Lizzie rigirò la striscia di tessuto e riportò l’alfabeto sulla facciata vuota mentre dalla bocca le usciva un torrente confuso di parole. — D’accordo, d’accordo, diciamo che sia un anagramma e che ci siano lettere che non cambiano. Allora servirebbero solo una parola chiave e un codice semplicissimo che i ratti riuscirebbero sempre a ricordare.

— E pensi che sia “Gregor”? — chiese Ripred.

— È la parola che ho visto io — rispose Lizzie.

— Sarebbe una buona scelta. Si potrebbe tenere a mente come “Gregor” o come “Gorger” — osservò Heronian.

— È ancora più facile di così — intervenne Reflex. — Tutte e due le parole sono formate solo da quattro lettere: E-R-G-O. Ergo. Basta ricordare la parola ergo.

— Sì — concordò Lizzie. — Sì. Perciò la E, la R, la G e la O rimangono invariate.

Scrisse le quattro lettere sopra le loro equivalenti nell’alfabeto.

E G O R
A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

— E adesso dobbiamo usare un codice così semplice che nessuno possa dimenticarlo — disse Daedalus.

— Spostamento singolo, più semplice essere, spostamento singolo — suggerì Min.

Lizzie annuì e cominciò a inserire le lettere.

— La A è rappresentata dalla B, la B dalla C, la C dalla D, la D diventa F perché la E non cambia… — prese a elencare Heronian, ma Lizzie era già molto più avanti di lei. Il suo pennarello azzurro sostituiva le altre lettere a tutta velocità.

B C D F E H G I J K L M N P O Q S R T U V W X Y Z A
A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

— Provalo! Su, prova! — la incitò Ripred, mettendole davanti una striscia di codice non ancora decifrata.

Le mani di Lizzie tremavano mentre sollevava la striscia e cominciava a leggere. — Ruspe… in arrivo… accampamento… vicino… Regalia. Galleria… in corso.

Per un attimo, rimasero tutti fermi lì, sbalorditi dal loro stesso successo.

— Questo è un vecchio messaggio. Ci servono le ultime trasmissioni. — Ripred corse alla porta. — Codice nuovo! Codice nuovo! — urlò. Poi tornò da Lizzie con un balzo, la sollevò con il naso e la lanciò in aria. Fece una mezza piroetta e la riacchiappò al volo sul dorso. — Una lettera può essere uguale a se stessa!

Lizzie rideva mentre gli gettava le braccia al collo. — Una lettera può essere uguale a se stessa! Una lettera può essere uguale a se stessa!

E di punto in bianco, l’intera squadra dei decifratori esplose in una specie di baldoria di cervelloni. Reflex cominciò a sparare fili di seta per tutta la stanza come se fossero stelle filanti. Dedalus raccoglieva mucchi di strisce con le ali e le gettava in aria. Heronian saltava avanti e indietro scavalcando Ripred e Lizzie. E persino la vecchia Min aveva ingranato una marcia superiore, lanciandosi in un’antica danza scricchiolante da scarafaggio.

Boots, al settimo cielo, correva qua e là, volteggiava tra i festoni di seta e ballava sul dorso di Temp. — Una lettera può essere uguale a te! Una lettera può essere uguale a te! — cantava.

— Sì, una lettera può essere uguale a te, razza di esserino incapace — ribatté Ripred. Ma era felice. Addirittura esultante.

Hazard si strinse forte a Luxa. — Allora andrà tutto bene? Adesso che hanno decifrato il codice?

— Se non altro andrà meglio, Hazard — rispose Luxa, ricambiando l’abbraccio. Ma quando guardò Gregor, lui capì che pensava al resto della profezia. Alla sua morte.

— Andrà tutto a meraviglia, Hazard — disse Gregor. L’ultima cosa che desiderava era rovinare quel momento vittorioso con i suoi guai. — Ottimo lavoro, Liz! — si complimentò, battendo il cinque alla sorella.

— Il merito è di tutti — replicò Lizzie. — Anche di Hazard. È lui che mi ha fatto pensare agli anagrammi.

