All’inizio Gregor pensò che Solovet stesse scherzando. Ma non era tipo da battute di spirito. Se diceva addestramento, intendeva addestramento. Gregor cercò di controllare la rabbia, ma aveva lasciato il campo di battaglia solo pochi minuti prima. Il suo lato di furia era ancora in ebollizione. E l’ordine di Solovet, chiaramente destinato a umiliarlo, bruciava. — È una pazzia! Avete bisogno di me, là fuori! — sbottò.

Solovet inarcò le sopracciglia. — Combattiamo contro i rodenti da secoli. Credo che ce la caveremo anche senza un ragazzino poco addestrato.

— Be’, questa sì che è nuova — replicò Gregor. — Non hai fatto altro che arruolarmi nelle tue missioni più pericolose, da quando ho messo piede qui.

— Ma non perché mi aspettavo che ci stupissi con le tue capacità di combattente — obiettò lei.

— Io so combattere! Chiedi a Ripred! Mi ha messo in prima linea, nelle Terre Infuocate! — la rimbeccò Gregor.

— Qualcuno doveva pur tenerti d’occhio. Ho pensato che, stretto tra me e Perdita, potevi anche uscirne vivo — confessò Ripred con un’alzata di spalle. — Ma non credere che sia stato un lavoro facile.

— Cosa? Questa è una bugia bella e buona! — esclamò Gregor. Insinuare che fosse stato messo in prima linea per la sua stessa sicurezza era offensivo. Si strappò l’elmo dalla testa e stava già per scagliarlo sul muso di Ripred, quando, con la coda dell’occhio, vide Perdita scuotere quasi impercettibilmente la testa. Non sapeva perché ma, forse per via del grande rispetto che aveva per lei, riuscì a deviare il movimento dell’elmo e a incastrarselo sotto il braccio. Si accorse che tutti lo stavano osservando con attenzione e capì di doversi controllare. Fece un respiro profondo e ricacciò dentro la rabbia. — Benissimo. Quando comincia l’allenamento?

— Ti verranno a chiamare — rispose Solovet. Gregor le rivolse un breve cenno della testa e salì sul dorso di Ares. Mentre il pipistrello si alzava in volo verso la città, la sentì ridere e dire: — Adesso chi è che si aliena le sue simpatie?

Ripred ridacchiò: — Abbocca così facilmente.

Allora Gregor capì che ritirarlo dal combattimento e criticarlo era stato, almeno in parte, un test. Per vedere se riusciva a non perdere la testa e a ubbidire agli ordini. E per poco non aveva fallito.

— Avrei dovuto tenere il becco chiuso — disse. Ma lo avevano fatto a pezzi, colpendolo proprio nell’unica cosa in cui pensava di essere bravo.

— È difficile quando ti provocano così — replicò Ares con aria cupa. — Io ci ho messo un bel po’ per imparare a “tenere il becco chiuso”, come dici tu.

Si ripresentarono all’ospedale per far ricucire l’ala di Ares. Gregor non aveva riportato nuove ferite, ma in compenso gli erano saltati i punti del taglio sul polpaccio e la zona era leggermente infiammata. Lo spedirono a immergersi in un bagno medicinale dall’odore amarognolo e gli suturarono di nuovo la gamba. Gli diedero abiti puliti, sui quali rimise il cinturone con la spada, abbandonando l’armatura. Poi lui e Ares furono liberi di andare.

— Devo dormire — disse il pipistrello. — Tutti quei viaggi alle Terre Infuocate mi hanno sfinito.

Gregor rimase solo. Sapeva che forse avrebbe dovuto passare a trovare le sue sorelle. Luxa, poi, poteva essere sveglia e lui era ancora a credito di almeno quattro dei cinque minuti di visita che gli erano stati concessi. Ma d’un tratto si sentiva esausto, e l’unica persona che aveva voglia di vedere era sua madre.

I dottori lo autorizzarono a entrare nella sua stanza, ma gli raccomandarono di non turbarla. Sua madre era sdraiata, le spalle leggermente sollevate dai cuscini, ma aveva gli occhi aperti. Solo guardandola, Gregor capì che era sfebbrata ma ancora molto stanca. Accostò una sedia al suo letto e le prese la mano.

