Nell’attimo stesso in cui le guardie tagliarono la striscia che gli legava i polsi, Gregor girò sui tacchi e uscì dalla porta, furibondo.

Era arrabbiatissimo con Ripred e Mareth per aver rivelato a Solovet i suoi sentimenti per Luxa. Prima di tutto, era una cosa personale. Quelli erano affari suoi e di nessun altro! Secondo, non sapevano che Solovet avrebbe usato Luxa contro di lui? Come aveva fatto con chiunque gli stesse a cuore? Non capivano che così le avevano dato ancora più potere per controllarlo? Infine, e se Luxa l’avesse scoperto? Non aveva idea di cosa provasse davvero per lui. Non ne avevano mai parlato. Ora qualcuno sarebbe andato a raccontarglielo e solo pensarci lo imbarazzava. Voleva cercare Ares, tornare a casa sua e…

Una forma gli passò accanto mentre giungeva in fondo al corridoio. D’un tratto, Ripred gli bloccava la strada. — Aspetta, ragazzo.

Gregor sguainò la spada in un lampo. — Spostati. Adesso.

Ripred alzò le zampe, fingendo di essere sorpreso. — Oh, perbacco. È qui che ci affrontiamo in uno scontro mortale? Non mi aspettavo che sarebbe successo così presto.

— Spostati, Ripred! — gli intimò Gregor, e calò un fendente sul ratto, che schivò il colpo ma perse comunque qualche centimetro di baffi su un lato del muso.

— O io sto invecchiando o tu stai migliorando parecchio — commentò Ripred. — Ma ti consiglio di non riprovarci.

Gregor alzò la spada per colpire, ma due braccia robuste lo afferrarono da dietro con una specie di mossa di wrestling. — Fermati, Gregor! Tu non comprendi il favore che ti ha fatto! — esclamò Mareth.

— Toglimi le mani di dosso! — esclamò lui, lottando per liberarsi. Ma il soldato era troppo forte e Gregor, per quanto arrabbiato, non avrebbe potuto attaccarlo con la spada.

In realtà, era più ferito dal suo voltafaccia che dal comportamento di Ripred. Era arrivato a considerare Mareth un amico. Non adesso, però.

E così continuò a battersi finché Mareth non lo rovesciò, inchiodandolo a terra. A quel punto, Ripred gli salì sopra – Ahi! Il ratto doveva pesare almeno trecento chili! – e gli soffiò alito ai gamberetti dritto in faccia. — Facci sapere quando sei pronto ad ascoltarci.

Gregor non ci mise molto ad arrendersi, visto che quasi non riusciva a farsi entrare aria nei polmoni. In più, Mareth e Nerissa lo guardavano da sopra la spalla di Ripred con una preoccupazione così evidente che era difficile non credere che fossero sinceramente turbati per la sua reazione. Si impose di rilassare i muscoli, cosa non semplice perché ormai pareva che la sensazione della furia lo accompagnasse di continuo, pronta a risalire gorgogliando in superficie alla minima provocazione. E anche se non doveva più sforzarsi di suscitarla, adesso non riusciva a spegnerla quando voleva. — Cosa c’è? Cosa volete? — ringhiò.

— Gregor, ci dispiace se là dentro abbiamo divulgato qualcosa di natura privata. Ma quando Ripred ha trovato quella scappatoia, io l’ho colta al volo — disse Mareth. — Non volevamo che tornassi in prigione.

— Me la stavo cavando alla grande — ribatté Gregor, immusonito.

— Perché ci sei rimasto solo due giorni. Ma una volta Solovet ha rinchiuso Hamlet in quella stessa cella per un mese intero perché si era opposto a lei durante un consiglio di guerra — intervenne Nerissa. — Niente luce. Nessun contatto umano. Quando ne è uscito, non era più lo stesso.

— Vikus combatteva alla Fonte. Solovet aveva il Consiglio in pugno. Non c’era nessuno che potesse intercedere per Hamlet. Patire una cosa simile per mano della propria madre… molti di noi ritengono che quell’episodio abbia contribuito a farlo impazzire, nel Giardino delle Esperidi — spiegò Mareth.

— E se ha fatto questo a Hamlet, credi che sarebbe più clemente con un Sopramondo insubordinato? — fece notare Ripred. — Lui era la luce dei suoi occhi, e tu non le piaci nemmeno!

— Avrei detto le stesse cose di Ripred e Mareth se fossi stata abbastanza furba da pensarci — rincarò Nerissa. — Ti prego, Gregor. Cerca di capire che abbiamo agito nel tuo interesse.

