La dichiarazione di Ripred colpì Gregor come una tonnellata di mattoni. Principessa! Poteva significare solo una cosa: il ratto pensava che la principessa della profezia fosse Lizzie, non Boots, e adesso avrebbe preteso di trattenerla lì. — No! Non se ne parla, Ripred! Lei non l’avrai! — Si alzò, rimise in piedi anche Lizzie e la trascinò verso la porta tenendola per mano. — Forza, Liz, dobbiamo farti tornare a casa.

Ripred piantò il suo massiccio corpo arruffato davanti alla porta. — Be’, adesso non posso lasciarvi andare. Non sarebbe sicuro.

— È vero — intervenne Dedalus. — Hermes e tua sorella sono caduti in un’imboscata ai piedi del condotto di aerazione che porta a casa tua. I ratti avranno messo sicuramente dei soldati di guardia, ormai.

— Allora risalirà da Central Park — replicò Gregor.

— Anche se al momento avessimo un alato disponibile, non sarebbe comunque consigliabile. È probabile che ci sia una pattuglia appostata anche là. E vuoi davvero lasciare la povera Lizzie tutta sola sotto Central Park? Come farà a spostare la lastra di pietra? Come farà a tornare a casa al buio? — chiese Ripred.

Gregor non aveva idea di che ora fosse, nel Sopramondo come nel Sottomondo. Ma non poteva proprio spedire Lizzie a Central Park da sola, notte o giorno che fosse. Avrebbe dovuto fare in modo che suo padre andasse a prenderla. No, un momento, non funzionava. Suo padre era di nuovo malato e poi, se non potevano mandare un pipistrello con un messaggio alla lavanderia, come lo avrebbero avvisato? C’era solo un modo per riportarla a casa. — L’accompagno io — concluse Gregor.

— Tu prova a mettere il naso fuori da Regalia e ti ritroverai in quella cella così in fretta da restarci secco — ribatté Ripred. — E con te, il tuo pipistrello.

Gregor sentì la disperazione crescere dentro di lui. Lizzie non sarebbe mai sopravvissuta, là sotto! Doveva rispedirla a casa. Ma tutto quello che diceva Ripred era vero. — Perché poi la vuoi qui? Cos’è questa storia della “principessa”? Non ha neanche azzeccato la soluzione! Lo so che a pranzo hai mangiato i gamberetti!

Ripred roteò gli occhi in direzione di Lizzie. — Lo vedi? Ecco cosa mi è toccato affrontare nell’ultimo anno. Illuminalo tu, ti dispiace?

— Era solo un rompicapo, Gregor, non quello che è successo davvero — chiarì Lizzie. — E nel rompicapo il ratto ha mangiato il formaggio.

— Come facevi a saperlo? Hai tirato a indovinare? — chiese Gregor.

— No, era semplicemente l’unica risposta possibile. Lui ha detto che il topo non ha mangiato il formaggio. E che i due animali che hanno mangiato i funghi e i biscotti non erano mammiferi, perciò né il ragno né lo scarafaggio hanno mangiato il formaggio. E il formaggio non era tra i cibi preferiti del Sopramondo, del Sottomondo e del pipistrello. Quindi, rimane solo il ratto. Capito? — disse Lizzie.

La spiegazione gli fece girare la testa. — No, non ho capito, Liz — rispose Gregor. — Io capisco solo che devo farti tornare a casa.

— Magari lei non vuole andarsene — si intromise Ripred.

— Ma certo che vuole andarsene! — esclamò Gregor.

— Chiediamoglielo — disse Ripred. — Lizzie, se tu sapessi che tutti gli umani del Sottomondo potrebbero morire se non li aiutassi a risolvere un rompicapo, rimarresti o partiresti?

— Cosa? — chiese Lizzie, subito angosciata. — Succederebbe davvero?

— Non dirle così! — protestò Gregor. — Non è neanche lei, la principessa! È Boots!

— E la sorella di una principessa si chiama…? — chiese Ripred.

— Principessa, sì! — ammise Gregor. — Ma quella è solo una stupidaggine che si sono inventati gli scarafaggi. Nessuno va in giro a chiamare me “principe”!

— Be’, se è questo che ti dà fastidio, d’ora in avanti sarai il principe Gregor — ironizzò Ripred.

