Un Sottomondo aspettava Gregor in fondo al corridoio con la sua armatura. Mentre lui si vestiva, qualcun altro svegliò Ares, e insieme raggiunsero l’arena.

— Dormito bene? — chiese Gregor.

— Sì, per i venti minuti che è durato — rispose stancamente Ares.

— Forse avremo tempo dopo l’addestramento — lo consolò Gregor. Sapeva che avrebbe dovuto cercare di dormire un po’ anche lui. Senza l’aiuto del sole, non era per niente difficile perdere la cognizione del tempo, là sotto.

Quando entrarono nell’arena, la trovarono stipata di topi. Era diventata una specie di campo profughi per quelli che erano sopravvissuti all’inferno di essere strappati alle loro case e condannati dal Flagello a morire nelle Terre Infuocate. Sul fondo coperto di muschio era stato sparso uno spesso strato di paglia. Lungo i muri c’erano postazioni dove era possibile mangiare, lavarsi e ricevere cure mediche. Un’area appartata, invece, fungeva da gabinetto per i topi. Il posto puzzava di disinfettante, ma anche quello non bastava a soffocare il fetore di rifiuti, malattia e di troppi corpi ammassati in uno spazio troppo piccolo.

Mentre volavano in tondo, si avvicinò un pipistrello che trasportava sei cuccioli di topo e un ragazzino dai riccioli neri. — Ehi, c’è Hazard. Andiamo a salutarlo — disse Gregor.

L’alato cavalcato da Hazard si posò in un punto vicino al muro. Gregor era appena atterrato davanti a lui quando entrambi si ritrovarono circondati da una folla di topi in agitazione che squittivano tutti insieme. Ares allargò le ali, creando una barriera di protezione tra loro e il pipistrello che portava i piccoli.

— Cosa c’è? Cosa succede? — urlò Gregor a Hazard.

— I cuccioli. Stiamo cercando di riunirli ai loro genitori — rispose Hazard. — Ma è difficile.

Gregor ci credeva. C’erano centinaia e centinaia di topolini nella nursery. I loro genitori potevano essere ovunque – morti nell’Antro di Ade, ricoverati all’ospedale di Regalia, ancora in attesa di essere evacuati dalle Terre Infuocate – ma potevano anche trovarsi in mezzo a quella folla, disposti a tutto pur di sapere se i loro piccoli erano sopravvissuti.

— Ehi, silenzio! Silenzio! — gridò Gregor, alzandosi in piedi sul dorso di Ares e sollevando le braccia. I topi si acquietarono appena. — Dovete calmarvi. E spostatevi, prima che qualcuno si faccia male! — A quel punto, alcuni regaliani accorsi ad aiutarli fecero indietreggiare i topi per dare modo ai pipistrelli di respirare. — Come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere, Hazard?

— Stiamo preparando un elenco. Io devo portare i piccoli, sei alla volta, e dire forte i loro nomi per vedere se i genitori sono qui — ribatté Hazard.

— E mandano te? — si sorprese Gregor. Dovevano essere proprio a corto di gente se avevano affidato quell’incarico a un ragazzino di sette anni.

— Sono il più adatto. Perché sono capace di parlare con i cuccioli — rispose Hazard. Ma i suoi occhi verde lime erano colmi di dubbi. — Loro possono dirmi i loro nomi. Però tu hai più voce di me, Gregor. Vuoi chiamarli tu?

— Certo. Questo chi è? — chiese Gregor, indicando un piccolo topo a chiazze bianche e grigie.

— Lei è Scalene — disse Hazard, tendendogli la topolina. — È sola.

Gregor sollevò la piccola tremante sopra la testa. — Allora, questa cucciola si chiama Scalene — gridò. — Qualcuno sa di chi sia?

Subito si alzò un grido. — È mia! È mia! — La folla si aprì mentre un topo si precipitava davanti. — È la mia bambina! — Sentendo la voce della madre, Scalene cominciò a dimenarsi per sfuggire alla presa di Gregor, squittendo e piagnucolando.