Gregor pensò a un mese in quella cella. Anche col suo nuovo talento nell’ecolocalizzazione, sarebbe stato insopportabile. Povero Hamlet. Gregor ricordò com’era apparso turbato nella giungla, quando Luxa aveva insinuato che il suo esilio autoimposto era stato eccessivo e che sarebbe almeno potuto tornare a Regalia a trovarla. Hamlet aveva detto — No, non sarei mai riuscito ad andarmene due volte. Sai come si comporta Solovet. Mi avrebbe rimesso a capo dell’esercito nel giro di un attimo. — Pensava forse a quella cella e a come Solovet l’avrebbe lasciato lì a marcire finché non fosse impazzito del tutto o avesse raggiunto un livello tale di disperazione da fare qualunque cosa lei gli ordinasse? Per Hamlet doveva essere stato tremendo sapere, in punto di morte, che non aveva altra scelta se non mandare suo figlio Hazard a vivere a Regalia. Era quello il motivo per cui aveva strappato a Luxa la promessa di non permettere mai che il bambino venisse addestrato per diventare soldato? Gregor aveva sempre pensato che Hamlet avesse fatto quella richiesta perché profondamente contrario alla guerra. Ma adesso si chiedeva se non l’avesse detto per tenere Hazard il più lontano possibile dalle grinfie di Solovet.

Gregor sentì la tensione abbandonare i suoi muscoli – per davvero, stavolta – mentre cominciava a capire le ragioni dei suoi amici. Però… e se Luxa avesse scoperto cos’era successo?

— Nessuno farà parola di quello che è stato detto in quella stanza, puoi starne certo — disse Mareth. — Noi non parleremo e Solovet non vorrà che diventi di dominio pubblico.

— D’accordo, d’accordo. Mi avete fatto un grosso favore. Adesso lasciatemi alzare — replicò Gregor.

Il tono era ancora brusco, ma la rabbia era svanita del tutto.

— Proprio quando cominciavo a stare comodo — commentò Ripred, spostandosi solo dopo essersi prodotto in una stiracchiata voluttuosa che per poco non frantumò le costole di Gregor. — Andiamo in Sala Decifrazione, prima che tua sorella faccia impazzire le menti più brillanti del Sottomondo.

Ah, già. Il Codice. Sapeva che era importante, ma… — Ma io voglio andare in ospedale — protestò Gregor.

— Per favore, Gregor. Luxa dorme, perciò la tua non sarebbe una vera visita. E noi abbiamo tanto bisogno del tuo aiuto — disse Nerissa. Lo sforzo di quell’ultima ora le causava tremiti violenti. Non voleva che svenisse o roba del genere.

— Va bene, Nerissa. Andrò prima lì — rispose Gregor.

Mareth dovette tornare da Solovet, ma Nerissa e Ripred accompagnarono Gregor in Sala Decifrazione. Gli concessero dieci minuti per darsi una lavata veloce e cambiarsi i vestiti, poi gli fecero salire in fretta alcune rampe di scale fino a una stanza in fondo a un corridoio lungo e stretto. Entrarono, e davanti agli occhi di Gregor si parò uno spettacolo davvero insolito.

Sapeva di sbagliarsi, ma la sala gli ricordava tanto uno zoo. Aveva la forma di un ottagono. La porta che aveva varcato si apriva su uno dei lati. Sulla parete di fronte, invece, era inciso una specie di strano albero sotto il quale c’era un tavolo coperto di rotoli di pergamena, libri e lunghe strisce di tessuto bianco. Le altre sei pareti erano dotate di aperture ad arco di altezze diverse che conducevano a stanze riservate. Sopra ogni arco era specificato il nome della creatura destinata a occupare la stanza: tessitore, brulicante, umano, alato, rodente, piluccatore. Alcune stanze accoglievano già degli ospiti, ed ecco perché Gregor aveva avuto l’impressione di vedere uno zoo. Un ragno verde chiaro era posato su una ragnatela, un topo bianco a macchie nere, tutto fasciato, se ne stava disteso su un nido di coperte, un pipistrello dal pelo color panna penzolava a testa in giù da un trespolo e uno scarafaggio sbirciava da un arco alto appena un metro. Gli ingressi erano dotati di una tenda che poteva essere tirata facilmente, ma al momento erano tutti aperti, perché ogni creatura presente aveva lo sguardo fisso su Boots.

La bambina, in piedi sul dorso di Temp, lo scarafaggio suo fedele amico, era proprio al centro dell’ottagono e cantava a squarciagola “Il piccolo ragnetto”. Il ragno verde, principale destinatario della canzone, sembrava rimpicciolirsi poco a poco. Boots era un po’ stonata, certo, ma Gregor era quasi sicuro che fosse il volume della sua voce a far rannicchiare e contrarre l’aracnide. Ai ragni non piacevano i rumori forti. Mentre concludeva la canzone, Boots si girò verso ciascun arco, facendo ogni volta un inchino e dicendo — Grazie! Grazie! — anche se nessuno aveva applaudito. Gregor sapeva che non le importava. Se aveva un pubblico, Boots poteva continuare all’infinito.

