Gregor sentiva il peso della conversazione avuta con Ripred. Anche se al museo aveva accettato il suo destino, da allora non aveva fatto altro che respingere mentalmente l’idea di morire. L’aveva negata, evitata, si era immerso nel presente per evitare di pensare al futuro o, per essere più precisi, al fatto che non ne avrebbe avuto uno. Era l’unico modo per non finire in pezzi. Ma a volte, come in quel momento, la realtà riaffiorava con la violenza di uno schiaffo in pieno viso. Poteva solo andare avanti e fare tesoro di ogni momento.
Mentre camminava per i corridoi, Gregor colse un riflesso della sua stessa determinazione su tanti volti. C’era una guerra. Ai regaliani non serviva certo una profezia per sapere che molto probabilmente sarebbero morti prima della fine del conflitto. E anche loro avevano familiari e amici per cui erano in pensiero. Capire che altri stavano vivendo le sue stesse emozioni, fece sentire Gregor un po’ meno solo. Meno solo, ma non più sollevato.
Non sapeva bene dove procurarsi l’armatura di cui aveva parlato Ripred, ma aveva già visto una grande stanza stipata di armi di ogni genere, così pensò che sarebbe stato un buon punto di partenza. Quando arrivò, l’armeria brulicava di persone che si preparavano per la battaglia. Nonostante l’affollamento, un’anziana Sottomondo munita di un metro da sarto fu subito al suo fianco.
— Sei venuto per l’equipaggiamento? — chiese. Gregor annuì. — Mi chiamo Miravet. Posso darti una mano. — Detto questo, cominciò a prendergli le misure a una tale velocità che il metro si trasformò in una forma indistinta e schioccante. — Come combatti? Solo con la spada? Nella mano destra?
— Esatto — rispose Gregor, chiedendosi quante altre opzioni esistessero.
— E la tua mano sinistra cosa fa? — chiese di nuovo la donna.
— Niente. A volte fisso una torcia qui, per aiutarmi a vedere — replicò Gregor, indicando l’avambraccio.
— Nient’altro? — Miravet lanciò un’occhiata di disapprovazione al braccio, come se per qualche ragione non facesse il suo dovere. Poi guidò Gregor fino a un muro coperto di corazze appese a ganci. — Per il torace — spiegò, e ne staccò una lucidissima, di metallo argentato e madreperla.
Mentre Miravet sollevava la corazza verso di lui, da dietro giunse una voce. — No, Miravet, lo voglio tutto in nero.
Gregor non dovette girarsi per sapere che alle sue spalle stava arrivando Solovet. Strinse i denti all’idea di rivederla.
— E perché mai? — chiese Miravet, accigliandosi. Gregor si ritrovò ad ammirarla per non aver ubbidito all’istante all’ordine di Solovet.
— Perché si confonda col suo alato e dia un’impressione complessiva di tenebre — rispose Solovet.
— I rodenti non si faranno impressionare da un’impressione di tenebre — ribatté Miravet, continuando testardamente a reggere tra le braccia la corazza che aveva scelto.
— No, ma gli umani sì. Suggerisce forza, invincibilità, e darà loro la fiducia necessaria per seguirlo — spiegò Solovet.
— Come vuoi — cedette la donna. Riappese la corazza al muro e ne scelse un’altra di metallo nero, con una specie di conchiglia lucente del colore dell’ebano. — Questa?
— Dovrebbe andare bene — approvò Solovet. Rimase lì in silenzio mentre Miravet faceva indossare a Gregor una camicia e dei pantaloni neri, e poi lo aiutava a mettere la corazza e altre parti di armatura. Nessun pezzo era particolarmente pesante, il che era un bene perché lui non voleva niente che lo rallentasse.
Gli stavano prendendo le misure per l’elmo, quando si vide di sfuggita in uno specchio, vestito di nero da capo a piedi. “Fantastico. Non potrei somigliare di più al cattivo della situazione neanche se ci provassi” pensò. E sarebbe andato a combattere contro il Flagello, che aveva un pelo così bianco da far quasi male agli occhi. Se quello fosse stato un film, il pubblico avrebbe senz’altro tifato contro Gregor. D’altra parte… d’altra parte… c’era qualcosa di possente, in tutto quel nero, e una parte di lui non poteva evitare di sentirsi piuttosto figo.