— Posso andare a dire ai piluccatori che il codice è stato decifrato? Sono sicuro che gli solleverà il morale — disse Hazard.

— No! — tuonò Ripred, facendosi serio di colpo. — Nessuno al di fuori di questa stanza dovrà sapere che abbiamo decifrato il codice. Informerò personalmente Solovet. Voi dovete giurare che manterrete il segreto.

I decifratori assentirono, quindi lo fece anche Gregor, anche se pensava che Hazard avesse ragione e che la notizia potesse dare una grossa spinta al morale di tutti.

Una giovane donna portò una cesta piena di strisce di codice strettamente arrotolate. Impazienti di decifrare gli ultimi messaggi, i membri della squadra si affollarono intorno al materiale. Nonostante l’eccitazione generale, Gregor ricominciò a pensare al sonnellino di cui aveva bisogno. Ma Ripred aveva altro lavoro per lui. Reclutò Gregor, Luxa, Hazard, Boots e Temp per decodificare le pile di messaggi accumulati, nel caso riportassero qualcosa di interessante. Luxa suggerì di tornare a lavorare nell’alloggio degli umani, e Gregor poté almeno sdraiarsi di nuovo. Ogni striscia richiedeva due passaggi, uno per scrivere il messaggio in lettere, e un secondo per decifrarlo con il Codice dell’Artiglio. Quasi tutte le comunicazioni erano ormai superate – gli aggiornamenti sulla battaglia per liberare i piluccatori, l’alleanza con le ruspe, l’ubicazione del Flagello – ma alcune contenevano informazioni importanti riguardo alle specie che si erano schierate con i rodenti o contro di loro. Gli scarafaggi erano contro, i ragni cercavano di rimanere neutrali (quindi la presenza di Reflex a palazzo doveva essere un segreto), e tentare di avvicinare le formiche era troppo pericoloso. Gregor trovava difficile credere che le formiche si sarebbero unite agli umani o ai ratti. Era chiarissimo che avrebbero voluto morte entrambe le specie. Anzi, probabilmente niente poteva farle più felici di una bella guerra che opponesse l’una all’altra.

Per quanto si sforzasse, Gregor non riusciva più a tenere gli occhi aperti. A un certo punto, Luxa gli sussurrò: — Dormi, qui ci pensiamo noi.

Così Gregor si lasciò scivolare nel sonno. Quando si svegliò, era tutto silenzioso. Luxa, Hazard e Boots dormivano nel letto di fronte al suo, mentre Temp russava leggermente sul pavimento. Ripred doveva aver spedito tutti a nanna. Gregor cercò di riaddormentarsi, ma la schiena e il fianco gli facevano male. E aveva di nuovo fame. Si rimise in piedi poco per volta e andò in Sala Decifrazione. Lizzie e Ripred dormivano sul pavimento come la notte prima. Ripred aprì un solo occhio annebbiato, vide che era lui, e lasciò ricadere pian piano la palpebra. Gregor si avvicinò al carrello delle vivande e rovistò in cerca di uno spuntino. Trovò una zuppiera mezza piena di stufato tiepido e la ripulì. Il suo stomaco stava meglio, in ogni caso.

Gregor avrebbe voluto che Howard passasse con un altro po’ di medicina. Ma quando ripensava ai feriti, alle sue scarpe che si incollavano al pavimento insanguinato della Sala Alta, si rendeva conto che Howard non doveva aver trovato un solo attimo di tempo. Poteva far avere un messaggio all’ospedale, ma anche lì erano così occupati a tenere in vita la gente che seccarli per così poco gli sembrava da pappamolla. Si chiese come stesse sua madre, su alla Fonte. Riceveva le cure di cui aveva bisogno? O anche lì l’ospedale era sovraffollato come quello di Regalia? E suo padre e sua nonna? Cavolo, sperava proprio che suo padre non si facesse venire in mente di venire laggiù a soccorrerli tutti! Forse la sua ricaduta era abbastanza grave da tenerlo a letto. Era una cosa orribile da augurargli, ma sempre meglio che pensarlo tra le fauci dei ratti.

