Troppe informazioni da elaborare. Troppe cose da capire. Quando Gregor si alzò, la mattina seguente, la sua mente era così confusa che non riusciva neppure a decidere cosa mangiare a colazione. Boots gli mise nel piatto una montagna di cibo che lui mandò giù senza neanche sentirne il sapore.
Ripred ordinò a tutti coloro che non facevano parte della squadra dei decifratori di sgombrare la sala. Temp portò Boots alla nursery, dove pareva lavorassero entrambi in pianta stabile. Aurora e Nike andarono ad assistere Hazard nella sua missione di riunire le famiglie dei piluccatori. Ares si allontanò per verificare se avevano ancora bisogno di lui per le operazioni di evacuazione. Gregor e Luxa indugiavano nel corridoio quando Ripred passò loro accanto. — Voi due. Raggiungetemi sulle mura della città tra mezz’ora. Tanto vale che vediate cos’abbiamo di fronte.
Dopo che se ne fu andato, Luxa guardò Gregor. — Perché ci ha dato mezz’ora, secondo te?
— Non lo so — rispose Gregor. Poi ripensò alla conversazione che aveva origliato la notte prima. Al fatto che Ripred avesse perduto tutti quelli che amava senza “nemmeno la possibilità di dirgli addio”.
Quella mezz’ora era forse un regalo perché Gregor e Luxa avessero l’occasione che a lui era mancata? In quel caso, Gregor non voleva sprecarla. Voleva stare da solo con lei, parlarle sul serio. Ma dove potevano andare? Tutto il palazzo straripava di gente. Poi gli venne un’ispirazione. Il museo! Forse, solo forse, l’avevano dichiarato zona vietata. — Vieni, voglio mostrarti una cosa.
Lei lo guardò con aria interrogativa, ma non protestò quando lui la prese per mano e la guidò lungo i corridoi. Dovettero procedere in fila indiana per quasi tutto il tragitto – tanto il palazzo era affollato – ma non lasciarono mai l’uno la mano dell’altra. Gregor aveva ragione. Non solo avevano vietato l’accesso al museo, ma avevano chiuso con un cordone anche il corridoio che portava lì. Scavalcarono la fune e scivolarono nella stanza.
Una volta dentro, Gregor si ritrovò incerto sul da farsi.
— Cos’è che volevi mostrarmi? — chiese Luxa.
In realtà, non aveva pensato di mostrarle proprio niente. Aveva solo voluto andare in un posto dove avrebbero avuto un po’ di intimità. Dove avrebbero potuto parlare senza che tutti sentissero ogni loro parola. Ma adesso che erano nel museo, sembrava una cosa imbarazzante da dire. — Ehm, era solo… — Gli occhi di Gregor si posarono sulla pila di foto scattate alla festa di compleanno di Hazard. — Queste fotografie — disse. — Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere vederle.
Ammucchiò dei cappotti e un vecchio scampolo di tela sul pavimento e si sedettero lì, con la schiena appoggiata agli scaffali, a scorrere le fotografie. Cioè, Luxa guardava le fotografie. Gregor guardava soprattutto lei. Osservava le diverse emozioni che le attraversavano il viso. La soddisfazione per l’aspetto festoso dell’arena, tutta addobbata per la festa. L’ilarità davanti a una foto di Boots che, nel suo costume da principessa, offriva a Temp un pezzo di torta. La pena nel vedere Hazard abbracciato a Thalia, il piccolo pipistrello morto durante l’eruzione del vulcano nelle Terre Infuocate.
— Credo che questo aiuterà Hazard — disse Luxa. — Ha paura di dimenticare i volti dei suoi cari. Fatica già a richiamare alla memoria l’immagine di sua madre. Pensa di riuscire a ricordare Hamlet perché mi somigliava tanto, e Frill è ancora chiara nella sua mente.
— Sì, Frill sarebbe difficile dimenticarla — commentò Gregor, mentre la figura dell’impressionante lucertola gigante gli si ripresentava nitida davanti agli occhi.
— Ma è preoccupato di perdere Thalia — aggiunse Luxa. — Posso dargli questa?
— Certo — rispose Gregor. — Prendine qualcuna per lui e per te.