— Anche mia madre, mia sorella e mio fratello? — li interruppe Lizzie, che non aveva ancora risposto alla domanda di Ripred. — Morirebbero anche loro?

— Potrebbe succedere anche se rimani. Potrebbe succedere anche a te. Però è possibile che sopravvivano. Ma se tu sei la principessa della profezia e ci abbandoni, nessuno di noi ha la minima speranza di farcela — replicò il ratto. — Credo che tutti, in questa sala, possano confermare le mie parole.

Forse nel nome si cela l’inganno… — disse improvvisamente Nerissa. — Ecco cosa significa il verso della Profezia del Tempo. Avevamo una principessa, ma non quella col nome giusto. Era questo l’inganno. La vera principessa devi essere tu, Lizzie. Sei tu che ci aiuterai a decifrare il Codice dell’Artiglio.

— Allora devo restare, Gregor — concluse Lizzie. — Non posso proprio andarmene e lasciare che muoiano tutti.

— E papà? — chiese lui.

— Non lo so — rispose Lizzie. Il suo respiro tornò a farsi affannoso. — Non lo so.

— Manderò su del denaro. E delle istruzioni. La vostra gentile signora Cormaci può assumere un’infermiera, no? C’è chi lo fa, giusto? — intervenne Ripred.

— Se puoi mandare su un biglietto, allora fa’ andare la signora Cormaci a Central Park, a prendere Lizzie — ribatté Gregor.

— Ma io non me ne vado, Gregor — obiettò la ragazzina con aria infelice. — Devo restare. — Si rivolse a Ripred. — Come farai avere il biglietto alla signora Cormaci? Con i ratti? Quelli piccoli che ci sono lassù?

— Esatto. È un tale sollievo non dovermi spiegare in continuazione — replicò Ripred.

— Scriverò il biglietto e farò raccogliere il denaro — disse Nerissa. — Ripred, avrai ancora bisogno di me, dopo?

Era così pallida che le vene disegnavano un reticolo nero violaceo contro la sua pelle. Lo stress dell’arrivo di Lizzie doveva essere stato troppo per lei. Sarebbe certamente svenuta da un momento all’altro.

— No — rispose il ratto. — Vai, occupati della faccenda dell’infermiera, e poi riposati.

— Sì — mormorò Nerissa mentre si avviava verso la porta sostenendosi alla parete. — Sì.

— Nerissa, oggi sei stata impagabile — aggiunse Ripred, e la ragazza lo ringraziò con un cenno della testa.

Caspita, il ratto era davvero di buonumore se faceva i complimenti a Nerissa! Se Ripred era felice, Gregor però non lo era affatto. Ma sapeva che discutere con Lizzie era inutile, a quel punto. E Ripred era ben deciso a tenerla lì.

Entrarono due Sottomondo che spingevano carrelli di cibo fumante, e Gregor si accorse di quanta fame avesse. Si preparò un enorme sandwich a base di arrosto di manzo annegato nei funghi e si sedette con la schiena contro il muro per cercare di escogitare un altro piano mentre mandava giù tutto con mezzo litro di latte.

Lizzie, anche lei a stomaco vuoto, si arrese all’insistenza di Ripred e accettò una fetta di pane imburrato. — E adesso vieni a conoscere gli altri membri del gruppo di decifratori — disse il ratto, mettendole la coda intorno alla vita e guidandola a fare il giro della sala. — So che devono sembrarti molto strani, ma credimi, hai più cose in comune con loro che col principe Gregor, laggiù.

— Perché? — chiese Lizzie, girandosi a lanciare un’occhiata nervosa al fratello.

— Perché pensate allo stesso modo — spiegò Ripred. — Oh, già che ci siamo, tu non canti, vero?

— Non molto. La musica con le parole non mi piace — rispose Lizzie.

Un sospiro chiaramente percepibile si propagò dalle nicchie intorno alla sala.

— Ottimo. Ottimo — commentò Ripred. Poi si chinò per sussurrarle all’orecchio, e Gregor sentì appena quello che le diceva. — Dovrai essere paziente con alcuni di loro. Sono molto timidi.