Si versò una tazza di tè ormai freddo e rinunciò all’idea di tornare a letto. E comunque, adesso non era davvero stanco. Tanto valeva che si rendesse utile. La zona della griglia incisa nella pietra era coperta dagli ultimi messaggi, tutti trascritti ordinatamente con il pennarello azzurro di Lizzie. Ma c’erano ancora mucchi di vecchie trasmissioni in codice che traboccavano dalle ceste. Gregor afferrò una manciata di strisce e si mise al lavoro. Era principalmente la solita roba che riguardava movimenti di truppe avvenuti settimane prima. E poi, dal nulla, uscì questo messaggio:

/| ||// / /| || ||/ /| / \\. |/\ |// \/ /| |.

|/| \ |\/. \\ |// |||| |||| |//

Lo riportò in lettere:

UXJUDIUJQ. NORUB. PEM. QOAAO

E poi applicò il Codice dell’Artiglio servendosi del sistema di Lizzie. Quelle poche parole furono una pugnalata al cuore.

Twitchtip. Ricordi del ratto presero forma davanti ai suoi occhi. Twitchtip col naso piantato nel muschio dell’arena perché l’odore degli umani la faceva star male. La sua espressione disperata mentre girava su se stessa, prigioniera del gorgo. I suoi artigli che affondavano nel giubbotto di salvataggio, mentre rantolava: — Non… mollare! — E lui non aveva mollato. Aveva rischiato la propria vita per salvare un ratto solo al mondo quando nessun altro voleva prendersi il disturbo di provarci. E poi erano diventati amici, nonostante quella faccenda umano/rodente. Twitchtip era stata la prima ad accorgersi che era una furia. Aveva dato il suo cibo a Boots. Si era trascinata attraverso il labirinto dei ratti per aiutare Gregor a trovare il Flagello, e poi aveva obbligato lui e Ares a lasciarla lì a morire. Ma non era morta. Non subito. I ratti l’avevano tenuta in vita dentro un pozzo, probabilmente l’avevano torturata e affamata mentre tentavano di estorcerle informazioni su Gregor. E alla fine, solo di recente, se ne era andata. Sola come sempre.

Le lacrime che caddero su quelle parole lo sorpresero perché era tanto che non piangeva. Non aveva pianto per sua madre, o per Ares, per i topi, per Thalia, per Luxa, nemmeno per se stesso quando aveva saputo della profezia. Solo che era stata tutta così orribile, la vita di Twitchtip. Esiliata nella Terra Morta per il suo olfatto straordinario, aveva vissuto da sola in quei luoghi inospitali fino al momento in cui, per la disperazione, si era unita a Ripred. Nel labirinto si era quasi dissanguata, ma non era morta abbastanza in fretta per sfuggire alle grinfie dei ratti, che già la odiavano perché era una odoromante e poi l’avevano odiata anche di più perché aiutava Gregor.

— Va tutto bene. Va tutto bene adesso. — Ripred guardava il messaggio da sopra la sua spalla.

— Non va tutto bene! — La voce di Gregor era aspra ma bassa. Non voleva che tutti si svegliassero e lo vedessero così. — Avrei dovuto tornare a cercarla.

— Pensavamo che fosse morta — obiettò Ripred.

— Ma non lo sapevamo. Ed è rimasta in mano loro per tutto questo tempo. E di certo noi non l’abbiamo mai scoperto — ribattè Gregor. Pensò a suo padre, che si era consumato per anni dentro quel pozzo, prigioniero dei ratti. Twitchtip era morta lì, dove avevano trovato suo padre?

— Anche se l’avessimo saputo, sarebbe stato quasi impossibile farla scappare — osservò Ripred. — È improbabile che loro…

— Chiudi il becco, Ripred! Voglio dire, cosa te ne importa? Non ti è mai nemmeno piaciuta! La trattavi come spazzatura. Hai fatto quell’accordo con lei per opportunismo, così sarei riuscito a uccidere il Flagello. Non fare come… come se lei contasse qualcosa per te! — lo zittì Gregor. Non aveva tenuto bassa la voce. Ormai erano tutti svegli, in pratica. Spaventati dal suo sfogo. Impauriti all’idea che i ratti avessero fatto irruzione nel palazzo. — Chiudi il becco e basta!