— Va avanti così da ore — sussurrò Nerissa.

— Da giorni, per essere precisi — rincarò Ripred, disgustato. — Devi fare in modo che si concentri sul Codice dell’Artiglio prima che tutti scappino a casa di corsa.

— E adesso ne canto una per te! — annunciò Boots, indicando il pipistrello, che sussultò addirittura.

— Boots! Ehi, Boots, cosa succede? — esordì Gregor, cercando di non ridere mentre si avvicinava alla piccola. A lui sembrava una cosa buffa, ma probabilmente non lo era affatto se facevi parte del pubblico da giorni.

— Gre-go! — esclamò Boots, e subito sollevò le braccia per avere un abbraccio.

— Vieni qui, tu — disse Gregor, tirandola su e appoggiandosela su un fianco. — Come stai, Temp?

Temp agitò le antenne. Una era ancora piegata per via di un precedente scontro con i ratti. — Bene, io sto, bene.

— Io canto per farli felici — spiegò Boots.

— Certo — replicò Gregor. — E sai cos’altro li farebbe felici?

— Cosa? — chiese Boots, gli occhi già sgranati e in attesa.

Gregor si accorse di non saperlo. Si voltò a guardare Nerissa e Ripred. — Cosa volete da lei?

— Be’, questo non lo sa nessuno — rispose Ripred. — In teoria, dovrebbe essere la chiave per decifrare l’intero Codice, ma finora non ha fatto altro che terrorizzarci a morte.

— Io ho cantato — disse Boots, tutta fiera.

— Beh, non c’è dubbio… — ribatté Ripred. — Spiegagli le nozioni basilari, ti dispiace, Nerissa?

— Non dovrei nemmeno essere qui — confidò Nerissa a Gregor mentre lo conduceva verso il lungo tavolo. — Ma mi sono offerta di dare una mano con tua sorella.

— Così questa è la vostra speciale Sala Decifrazione? — chiese Gregor.

— Sì, è stata realizzata molto tempo fa. In passato, abbiamo fatto luce su molti codici, qui, e adesso dobbiamo decifrare quello che riteniamo sia il Codice dell’Artiglio — spiegò Nerissa. — Si tratta di un sistema di comunicazione sconosciuto che i rodenti hanno cominciato a usare il giorno in cui abbiamo liberato i piluccatori. Quindi la sua comparsa coincide con altri avvenimenti menzionati nella Profezia del Tempo. Eccone un esempio. — Raccolse una striscia di tessuto bianco e la mostrò a Gregor. Era coperta da una serie di linee. Alcune verticali, altre inclinate verso destra o verso sinistra. — Ci è voluto poco per escludere tutti i metodi di criptaggio abituali che i ratti potevano aver utilizzato. Questo è un codice nuovo e particolarmente astuto che dobbiamo decifrare.

Gregor guardò le linee. Non avevano alcun significato. — Be’, se vi aspettate che Boots si metta a tradurre un mucchio di scarabocchi in parole… non credo che succederà, Nerissa. Sta appena imparando a leggere.

— Non devi preoccuparti delle linee. Abbiamo anche i messaggi scritti in lettere — intervenne il pipistrello, scendendo dal suo trespolo.

— Oh, perdonatemi — disse Nerissa. — Questo è Dedalus. Il tessitore è Reflex. La brulicante è Min e la piluccatrice si chiama Heronian. — Nerissa aveva l’aria di non sentirsi per niente bene, ma continuò premendosi il palmo della mano sulla fronte. — L’hai già incontrata nelle Terre Infuocate, forse?

— No. Lieto di conoscere tutti voi — salutò Gregor, e le creature gli risposero con un cenno della testa.

— Sono i migliori decifratori della loro specie — spiegò Nerissa. — Boots dovrebbe rappresentare gli umani.

— E tu rappresenti i ratti? — chiese Gregor a Ripred.

— Be’, non sarei di sicuro la prima scelta, ma coi tempi che corrono dovrò andare bene comunque — rispose Ripred. — In realtà, la presenza di un ratto non è fondamentale ma diciamo che può aiutare. Purtroppo, però, ricevo anche altri appelli pressanti.

— Ripred è richiesto ovunque. Nel centro di comando, sul campo e qui, in Sala Decifrazione. Ci fa capire come i rodenti creano i loro codici — disse Nerissa. — Ma questo non sarà lui a decifrarlo. Tocca a Boots.

