasione offerta dallo stordimento di Ripred. Molti di loro si raccolsero in branco, preparandosi ad attaccare la rientranza da cui uscivano i topi.

Gregor atterrò proprio nel punto in cui si era trovato Ripred, affondando fino alle caviglie nel fango creato dalla polvere e dal sangue. Sferzò l’aria con la sua lama e si mise in posizione di difesa.

I ratti esitarono un istante, sorpresi dalla comparsa di un nuovo avversario. Poi il loro capo ringhiò, e tutto il branco si scagliò verso la gola di Gregor.