Ares abbassò il naso a terra e la cucciola corse dritta lungo il suo collo per scappare tra le zampe della madre. Lei strofinò rapidamente il muso contro la piccola, poi guardò implorante Hazard. — Ho altri due figli. Euclidian e Root. Sono con te?

— Non su questo alato. Me ce ne sono centinaia, nella nursery. Potrebbero benissimo essere là — rispose Hazard.

Il topo annuì e condusse via la sua piccola.

Gregor diede una mano a distribuire gli altri cuccioli. Due coppie di fratelli vennero reclamate all’istante. Ma quando chiamò il nome dell’ultimo topolino, nessuno rispose.

— Si chiama Newton. — Gregor tenne alto sopra la testa il cucciolo nero che si divincolava e cercò di parlare più forte per farsi sentire in tutta l’arena. — Newton! — Ma ancora non ci fu risposta.

— Credo venga dalla colonia della giungla — disse una voce.

Gregor ebbe un brutto presentimento. Luxa gli aveva detto che i piluccatori che avevano visto morire asfissiati dal gas vicino al vulcano venivano proprio dalla colonia della giungla.

— Chiunque di noi sarà disposto a prenderlo — dichiarò un topo vicino alla prima fila.

— Adesso posso darlo solo ai suoi genitori — replicò Hazard. — E loro potrebbero essere ancora nelle Terre Infuocate.

I topi non protestarono. Nessuno desiderava complicare ulteriormente la situazione.

— Lo riporto alla nursery e torno con un nuovo gruppo — disse Hazard.

— D’accordo, ascoltate! Hazard accompagnerà qui altri cuccioli. Ma voi dovete lasciare libero questo spazio e non precipitarvi a soffocarlo quando atterra. Va bene? — spiegò Gregor.

Dalla folla si alzò un mormorio di assenso.

Due dei Sottomondo si offrirono di sostituire Gregor e assistere Hazard quando fosse tornato. — Ti aspettano, Sopramondo. Davanti alla galleria sud — gli disse qualcuno.

Quando Ares decollò, Gregor vide che nessuno dei topi si era mosso. Avrebbero atteso lì, in un silenzio tormentato, finché ci fosse stata anche una sola possibilità che arrivassero i loro figli. Provò la stessa, orribile sensazione di impotenza che l’aveva divorato mentre guardava i topi morire nella fossa. Solo che stavolta era più forte. E in quel preciso istante, Gregor capì con esattezza perché avrebbe ucciso il Flagello.

— Andiamo ad allenarci — disse, ora impaziente di scoprire i vantaggi che poteva offrirgli il pugnale.

— Sì — concordò Ares. — L’osservazione di Ajax era giusta. Devo imparare a usare meglio le mie ali.

Quando Gregor si lasciò scivolare dal dorso di Ares accanto a Perdita, lei si lanciò in un lungo discorso sul fatto che tutti loro erano stati richiamati dal campo di battaglia per addestrarsi ancora, ma Gregor la interruppe.

— No, voi avete ragione. Sarebbe meglio se avessi un pugnale. Perciò, come lo uso? — chiese.

Perdita gli batté la mano sulla spalla in segno di approvazione e cominciò subito con l’addestramento. Si concentrarono soprattutto sulle posizioni di difesa, anche se poi lei gli mostrò un paio di elementari mosse offensive. — Dovrai trovarti praticamente a contatto fisico con il rodente per ucciderlo — disse Perdita. Gregor se ne rendeva conto: la lama del pugnale era molto più corta di quella della sua spada. Lui, però, non arrivava quasi mai così vicino ai ratti.

La lezione andò bene.

Era molto più facile combattere con due armi. Gli tornò in mente che forse aver tenuto la fiaccola nella mano sinistra durante il suo attacco in volteggio nella giungla aveva fatto la differenza tra le vita e la morte.

