D’istinto, Gregor cominciò a ruotare su se stesso. Ebbe appena il tempo di fare un giro completo prima che i ratti giungessero a portata di spada. Aveva preso abbastanza slancio da colpire i due che venivano da sinistra – uno al collo e l’altro agli occhi – con un solo fendente. E il soldato che combatteva alla sua destra ne tolse di mezzo altri due. Ma un terzetto di ratti dall’aria crudele continuò ad avanzare verso di lui.

Piantò le scarpe da ginnastica nella polvere e tenne loro testa. Quei tre facevano sembrare delicati fiorellini gli amici di Twirltongue. Innanzitutto erano più grossi, quasi come Ripred. Avevano zanne gocciolanti di bava e sangue, e musi pieni di cicatrici che indicavano anni di battaglie. Ma era l’espressione di assoluta malvagità dei loro occhi a rivelare che Gregor aveva di fronte avversari di un livello completamente diverso.

Sapevano anche fare squadra in combattimento e i loro affondi sincronizzati gli rendevano quasi impossibile parare tutti i colpi insieme. Eppure ci riuscì, perché adesso l’effetto furia era al massimo della sua intensità e gli frammentava la vista, permettendogli di concentrarsi solo sulle zanne e gli artigli letali e, nei rari istanti in cui non doveva semplicemente difendersi, di scorgere i punti vulnerabili degli occhi e del collo che poteva attaccare a sua volta.

Quella specie di rombo costante che a volte accompagnava il suo stato di furia gli riempì le orecchie, ma una voce riuscì a penetrarlo. Roca e quasi irriconoscibile, poteva appartenere a una sola creatura.

— Oh, guarda un po’ chi ha deciso di farsi vivo! Tutto profumato di budino e bagnoschiuma, per di più. Mmm-mmm. Sono lieto che tu sia riuscito a venire. Sei stato in vacanza per un po’, eh? Mentre noialtri eravamo qui a respirare zolfo e a mangiare… be’, mangiare non è del tutto esatto. Howard ha avuto l’idea di tagliare la tasca di cuoio del tuo vecchio zaino. Insomma, per masticare abbiamo masticato, ma non direi che ci siamo riempiti lo stomaco. No, quella roba non ci ha soddisfatti come speravamo. Oh, e poi c’è stata quella faccenduola di liberare i piluccatori. Come puoi notare, i ratti non l’hanno gradita molto.

Gregor avrebbe voluto dire a Ripred di chiudere il becco, dirgli che lo distraeva. Ma non aveva fiato da sprecare e gli pareva che in quel momento non sarebbe riuscito a pronunciare una sola parola. Come quando, in sogno, cercava di parlare a qualcuno ma non gli usciva nemmeno un suono. Un artiglio gli arrivò a pochi centimetri dalla gola e lui mozzò la zampa del ratto all’altezza dell’articolazione. L’animale indietreggiò con un urlo di dolore. Ancora due.

— Sai, sto cominciando a conoscere meglio la tua ragazza — continuò Ripred quasi pigramente, come se avessero tutto il tempo del mondo per scambiare due chiacchiere.

“Non è la mia ragazza!” avrebbe voluto gridargli Gregor, ma non ci riuscì.

E poi, Ripred conosceva già i suoi sentimenti nei confronti di Luxa. Negarlo avrebbe solo dato il via a un’altra predica.

— Ha del fegato, glielo riconosco. Avresti dovuto vederla quando ha portato via quei piluccatori proprio sotto il naso del Flagello. Sua nonna ne sarebbe stata orgogliosa — continuò Ripred.

L’ultima cosa di cui Gregor aveva bisogno adesso, era pensare a Solovet, la nonna di Luxa, e a come avrebbe reagito alla sua fuga.

— Però, in tutta sincerità, sono un po’ preoccupato per lei — proseguì Ripred.

Gregor colpì al collo uno dei ratti e quello batté in ritirata. Ma ora la sua attenzione era tutta rivolta a quello che diceva Ripred. Perché era preoccupato per Luxa? Era malata? Ferita? — Perché? — riuscì a sbraitare. L’ultimo ratto era una bestia enorme con i denti limati in punte acuminate.