— Ciao, mamma — la salutò.

— Ciao. Mi chiedevo quando ti avrei rivisto — disse lei.

— Scusa. È che ci sono moltissime cose in ballo — rispose Gregor. Non poteva raccontarle quello che succedeva. Non avrebbe saputo da che parte cominciare. E poi non doveva turbarla. Così posò semplicemente la testa sul bordo del letto e non cercò nemmeno di spiegarsi. La mano di sua madre gli accarezzò i capelli e quel nodo di sentimenti negativi – rabbia, paura, umiliazione, disperazione – cominciò a sciogliersi. Avrebbe voluto restare lì per sempre, lasciarsi rassicurare da lei, fingere di essere ancora un bambino per il quale la mamma può sistemare ogni cosa.

— Sento solo qualche frammento di conversazione. So che è iniziata una guerra. A volte li vedo trasportare i feriti qui davanti. Hai intenzione di parlarmene? — chiese.

Gregor scosse la testa senza alzarla.

— E io non posso più costringerti a farlo, lo so — osservò sua madre. Gli diede una strizzatina sulla nuca. — Dimmi solo questo: i nostri cari stanno bene?

La nonna all’ospedale. Suo padre aveva avuto una ricaduta. Sua madre ancora troppo debole per stare seduta. Lizzie in Sala Decifrazione. Boots occupata con i cuccioli di topo ammalati e orfani. Gregor stesso condannato a morte. Un’intera famiglia in trappola, per un motivo o per l’altro.

Sollevò la testa. — Tengono duro tutti quanti, mamma — disse.

— D’accordo. D’accordo. Ormai devo fidarmi di te, Gregor. Per fare ciò che è giusto per noi — replicò lei. — Ti voglio bene, piccolo.

— Ti voglio bene anch’io — rispose Gregor. — Riposati, adesso. — La baciò sulla fronte e uscì prima di crollare e raccontarle tutto.

Aveva un disperato bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno con cui non fosse costretto a fingere. Andò dritto alla stanza di Luxa e tampinò i dottori che erano da quelle parti finché non acconsentirono a farlo entrare per un’altra breve visita. Gli fecero lavare le mani col disinfettante, ma stavolta non gli imposero la mascherina.

Luxa sembrava notevolmente migliorata, tenuto conto che erano passate solo sei ore dall’ultima volta che l’aveva vista. Sibilava ancora un po’ nel respirare la nebbiolina che usciva dalle pareti, ma era seduta, con la schiena appoggiata a una pila di cuscini. Sulle ginocchia teneva un vassoio con brodo, budino e quello che sembrava purè di patate dolci. Stava usando la forchetta per ammonticchiarlo in una specie di torre, proprio come facevano Boots e Lizzie a casa. Quando lo vide, il suo viso si illuminò, e Gregor sentì svanire un po’ del peso della giornata.

Mmm, cosa c’è per pranzo? Quella roba ha un’aria deliziosa — disse.

Luxa guardò accigliata il vassoio. — Ci si fanno delle belle costruzioni, sì. Però ho la gola ancora troppo irritata per mangiare qualcosa che mi piaccia davvero.

— Ma come? A tutti piace il budino — obiettò Gregor. Ne prese una cucchiaiata e la portò alla bocca di Luxa. Lei mangiò, inghiottendo a fatica.

— Ahi — disse. I suoi occhi si spalancarono nel posarsi sul pugnale alla cintura di Gregor. — Cos’hai fatto per averlo? Hai ucciso Solovet?

— No, me l’ha regalato lei.

— Oh, ti odio. A me non ha mai nemmeno permesso di toccarlo.

Gregor si sfilò il pugnale dalla cintura e glielo tese. — Divertiti.

Luxa si rigirò l’arma tra le mani, ammirandola. — Cos’è, adesso sei il suo preferito?

— Come no! Mi ha fatto mettere una stupidissima armatura nera e poi mi ha cacciato via dal campo di battaglia finché non avrò imparato a combattere — replicò lui.