Ma Miravet lo studiò e scosse la testa. — Metti solo in evidenza la sua giovinezza, vestendolo così. Non ha la fisionomia decisa che servirebbe per una tenuta del genere.
Gregor non era sicuro di capire cosa intendeva. Lui pensava che la parola “fisionomia” avesse a che fare con il viso.
— L’avrà — disse Solovet. — Vieni con me, Gregor. — Una volta usciti dall’armeria, aggiunse: — Mia sorella è un’esperta di armature, non di caratteri.
Sua sorella? Solovet. Miravet. Il suono era quasi identico. Ecco spiegato perché Miravet non aveva paura di tenere testa a Solovet.
— A proposito di sorelle, ho sentito dire che un’altra delle tue si è unita a noi — proseguì Solovet. — Puoi ricordarmi come si chiama?
Erano soli, il corridoio che stavano percorrendo era deserto e silenzioso. Gregor sentì che non poteva rifiutarsi di risponderle senza provocare una specie di incidente internazionale. Non voleva finire di nuovo in cella, specie adesso che doveva tenere d’occhio anche Lizzie, oltre a Boots e a sua madre.
— Lizzie — replicò.
— E non ti secca che rimanga? — chiese la donna.
Certo che gli seccava. Un sacco, anche. Ma aveva fatto un patto con Ripred. — No, se è lei la decifratrice del codice — ribatté in tono brusco.
— Questo resta da vedere. Personalmente, sono ancora convinta che sia Boots, la chiave di tutto. — Camminarono in silenzio per un po’. Poi Solovet riprese a parlare. — Forse rinchiuderti nelle segrete è stato un eccesso di severità da parte mia. Ma adesso sei un soldato del mio esercito e, in sostanza, hai disubbidito a un ordine diretto. In un esercito, c’è una sola testa che guida il resto del corpo. In caso contrario, sarebbe il caos. Ecco perché la disciplina è così importante. Se perdiamo quella, perdiamo tutto.
Gregor rifletté sulle sue parole. In effetti, probabilmente era necessario che qualcuno elaborasse una strategia e altre persone fidate la mettessero in pratica.
— Ti ritieni capace di eseguire degli ordini? — chiese lei.
“Forse” pensò Gregor. “Dipenderebbe dalle circostanze.” Per esempio, se Solovet gli avesse ordinato di sviluppare in segreto la peste per usarla come arma, non l’avrebbe mai fatto. Ma si limitò a rispondere: — A me sembra di eseguire in continuazione quelli di Ripred.
— Be’, vediamo se oggi riesci a eseguire i miei — replicò Solovet.
Quando arrivarono nella Sala Alta, il vincolato di Solovet, Ajax, li stava aspettando. Gregor lo conosceva soprattutto di vista. Era un bestione di pipistrello con il pelo color sangue secco. Una volta, aveva chiesto ad Ares cosa pensava di lui. — A me non piace. Non piace quasi a nessuno. Certo, sono pochissimi anche quelli cui piaccio io. — Di conseguenza, Gregor cercava di non avere pregiudizi sul conto del pipistrello sconosciuto.
Gregor e Solovet uscirono dal palazzo, superarono l’alta muraglia che segnava i confini della città, e si diressero a nord, sorvolando i terreni coltivati. Metà della cittadinanza di Regalia sembrava essere nei campi, occupata a lavorare a ritmi frenetici. — Quando i rodenti sono così vicini, è nostra regola raccogliere o distruggere tutto quello che possiamo. Non vogliamo lasciare loro nessuna fonte di cibo — spiegò Solovet.
I terreni coltivati finivano davanti a un altro muro. Questo non raggiungeva l’altezza dei bastioni che delimitavano la parte posteriore della città, ma era spesso almeno quattro metri e forniva una solida base di partenza per gli attacchi dell’esercito. In quel momento, il muro era affollato di umani armati fino ai denti, in sella ai loro pipistrelli. Al centro c’era una zona quasi vuota, apparentemente riservata ai capi.
Quando Ajax atterrò al posto di comando, Gregor ebbe una perfetta visuale della caverna oltre il muro. L’aveva già sorvolata parecchie volte, ma in quelle occasioni era sempre stata avvolta dall’oscurità. Gli umani, però, si erano dati da fare anche lì come nelle Terre Infuocate e, in previsione della battaglia, avevano disseminato la caverna di fiaccole.