Luxa esaminò le foto, ne selezionò una parte, ma poi si accigliò. — Non ce ne sono altre di noi due insieme. Dovremmo averne una ciascuno.
Aveva ragione. Le aveva dato la foto del loro ballo e adesso avrebbe voluto averne una copia anche lui. Qualcosa da portare in tasca finché… be’, finché non avesse avuto più importanza. — Magari c’è ancora un po’ di pellicola — disse. C’era, infatti. E visto che si trattava di una macchina fotografica istantanea, potevano avere subito le foto. Così tenne l’apparecchio rivolto verso di loro e insieme finirono il rullino. Per qualche minuto, il mondo fuori dal museo sembrò scomparire, e Gregor e Luxa furono solo due dodicenni che facevano i buffoni tra boccacce e risate come se fossero stati in una cabina per fototessere. Ma quando lui annunciò: — Va bene, ultima foto — accadde qualcosa. Si avvicinarono, la tempia di Luxa contro la guancia di Gregor, e i loro volti persero quell’aria da ragazzini. “L’ultima foto” pensò Gregor, mentre l’immagine si sviluppava poco a poco. “L’ultima foto di sempre.” Erano riusciti a sorridere, eppure la loro espressione era soffusa di tristezza. Ecco chi erano veramente. Non due adolescenti spensierati la cui maggiore preoccupazione era decidere se andare al cinema o a prendere un gelato, ma due persone coscienti del fatto che fuori di lì c’era una guerra in attesa di separarli. — Prendo questa — disse Gregor. — Tu tieni la foto in cui balliamo. — Quando la guerra fosse finita, era quello che voleva lei ricordasse, quell’unico momento in cui erano stati felici.
— Credo che la nostra mezz’ora sia quasi passata — mormorò Luxa.
— Sì — confermò Gregor. Ripred li aspettava sulle mura. — Luxa, se non dovessi rivederti più così… vorrei solo che sapessi… che io… — Il problema non era più la sua paura di pronunciare quelle parole, il problema era il loro dolore. Nel sapere che non avevano un futuro. Non riuscì a continuare.
— Lo so — disse lei. — Anch’io.
Quello che accadde dopo avrebbe forse richiesto mesi o addirittura anni di preparazione, se non avessero avuto così poco tempo, se la guerra non avesse accelerato tutto e dato loro la sensazione che quel po’ di vita rimasta dovesse essere vissuta ora o mai più.
I loro visi erano così vicini che Gregor dovette girare appena la testa quando si baciarono. Il suo corpo fu attraversato da un formicolio non molto diverso dalla sensazione della furia, solo più caldo. Le loro labbra si schiusero e lui vide ciò che provava riflettersi sul viso di Luxa.
Si udirono dei passi affrettati nel corridoio e Miravet entrò, portando tra le braccia l’armatura di Gregor. — Eccoti qui. Ti ho cercato in tutto il palazzo. Ho ricevuto ordine di prepararti per la battaglia — disse l’anziana donna. Gli fece cenno di alzarsi e cominciò subito a vestirlo. — Luxa, faresti bene ad attrezzarti anche tu.
— Solovet non vuole che combatta — obiettò Gregor.
— Quello che vuole Solovet avrà ben poca importanza se quelle ruspe si faranno strada fin dentro il palazzo. A quel punto, ogni nostro uomo, donna e bambino dovrà combattere — replicò Miravet. — Meglio prepararsi in anticipo.
— Sì. Però prima devo andare alle fortificazioni — disse Luxa.
— Allora vedi di passare da me dopo, tesoro — le intimò decisa Miravet, ma allungò una mano per dare un buffetto alla guancia di Luxa.
Com’era diversa da Solovet, che non aveva mai un vero gesto d’affetto per la nipote…
Quando Gregor ebbe indossato la sua armatura nera, lui e Luxa si diressero alla Sala Alta. Ares li aspettava già, e il volo fino alle mura della città fu molto breve. Gregor sospettava che fossero in ritardo, ma Ripred non protestò. Lui e Solovet erano troppo occupati a studiare l’azione che si svolgeva di sotto.
— Volete che andiamo adesso? — chiese.
— Non ancora, Gregor. Ma rimani a portata di mano — rispose Solovet. Intravide Luxa. — Tu non dovresti essere qui. Mi servi al centro di comando.