— Le serve aria pulita. Non abbiamo avuto maschere finché non è arrivato l’esercito, ed erano giorni che respirava questa robaccia — rispose Ripred. — Io di maschere non ne porto, naturalmente, farei fatica a combattere con un aggeggio del genere. Ma i miei polmoni di roditore sono più robusti dei suoi.

— È malata? — riuscì a chiedere Gregor. Il suo avversario era implacabile. Lo aveva già trafitto due volte, ma sembrava che la cosa l’avesse solo incattivito.

— Malata? Be’, sì. Onestamente, non sono nemmeno sicuro che sia ancora viva — rispose Ripred.

La mano di Gregor vacillò e il ratto contro cui combatteva lo centrò alla testa con la coda. Cadde sul fianco destro, il braccio che reggeva la spada bloccato sotto il corpo. Il ratto gli piombò addosso all’istante. Gregor si preparò a essere azzannato, ma di colpo l’animale venne sollevato in aria, ululante di rabbia. Ares gli aveva affondato gli artigli nella groppa e lo portava sempre più in alto nella caverna. Il ratto si divincolò nel tentativo di girarsi ad attaccare il pipistrello, ma inutilmente. Quando Ares lo lasciò andare, urlò finché non si schiantò al suolo, dove rimase muto e immobile.

Ripred scavalcò Gregor, rifilandogli uno scappellotto con la zampa mentre passava. — Ti servirà un po’ più di controllo mentale, ragazzo. Alzati, adesso!

Gregor si sfregò la testa, confuso. Era quella l’idea di Ripred di addestramento sul campo? Tutta la storia su Luxa era stata solo un test? Quindi lei stava bene? Avrebbe voluto chiedere, ma era abbastanza sicuro che, se lo avesse fatto, il ratto l’avrebbe steso.

— Alzati! — ripeté Ripred, sempre meno paziente.

Balzò in piedi. Ripred occupava di nuovo il punto centrale del semicerchio. A sinistra, aveva una donna che Gregor riconobbe: Perdita. C’era mancato poco che rimanesse uccisa, la prima notte in cui lui era caduto nel Sottomondo. Aveva cercato di scappare, si era imbattuto in due ratti su una spiaggia ed era stato tratto in salvo da una squadra di umani e pipistrelli. In quell’occasione, Perdita era stata ferita gravemente. Ma era guarita, da allora, e Gregor si era allenato con lei. Si batteva con una spada e un pugnale, e nelle esercitazioni era in grado di colpire un numero di sfere di sangue quasi equivalente al suo, il che faceva di lei una delle migliori combattenti di Regalia. Sulla destra di Ripred, invece, c’era un uomo che Gregor non aveva mai visto. E se lo sarebbe ricordato, perché doveva essere alto almeno due metri. Brandiva a due mani un grosso spadone che molto probabilmente arrivava alla spalla di Gregor. Urlava molto nel combattere.

— Vicino a me! — ordinò Ripred, facendo guizzare la coda per indicare a Gregor il punto in cui doveva mettersi, tra lui e Perdita. — È viva, Sopramondo — gli disse la donna mentre lui prendeva posto, e riuscì persino a lanciargli un’occhiata di incoraggiamento tra un attacco e l’altro.

— Grazie — rispose Gregor. All’inizio fu contento, ma poi si sentì imbarazzato perché si rese conto che ormai Perdita sapeva di lui e di Luxa. Forse lo sapevano tutti. Ma Ripred aveva ragione. Adesso non poteva pensarci. Doveva concentrarsi sulla battaglia.

Gregor non era l’unico a essersi unito alle forze posizionate davanti all’imbocco della galleria. Sembrava che tanto gli umani quanto i ratti stessero dirigendo lì tutti i loro soldati. Non c’era tempo per chiedere spiegazioni. Già faticava a restare vivo.