— Ottimo, Gregor. Eccellente. Adesso proviamo sul tuo alato — disse Perdita.

Ares aveva lavorato sopra di loro con Ajax per ridurre la sua apertura alare in certi spostamenti. Doveva essersela cavata bene anche lui, perché Ajax, sia pure a denti stretti, disse a Perdita: — Almeno sa recepire gli insegnamenti.

— Meglio — disse il ratto, facendo loro cenno di raggiungerlo. — Ma tu tendi a dimenticare che hai quel pugnale in mano e continui a compensare con la spada.

— Sì, me ne sono accorto — ammise Gregor.

— E tu, Ares, quando sei basso e decidi di aprire le ali, fallo! Bam! Se le usi bene, puoi spezzare qualche collo con quelle — proseguì Ripred.

— È quello che continuo a dirgli — intervenne Ajax.

— Continuerò a lavorarci su — disse Ares.

Arrivò un pipistrello-messaggero con l’ordine per Ares di unirsi alla successiva squadra di evacuazione.

— È molto stanco — obiettò Gregor.

— Lo siamo tutti — replicò il pipistrello.

— Ce la faccio — disse Ares.

— E l’addestramento? — chiese Gregor.

— Lui ha finito, per ora. Vediamo come te la cavi tu a roteare — lo sollecitò Ripred.

Appena Ares si fu allontanato, Gregor tentò di far vedere a Ripred il suo attacco in volteggio. Era difficile eseguirlo senza avere davanti una reale minaccia di morte.

Si sentiva goffo sui piedi e la testa cominciò a girargli quasi subito. — Nella giungla mi è venuto meglio — disse a Ripred.

— Be’, adesso ti viene da schifo — lo criticò il ratto. — Cominciamo con le vertigini. Devi imparare a individuare la tua posizione.

Ripred gli mostrò come scegliere un punto qualsiasi e ritrovarlo con gli occhi alla fine di ogni giro. — Io lo faccio con l’ecolocalizzazione, ma tu non ne saresti capace.

— Ah. Forse sì, invece — ribatté Gregor.

— Devo forse dedurre dalla tua espressione compiaciuta che hai finalmente avuto un’illuminazione? — si meravigliò Ripred.

— Una specie. In prigione — rispose Gregor. — Cioè, quando ero lì è successo qualcosa.

— Da adesso mi occupo io di lui — disse Ripred a Perdita.

E ancor prima di rendersene conto, Gregor si ritrovò sotto il palazzo, nel posto in cui si erano sempre allenati, impegnato a respingere gli attacchi di Ripred nel buio più completo. Solo che non era più buio, perché ora riusciva a fare quella cosa, a utilizzare quella faccenda dell’ecolocalizzazione per “vedere” ciò che aveva intorno. Se schioccava la lingua o tossiva o addirittura parlava in una certa direzione, era in grado di riconoscere con precisione forme e calore e movimento.

— Avremmo dovuto gettarti in cella mesi fa — commentò Ripred.

— È strano. È come se avessi un sesto senso — disse Gregor.

— Sì. Adesso proviamo l’attacco in volteggio. Scegli un punto specifico sulla parete e tornaci su ogni volta che giri — gli spiegò Ripred. — Aspetta, usa me per iniziare.

Gregor ci provò. Ruotò su se stesso, e all’inizio riuscì a trovare Ripred con l’ecolocalizzazione, ma poi cominciò a sentirsi disorientato e ad avere le vertigini. C’erano troppe cose nuove – piroettare e fissare un punto di riferimento e sentire con le orecchie – perché il suo cervello potesse elaborarle tutte in una volta. Alla fine inciampò e finì gambe all’aria.

— Va bene, va bene. È abbastanza, per oggi — disse Ripred.

— No che non è abbastanza. Non ci sono ancora arrivato — protestò Gregor.

— Ci arriveremo la prossima volta — ribatté Ripred.