Nella luce tremolante delle fiamme, Gregor vide che il combattimento non era ancora iniziato. Centinaia di ratti si erano radunati sul terreno all’esterno del muro. Non gironzolavano come loro solito, ma erano allineati su più file. A parte il fremito occasionale di una coda o di un orecchio, erano perfettamente immobili. In alto, nell’aria, incrociavano umani in groppa a pipistrelli. All’arrivo di Solovet, molti si presentarono a fare rapporto sul numero dei nemici, le loro condizioni e i loro condottieri.
Di lì a poco, comparve anche Ares, che trasportava Ripred sul dorso. Il ratto scoppiò a ridere quando vide Gregor — Oh, no. E tu chi dovresti essere?
— Ho ordinato io stessa la sua armatura — disse Solovet con un leggero sorriso. — Non approvi?
— Sembra appena caduto da una scacchiera! — sghignazzò Ripred, e Gregor notò che alcuni dei soldati vicini si sforzavano di non ridere. — A te piace, questa mise? — chiese, girandogli intorno.
In realtà, Gregor ne era stato piuttosto soddisfatto, almeno finché Ripred non aveva cominciato a prenderlo in giro. — Cosa vuoi che me ne importi? Non devo mica guardarla — ribatté.
— Tu no, ma noialtri sì — sottolineò Ripred. Poi parve dimenticarsi del tutto di lui e si immerse in una specie di consiglio di guerra con Solovet.
— Come va l’evacuazione dalle Terre Infuocate? — chiese Gregor ad Ares.
— Abbastanza bene. Ci sono ancora molti piluccatori da portare qui — rispose il pipistrello. — Ma almeno quelli rimasti sono i più robusti.
— Come te la passi? — chiese di nuovo Gregor.
— Sono un po’ stanco. E tu? — ammise Ares.
— Oh, a me va alla grande. Solovet mi ha sbattuto in cella per qualche giorno. Poi è comparsa mia sorella Lizzie, e Ripred ha deciso che è lei la decifratrice del codice. E, a quanto pare, ho tutta l’aria di un idiota.
— Stai bene, invece. Il nero ti dona.
— Lasciamo perdere — sospirò Gregor. — Luxa sta meglio. Sono riuscito a vederla per circa trenta secondi.
— A me non hanno permesso di vedere Aurora e Nike. Ma i dottori dell’ospedale dicono che si stanno rimettendo anche loro — raccontò l’altro.
— Cavolo, non ho neanche avuto la possibilità di passare da Howard! — esclamò Gregor, sentendosi subito in colpa perché quello che provava per Luxa gli aveva fatto dimenticare la situazione degli altri suoi amici.
— È migliorato molto — lo rassicurò Ares.
Rimasero per un po’ a fissare le file dei ratti. — Perché non combattiamo? — chiese Gregor, impaziente di cominciare.
— Solovet sta ancora valutando il nemico per capire come agire. Nel Sottomondo, i tipi di battaglia sono sostanzialmente due. Il primo è un attacco a sorpresa, nel qual caso reagiamo subito per difenderci. Il secondo è una sfida, con i due eserciti che si radunano e si ritrovano sul campo a un’ora prestabilita. Questa è una sfida — spiegò il pipistrello.
A Gregor tornarono in mente quei film ambientati secoli prima, in cui due gruppi di soldati si schieravano sui lati opposti di un campo e poi una fazione partiva alla carica. La disposizione di quel giorno non sembrava favorire nessuno. Gli umani avevano tempo più che a sufficienza per decidere come battersi contro i ratti, ma per farlo avrebbero dovuto abbandonare la sicurezza delle mura. I ratti potevano programmare lo scontro e magari indebolire l’esercito degli umani senza dover assaltare le mura, ma per farlo si sarebbero resi vulnerabili. Un pro e un contro per tutte e due le parti. Forse era quello il motivo per cui entrambe avevano accettato di combattere così.
Eppure, sembrava che gli umani avessero un leggero vantaggio. — Non lo so. A me pare che la mossa più astuta sarebbe restarcene qui — disse Gregor.
— Potremmo. Ma poi dovremmo vivere sapendo che un esercito di ratti potenzialmente sempre più numeroso è accampato appena fuori Regalia — ribatté Ares.
Già, un pensiero non molto rassicurante.
Gregor si accorse che Solovet e Ripred lo guardavano, confabulando tra loro. Poi la donna gli si avvicinò. — Gregor, Ares, contiamo di inserirvi nella seconda ondata, quinta posizione sulla destra. L’ha suggerito Ripred e io devo per forza seguire il suo consiglio, dato che non vi ho mai visti combattere.