Sapeva che Ares era un ottimo compagno di battaglia, ma il pipistrello si stava dimostrando davvero eccezionale anche da solo. Mentre molti umani combattevano appiedati, i loro alati portavano avanti un attacco aereo su vasta scala. Attacco che consisteva soprattutto nel tuffarsi in picchiata, dilaniare con gli artigli il dorso di un ratto e sfrecciare di nuovo in aria per evitare ferite alle ali. Ma Ares era l’unico ad avere la forza di sollevare da terra un ratto adulto per lasciarlo cadere dall’alto. Eliminò ripetutamente gli avversari più letali, salvando molti umani oltre al suo vincolato. E col procedere della battaglia, Gregor cominciò a sentire combattenti disperati urlare — Ares! — nella speranza di essere salvati all’ultimo minuto dall’assalto dei rodenti. Malgrado la situazione orribile, Gregor non poté evitare di sentirsi compiaciuto nel vedere che il suo tanto calunniato pipistrello stava finalmente ottenendo un po’ di apprezzamento.

Era difficile dire quanto tempo fosse passato… trenta, forse quaranta minuti… quando gli umani presero a gridare: — I piluccatori sono dentro! I piluccatori sono dentro! — Immaginò che a quel punto tutti i topi fossero riusciti a entrare nella galleria. Non li aveva ancora osservati bene, perciò non sapeva in che condizioni si trovassero. Probabilmente erano conciati piuttosto male.

Qualche minuto dopo, venne dato ordine di ritirarsi nella galleria. Ripred si prese un secondo per ringhiargli: — Tu no, ragazzo! — e Gregor tenne la sua posizione. Le cose si stavano facendo sempre più complicate perché ormai era immerso fino alle ginocchia nella cenere insanguinata e restare in piedi era più difficile che mai. Intorno a lui, gli umani e i pipistrelli che portavano i feriti cominciarono a dirigersi verso la galleria. Sentì gridare più volte: — Niente fiaccole! Niente fiaccole all’interno! — e poté solo chiedersi cosa significasse. Chi reggeva una fiaccola la lanciò come un giavellotto in mezzo all’esercito dei ratti, provocando qualche gradita interruzione nell’offensiva.

A quanto pareva, umani e pipistrelli erano in grado di ritirarsi alla svelta, perché in pochi minuti solo una ventina di loro rimase a difendere l’imbocco della galleria. Poi anche quei venti, sotto il tremendo incalzare dei ratti, cominciarono lentamente ad arretrare. La prima linea, composta da Perdita, Gregor, Ripred e dallo sconosciuto gigante regaliano, fu ben presto ricacciata fin dentro il passaggio.

— Alati, andate! — gridò Perdita. Ares e gli ultimi due pipistrelli sfrecciarono sulle armate dei ratti bersagliandole con le fiaccole, poi si tuffarono in picchiata nella galleria.

Gregor era indietreggiato solo di qualche passo quando capì che sarebbe finito nei guai. — Perché non ci sono fiaccole? — urlò, ma nessuno trovò il tempo di rispondergli. Forse lì dentro c’erano delle piante infiammabili. Qualche strano tipo di muschio o roba del genere. La luce proveniente dalla caverna si stava facendo sempre più fioca. Ciò significava che, per vedere, avrebbe dovuto confidare interamente sulla torcia fissata al braccio col nastro adesivo. Premette l’interruttore per portarla alla massima potenza e fu rassicurato dal livello di visibilità che ristabiliva. Ma gli altri? Ripred non aveva bisogno di luce per combattere. Lui riusciva a “vedere” con l’ecolocalizzazione, se necessario, così come i ratti che si avvicinavano. Perdita poteva forse cavarsela con il chiarore emesso dalla sua torcia. Ma il colosso con lo spadone sull’altro lato di Ripred sarebbe stato in difficoltà.

— Ritirati! È troppo buio per te! — ordinò Ripred all’uomo, ma l’unica risposta che ottenne fu una serie di imprecazioni.

Gregor si tolse dalla cintura la torcia di riserva e la accese. — Ehi! Tu, in fondo! — urlò. Nessuna reazione.

— York — suggerì Perdita.

— Ehi, York! — lo chiamò. L’uomo si girò e Gregor gli lanciò la torcia. — Tienila tra i denti. — Non c’era tempo per fissargliela al braccio, e nemmeno per spiegargli cosa fosse una torcia. Ma York parve afferrare il concetto. Si strappò la maschera, si cacciò l’estremità dell’impugnatura tra i denti e continuò a menare colpi con il suo spadone.