Era la cosa giusta da dire a Lizzie, che per la timidezza poteva quasi paralizzarsi. Aveva sempre avuto grande difficoltà a farsi degli amici. A essere sinceri, ne aveva solo uno, un ragazzino bizzarro che si chiamava Jedidiah. Frequentava la sua stessa classe e, come lei, era molto precoce. A soli otto anni, poteva spiegarti il funzionamento di qualsiasi cosa. Un’automobile, un telefono, un computer. Una volta che era venuto a casa per giocare con Lizzie, aveva passato almeno un’ora a parlare del loro forno. Alla fine, Gregor li aveva portati tutti e due al parco giochi e aveva tentato di organizzare una partita a pallone. Lizzie aveva preso freddo e Jedidiah si era fatto affascinare da un semaforo. Tutto inutile. In più, Jedidiah insisteva sempre a chiamare Lizzie col suo nome completo, Elizabeth, e si arrabbiava molto se qualcuno lo chiamava Jed. Quando li ascoltava parlare tra loro, Gregor aveva l’impressione di essere in compagnia di due Padri Pellegrini. “Cosa ne pensi, Jedidiah?” “Non saprei, Elizabeth.” Ciononostante, tutta la famiglia era riconoscente a Jedidiah. Se non fosse stato per lui, Lizzie non avrebbe avuto proprio nessun amico.

Il fatto che anche gli altri decifratori fossero timidi parve dare coraggio a Lizzie. Quando le furono presentati, infatti, li salutò uno a uno con un educato “buongiorno”. A loro doveva essere simpatica, perché cominciarono a uscire dalle loro nicchie. Dedalus comparve quasi subito, ma i pipistrelli e gli umani avevano più confidenza gli uni con gli altri. Min venne fuori lentamente. Era anziana come scarafaggio, talmente anziana, in effetti, che scricchiolava nel camminare e il suo guscio era di una strana sfumatura grigiastra. Heronian si sforzò di alzarsi, si trascinò fino a Lizzie e le rivolse un piccolo inchino, che la ragazzina ricambiò con cautela. Infine, anche Reflex uscì pian piano, le diede il benvenuto e si affrettò a tornare alla sua tela.

A quel punto, Ripred accompagnò Lizzie davanti all’albero inciso sulla parete. — Questo è il Diagramma di Trasmissione. Venne creato anni fa per facilitare le comunicazioni sulle lunghe distanze. Lo misero a punto umani, ratti, topi, ragni, scarafaggi e pipistrelli insieme, e già quello fu un risultato straordinario. Eravamo in uno dei nostri rari periodi di pace, capisci? Però possiamo usarlo tutti ancora oggi. Guardalo un attimo e dimmi cosa ne pensi — disse.

Gregor esaminò attentamente l’albero, ed ecco cosa vide:

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— Sembra un albero di Natale decorato con l’alfabeto — fu il primo pensiero di Gregor. Ma persino lui capiva che quello strano schema doveva essere connesso al codice.

— Penso… — iniziò Lizzie, esitante.

— Va’ avanti, non aver paura di sbagliare — la incoraggiò Ripred.

— Be’, forse voi usate questi suoni… ticchettio, raspata, colpetto… per indicare delle lettere — disse la ragazzina. — Un ticchettio è una E, una raspata è una A, e un colpetto è una I. Ho ragione?

— Hai più che ragione — replicò Ripred. — Quindi, se tu sentissi un ticchettio, un colpetto e una raspata?

Mentre parlava, Lizzie seguì con l’indice i rami dell’albero. — Il ticchettio ti porta a sinistra fino alla E. Da lì, il colpetto ti porta a destra fino alla R. La raspata ti fa ripartire dalla base e ti porta su fino alla A. — I suoi occhi si illuminarono. — È una specie di codice Morse. Il sistema di suoni che usiamo noi per mandare messaggi via telegrafo. Con i punti e le linee.

— Sì, solo che il vostro sistema utilizza solo due suoni mentre noi ne abbiamo tre. Come fai a conoscere il codice Morse? — chiese Ripred.

— Me l’ha mostrato mio padre — rispose Lizzie. — Però lui non aveva un albero. Aveva una tabella con le linee e i punti accanto a ogni lettera.

— Più simile a questa? — chiese ancora Ripred, accennando al pavimento.

Gregor notò per la prima volta la tabella incisa nella pietra. Si alzò in piedi per osservarla meglio.