— Ripred mi ha ordinato di venire — ribatté Luxa.
— Ripred si è sbagliato e adesso se ne accorge — disse il ratto.
— Preferirei restare — insisté Luxa.
— No. Vikus sta per dare inizio ai negoziati di alleanza con tessitori e brulicanti, ed entrambi riteniamo che la tua presenza sarebbe preziosa. Ti porterà Ajax — tagliò corto Solovet.
— Benissimo, allora — disse Luxa. Mentre il pipistrello si allontanava, lanciò un ultimo sguardo a Gregor, a sua volta incapace di staccare gli occhi dalla figura di Luxa che si faceva sempre più piccola.
La coda di Ripred gli si piantò nelle costole, riportandolo coi piedi per terra. — Solovet ha fatto notare che sua nipote è una grossa distrazione per un certo membro del nostro esercito — sottolineò il ratto. — E in questo momento le distrazioni non ci servono.
Gregor non disse niente. In segreto, era contento che l’avessero rispedita indietro. Perché Luxa era una distrazione. Anche adesso si chiedeva cosa stesse facendo. Si sforzò di concentrarsi sulla scena che si svolgeva davanti a lui.
Lo scontro procedeva. Era simile a quello di qualche giorno prima, nel senso che i ratti sembravano essere schierati in una specie di formazione nel campo sottostante. Solo che in precedenza non erano mai arrivati a meno di venti metri dal posto di comando, mentre adesso combattevano proprio ai piedi delle mura cittadine. I bastioni erano alti una decina di metri, troppo perché i ratti potessero balzarvi sopra. Di conseguenza, alcuni di loro stavano cercando di scalarli. La superficie era coperta da grandi lastre di pietra levigata, ma l’una era collegata all’altra da un reticolo di giunzioni sottili che i ratti più agili riuscivano a utilizzare come appiglio.
Ripred sporse la testa al di sopra del muro e osservò un ratto particolarmente determinato giungere quasi a metà altezza prima che un umano su un pipistrello lo spazzasse via, trafiggendolo con la spada. Il ratto, che aveva tentato la sua ultima scalata, piombò a terra, ma Ripred non ne fu comunque soddisfatto. — Adesso che quello ha aperto una strada, tutti loro sapranno di potersene servire. — Quasi a volergli dare ragione, un secondo ratto si affrettò ad arrampicarsi lungo il muro, seguendo lo stesso percorso del primo e arrivando qualche metro più su prima che un soldato lo eliminasse.
— Sì, è ora — disse Solovet, facendo un segnale.
— È ora di cosa? — chiese Gregor ad Ares.
— Ora di versare — rispose Ares in tono cupo.
Allora a Gregor tornò in mente la filastrocca che in realtà era una profezia spaventosa. Ne avevano scoperto la vera natura solo qualche settimana prima, nelle Terre Infuocate. Annunciava che i ratti avrebbero tentato di sterminare i topi. E subito dopo riportava questa strofa:
ORA L’OSPITE BUSSA SODDISFATTO,
CHE LO SI ACCOLGA
COME ABBIAMO SEMPRE FATTO:
CHI TAGLIA, CHI VERSA,
ERA QUESTO IL PATTO.
PER INTERE FAMIGLIE DI PARTIRE È L’ORA,
CHISSÀ SE LE RIVEDREMO ANCORA.
Per secoli i Sottomondo avevano pensato che quelle parole fossero solo sciocchezze innocue e che in qualche modo si riferissero a un ricevimento pomeridiano in cui si tagliavano fette di torta e si serviva il tè. Adesso tutti sapevano come stavano realmente le cose. I ratti erano “l’ospite” che bussa. Li stavano già affettando con le spade. E ora, come diceva Ares, era il momento di versare.
I calderoni dovevano essere già stati preparati per poterli utilizzare con un preavviso brevissimo. Erano di ferro spesso e nero e avevano maniglie di metallo simili a quelle delle ceste. Alcuni pipistrelli li issarono in volo fin sopra i bastioni, e altrettante squadre di umani, muniti di guanti e occhiali protettivi, li inclinarono in avanti, rovesciando litri e litri di olio bollente sui rodenti che si trovavano lì sotto. L’aria riecheggiò di strida orribili e l’intero fronte nemico ripiegò, lasciando cinque o sei ratti ustionati a contorcersi ai piedi del muro.
