Una decina di persone si precipitò verso di lei, ma Gregor la raggiunse per primo. — Luxa? Luxa? — Non riuscì a evitare che dalla sua voce trapelasse la disperazione. La girò sulla schiena e le sollevò delicatamente la testa, appoggiandosela in grembo. Era ancora cosciente, ma a malapena. Un nuovo accesso di tosse le squassò il corpo e dall’angolo della sua bocca colò altro sangue.
Una Sottomondo vestita di bianco, segno che si trattava di un medico, tolse il tappo a una bottiglietta e la portò alle labbra di Luxa.
— Guardatela! Avrebbe dovuto essere rimandata a casa giorni fa! — ruggì qualcuno. Gregor alzò gli occhi e vide York che veniva verso di loro a grandi passi.
— Non siamo riusciti a convincerla a partire — ribatté un’altra voce arrochita. Howard, che sembrava malridotto quasi quanto Luxa, si accovacciò per pulire il viso della cugina con una pezza.
— Sei ancora qui anche tu? — chiese York, esasperato.
— C’era bisogno di me — rispose debolmente Howard. — Abbiamo avuto tanti feriti, padre.
Padre? Allora quel gigante era il padre di Howard? Gregor cercò di ricordare quello che sapeva di lui. Governava la Fonte. Era stato gentile con i topi. Poco altro.
— Non sei di nessun aiuto, così. Voi due! A Regalia! Adesso! — Alzò la testa e guardò in alto. — Mi serve un alato che abbia ancora qualche energia! — gridò York.
Ares svolazzò a terra. — Io ho energia — si offrì. — Sono stato in mezzo alla cenere solo per alcune ore.
— Possiamo portarli noi — intervenne Gregor. — Lui è davvero veloce.
York lanciò un’occhiata penetrante all’uno e all’altro, poi restituì a Gregor la torcia che aveva usato nella galleria. — Caricateli! — ordinò, e sollevò Luxa tra le braccia come se non pesasse più di una bambola.
Gregor si arrampicò sul dorso di Ares prima che qualcuno potesse impedirgli di andare.
— Sarebbe meglio se potesse stare seduta — consigliò la dottoressa. — Respirerebbe con più facilità.
York sistemò Luxa davanti a Gregor. — Riesci a tenerla diritta?
— Sì — rispose. Le mise le braccia intorno alla vita e la tenne stretta, in modo che gli appoggiasse la testa sulla spalla. — Posso farcela.
— Quando riprende a tossire, falle bere qualche sorso di questo — disse la dottoressa, e mise in mano a Gregor la bottiglietta col tappo di sughero. — Howard ti consiglierà. A parte questo, la sua unica speranza è raggiungere l’ospedale di Regalia.
Mentre Howard veniva sollevato sul dorso di Ares, Luxa cominciò ad agitarsi. — Aurora…
— È sul mio alato, nipote. Proprio dietro di te — rispose York, scostandole i capelli dal viso.
— Ripred — riuscì a sussurrare Luxa. Il ratto le si avvicinò, incollando il naso al suo.
— Presente — disse.
— I piluccatori. Se muoio… — iniziò Luxa.
Ma Ripred la interruppe. — Tu? Morire? Sei troppo carogna per morire. — Luxa riuscì a sorridere. — Ma non preoccuparti, Altezza. Penserò io a loro. — Ripred sollecitò Ares a partire dandogli alcuni colpetti con la testa. — Vola alto, e svelto.
Ares si levò in aria e spinse le sue ali potenti alla massima velocità. Non avevano più bisogno di seguire le gallerie nascoste e tortuose che li avevano portati lì. Ma anche percorrendo la via più diretta, il viaggio fu così lungo da risultare straziante.
Niente di ciò che Gregor aveva sperimentato in battaglia lo colmò di terrore quanto quel volo di ritorno. Luxa stava così male – riusciva appena a respirare, era ferita in più punti e bruciava di febbre – che a volte dubitava seriamente che sarebbe arrivata viva a Regalia. A un certo punto, in effetti, si fece immobile al punto che credette di averla persa. — Luxa! — urlò, scrollandola, e lei ricominciò a tossire e a sputare altro sangue, ma era ancora lì, ancora con lui.
— Parlale, Gregor — suggerì Ares. — Come hai fatto con me tra le correnti.
Quella volta che erano rimasti intrappolati in un groviglio di violente correnti d’aria, Ares era quasi impazzito e Gregor si era lanciato in un monologo ininterrotto per distrarlo e tenerlo su di morale. Fece lo stesso con Luxa e le parlò di tutto quello che gli veniva in mente. New York, le cose buffe che aveva fatto Boots, il tema sui ragni che aveva scritto lui, com’era l’inverno, la ricetta della signora Cormaci per il sugo degli spaghetti… qualunque cosa… qualunque cosa pur di impedirle di mollare.