Dedalus artigliò una striscia bianca e la consegnò a Gregor. Sopra le linee di quella striscia erano state riportate delle normali lettere. Che però non formavano parole riconoscibili. — Boots può ignorare le linee e concentrarsi solo sulle lettere.

Gregor scosse la testa. Odiava deludere tutti, ma doveva essere sincero. — Sentite, sono sicuro che lo sapete già, ma questa roba non ha senso. E non so cosa crediate che possa farci una bambina di tre anni come mia sorella, ma se fossi in voi, non mi aspetterei troppo.

Boots agguantò la striscia con il codice, improvvisamente entusiasta. — Oh! Lo so! Lo so! — Gregor avvertì l’intera sala tendersi nell’attesa, nella speranza di una svolta di qualche genere. Ma una volta a terra, la piccola non fece altro che infilarsi un’estremità della striscia dietro la schiena, nella cintura dei pantaloni, e mettersi a correre. Il tessuto svolazzava alle sue spalle. — Guardate! Ho la coda! Ho la coda!

Gregor scoppiò a ridere. Non riuscì a trattenersi. Tutta quella faccenda era talmente ridicola…

D’un tratto, Gregor si ritrovò con il naso di Ripred schiacciato sulla faccia e vide le labbra del ratto arricciate per la rabbia. — Magari tu lo trovi divertente, ma se non decrittiamo questo codice, perderemo la guerra. Punto. Niente di quanto tu, io o chiunque altro possiamo fare sul campo di battaglia è paragonabile al potere che ci darebbe sapere cosa passa per la testa del nostro nemico. Perciò, se vuoi che la tua sorellina abbia la possibilità di proseguire la sua carriera di cantante, ti suggerisco di aiutarla a concentrarsi!

Gregor chiamò Boots, le tolse la coda e si mise la bimba sulle ginocchia.

Non aveva idea di quello che stavano facendo, ma le chiese di leggere le lettere sulla striscia di tessuto. Lei le riconosceva tutte. A volte alcune formavano una parola breve, “ali” per esempio, e lei lo annunciava tutta contenta. Ma dopo aver letto tre strisce, Boots cominciò a stancarsi del gioco. E anche Gregor. — Questo vi aiuta? — chiese al gruppo.

— No. Ma aspettiamo il ritorno di Vikus. Forse a lui verrà in mente qualcosa — rispose Nerissa.

— Nel frattempo, sarà meglio che proseguiamo come se questo fosse un codice qualunque e facciamo del nostro meglio per decifrarlo — concluse Ripred. — Devo tornare al centro di comando, ma vedrò di passare con una certa regolarità. — E sparì in un guizzo della coda.

— Grazie, Gregor, ma non serve che tu resti. Immagino che tra poco sveglieranno Luxa per farla mangiare — disse Nerissa.

— Mi dispiace di non avervi aiutato di più — replicò Gregor, e si diresse alla porta prima che qualcuno potesse ritenere utile la sua presenza. Non aveva la minima idea di come trasformare quell’ammasso insensato di lettere in parole coerenti, e poi doveva vedere Luxa.

Gregor corse all’ospedale, ma ebbe il permesso di entrare da lei solo dopo aver fatto un altro bagno in una specie di soluzione antisettica e aver indossato abiti sterili e una mascherina.

— Cinque minuti — gli intimò il dottore che lo condusse fino a una stanza isolata. L’aria era impregnata di una nebbiolina fresca che usciva a sbuffi da piccoli tubi inseriti nelle pareti. Luxa giaceva sul letto, in camicia da notte. Aveva il viso, il collo e le braccia – le zone rimaste più esposte alla cenere delle Terre Infuocate – terribilmente arrossati. Faticava ancora a respirare e ogni inspirazione era accompagnata da un sibilo. Ma i suoi occhi trovarono subito quelli di Gregor.

Lui si accostò al letto. Non le prese la mano perché aveva paura di farle male. Fu Luxa a sollevare le dita e a posarle sulle sue. Gli rivolse uno dei suoi mezzi sorrisi e mormorò: — Sei rimasto.

Lui scrollò le spalle come se non fosse poi una gran cosa. E in quel momento, in effetti, non lo era. Si sentiva troppo felice di rivederla viva, di essere finalmente solo con lei, per pensare a quanto gli costava la decisione di rimanere. Sarebbe stato più che contento di passarli semplicemente così, i suoi cinque minuti, ma poco dopo il dottore tornò e gli fece segno di avvicinarsi alla porta.

Gregor uscì per protestare, ma l’uomo non gliene diede la possibilità.

— Sopramondo, ti vogliono di nuovo in Sala Decifrazione. Dicono che c’è un’emergenza: riguarda tua sorella.