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— Sì, somiglia proprio alla tabella dell’alfabeto Morse — commentò Lizzie. — Perciò è solo un altro modo di rappresentare il Diagramma di Trasmissione.

— Ci hai azzeccato di nuovo — disse Ripred. — Alcuni la trovano uno strumento utile per imparare il codice. Naturalmente, il modo migliore di impararlo è ascoltarlo. Raspata-raspata-ticchettio. Colpetto-colpetto-raspata. Perché è così che viene trasmesso.

Anche Gregor era stato presente alla lezione di suo padre sull’alfabeto Morse. Abbastanza interessante, ma non gli era rimasta molto impressa. Lizzie, invece, ne era stata affascinata e aveva preteso che lo imparasse anche lui per potersi scambiare dei messaggi. La sola cosa che Gregor avesse mai decifrato era SOS, il segnale di emergenza che si usava sulle navi per chiedere aiuto. Tre punti-tre linee-tre punti. SOS. Veniva inviato in una sequenza ininterrotta, senza intervalli a dividere le tre lettere. SOS. Lizzie gliel’aveva ficcato in testa praticamente a forza. L’aveva tamburellato sulla parete della camera da letto, martellato con la forchetta mentre erano a cena, si era persino servita di una torcia elettrica per trasmetterlo, con lampi brevi per i puntini e lampi più lunghi per le linee. Alla fine, Gregor aveva dovuto mettere fine a quella persecuzione. Lizzie avrebbe voluto che si esercitassero cinque ore al giorno. Come se lui non avesse già abbastanza compiti senza che arrivasse la sorella ad affibbiargliene altri.

— Be’, se sapete già come funziona questo codice, qual è il problema? — chiese.

— Questo non è un codice, Gregor. È solo un modo per mandare messaggi. Come se alzassi il telefono e ci parlassi dentro — spiegò Lizzie. — Chiunque capirebbe quello che stai dicendo.

— L’hai già sentito. Artigli di ratto che raspano, picchiettano, ticchettano — suggerì Ripred.

Gregor ricordò che una notte, in una grotta delle Terre Infuocate, si era svegliato proprio sentendo quei suoni. Ripred gli aveva detto di tornare a dormire. — Come nella grotta — osservò.

— Come nella grotta, esatto. Quei messaggi non erano in codice. I ratti non pensavano che ci fosse alcun pericolo nel trasmetterli in chiaro — spiegò Ripred. — Ma adesso che siamo nel bel mezzo di una guerra, tutto è in codice. — Il ratto recuperò dal tavolo una delle strisce di tessuto bianco coperta di linee scarabocchiate e la sventolò. — Questo codice! Il Codice dell’Artiglio! Quello della Profezia del Tempo! E per decifrarlo, abbiamo bisogno di Lizzie!

Gregor finalmente capì. Non erano i ticchettii, le raspate e i colpetti, il codice. Quelli erano semplici quanto l’alfabeto. Ma i messaggi che i ratti mandavano ora non avevano senso, perché erano cifrati. Una A poteva essere una B o una Q o una V, a seconda di come funzionava il Codice dell’Artiglio.

Lizzie prese la striscia di tessuto e si sedette sul pavimento, studiando le lettere. — È come un crittogramma? Una lettera ne rappresenta un’altra?

— Non proprio — rispose Heronian, sistemandosi accanto a Lizzie. — Un normale crittogramma l’avremmo decifrato in pochi minuti. Ma qui c’è qualcos’altro.

— Un trucco per renderlo più complesso. Una specie di sostituzione — aggiunse Dedalus.

— Non trovato, l’abbiamo, non trovato — intervenne Min, avvicinandosi tra gli scricchiolii.

— Ma il punto è che il tempo stringe. Tic, tac, tic, tac — commentò Ripred, scuotendo la testa, esasperato. — Ecco, adesso sono di nuovo affamato. — E andò a cacciarsi in bocca un pollo arrosto intero.

— Hai ricevuto i biscotti che ho aiutato a fare? — gli chiese Lizzie, senza alzare gli occhi dal codice.

— No, non ho ricevuto i biscotti che hai aiutato a fare — rispose Ripred, lanciando un’occhiataccia a Gregor. — Dove sono finiti?

— Nel mio zaino all’ospedale, forse. Li ho portati con me in battaglia. Scusa, ma non ho trovato il momento giusto per servirli — ironizzò Gregor. — Vuoi che vada a prenderli?