— Potrebbe non esserci una prossima volta! — esclamò Gregor. — O la prossima volta potrebbe essere in una grotta piena di ratti!

— Sei troppo stanco. Sarebbe controproducente — insisté Ripred. Gregor fece per obiettare, ma il ratto tagliò corto. — Gregor! Oggi hai fatto progressi eccezionali. Ma è ora di fermarsi!

Un bel cambiamento rispetto alle loro lezioni passate, quando era Gregor che cercava sempre di filarsela e Ripred che lo spingeva a proseguire. — Continuerai a lavorare con me?

— Dopo che avrai mangiato e dormito. Andiamo a scoprire cosa combina Lizzie. Puoi riposarti nella sua nicchia in Sala Decifrazione — disse Ripred.

— Sì, andiamo a vedere se hanno già decrittato quel codice — concordò Gregor. Cominciava a preoccuparsi per il tempo che ci stavano mettendo. — Perderemo davvero la guerra, se non lo decifrano?

— Se bisogna credere a Sandwich… — rispose Ripred. — Ma anche se la profezia non c’entrasse, io direi comunque di sì. Abbiamo un bisogno disperato di quelle informazioni. Forza, muoviamoci.

Già entrando in Sala Decifrazione, si avvertiva un senso di scoraggiamento. Il pavimento era invaso dalle lunghe strisce di tessuto bianco che riportavano i messaggi criptati. Erano così tante che ci si affondava fino alle caviglie. La squadra dei decifratori attorniava Lizzie mentre scriveva in fretta alcune lettere con un pennarello di un rosa vivace che doveva venire dal suo zaino. — Quindi sarebbe ILQU… oh, no… un’altra Q. Non è questo.

Tutto il gruppo si lasciò sfuggire uno sbuffo di delusione.

— Allora, come stiamo andando? Come procede la codifica per fattori primi? — chiese Ripred.

— Non procede — rispose Dedalus. — Heronian ha pensato di provare un’inversione di due lettere, ma non ha funzionato.

— È così frustrante! Deve pur esserci una chiave. Una chiave semplice. Altrimenti, la maggior parte dei rodenti non riuscirebbe a tenerla a mente — disse Heronian. — Una cosa che non dimenticherebbero.

— Come se la cava il nostro nuovo giocatore? — chiese ancora Ripred, circondando le spalle di Lizzie con la coda.

Per la prima volta, l’atmosfera della sala si alleggerì. — Una volta sola, dobbiamo spiegarle, una volta sola — replicò Min in tono di approvazione.

— Pensa in un modo che è fuori da comune — osservò Dedalus, abbassando il naso per sfiorare la testa di Lizzie.

— E non canta — aggiunse Reflex, facendoli ridere tutti.

Ma, nonostante gli elogi, Lizzie non sembrava felice. — In realtà, non sono stata molto utile — ammise. — Non ho decifrato il codice né aiutato qualcun altro a farlo, come dice la profezia che ho letto.

— Tu hai letto la profezia? — si sorprese Gregor. Non riusciva a credere che Lizzie accettasse la notizia della sua morte con tanta calma.

— Gliene ho fatto fare una copia da Nerissa — spiegò Ripred.

Lizzie la tese a Gregor. — Non ha una bella scrittura? — osservò.

Gregor guardò la profezia. I versi che riguardavano la sua morte erano stati riscritti e ora dicevano:

QUANDO IL SANGUE DEL MOSTRO

SARÀ VERSATO,

E DEL GUERRIERO IL DESTINO AVVERATO

— Molto bella — confermò, lieto che avessero avuto il buonsenso di proteggere sua sorella.

Un altro carrello di cibo venne spinto nella sala. — D’accordo, sarà meglio che facciate una pausa prima di andare tutti fuori uso. Togliamo questa roba. Mangiamo. E per la prossima mezz’ora nessuno dovrà pronunciare le parole “e se provassimo…?” — disse Ripred.