Inferocito, Gregor entrò nell’alloggio del ratto e si chiuse la tenda alle spalle con uno strattone. Si lasciò cadere sul letto e pianse. Sapeva che non era solo per Twitchtip, era per tutte le cose tremende che erano successe e per quelle che lo attendevano nelle ore a venire. Una mano – quella di Lizzie, pensò – scostò esitante la tenda. — Lasciami in pace! — Il pianto sollevò nuove ondate di dolore che gli percorsero le costole, ma passò molto tempo prima che riuscisse a smettere. Poi rimase disteso sul letto a guardare il leggero tremolio della luce di una lampada a olio sulla parete. Fuori era sceso di nuovo il silenzio. Dovevano essere tornati tutti a dormire.

Dei passi, qualcuno era entrato in Sala Decifrazione. — Dov’è Gregor? — chiese Howard in tono esausto.

— Là dentro — rispose Luxa. Allora lei non era tornata a dormire. Stava aspettando lui. — Abbiamo saputo della morte di Twitchtip. I ratti la tenevano prigioniera in un pozzo fino a poco tempo fa. Gregor è molto turbato.

Ci fu un attimo di silenzio mentre Howard assimilava la notizia. — Dovremmo esserlo tutti. Il dolore di Gregor è il solo che non dovrebbe mescolarsi alla vergogna. Il nostro sì — commentò Howard. Neanche lui aveva tentato di salvare Twitchtip dal gorgo, all’inizio, ma poi si era preso cura di lei in maniera eccellente. — Ha reso a tutti noi un grande servizio, e in cambio le abbiamo riservato un trattamento orribile.

Howard aprì la tenda che dava sulla nicchia del ratto ed entrò. — Mi dispiace — disse. Gregor non rispose. — Forza. Mettiti seduto. Devi aver bisogno di questo. — Howard lo aiutò a sedersi, gli somministrò una dose di antidolorifico e gli diede la bottiglietta con la medicina avanzata per dopo. Spennellò un nuovo strato di disinfettante sui punti al fianco e al polpaccio di Gregor e gli mise delle bende pulite. Alla fine, gli esaminò la schiena. — Un gran bel livido, ma pare che le ossa rimangano al loro posto — commentò mentre lo fasciava di nuovo. Poi si sedette sul letto, i gomiti sulle ginocchia, e si premette il palmo delle mani contro la fronte, cercando di trovare le parole giuste. — Gregor, tra tutte le creature che Twitchtip ha conosciuto nella sua vita, sono sicuro che tu sei quella cui augurerebbe di soffrire meno — disse.

— Anche tu l’hai aiutata. Dopo il gorgo. Nel labirinto — replicò Gregor.

— Perché avevi ragione — disse Howard. — Sei stato l’unico tra noi a guardare oltre il suo pelo, i suoi denti e i suoi artigli, e a vedere chi era davvero. Se mai avremo la pace, un giorno, quello dovrà essere il primo passo. L’alternativa è questa. — Agitò vagamente una mano, come a indicare la situazione attuale. — Massacrarci a vicenda. Rinchiuderci con i nostri morti. È così inutile. Tutto quanto. — Si sfiorò con prudenza gli occhi, iniettati di sangue e gonfi di stanchezza. — Devi far riposare la tua schiena se vuoi che guarisca.

— Hai bisogno di riposo anche tu, Howard — ribatté Gregor.

— No. Se tu vedessi l’ospedale… — Howard abbassò lo sguardo sulle sue mani. Erano scosse da un tremito violento. — Solo… comincio ad aver paura di fare più male che bene.

— Soltanto per qualche ora. Sdraiati. Prometto di svegliarti — insisté Gregor.

Howard lo guardò come se non riuscisse proprio a elaborare le sue parole. — Qualche ora?