— Sì che voglio. Sarà meglio che venga con te per evitare altri incidenti. E, già che ci sono, mi accerterò che il biglietto per tuo padre sia partito — rispose Ripred. Sfiorò delicatamente la testa di Lizzie con la punta della coda. — Tu sei a posto qui, adesso?

— Cosa? — disse Lizzie, distogliendo l’attenzione dalle lettere. — Oh, credo di sì.

— Bene. Io torno presto — ribatté il ratto.

Gregor si fermò sulla soglia per controllare ancora una volta che Lizzie non andasse in crisi vedendoli uscire, ma lei era occupata a discutere una sequenza di lettere con gli altri. Persino il ragno, Reflex, si era avventurato fuori dalla sua nicchia per unirsi a loro. Formavano un quadretto rassicurante, tutti insieme sul pavimento. Bizzarro, ma rassicurante.

Ripred aspettò di non essere più a portata d’orecchio prima di parlare. La sua voce era stranamente sommessa, come tutta la conversazione che seguì. — Senti, non litighiamo per questa storia di Lizzie. Lasciala rimanere. Abbiamo bisogno che decifri il codice per salvare le persone che hai imparato ad amare.

— Amo anche lei. È mia sorella. Ed è un genio, ma non è molto forte — disse Gregor. — Non come devi essere per sopravvivere quaggiù.

— Lo so — sospirò Ripred. — Lo so. Ma ormai Solovet saprà che si trova qui e avrà già dato ordine di trattenerla finché dura la guerra. E dopo, cosa succederà?

— Dopo non sarà più un problema. Potrò riportarla a casa io e… — Gregor si interruppe mentre gli tornava in mente la Profezia del Tempo.

QUANDO IL GUERRIERO VERRÀ ASSASSINATO

Non sarebbe stato lì per accompagnare nessuno da nessuna parte. — Devo riportare subito a casa Lizzie, in un modo o nell’altro. E anche Boots e mia madre. Finché posso — bofonchiò Gregor, rivolto più a se stesso che a Ripred.

— Non puoi. Nessuno può. Ma se adesso la lasci restare, senza opporti, ti giuro che dopo la guerra le riporterò a casa io tutte e tre, sane e salve — disse il ratto.

— No — ribatté Gregor, arrabbiato. — Che razza di accordo è? A guerra finita, non ci sarà più motivo di tenerle qui!

— Pensaci, ragazzo. Se vinciamo, sarà Solovet a dettare legge. Credi davvero che lascerà tornare indietro anche una sola di loro? — La sua voce si era abbassata fino a ridursi a un mormorio. — A me ha detto il contrario. Se Solovet si tiene stretta Boots, avrà gli scarafaggi dalla sua parte, e se Lizzie è chi penso io… be’, varrà tanto oro quanto pesa. No, tuo padre verrà a cercarle e i tuoi cari rimarranno qui per il resto della loro vita, praticamente prigionieri. A meno che io non ti aiuti.

Era uno scenario terrificante, al quale Gregor non aveva mai pensato: tutta la sua famiglia condannata a vivere laggiù. E dopo che Ripred glielo ebbe esposto, capì che non solo era possibile, ma addirittura probabile. — Come faccio a sapere che posso fidarmi di te? — chiese.

— Ti do la mia parola — rispose Ripred.

— La parola di un ratto? — ribatté Gregor, amaro.

— La parola di una furia — ribatté Ripred. — Di una furia a un’altra. Le riporterò a casa.

Mentre Gregor cercava di stabilire quanto valesse la parola di una furia, sempre che valesse qualcosa, i corni cominciarono a suonare. Ripred piegò la testa di lato e ascoltò le note.

— I ratti hanno raggiunto le mura settentrionali. Quelle che circondano i terreni coltivati.

Gregor poteva essere mandato là da un momento all’altro. E forse non sarebbe tornato. Cosa sarebbe successo, allora?

— Cosa decidi, Gregor di Sopramondo? Abbiamo un accordo? — chiese Ripred.

Non aveva altra scelta se non fidarsi di lui. — Sì — rispose.

— Bene. Adesso va’ a cercarti un’armatura — concluse il ratto. — Ci vediamo sul campo.