Gregor si rese conto che era vero. Solovet non lo aveva mai visto in battaglia, con o senza Ares. Durante la sua prima missione nel Sottomondo, non aveva nemmeno avuto una spada. Quando era tornato, in teoria per assassinare il Flagello, lei non aveva partecipato alla traversata della Distesa d’Acqua. Poi Solovet aveva programmato di unirsi alla spedizione nella giungla per cercare la cura contro l’epidemia, ma Hamlet si era rifiutato di far loro da guida se fosse venuta anche lei. Infine, quando Gregor era tornato dalla giungla, Solovet si trovava confinata nei suoi alloggi per via del ruolo avuto nello sviluppo della pestilenza. No, non era mai stata nei paraggi quando lui combatteva, e nemmeno quando si allenava. Be’, adesso poteva mostrarle un paio di cosette. Forse, se avesse capito che buon combattente era, l’avrebbe lasciato in pace.
Non aveva idea di dove l’avesse piazzato, tra le file dei regaliani, ma sembrava che per Ares l’indicazione “seconda ondata, quinta posizione sulla destra” significasse qualcosa. Quando ricevettero l’ordine di prendere posto, il pipistrello volò direttamente al punto assegnato. Erano nella seconda di tre file di soldati in sella ai loro vincolati. Gregor si infastidì nel ritrovarsi affiancato da Marcus e Horatio. “Fantastico” pensò. “Mi spedisce in battaglia con le guardie del corpo.” Ma persino quel fastidio non poteva superare un’altra emozione che gli cresceva dentro… l’eccitazione. Aspettava la battaglia con impazienza. In quel preciso istante, la sua vita era un disastro, caotico e deprimente. Almeno, quando combatteva, sapeva quello che stava facendo e per un po’ riusciva a dimenticare tutto il resto.
Un silenzio teso calò sulla caverna. L’aria parve rabbrividire nell’attesa. Poi sentì Solovet che diceva con calma: — Adesso.
La prima ondata di pipistrelli decollò e i ratti mossero loro incontro. Avevano appena ingaggiato il combattimento quando Gregor sentì Ares levarsi in volo. Stavolta, niente giri in tondo per scegliere gli obiettivi. Gli alati, in formazione compatta, si tuffarono in picchiata nella mischia.
Per Gregor, combattere era diventato una seconda natura, ormai. Il suo lato di furia si risvegliò e lui prese a battersi ovunque il pipistrello lo conducesse. Avevano meno spazio di manovra, rispetto alle Terre Infuocate. La volta della caverna era più bassa e i ratti erano disposti in ranghi serrati e regolari. Non era un grosso problema per Gregor, ma lo era per Ares. Le sue ali lunghissime rischiavano di essere colpite da un gran numero di ratti ogni volta che scendeva in picchiata. Anche tendendo la spada al massimo, Gregor non era in grado di proteggere l’intera apertura alare del suo vincolato. E in quel momento, i ratti sembravano più decisi a togliere di mezzo Ares che non lui. Gregor aveva trafitto in un batter d’occhio due ratti che miravano proprio alle ali del pipistrello. Ma un terzo era riuscito a piantare un artiglio nella pelle delicata vicina alla punta e vi aveva aperto uno squarcio di quindici centimetri.
— Tutto a posto? — urlò Gregor ad Ares.
— Sì, questo potranno ricucirmelo più tardi — rispose Ares. — Non incide granché sul mio volo.
— Bene, allora andiamo a prendere il rodente che l’ha fatto — disse Gregor.
Proprio mentre erano sul punto di scendere ancora, furono raggiunti da un Sottomondo che ordinò loro di tornare alle mura. Lui avrebbe voluto mettersi a discutere, ma Ares ubbidì immediatamente. Gregor pensò che in fondo era meglio così, visto che doveva dimostrare di sapersi attenere agli ordini. Ciononostante, quando atterrarono davanti a Solovet, Ajax e Ripred, non poté fare a meno di dire: — Sta bene. È solo un taglietto.
— Scendi — lo interruppe Solovet. — Fa’ venire Perdita e Mareth — ordinò a una guardia.