Gregor e Lizzie raccolsero le strisce di tessuto bianco e, seguendo le istruzioni di Ripred, le ammassarono nella nicchia del ratto per consentirgli di farsi un nido più comodo di quello che gli avevano fornito gli umani. I piatti di cibo, crudo e cotto, vennero sparsi sul pavimento e tutti si sedettero a mangiare. Ripred, che sembrava deciso a distrarre per un po’ i decifratori dal codice, si mise a raccontare storielle buffe, riuscendo a far ridere persino Min. Gregor, che non aveva mai visto Ripred tentare di risultare simpatico e affascinante, rimase sorpreso nel vedere che poteva essere entrambe le cose. Chi non lo conosceva, avrebbe pensato che Ripred provasse un sincero affetto per quel gruppo bislacco. Ma Gregor sapeva che il suo scopo principale era far decifrare il codice. E se il ratto era convinto che qualche risata l’avrebbe portato più vicino alla meta, allora avrebbe recitato la parte del buffone. Avrebbe raccontato barzellette. Sarebbe scivolato anche su una buccia di banana, se l’avesse avuta a portata di mano.

Gregor mangiò un enorme pesce alla griglia, parecchie fette di pane imburrato, un po’ di verdura e una torta quasi intera. Poi, cinque minuti dopo, ebbe di nuovo fame e finì la torta con una grossa tazza di latte. Erano settimane che mangiava quando capitava e doveva recuperare. Lanciò un’occhiata alla sorella, che spiluccava il suo stufato. — Mangia, Liz, è buono.

— Lo so. Sì, è buono. Adesso mangio — rispose lei, e ne prese un boccone.

— Allora, te l’ho detto che è tutto sistemato con tuo padre, vero? È assistito da un’infermiera ventiquattro ore su ventiquattro. Starà benone — tentò di rallegrarla Ripred.

— Sì. È che… stavo pensando a mia madre. Capisco che sapermi qui la metterebbe in agitazione, ma io non la vedo da mesi — disse Lizzie. I suoi occhi erano lucidi di lacrime. — Forse potrei solo guardarla mentre dorme.

— Non sarebbe un male — intervenne Heronian.

— E tranquillizzerebbe la bambina — rincarò Dedalus.

Gregor non ne era così sicuro. Al contrario, le condizioni della mamma potevano allarmare Lizzie ancora di più. E se poi la mamma si fosse svegliata e avesse visto anche la terza dei suoi figli laggiù, con ogni probabilità avrebbe avuto una crisi isterica, si sarebbe affaticata, e l’insieme delle due cose avrebbe aggravato il suo stato. Però Lizzie non la vedeva da secoli…

— Solo un minuto — implorò la ragazzina.

— Decidi tu — disse Ripred a Gregor.

— Grazie tante — ribatté Gregor. Il ratto passava il novantanove virgola nove percento del tempo a comandarlo a bacchetta. E proprio quando gli sarebbe servito un piccolo consiglio, ecco che di colpo tutte le decisioni spettavano a lui. — D’accordo, Liz, ti accompagno giù e, se la mamma dorme, puoi entrare da lei. A patto che mangi il tuo stufato.

Lizzie divorò il cibo mentre Gregor si preparava psicologicamente a quello che sarebbe successo. Quando aveva lasciato il Sopramondo, sua madre era una donna forte e in salute. Adesso era pelle e ossa, costretta a letto, e aveva ancora le cicatrici della pestilenza. Era sicurissimo che a sua sorella sarebbe venuto un altro attacco di panico.

Il palazzo era un posto nuovo – e quindi potenzialmente terrificante – per Lizzie. E infatti la ragazzina tenne ben stretta la mano di Gregor mentre lui la guidava lungo le molte rampe di scale che scendevano fino al piano dell’ospedale. Non contribuiva certo a migliorare le cose il fatto che ora la situazione fosse così cupa, la gente triste e ansiosa, e l’aria pesante per l’odore delle medicine, dei disinfettanti e del fumo delle fiaccole supplementari che in quei giorni ardevano ovunque.