— Dobbiamo dargli fuoco? — chiese un soldato a Solovet.
— Direi di bruciarne solo un paio — replicò lei. — Non voglio che il fumo riduca il nostro campo visivo.
Alcune fiaccole accese vennero subito lasciate cadere sui ratti meno fortunati, che si trasformarono in palle di fuoco. Si misero a correre freneticamente in tondo e a rotolarsi per spegnere le fiamme, ma fu inutile. I loro mantelli erano già fradici d’olio. L’odore del pelo bruciato, seguito da quello della carne, intrise l’aria. Poi i ratti persero conoscenza, forse per lo shock, ma i loro corpi rimasero a bruciare ai piedi del muro.
Era una delle cose peggiori cui Gregor avesse mai assistito nel Sottomondo. Non terribile quanto l’agonia dei topi asfissiati nella fossa, o quanto quel momento spaventoso in cui gli acari avevano divorato viva la vincolata di Howard, Pandora, riducendola a uno scheletro nel giro di pochi istanti. Ma ci andava molto vicino. Deglutì più volte per tenere giù la colazione e si girò a guardare gli altri.
L’espressione di Ripred era impassibile. Tutto ciò che disse fu: — Questo dovrebbe scoraggiarli per un po’.
Solovet assentì con un mormorio, ma la sua attenzione era di nuovo rivolta alla battaglia. In generale, lungo il muro non ci furono manifestazioni né di esultanza né di repulsione. I regaliani l’avevano visto succedere centinaia di volte. Gregor aveva la sensazione che tutti loro considerassero quell’operazione sgradevole ma necessaria. I ratti erano indietreggiati, allontanandosi dai bastioni. Il risultato era stato raggiunto.
Gregor strinse forte l’impugnatura delle sue armi per controllare il tremito delle mani. Forse era solo inesperto. Forse, dopo un po’, una cosa del genere diventava normale amministrazione. Forse tutto era lecito, in amore e in guerra. Ripensò alle ruspe e a come Sandwich le avesse avvelenate per rubare la loro terra. No, quello non era lecito. Persino in guerra dovevano esistere limiti invalicabili. E per Gregor, versare olio bollente sul nemico e dargli fuoco rientrava nella categoria. Sapeva che avevano bruciato dei ratti, nelle Terre Infuocate, ma quella gli era sembrata un’azione disperata per salvare se stessi e i topi, non una strategia fredda e premeditata. Possibile che fosse l’unico a trovare ripugnante ciò che avevano appena fatto?
A quanto pareva, no. C’era qualcun altro, lì, che era rimasto enormemente impressionato dall’avvenimento. Qualcun altro che non aveva ancora fatto il callo a situazioni del genere. Qualcun altro per cui la guerra era ancora una novità. Gregor non sapeva dove si fosse nascosto fino a quel momento, forse in una galleria vicina, ma il rogo dei ratti lo indusse a balzare nel cuore della battaglia. Si sollevò sulle zampe posteriori e lanciò un ruggito assordante. Il Flagello.
— Ah, ecco qui il mio piccolo allievo, finalmente — disse Ripred.
Persino i veterani presenti sul muro rimasero senza fiato per la sorpresa. Il Flagello era cresciuto di parecchio dall’ultima volta che Gregor l’aveva visto da vicino, qualche mese prima. Ormai doveva essere lungo almeno tre o quattro metri e sovrastava anche i ratti più grossi che si trovavano sul campo. Il suo mantello di un bianco iridescente scintillava alla luce delle fiaccole, gettando lampi rosa e azzurri.
“Pearlpelt” pensò Gregor. Era passato meno di un anno da quando era un tenero cucciolo che tremava tra le sue braccia. Certo, tutti erano stati piccoli, un tempo. Ma non tutti crescevano con l’obiettivo di sterminare un’altra specie, a prescindere da quanto la loro vita fosse stata difficile. Guardando quella creatura mostruosa, Gregor non poté fare a meno di pensare che avrebbe dovuto ucciderla appena l’aveva scovata. Nel labirinto dei ratti, mentre strofinava il muso contro il corpo della madre morta. Se l’avesse fatto, i topi sarebbero stati ancora vivi? I ratti sotto controllo? La guerra evitata?