Un po’ perplesso, Gregor scivolò dal dorso di Ares. Se Solovet riteneva che Ares fosse ferito in modo grave, avrebbe dovuto mandarlo direttamente in ospedale. E per farlo non le servivano certo Perdita e Mareth.
Perdita arrivò dal campo di battaglia e Mareth comparve da qualche punto lungo le mura. In realtà, lui non combatteva più, adesso che era senza una gamba, ma Gregor immaginò che fosse una specie di generale, visto che aveva lavorato a così stretto contatto con Solovet al centro di comando.
Anche se non si aspettava grandi lodi da parte del comandante in capo, le parole della donna furono uno shock per Gregor. — È penosamente impreparato al combattimento. Questa non vuole essere una critica, Mareth. So bene il tuo tempo con lui è stato molto limitato. Ma il suo lato sinistro è troppo debole. Non possiamo fargli usare due armi?
— Possiamo, sì — rispose Mareth. — Ma non credo che due spade siano la soluzione. Lui preferisce comunque la mano destra.
— Un pugnale, allora — disse Solovet. — Deve averlo, almeno per bloccare gli attacchi. Perdita, te ne occuperai tu.
— Sì, Solovet — replicò la Sottomondo.
— A questo punto, non oso metterlo alla prova a terra. Ha l’attacco in volteggio della furia? — chiese Solovet.
— Se ce l’ha, io non l’ho visto — rispose Ripred. — Combatte facendo affidamento soprattutto sui nervi e si fa distrarre facilmente…
— Io lo so fare, l’attacco in volteggio! — protestò Gregor. — È così che ho affrontato i serpenti nella giungla, è così che ne siamo usciti!
— Mmm — commentò Ripred. — E sei stato in grado di controllare la cosa?
— Sì. Cioè… be’, alla fine mi girava un po’ la testa — ammise Gregor. Era l’eufemismo del secolo. Aveva perso completamente la bussola, barcollato tra i rampicanti e vomitato. Era riuscito appena a salire su Ares e ci aveva messo un bel po’ a farsi passare le vertigini.
— Ripred? — disse Solovet. — Questo sembra il tuo campo.
— Come se non avessi già abbastanza da fare — si lagnò il ratto.
— La tua opinione su Ares? — chiese Solovet ad Ajax.
— Troppo spericolato, con le ali che si ritrova. Si comporta come se fosse grande la metà. È una fortuna che quella lacerazione sia la sua sola ferita — rispose Ajax in tono aspro.
— Non è vero! — esclamò Gregor, subito pronto a difendere il suo vincolato. — Avreste dovuto vederlo nelle Terre Infuocate.
— Nelle Terre Infuocate c’è spazio in abbondanza, ma è un caso raro — ribatté Ripred. — E non essere così suscettibile. Stiamo solo cercando di tenervi in vita tutti e due.
— Che genere di pugnale devo dargli? — chiese Perdita.
Pensierosa, Solovet fissò Gregor per un attimo. Poi si sfilò il pugnale dalla cintura e gli tese l’impugnatura. — Prendi questo.
Era una meraviglia, quell’arma. Non solo perché il guardamano sembrava composto interamente da lucide gemme rosse, ma anche per via della lama, robusta e sottile al tempo stesso. Dall’espressione degli altri, Gregor capì che l’offerta di Solovet era senza precedenti.
— Non posso prenderlo. È tuo — disse. Ma lo voleva. Se doveva avere un pugnale, voleva proprio quello che aveva davanti.
— Io combatto di rado, ormai. Non vorrei farlo arrugginire, a forza di non usarlo.
— Prendilo. Aggiunge un po’ di colore al tuo completo — lo sollecitò Ripred.
— Grazie.
Gregor chiuse le dita intorno all’impugnatura e non poté trattenersi dal battere tra loro spada e pugnale. Il colpo produsse un soddisfacente tintinnio metallico. Quando esaminò le lame, vide che non c’era nemmeno un graffio. Era un pugnale di prim’ordine, forse addirittura resistente quanto la sua spada. Non poté fare a meno di provare un po’ di simpatia per Solovet, che glielo aveva regalato. Ma il sentimento fu di breve durata.
— Allora, torniamo a combattere, adesso? — chiese, infilandosi il pugnale alla cintura sul fianco destro, in modo da poterlo raggiungere facilmente. Moriva dalla voglia di provarlo.
— Voi due? No — rispose Solovet, come se il solo pensiero fosse un’assurdità. — Vi rispedisco a fare addestramento.