Gregor fece aspettare Lizzie in fondo al corridoio che portava alla camera della madre. Quasi quasi sperava che fosse sveglia, così avrebbe potuto farle un rapido saluto e riportare Lizzie di sopra. Magari poteva addirittura provare a svegliarla, anche se non gli sembrava per niente corretto. Ma quando raggiunse la stanza, si imbatté in un problema del tutto diverso. Otto topi gravemente feriti giacevano su altrettanti materassi stesi a terra e sua madre non si vedeva da nessuna parte.

“Devono averla spostata in una camera più piccola” fu il suo primo pensiero, poi capì. — Oh, no! — esclamò. — Voglio vedere un dottore! — urlò, precipitandosi in corridoio. — Mi serve un dottore qui!

Sfrecciò davanti a Lizzie, ignorando le sue domande, e afferrò per le spalle il primo medico che incontrò. Era una donna piccola, con gli occhi cerchiati dalla stanchezza. — Dov’è? Dov’è mia madre?

— Oh, il Sopramondo! — disse la donna.

Gregor lesse la paura nei suoi occhi. Si rese conto di averla sollevata e sbattuta contro il muro. Ma non mollò la presa. — Dov’è?

— Gregor! Gregor, lasciala andare! Lei non c’entra! — Howard, comparso all’improvviso, lo trascinò via dalla dottoressa.

— Non c’entra con cosa? — chiese Gregor.

— Solovet ha mandato una squadra di guardie senza avvertire. Avevano ordine di portare tua madre alla Fonte — rispose Howard. — Non c’era niente che potessimo fare.

— Ma perché? Perché? Io rimango. Lei sa che rimango! — gridò Gregor.

— Può essere solo per avere una garanzia ulteriore — replicò Howard. — In fondo, sei solo a un breve volo da casa tua.

A un breve volo? Era più esatto dire a milioni di chilometri. Dall’altra parte dell’universo, fino alla fine del tempo e ritorno. Gregor aveva l’impressione di non poter essere più lontano di così da casa sua.

— Vado a cercarla — disse. — Prendo Ares e… oh, cavolo! — Si era appena ricordato che avevano mandato Ares alle Terre Infuocate, per il ponte aereo. — Dove posso trovare un altro pipistrello?

— Non puoi. Dovresti saperlo — ribatté Howard. — Gregor, la Fonte potrebbe comunque essere più sicura per lei. Non è sotto attacco e l’ospedale non è così affollato.

Lizzie gli stava tirando la mano. — Cos’hanno fatto alla mamma? Dov’è?

Gregor la attirò a sé e la abbracciò. — È tutto a posto. È tutto a posto — disse, sforzandosi di calmarsi per il bene della sorella. — L’hanno solo trasferita in un altro ospedale.

— Su alla Fonte. A casa mia… Questa è Lizzie? — chiese Howard.

— Stavo… per… rivederla — mormorò la bambina.

“Ed ecco qui l’attacco di panico” pensò Gregor.

— Mia madre vive alla Fonte, sai? Lavora in ospedale come me. Sono sicuro che si prenderà cura di lei — la rassicurò Howard.

— Io vado a parlare con Solovet — ribadì Gregor. — Dov’è?

— Credo che sovrintenda al campo di battaglia — rispose Howard.

— Tu torna in Sala Decifrazione, d’accordo, Liz? — disse Gregor.

— Non ricordo… la strada! — ansimò la ragazzina.

— Ti ci porto io — si offrì gentilmente Howard. Lui era il più grande di cinque fratelli. Gregor ricordò che era stato fantastico con Boots e Hazard.

— Per favore, riaccompagnala tu. E intanto io mi occupo di nostra madre — disse Gregor.

Raggiungere il campo di battaglia non era una faccenda semplice.