Howard era steso nel buio, da qualche parte dietro di lui. Gregor si ricordava che era lì quando lo sentiva tossire o quando gli ordinava di somministrare altra medicina a Luxa. Ma per quanto fosse malconcio, almeno era in grado di rimanere cosciente, a differenza di sua cugina.
Dopo quello che parve un tempo interminabile, Gregor cominciò a scorgere i punti di riferimento intorno a Regalia. Volavano lungo il fiume impetuoso che nasceva dalla Fonte, passava davanti alla città e si gettava nella Distesa d’Acqua. Solo che non gli sembrava impetuoso come se lo ricordava. Non ribolliva di schiuma bianca… anzi, era di parecchi metri più basso del solito. Il terremoto che aveva modificato il paesaggio nei pressi della colonia di topi della Fonte doveva aver interessato anche il corso del fiume.
— Ci siamo quasi, ormai — disse a Luxa. — Siamo quasi a casa. — Lei non reagì. Nell’ultima ora non aveva nemmeno tossito. Ma Gregor sentiva ancora il suo torace che si alzava e si abbassava.
Ares volò direttamente al molo sul fiume. Ancor prima che atterrassero, Gregor si mise a urlare: — Aiuto! Un dottore! Un infermiere! Aiuto! Aiuto! — Alcuni Sottomondo scaricarono Luxa e Howard dal dorso del pipistrello e li stesero direttamente su due barelle. Cercarono di mettere in barella anche Gregor, ma lui li respinse e corse dietro a Luxa. Venne trasportata in tutta fretta in una specie di pronto soccorso e circondata da un’equipe di dottori che impartivano ordini a destra e a sinistra. Gregor cercò di restare per vedere cosa stesse succedendo, ma venne cacciato fuori senza tante cerimonie. Una porta di pietra gli si chiuse in faccia.
Rimase nel corridoio, ansimante e scosso dai tremiti, respingendo i dottori che tentavano di medicarlo. Cominciò a tornare in sé solo all’arrivo di Mareth, che lo afferrò saldamente per le braccia. — Gregor — disse il soldato. — Hai bisogno di cure anche tu. Devi venire con me.
— Vivrà? — chiese Gregor.
— Non so dirlo. Ma sta ricevendo la migliore assistenza che possiamo offrirle. Non aiuti né lei né nessun altro, lasciando che le tue ferite si infettino — lo incalzò Mareth. — Vieni.
E Gregor si ritrovò immerso ancora una volta in uno di quei bagni a base di erbe per togliersi dalla pelle il petrolio e la cenere.
I ratti lo avevano preso bene, specie quello che gli aveva squarciato il polpaccio all’entrata della galleria. Fu ricucito e spalmato di pomata, ma rifiutò la medicina che sapeva l’avrebbe fatto dormire.
Mareth badò a controllare che la fotografia di Gregor e Luxa arrivasse nel taschino della camicia nuova, che la spada venisse appoggiata contro il letto. Ma Gregor insisté per alzarsi. In condizioni normali non gliel’avrebbero permesso, ma l’ospedale cominciava a essere sommerso da umani e piluccatori feriti e nessuno aveva tempo di mettersi a discutere con lui. Si aggirò su e giù per i corridoi, tentando di avere notizie di Luxa, ma arrivando a sapere ben poco. Ogni tanto si fermava davanti alla vetrata che dava sulla camera in cui era ricoverata sua madre – lei, almeno, aveva un aspetto migliore – e la osservava dormire. Dopodiché riprendeva il suo andirivieni per i corridoi.
Alla fine, Mareth prese in mano la situazione. — La nursery è piena di cuccioli che vengono dalle Terre Infuocate. Qui siamo solo d’intralcio. Vediamo se possiamo renderci utili.
Dopo aver estorto a un dottore la promessa che lo avrebbero tenuto aggiornato sulle condizioni di Luxa, Gregor seguì Mareth fino alla vecchia nursery. Era nel caos più completo. I cuccioli di topo erano stati i primi a essere evacuati dalle Terre Infuocate con un ponte aereo. Quelli più gravi li avevano mandati direttamente in ospedale, ma gli altri erano stati affidati alla nursery in attesa di cure. Il guscio dell’odiosa tartaruga di Sandwich era aperto – come Gregor aveva previsto, Solovet aveva trovato il passaggio segreto – e i piccoli venivano portati lì dalla Falda. La nursery poteva contenerne solo una parte, così l’intera ala brulicava di cuccioli malati e terrorizzati.
Si stava tentando di alloggiarli in qualche modo.
Nella stanza da bagno in cui Gregor aveva giocato a nascondino meno di un giorno prima, ogni vasca era stata riempita d’acqua mista a erbe ed era in corso una maratona interminabile per lavare i cuccioli. Altri due ambienti che avevano contenuto materiali di vario tipo erano stati trasformati in nidi giganteschi, fatti di pile e pile di coperte. In un’altra stanza si nutrivano i piccoli affamati.
