Gregor avanzò poco a poco sulla pancia fino a sporgere la testa da sopra la spalla di Ares. Le grida riempivano l’aria mentre i ratti sciamavano per le strade della città, uccidendo tutti gli umani che trovavano. La maggior parte della popolazione era già al sicuro nel palazzo, ma centinaia di persone erano ancora in cammino, a piedi e sui carretti, quando l’esercito rodente gli piombò addosso. Alcuni sguainarono le spade, ma non erano preparati a difendersi da un’aggressione tanto brutale, e Gregor vide molti di loro fatti letteralmente a pezzi.
— È colpa mia. Non ho eliminato il Flagello — gemette Gregor, sforzandosi di alzarsi.
— Non era possibile — ribatté Ares. — Stai fermo!
La priorità delle forze regaliane non era più combattere ma soccorrere le vittime, tentando di condurle in salvo. Ares si tuffò e recuperò due bambini da un carro proprio mentre la loro madre veniva sgozzata. Li portò fino alla terrazza della Sala Alta e li mise giù con delicatezza. Tremanti e piangenti, i piccoli si strinsero l’uno all’altro finché non arrivò qualcuno a guidarli dentro. L’intera sala era gremita di pipistrelli che consegnavano persone e ripartivano a tutta velocità.
— Gregor, devo lasciarti — disse Ares. — Ci sono altri che posso salvare.
— Sì. Vai. Io sono a posto — replicò Gregor, lasciandosi scivolare dal dorso del suo vincolato e atterrando a quattro zampe. Il pipistrello esitò. — Vai. Verranno ad aiutarmi.
Ma mentre Ares volava via, Gregor capì che difficilmente qualcuno sarebbe passato a dargli una mano. La Sala Alta era nel caos. I battiti d’ali riempivano l’aria e il pavimento del locale si stava coprendo alla svelta di umani sanguinanti. Gregor soffriva troppo per farsi sentire sopra il baccano o anche solo per segnalare che gli serviva aiuto. E c’erano tante persone che avevano un disperato bisogno di cure. Il massimo che poteva fare era trascinarsi su un lato della terrazza e appoggiarsi a un grosso vaso di pietra. Così, almeno, avrebbe evitato di essere calpestato.
Tutto lì. Nient’altro. Aveva decisamente qualcosa che non andava. Il dolore alla schiena era straziante. Forse il Flagello l’aveva ferito a morte con quella mossa della coda, aveva danneggiato un organo vitale e lui stava solo aspettando di morire. Erano le costole inferiori, sulla parte sinistra della schiena. Il lato su cui la sua difesa era più scarsa. Cosa c’era a sinistra, in ogni caso? L’unica cosa che gli venne in mente fu il cuore, ma la lesione sembrava molto più in basso.
Gregor cercò di fare dei respiri più corti che poteva. Ogni movimento delle costole peggiorava la situazione. Avrebbe voluto lamentarsi, ma anche quello gli pareva troppo difficile. E poi, c’erano già tanti lamenti intorno a lui. Lamenti e pianti e grida. Desiderò che tutti tacessero, solo per un attimo. Allora forse non avrebbe sentito così male. Se avesse potuto avere giusto un attimo di pace.
Più rimaneva lì e più si convinceva che la profezia di Sandwich – almeno la parte che riguardava lui e il Flagello – si stesse avverando.
QUANDO IL SANGUE DEL MOSTRO
SARÀ VERSATO,
QUANDO IL GUERRIERO VERRÀ ASSASSINATO
Era in fin di vita. E probabilmente lo era anche il “mostro”. Gregor aveva visto il sangue sgorgare dalla coda mozzata. Persino una creatura grossa come il Flagello aveva solo una certa quantità di sangue. I ratti sapevano come fermarlo? O l’enorme ratto bianco, come Gregor, era raggomitolato da qualche parte e assisteva allo scorrere degli ultimi secondi della sua vita?
Tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac…
Gregor riusciva appena a vedere oltre il basso parapetto che circondava la terrazza. Adesso i ratti erano ovunque. Si arrampicavano sui tetti, distruggevano tutto quello che c’era nelle case, divoravano i corpi dei morti. L’esercito umano si era radunato e stava tornando all’attacco, ma dentro Regalia era quasi impossibile prendere di mira i nemici. C’erano troppe porte e finestre dietro cui potevano nascondersi e da cui potevano balzare fuori di sorpresa. Con le sculture elaborate che ornavano ogni edificio, poi, non esisteva costruzione che non riuscissero a scalare, ad eccezione del palazzo.
In qualche punto dalla parte opposta della città c’era l’arena, affollata dei piluccatori sfollati.
Gregor si chiese confusamente come se la stessero cavando. Gigantesche porte di pietra potevano isolare l’arena dalla città, ma cosa sarebbe successo con le gallerie sull’altro lato, che conducevano all’interno? Impossibile saperlo.
Poco a poco, il trambusto si placò. La luce si affievolì un po’. “È sera” pensò Gregor, la mente annebbiata dal dolore. “Tra poco farà notte.” Poi ricordò che laggiù non esistevano il giorno e la notte. Forse stava perdendo la vista. Le immagini sembravano piuttosto sfocate. Sì, non ci vedeva bene, e quello probabilmente era il primo segno che era sul punto di…
— Gregor! — Sentì la voce di Howard, il suo tono prima allarmato poi più rassicurante. — Gregor, sono Howard. Mi capisci? — Il suo viso fluttuante si mise a fuoco. — Sei ferito? Cos’hai?
— Schiena. — La bocca di Gregor si mosse per formare la parola, ma non emise alcun suono. Howard, però, doveva essersi abituato a leggere le labbra, perché fece scivolare le mani intorno al corpo di Gregor. Le sue dita trovarono subito il punto infossato. Mentre esploravano le costole, lampi di dolore attraversarono gli occhi di Gregor come una scarica elettrica. — No! — Stavolta la sua protesta si sentì.
— Gregor, so che deve farti molto male, ma credo di poterti aiutare. Devi metterti seduto — disse Howard.
L’idea era quasi comica. Gregor non riusciva a muoversi, figuriamoci mettersi seduto.
— Dottore! Il Sopramondo ha bisogno di un dottore! — gridò Howard.
Una donna si affrettò verso di loro, tastò la ferita di Gregor e, insieme a Howard, cominciò a spostarlo dal vaso. Ora si lamentava eccome, o almeno emetteva dei versi spaventosi. Avrebbe voluto implorarli di smettere, di andarsene e lasciarlo in pace, ma non sarebbe servito. La donna si posizionò dietro di lui e lo sollevò per le ascelle in modo che sedesse diritto. La manovra costrinse la sua schiena a raddrizzarsi. Diede alcune istruzioni. Howard si inginocchiò davanti a lui e gli strinse forte le mani. — Respira, Gregor. Inspirazioni molto profonde.
“Neanche per sogno!” pensò Gregor, la cui strategia era respirare meno possibile. “Neanche per sogno!” E ignorò il consiglio.
— Respira, Gregor! Fallo! — urlò Howard. — Inspira!
Era chiaro che Howard non se ne sarebbe andato. Era chiaro che quei due avrebbero continuato a torturarlo finché non avesse fatto quello che volevano. Perciò Gregor si obbligò a fare un respiro profondo e per poco non svenne. Si ritrovò sotto il naso qualcosa che aveva un odore aspro e pungente. Gli bruciavano gli occhi e le narici.
— Respira! — si sentì ordinare da Howard. E andò avanti così. All’infinito. Inspirare, essere rianimato e obbligato a tentare ancora. Alla fine, quando pensava davvero che non sarebbe più riuscito a sopportarlo, fece un respiro gigantesco, e improvvisamente le costole del suo fianco sinistro tornarono a posto con uno schiocco. L’aria inspirata gli uscì dal corpo in un grido di sollievo. Poteva riempirsi i polmoni, poteva parlare di nuovo. La schiena gli faceva male, ma quel dolore accecante era sparito.