— Farai davvero del male a qualcuno. Sdraiati. — Si alzò e spinse Howard all’indietro sul letto.

— Due ore. Non di più — disse Howard.

Nel tempo che Gregor impiegò per tirare su le coperte, Howard si era già addormentato. Gregor uscì nella sala. Erano tutti di nuovo in piedi, di nuovo al lavoro. Boots gli si avvicinò e tese le braccia. Non poteva sollevarla, con il problema alla schiena, così si sedette e se la mise sulle ginocchia.

— Ahi — disse Boots. Si premette la mano sul naso. — Ahi. — Era quello il gesto che aveva usato per Twitchtip, per indicare il naso ferito del ratto, quando era ancora troppo piccola per dire il suo nome. — È morta.

— Sì — replicò Gregor, pensando che preferiva i tempi in cui Boots non aveva ancora capito cosa significasse morire.

— La metti qui — proseguì la piccola, dandogli dei colpetti sul petto all’altezza del cuore. Be’, non proprio… aveva sbagliato parte. Ma lui sapeva che si riferiva al suo cuore.

— Ce la metterò, sì — confermò Gregor. Colse lo sguardo triste di Luxa. Anche lei aveva stabilito un legame con Twitchtip. Si erano protette a vicenda nel labirinto, finché avevano potuto.

Gregor rimise in piedi Boots e si avvicinò per aiutare Luxa con le strisce del codice.

— Io credevo veramente che fosse morta, Gregor — bisbigliò lei.

— Lo so. Immagino di averlo creduto anch’io. Ma non sopportavo l’idea. Mi ero fatto questo… film in cui lei era riuscita a salvarsi. Era di nuovo al sicuro nella Terra Morta, o qualcosa del genere.

— Adesso è al sicuro.

— È così che funziona quaggiù — osservò Gregor. Nessuno era davvero al sicuro finché non era morto. Guardò Ripred, pensò alla famiglia del ratto, e desiderò di non avergli urlato contro. Se c’era qualcuno che sapeva cosa volesse dire essere torturati in una fossa, quello era Ripred, lasciato a morire nelle Terre Infuocate dal Flagello, i denti cresciuti a dismisura fino a incastrarsi tra loro. Ripred aveva trattato Twitchtip come trattava praticamente chiunque, cioè male. Ma non l’aveva uccisa e, se fosse sopravvissuta, Gregor era certo che avrebbe mantenuto la promessa e le avrebbe permesso di unirsi alla sua banda di ratti. Non che ormai avesse più importanza.

Arrivò una cesta di nuovi rotoli di codice e Ripred mise tutti all’opera, anche quelli che fino ad allora avevano tradotto solo le vecchie comunicazioni. Ci stavano lavorando solo da qualche minuto quando Min cominciò a mandare ticchettii allarmati. — Brutte notizie, qui è, brutte notizie! — Lo scarafaggio era troppo agitato per leggere subito il messaggio, così Luxa corse ad aiutarla. Ormai riusciva a tradurre gli scarabocchi in lettere e a decifrare il codice solo vedendolo.

— Quando… le ruspe… raggiungono… arena… lanciare… attacco — lesse.

— Cosa? Dove? — chiese Ripred, balzando al suo fianco.

Luxa sollevò la striscia di tessuto perché potessero vederla tutti e due.

— Dal fiume — lesse il ratto a voce alta.

— Dal fiume — ripeté Luxa. — Nessuno può attaccare dal fiume. Le rapide farebbero a pezzi chiunque.

— Non più. Hai visto il fiume, ultimamente? Dopo il terremoto? — disse Gregor.

— No — rispose Luxa. E durante il volo di ritorno dalle Terre Infuocate stava troppo male.

— È molto basso. Dovrebbero nuotare per parecchie centinaia di metri dalla spiaggia a nord, ma potrebbero farcela — ammise Ripred.

— Tu sei stato nel centro di comando. Che difese abbiamo, ai moli? — chiese Luxa.

— Nessuna — rispose Ripred. — Assolutamente nessuna.