Da qualche parte alle loro spalle dovevano esserci i rinforzi, supponeva Gregor, ma lui non li vedeva. Man mano che i ratti li spingevano sempre più in profondità nella galleria, la luce – a parte quella delle torce – si spegneva. E tra affrontare i suoi avversari e cercare di impedire che Perdita finisse al buio, non aveva tempo di girare la testa. Ce la faceva ancora, ma… possibile che in quell’oscurità un po’ della sua sicurezza stesse svanendo? La coda di un ratto arrivò spaventosamente vicina a portargli via la torcia, riuscendo a incrinare la lente di protezione. Un artiglio afferrò il nastro adesivo e per poco non lo strappò. Gregor si rese conto che miravano alla sua luce. Dopo l’umiliante incontro con Twirltongue e i suoi amici, dovevano sapere che al buio non valeva niente. Si tolse la maschera, liberò la torcia e se la infilò tra i denti come aveva detto di fare a York, bloccando per un soffio una coda che puntava dritta alla sua bocca. La luce della lampadina stava cominciando ad affievolirsi. Sentiva venir meno le forze e crescere il germe della paura. Cosa doveva fare? Dirlo a Ripred? Continuare a combattere? Darsela a gambe? Perché a essere sinceri, se le capacità di furia l’avessero abbandonato, lui sarebbe stato solo un dodicenne qualunque che aveva preso qualche lezione di scherma. E un dodicenne molto stanco, per di più.

Un artiglio penetrò le sue difese e gli aprì uno squarcio nel polpaccio. La punta di una coda toccò la sua torcia e ne deviò il raggio luminoso. Mentre Gregor lo raddrizzava, un altro artiglio gli strappò il laccio di una scarpa.

— Non resisto più! — avrebbe voluto urlare Gregor, ma la torcia gli impediva comunque di parlare. Però a qualcuno doveva pur dire che stava cedendo, che non potevano contare su di lui, che…

— Ehi! — gridò mentre veniva scagliato in aria. Atterrò di schiena in una pozza di liquido denso e scivoloso da cui uscì sputacchiando.

— Scappate! Tutti! — sbraitò Ripred, e cominciò il suo attacco in volteggio.

Cosa stava succedendo? Gregor si rialzò alla meglio e – alla luce della torcia di York, perché la sua era caduta nella pozza quando aveva gridato – vide che il regaliano e Perdita non avevano esitato a eseguire l’ordine di Ripred. Così anche lui si mise a correre.

Cioè, tentò di correre, ma più che altro si ritrovò a sguazzare. Il fondo si inclinò e il liquido gli arrivò al petto. Riuscì ad avanzare solo a balzi. La luce di York mostrava che si trovavano in una specie di scintillante piscina nera che copriva il fondo della galleria. “Petrolio” pensò. Cos’altro poteva essere? Gregor tenne la spada alta sopra la testa mentre procedeva, sperando che il livello di quella roba non si alzasse. Avanti, avanti, finché eccola lì. La luce in fondo al tunnel. Letteralmente.

La pozza si fece via via meno profonda e a quel punto Gregor fu in grado di correre, ma con prudenza, con molta prudenza, perché quel liquido nero era estremamente scivoloso. Andò verso la luce e uscì dalla galleria, ancora immerso nel petrolio fino alle ginocchia. Davanti a lui si estendeva una caverna enorme, lunga almeno quattrocento metri e molto meno polverosa di quella in cui avevano combattuto. All’estremità opposta c’erano delle fiaccole accese ma posizionate a grande altezza sulle pareti. Molto più sotto, accalcati sul fondo, giacevano centinaia e centinaia di topi.

Gregor non sapeva bene cosa stesse succedendo, ma impugnò saldamente la sua spada e si mise a correre. Quella era una cosa che sapeva fare anche senza i poteri della furia. Sentiva ancora la voce del suo allenatore incitarlo da quella che sembrava un’altra vita. Finito il petrolio, le sue scarpe da ginnastica si posarono sulla cenere e lui accelerò.