— Va meglio? — chiese Howard, appoggiandosi sui talloni.
— Sì — rispose Gregor con una risatina. — Sì.
Gli tolsero delicatamente l’armatura e tagliarono la camicia, comunque troppo strappata e insanguinata per essere recuperabile. Howard trovò la nuova fotografia di Gregor e Luxa e gliela infilò nella tasca posteriore dei pantaloni senza commenti. La dottoressa lo esaminò in fretta, pigiando qua e là. Rispetto a quello che aveva appena passato, era come se gli facessero il solletico. — Non riscontro alcun segno diretto di lesioni interne — disse la donna. — Dagli dell’antidolorifico, fascialo e mettilo a letto. — E se ne andò prima che Gregor potesse ringraziarla.
Howard gli somministrò una dose di medicina destinata a togliere il dolore ma senza indurre il sonno. Poi cominciò a fasciarlo con strisce di seta di ragno.
— Dov’è Ares? — chiese Gregor mentre Howard gli passava le bende tutto intorno.
— Credo stia ancora cercando chi ha bisogno di essere soccorso — rispose l’altro. — Anche se ho visto di sfuggita la sua ala. È da non credere che riesca a volarci.
— È testardo — commentò Gregor.
— Come te. Ho saputo che hai tagliato la coda del Flagello dopo essere stato colpito — disse Howard.
— Ah, sì — fece Gregor. Era vero. Quando aveva inflitto quell’ultima ferita, il ratto gli aveva appena messo fuori uso le costole. — Immagino di aver avuto un bel po’ di adrenalina in circolo. Cos’altro è successo?
— Be’, intanto ti abbiamo trovato. Sono circolate molte voci sulla tua sorte. Gli alati hanno evacuato la città. Si crede che a questo punto la maggior parte degli umani sia in salvo o morta. I piluccatori sono barricati nell’arena, ma non mi sorprenderei se da un momento all’altro decidessero di organizzare un ponte aereo per portarli al palazzo. L’arena è difficile da difendere — riferì Howard. — Il palazzo è la nostra ultima roccaforte.
— E le ruspe? — chiese ancora Gregor.
— Di loro, nessuna traccia — replicò il Sottomondo.
— Ma Vikus ha detto che ce n’erano altre — gli fece notare Gregor.
— È probabile. Non lo sappiamo per certo. Ma scavare una galleria fin dentro il palazzo richiederà uno sforzo molto maggiore che raggiungere i terreni coltivati. Sandwich l’ha fatto costruire su una piattaforma rocciosa molto profonda — disse Howard.
— Però potrebbero sempre riuscirci — insisté Gregor.
— Ci proveranno di certo, se quello è il loro obiettivo — ribatté Howard, fissandogli la fasciatura. — Ecco. Pensi di riuscire a camminare, adesso?
Howard lo aiutò ad alzarsi in piedi. Gregor si sentiva tutto indolenzito, ma erano gli occhi a preoccuparlo. — Non ci vedo ancora bene.
— Non è la vista. Guarda fuori — replicò Howard.
Gregor contemplò Regalia e si rese conto di quale fosse il problema. Le migliaia di fiaccole che solitamente illuminavano la città si erano ridotte a un gruppetto sparuto. Una volta, poco dopo essere arrivato nel Sottomondo, aveva chiesto a Vikus perché gli umani non oscurassero la città quando era previsto un attacco dei rodenti. Il vecchio aveva risposto: — A noi servono gli occhi per combattere. A loro no. — Adesso come avrebbero fatto?
Rimasero a osservare in silenzio mentre, una dopo l’altra, si spegnevano anche le poche luci rimaste. Come una stella cadente, l’ultima fiaccola precipitò dalla cima di un alto edificio, disegnando un arco nell’aria prima di spegnersi a terra.
Proprio mentre la città piombava nel buio più completo, ebbe inizio il raspare.