Gli ci volle del bello e del buono anche per trovare una via d’uscita dal palazzo.

Di solito andava e veniva su un pipistrello. D’altra parte, le porte e le finestre più basse si trovavano a sessanta metri da terra. I soldati di guardia alla piattaforma mobile che portava di sotto rifiutarono categoricamente di dargli un passaggio.

Alla fine, nella Sala Alta, trovò un giovane pipistrello credulone che accettò di portarlo all’arena per “l’addestramento”. Così sarebbe almeno uscito dal palazzo, ma l’arena era nella direzione opposta rispetto a quella in cui doveva andare.

Perciò, quando il pipistrello si fu allontanato, Gregor riattraversò di corsa la città. Le strade erano intasate di carri e carretti che convogliavano cibo e provviste a palazzo. Schivando persone e domande, continuò a correre fino a raggiungere l’estremità nord delle mura che circondavano Regalia.

Era il suo giorno fortunato. Avevano lasciato aperta una porta per consentire ai contadini di portare dentro i raccolti. Se non altro, non doveva trovare un modo per scavalcare i bastioni. Ma sapeva che le guardie lo avrebbero riconosciuto – il Sopramondo era il guerriero – e che avevano ordini tassativi di tenerlo in città.

Piuttosto che rischiare di essere rimandato indietro e denunciato, si infilò da clandestino in un carro che usciva di nuovo nei campi, nascondendosi dietro alcune ceste. Così avrebbe fatto almeno un pezzo di strada verso la zona dello scontro.

Mentre il carro si allontanava dalla città, Gregor studiò il discorso che voleva fare a Solovet.

Le avrebbe detto, senza mezzi termini, che o riportava sua madre a Regalia o non si sarebbe battuto per lei.

Punto.

Sapeva di poter finire in prigione per quello. Ma alla fine Solovet avrebbe avuto bisogno di lui per combattere contro il Flagello. E avrebbe voluto che Gregor fosse meglio addestrato e pronto a seguire gli ordini.

Giusto?

O avrebbe considerato tutta la storia come un’altra sfida alla sua autorità e l’avrebbe punito in modo esemplare?

Forse sarebbe stato meglio se avesse affrontato l’argomento in modo diverso e le avesse detto che Lizzie non poteva lavorare senza avere sua madre vicino.

Il carro si fermò a parecchi chilometri dalla città. I terreni agricoli erano ben illuminati da un impianto di lampade a gas, perciò doveva ancora stare attento a non farsi vedere. Scivolò dal retro del carro e si ritrovò in mezzo a piante simili a grano che gli arrivavano alla vita. Si abbassò e attraversò il campo fino in fondo.

I Sottomondo mietevano, avanzando verso Regalia. Gregor aveva raggiunto l’estremità dei terreni coltivati e tra lui e il muro da cui si conduceva la guerra restavano solo delle stoppie.

Decise di correre in quella direzione. Chi l’avrebbe fermato, là fuori?

Un paio di contadini?

Sentì qualcuno urlare mentre si precipitava attraverso i campi brulli, ma nessuno lo inseguì davvero.

Forse pensavano che si sarebbe fermato una volta arrivato al muro e che, non avendo un alato, sarebbe rimasto bloccato lì.

Bene.

Se avesse raggiunto il muro, avrebbe raggiunto Solovet. Vide un pipistrello volare sopra di lui, probabilmente per riferire della sua presenza, e per un attimo si distrasse a guardarlo, chiedendosi se avrebbero mandato delle guardie a riportarlo indietro.

Fu allora che inciampò. Pensò che il piede gli si fosse impigliato in qualche stoppia, ma quando cadde sulle mani, vide il sottile strato di terra incrinarsi mentre il fondo di roccia sottostante sprofondava. “Un altro terremoto!” si disse.

Ma quando un artiglio lungo quasi un metro sfondò il terreno e si abbatté a pochi centimetri dal suo braccio, capì che quello non era affatto un terremoto.