— Sarebbe stato comunque immorale — disse Ares a bassa voce, come se avesse letto nel pensiero di Gregor. — Ci saremmo macchiati dello stesso crimine che ha commesso il Flagello quando ha assassinato i cuccioli di topo nella fossa.
— La profezia lo diceva che sarebbe diventato malvagio — replicò Gregor.
— Ma non avevamo deciso che la profezia si era avverata proprio perché gli avevi risparmiato la vita? Che avevi fatto la scelta giusta? — chiese Ares.
Era vero. Gregor tornò con la mente in quel labirinto. Anche sapendo ciò che sapeva adesso, non avrebbe potuto tagliare la gola al piccolo. In quel momento, il Flagello era ancora del tutto innocente.
E quanto al far avverare le profezie… ora che sapeva cosa Sandwich aveva fatto alle ruspe, Gregor era costretto a chiedersi che genere di suggerimenti gli avesse dato quell’uomo fin dall’inizio. Più tempo passava e più era combattuto riguardo alle sue rivelazioni.
— È quello che avevamo deciso, sì — rispose Gregor. Non c’era tempo di entrare nel dettaglio.
Vide un ampio cerchio aprirsi intorno al Flagello. Anche gli altri ratti si sparpagliavano per evitare quelle zampe e quella coda imprevedibili.
— È addirittura più grosso di quanto mi hanno fatto credere — commentò Solovet.
— Mi è giunta voce che si sia ingozzato di piluccatori morti, alle Terre Infuocate. Se lo si fa mangiare, poi cresce — osservò Ripred.
— Sa combattere? — chiese Ares.
— Dicono di sì. Ma non l’abbiamo visto spesso. I ratti l’hanno tenuto ben nascosto, finora — ribatté Ripred.
— Non può battere te — intervenne Gregor. Aveva visto il Flagello assalire Ripred e uscirne piuttosto malconcio.
— Forse sì, forse no. Quello è stato un centinaio di chili fa. Devono averlo addestrato, da allora. E c’è la sua massa enorme da considerare. E, naturalmente, date le circostanze, non riuscirei neanche ad avvicinarmi, a meno di non passare sopra ogni ratto presente sul campo — replicò Ripred. — Perciò la domanda non è tanto se può battere me, quanto se può battere te.
Ora fissavano tutti Gregor. — È il momento di scoprirlo? — chiese. Sì, lo era.
Mentre Gregor si sistemava l’armatura, Ripred lo assalì con una raffica ininterrotta di consigli sul modo di combattere contro una creatura che aveva un considerevole vantaggio in termini di dimensioni. Era evidente che il Flagello avrebbe avuto la meglio in qualsiasi azione di forza. Se voleva avere una possibilità di farcela, Gregor doveva affidarsi alla velocità e all’agilità. E ricordare anche che il Flagello avrebbe avuto un raggio d’azione molto più ampio dei ratti contro cui si era battuto in precedenza, quindi lui e Ares dovevano mettere in conto che avrebbero impiegato più tempo per avvicinarsi e allontanarsi dal loro obiettivo. E c’erano altre cose, ma Gregor, concentrato sul Flagello, smise di ascoltare.
Alcune squadre particolarmente coraggiose scendevano in picchiata sul ratto bianco, che le scacciava come mosche. Mentre montava in groppa ad Ares, Gregor vide gli artigli del Flagello colpire l’ala di un pipistrello e lacerarla come carta velina. L’alato e il suo cavaliere precipitarono a terra e vennero assaliti da un branco di ratti più piccoli.
— Ares… — iniziò Gregor.
— Lo so. Farò attenzione alle mie ali — terminò Ares.
La maggior parte degli umani era in volo, ormai, ma quasi nessuno di loro combatteva. L’arrivo del Flagello sembrava aver scatenato il caos. I ratti erano esultanti, i loro avversari scoraggiati. E tutti aspettavano che Gregor decollasse e affrontasse il Flagello.