Alcuni umani in groppa ai loro pipistrelli gli volavano intorno, raccogliendo i piluccatori rimasti indietro e quelli feriti. Ares lo raggiunse, ma Gregor gli fece cenno di occuparsi dei topi. Alcuni non riuscivano nemmeno a mettersi in piedi. Di colpo la cenere scomparve e lui si ritrovò a sguazzare di nuovo, stavolta attraverso un fiume poco profondo ma piuttosto rapido. Raccolse dall’acqua un cucciolo in difficoltà e se lo caricò in spalla. Per fortuna il piccolo era in grado di aggrapparsi da solo, perché ben presto le braccia di Gregor furono ingombre di un secondo topolino. Quando arrivò sulla sponda opposta, alcune mani si tesero per prendere i cuccioli e tirare lui a riva.

Gregor crollò a terra, boccheggiante. Si girò a guardare verso il lato opposto della caverna. Anche gli ultimi piluccatori venivano prelevati e portati lì in volo. Tre umani sui loro pipistrelli stavano sfrecciando in direzione della galleria che conteneva la pozza nera. Portavano un arco in una mano e una freccia fiammeggiante nell’altra.

— Devo dare il segnale, Vostra Altezza? — gridò qualcuno.

— Non ancora. — La voce si sentiva appena, tanto era rauca. Gregor si voltò e vide Luxa, pochi metri dietro di lui, lo sguardo fisso sulla galleria. Era fradicia di petrolio e così debole che doveva sostenersi a una roccia.

— Adesso, Vostra Altezza? — Il tono era pressante, carico di tensione.

— Concedigli ancora qualche istante — disse Luxa. — Eccolo!

Gregor si girò, sforzandosi di vedere l’imbocco della galleria. Una grande sagoma luccicante si precipitò fuori dal passaggio e venne verso di loro.

Ripred.

Da un momento all’altro, l’esercito dei ratti l’avrebbe seguito.

Alle sue spalle, Gregor udiva Luxa mormorare: — Aspettali, aspettali. — Poi, alla comparsa delle prime teste dei rodenti, la sentì dire con calma: — Adesso.

Dovevano aver dato un segnale, perché i tre arcieri scoccarono le loro frecce ardenti, mirando alla pozza di petrolio che fuoriusciva dall’apertura. Quando la prima entrò in contatto con il liquido, ci fu un’esplosione, e una palla di fuoco si innalzò fino al soffitto, avvolgendo i ratti tra le fiamme. Gregor sapeva che l’incendio doveva essersi propagato all’interno della galleria, attraverso la pozza, e aver incenerito chiunque si trovasse sulla sua strada. Per un attimo, non poté fare a meno di pensare a cosa significasse: i ratti bruciati vivi, il fumo nero che soffocava quelli abbastanza lontani per sfuggire al fuoco, l’orrore di tutta la scena.

Ma non era tutto. Arrivando alla caverna, avevano sparso così tanto petrolio in giro che l’incendio si propagò anche da quella parte. Non con altrettanta violenza, certo, ma poteva comunque essere mortale se le fiamme avessero raggiunto uno qualunque dei loro corpi intrisi di petrolio.

Gregor balzò in piedi. — Ripred? Dov’è Ripred? — urlò, e subito dopo il grosso ratto piombò a capofitto nel fiume davanti a lui. Alzò lo sguardo verso il punto in cui Ares continuava a volare in tondo.

Ripred si trascinò lentamente sulla riva e studiò la scena. Nessuna traccia dell’esercito dei ratti, solo un fuoco crepitante davanti alla galleria. Le fiamme si erano arrestate sul lato opposto del fiume, bloccate dall’acqua. Erano salvi. — Allora, di chi è stata l’idea? — gracchiò.

— Della Regina Luxa — rispose un Sottomondo lì vicino.

Ripred girò la testa, individuò Luxa appoggiata alla roccia e le lanciò un’occhiataccia. Ma fu solo un attimo, perché poi le rivolse un cenno di approvazione. — Ottimo piano.

Luxa fece per rispondere, ma cominciò a tossire, coprendosi la bocca con una mano. Era una tosse tremenda e raschiante che la scuoteva dalla testa ai piedi. Quando si tolse la mano dalla bocca, la scoprì coperta di rosso. Fissò il sangue per un momento, quasi un po’ sorpresa, poi crollò a terra.