— Sei di nuovo in addestramento? Fossi in te, non la prenderei troppo sul personale. Fa così in continuazione — commentò Luxa.

— Davvero? — chiese Gregor.

— Certo. Nessuno è mai abbastanza bravo, per lei. Darebbe suggerimenti anche a Ripred se non pensasse che se la mangerebbe viva — confermò Luxa.

Quelle parole lo fecero sentire molto meglio. Forse tornare ad addestrarsi non era niente di grave. E poi, se fosse stato impegnato a combattere, adesso non avrebbe potuto essere lì con Luxa. — Quanto devi rimanere in ospedale?

— Dovrei già essere fuori — rispose Luxa, imbronciata. — Hanno fatto uscire Howard. Sta persino curando i pazienti.

— Tu stavi peggio di lui — obiettò Gregor.

— Suppongo non abbia una grande importanza. Tanto non mi permetteranno di fare niente, né dentro né fuori. Adesso che sono tornata, Solovet avrà dato ordine di sorvegliarmi giorno e notte — disse Luxa. — Mi sorprende che tu sia senza guardie del corpo.

— Le ho avute. Per un po’.

— E come hai fatto a liberartene?

Gregor si sentì arrossire. Quella non era una domanda alla quale fosse pronto a rispondere. Non poteva certo uscirsene con un “oh, è perché ormai Solovet sa che sono innamorato di te”. Così fece del suo meglio per trovare qualcos’altro da dire. — Ehm… immagino che con le mie sorelle e mia madre quaggiù… Dovresti proprio mangiare ancora un po’.

Luxa si sforzò di mandare giù altre due cucchiaiate di budino. — Mareth dice che anche tua sorella Lizzie ha intenzione di rimanere.

— Sì. Ripred ritiene che sia lei la decifratrice. L’hanno messa in una sala con un albero sulla parete — disse Gregor.

— Il Diagramma di Trasmissione. Henry e io abbiamo dovuto impararlo. È stato orribile. Il nostro insegnante era un piluccatore che avrà avuto almeno duecento anni. Ci faceva mandare messaggi per ore. — Luxa cominciò a ridere. — Poi, un giorno Henry ha scritto AIUTO, MUOIO DI NOIA e il piluccatore si è rifiutato di farci ancora da insegnante.

Anche Gregor rise, ma dietro la sua risata c’era il disagio che provava sempre quando veniva nominato Henry. Lo stretto legame tra Henry, Luxa e Ares. Il tradimento di Henry. Il corpo di Henry che si schiantava sulle rocce.

— Sembra un’altra vita — osservò Luxa in tono sommesso.

— Le cose cambiano in fretta, quaggiù — disse Gregor.

— Sì — ammise Luxa, rigirando la forchetta nel purè. — Guarda noi due.

Ecco. Era l’occasione per dirle quello che provava. Renderlo ufficiale. Avrebbe potuto non avere un’altra opportunità come quella. Chi lo sapeva quanto ancora sarebbe vissuto? Un giorno? Una settimana? Ma Gregor aveva l’impressione di non riuscire a parlare. Nel silenzio che seguì, sentì scorrere secondi preziosi.

Tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac…

Poi qualcuno si presentò alla porta. — Sopramondo, sei convocato nell’arena per l’addestramento — annunciò una voce.

— Va bene — rispose Gregor.

— Non dimenticare il tuo pugnale — disse Luxa, porgendogli l’arma.

Gregor avvertì il suo tono deluso mentre si infilava il pugnale alla cintura. Anche lei sapeva che il tempo a loro disposizione era poco, questione di ore. Com’era possibile che il guerriero riuscisse a fronteggiare un esercito di ratti e non avesse il coraggio di dire qualcosa di così semplice ed evidente?

D’un tratto, sentì la mano correre al taschino della camicia e tirare fuori la fotografia di loro due che ballavano. La fotografia che aveva convinto Solovet del suo amore per Luxa. La posò sul vassoio. — È questo il motivo per cui non ho guardie del corpo — disse, e si affrettò verso la porta per paura della reazione di lei.

Ma mentre girava l’angolo, vide di sfuggita che sorrideva.