Poi fu il Flagello a individuare lui. Si portò con un balzo proprio al centro del campo e rimase in attesa, la coda guizzante, le orecchie appiattite sulla testa, la bava che gli colava dalle zanne. — Guerriero. Guerriero — sibilò. — Vieni a prendermi.
Gregor sapeva che di lì a poco avrebbe potuto essere morto. — Ripred? — chiese. — La mia famiglia?
— Ti ho dato la mia parola — rispose il ratto.
Gregor serrò forte le palpebre per un istante, richiamando alla mente l’immagine del cavaliere di pietra per darsi forza.
— D’accordo, allora — disse ad Ares. — Quando sei pronto. — Sentì il petto del pipistrello alzarsi e abbassarsi in un ultimo respiro profondo, poi si slanciarono in aria. Il silenzio calò sul campo mentre Ares si alzava in volo e disegnava un ampio cerchio intorno al Flagello. Il ratto bianco si acquattò senza mai perderli di vista. Gregor liberò la mente, invitando il suo lato di furia ad assumere il controllo. I punti deboli del Flagello cominciarono ad apparirgli in una successione di immagini velocissime. Occhi, collo, fegato, un’arteria pulsante sotto la zampa anteriore, il punto chiave tra le costole che portava dritto al cuore. Stavano effettuando il loro secondo giro, quasi alle spalle del Flagello, quando Ares si tuffò. Il ratto colossale, che aveva inclinato la testa all’indietro per tenerli d’occhio, schizzò verso l’alto, girandosi a fronteggiarli. Ares virò di lato, ma la zampa anteriore del Flagello tentò di colpirli da dietro. Con una mossa che avevano provato solo nell’ultimo allenamento, il pipistrello chiuse le ali di scatto e si capovolse. Gregor tirò un fendente che deviò gli artigli del Flagello, poi si appiattì sul dorso di Ares mentre si portavano rapidamente fuori tiro.
Gli umani urlarono parole di incoraggiamento, ma quel colpo riuscito non aveva fatto altro che stuzzicare il ratto bianco, che si mise a seguirli, girandosi per tenere d’occhio la loro traiettoria, rendendo sempre più arduo trovare un varco. Non ne ebbero bisogno, però, perché all’improvviso il Flagello sferrò il suo attacco. Afferrò Ares per la punta di un’ala e lo fece girare bruscamente verso le sue fauci. Ma prima di riuscire a portarsi alla bocca i due vincolati, il ratto doveva farseli passare davanti al naso. La spada di Gregor gli squarciò una narice, e il Flagello tirò indietro la testa con un ruggito. Ares colse l’occasione per strappare l’ala dai suoi artigli, e da quel momento il vero scontro ebbe inizio. Era difficile analizzare i singoli istanti per la rapidità con cui si susseguivano. Gregor e Ares rimanevano quasi sempre a portata del Flagello, con il pipistrello che zigzagava, scendeva in picchiata e si capovolgeva, mentre il suo vincolato affrontava zanne e artigli. Potenza a parte, il Flagello era veloce. Forse non proprio veloce come Gregor, ma ci andava vicino, il che significava non poter abbassare la guardia neanche per un secondo. Il ratto pareva sconcertato soprattutto dagli attacchi al muso, perciò Ares puntò ai suoi occhi a più riprese. Se gli si avvicinavano abbastanza, Gregor poteva usare il pugnale sia per attaccare che per difendersi, e infatti aveva appena aperto uno squarcio di trenta centimetri sopra l’occhio del Flagello quando accadde. Il ratto si lasciò cadere sulle zampe anteriori e fece saettare la coda sopra la testa, centrando Gregor sul lato sinistro della schiena. Il colpo inaspettato lo disarcionò, catapultandolo verso terra. All’inizio, rimase paralizzato dal dolore. Non riusciva a inspirare, e tanto meno a rigirarsi in aria in modo da permettere ad Ares di recuperarlo. Il pipistrello riuscì a infilarsi sotto di lui appena prima che toccasse terra. Gregor lo sentì graffiare il suolo con gli artigli mentre andava a schiantarsi con il torace contro il suo collo, buttando fuori anche quel minimo di aria che gli era rimasto nei polmoni. Per fortuna, il Flagello ci stava mettendo un po’ per riprendersi dall’ultima ferita. Il sangue gli scorreva lungo il muso, macchiando di un rosso intenso il bianco candido del suo pelo. Con il naso e un occhio lesionati, cominciava a essere disorientato.