Tenendo in braccio un cucciolo urlante e avvolto in un asciugamano, Dulcet si precipitò da loro, sorpresa di vederli. — Gregor! Mareth! Potete dare una mano nei bagni?
— Ma certo! — rispose Gregor, felice di avere qualcosa con cui tenersi occupato. Un attimo dopo, era immerso fino alla vita nell’acqua di una delle profonde vasche e prendeva un topolino tra le braccia. Il cucciolo tremava tanto da battere i denti. Separato dai suoi genitori, ammalato e affamato, era ovvio che fosse a pezzi.
— È tutto a posto. È tutto a posto, piccolino — disse Gregor in tono rassicurante.
Il mantello del cucciolo, incrostato di polvere e petrolio, non era facile da ripulire.
Alla fine, con l’aiuto di un pettine e di un qualche tipo di shampoo, Gregor riportò il pelo al suo abituale colore grigio.
Passò il piccolo a chi l’avrebbe asciugato, e subito gliene misero un altro tra le braccia.
Ce n’erano moltissimi che aspettavano di essere lavati, e continuavano ad arrivarne altri.
Gregor lavorava senza fermarsi, facendo il bagno ai cuccioli, calmandoli con le sue parole. Ma in ogni istante la sua mente era in ospedale con Luxa e desiderava solo che lei continuasse a respirare.
Passò un medico, e finalmente riuscì a ottenere qualche vera informazione.
Stavano cercando di eliminare la cenere dall’organismo di Luxa, ma era un procedimento delicato perché i giorni trascorsi in quell’aria viziata le avevano danneggiato i polmoni. Se non altro, era ancora viva.
A intervalli regolari, Dulcet e Mareth tentavano di convincerlo ad abbandonare il suo posto nel bagno, ma lui non poteva, non voleva. Poi, mentre gli stavano porgendo un altro topolino, si accorse che Boots era accovacciata sul bordo della vasca con un piatto in mano e gli faceva segno.
— Ehi, Boots — disse Gregor, avvicinandosi. — Che succede?
— Io aiuto Dulcie a dare da mangiare ai piccoli — rispose la bimba. — Adesso dice che do da mangiare a te.
Sul piatto c’erano una fetta di carne, del pane e una tazza di tè.
Gregor mangiò, più che altro per far piacere alla sorellina, ma in effetti con qualcosa nello stomaco poi si sentì meglio. — Grazie Boots.
— Vado a dare ancora da mangiare ai piccoli — disse lei.
— Buon lavoro — le augurò Gregor.
— Tu fai i bagni — gli ricordò la bambina.
— Giusto — disse lui, e allungò le braccia per prendere un altro cucciolo.
Andò avanti così per parecchie ore, finché Dulcet non gli batté su una spalla. — Gregor, ti hanno chiamato dall’ospedale — annunciò.
Senza esitare, Gregor diede il topolino che reggeva a un Sottomondo vicino e si issò fuori dall’acqua. Aveva la pelle grinzosa e formicolante dopo tutte le ore passate nel bagno alle erbe e si sentiva le gambe un po’ intorpidite.
— Sta bene? Posso vederla? — chiese.
— Non lo so — rispose Dulcet. — So solo che sei stato convocato.
Il suo sguardo guizzò verso la porta e poi si posò di nuovo su di lui, con aria eloquente. Sulla soglia c’erano Horatio e Marcus.
— Ah, sono tornate le mie guardie del corpo — disse Gregor, allacciandosi il cinturone con la spada.
Non gli importava. A patto di riuscire a vedere Luxa. Sfilò davanti a loro senza una parola, ma li sentì mettersi al passo dietro di lui. Lo seguirono mentre si faceva largo tra la moltitudine di cuccioli, camminava lungo i corridoi, scendeva i gradini che portavano all’ospedale. Prese una scorciatoia, una scala poco usata per l’ultimo piano.
In fondo c’era una piccola porta di pietra che dava accesso all’ospedale.
Ma Gregor non raggiunse mai quella porta.
A una decina di gradini dal fondo, Horatio lo sbatté improvvisamente contro il muro e, prima che potesse riaversi dalla sorpresa, Marcus gli aveva già legato le mani dietro la schiena.
Cominciò a urlare, e loro gli misero un bavaglio. Poi venne sollevato e trasportato di nuovo su per i gradini, lungo stretti passaggi e poi giù, nelle profondità di Regalia.
Lottò come un pazzo, ma quei due erano troppo forti per lui. Alla fine, lo gettarono su un pavimento di pietra e indietreggiarono con le spade in pugno.
Gregor si trovava in una piccola stanza dal soffitto basso.
Si era appena alzato sulle ginocchia quando Solovet apparve sulla soglia.
— Io e te dobbiamo arrivare a un accordo — disse.
La porta si chiuse, una chiave girò nella serratura e Gregor rimase lì, nel buio completo.