Gregor aveva qualcosa che non andava alla schiena. Lo capiva quando posava la mano nel punto in cui era stato appena colpito. Quella zona non era protetta dall’armatura di metallo ma da una spessa piastra di cuoio. Se vi premeva sopra, faceva fatica a trovare le due costole inferiori. O meglio, erano lì, ma incastrate cinque o sei centimetri di troppo all’interno del corpo. Non c’era da stupirsi se non riusciva a farsi arrivare ossigeno. Ma avrebbe dovuto arrangiarsi e farne a meno. — Coda — boccheggiò all’orecchio di Ares. Non riuscì a dire altro, ma Ares capì. Il pipistrello calò in picchiata dritto sopra la testa del Flagello. Mentre la coda si alzava d’istinto in posizione di difesa, Gregor fece appello a tutta la forza che aveva e vibrò un fendente. Il colpo tagliò nettamente la coda in due, lasciandosi dietro solo un moncherino lungo una sessantina di centimetri. Dalla ferita sgorgò un fiotto di sangue che inzuppò Gregor mentre crollava sul collo di Ares.
Il Flagello non si rese subito conto della perdita subìta. Girò in tondo più e più volte per trovare la sua coda e alla fine, quando vide la parte amputata a terra, la palpeggiò goffamente per trenta secondi buoni, quasi potesse riportarla in vita. Accorgendosi che non era così, il ratto piegò la testa all’indietro e lanciò un urlo che non somigliava a nessun verso di ratto mai sentito da Gregor.
Fu allora che capì cos’aveva fatto davvero. Aveva voluto togliere di mezzo la coda perché era un’arma molto potente. Ma per il Flagello era molto di più. Gregor riandò con la mente alla volta in cui aveva visto il ratto sull’orlo di una crisi isterica, sotto Regalia. Per calmarsi, il Flagello si era dapprima succhiato e poi rosicchiato a sangue la coda. Era la sua consolazione, la sua coperta di Linus, il suo rifugio quando non ce la faceva più. E senza quella coda non ce l’avrebbe fatta mai e poi mai!
Il Flagello perse del tutto la testa e cominciò a roteare su se stesso, cercando di azzannare tutto ciò che incontrava. Poi intravide Ares, che si era girato e si dirigeva verso Regalia alla massima velocità consentita dalla sua ala danneggiata. Mossa sensata, dal momento che Gregor non era in grado di continuare a combattere. Ma invece di ritirarsi anche lui, il Flagello si precipitò all’inseguimento. Il ratto corse a rotta di collo verso i bastioni e, spiccando un unico balzo incredibile, ne raggiunse la cima. Quando atterrò, il suo corpo enorme fece piombare al suolo almeno una decina di umani. Gli altri saltarono in groppa ai pipistrelli e si diedero alla fuga, mentre il Flagello correva avanti e indietro lungo il muro, urlando parole incomprensibili.
Ares, che si era allontanato dalla fortificazione solo pochi secondi prima che arrivasse il suo inseguitore, tornò indietro a guardare la scena. Il colosso impazzito continuava a sbraitare, e nel frattempo zampe e musi sbucavano dall’orlo del muro. In meno di un minuto, la prima linea dell’esercito aveva raggiunto il Flagello, e già comparivano altre teste.
Una bella femmina di ratto dal pelo argentato gli salì direttamente sul dorso. Gregor la conosceva. Twirltongue. Era così persuasiva che per poco non l’aveva convinto a tradire Ripred. Aveva sempre sospettato che avesse un grande potere sul Flagello. Lo capiva chiunque che lui era un disastro totale, che da solo non avrebbe mai potuto organizzare lo sterminio di massa dei topi, e nemmeno quella guerra. Ma vedere Twirltongue che parlava all’orecchio del Flagello, standogli in groppa, confermò i peggiori timori di Gregor. Se il ratto bianco non riusciva a pensare in modo coerente, Twirltongue l’avrebbe fatto al posto suo.
— Prendete la città! Non risparmiate nessuno! — urlò il Flagello.
E al suo ordine, i ratti si riversarono dentro Regalia.