Principi di comunicazione empatica

II cuore ha le sue ragioni, che la ragione ignora.

Pascal

Supponiamo che voi abbiate un disturbo della vista e decidiate di farvi visitare da un oculista. Dopo avervi brevemente ascoltato, l’oculista si toglie i suoi occhiali e ve li porge.

Si metta questi , dice. Li porto da dieci anni e mi hanno davvero aiutato. Li tenga pure: a casa ne ho un altro paio.

Voi li indossate, ma non fanno altro che peggiorare il problema. “Ma che diavolo , esclamate. “Non riesco a vedere niente!”.

“Cosa c è che non va?” chiede l’oculista. “Per me funzionano a meraviglia Bisogna che si sforzi”.

“Ci sto provando”, insistete, “ma vedo tutto annebbiato”.

“Beh, qual è il problema? Pensi positivo”.

“Bene, in modo positivo non ci vedo un tubo”.

“Signore, lei è un ingrato”, vi rimprovera. “Dopo tutto quello che ho fatto per aiutarla!”.

Quante probabilità ci sono che ritorniate da quell’oculista la prossima volta che avrete disturbi visivi?

Non molte, immagino. Non si ha molta fiducia in uno specialista che prescrive la cura, prima di fare la diagnosi.

Ma quanto spesso facciamo diagnosi prima di prescrivere nel campo della comunicazione?

“Coraggio, tesoro, dimmi come ti senti. Lo so che è difficile, ma mi sforzerò di capire”.

“Oh, non lo so, mamma. Penserai che è stata una cosa stupida”.

“Ma no, certo che no! Puoi dirmi tutto. Lo sai che nessuno ti vuole più bene di me. A me sta a cuore soltanto il tuo bene. Cos’è che ti rende così infelice?”

“Oh, non lo so”.

“Dai, tesoro, cosa c’è?”.

“Beh, per dirti la verità, semplicemente non mi piace più di andare a scuola”.

"Cosa?" è la vostra reazione incredula. “Come sarebbe a dire che non ti piace di andare a scuola? Dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto per farti studiare! Lo sai bene che l’istruzione è la base del tuo futuro. Se invece ti applicassi come fanno le tue sorelle maggiori riusciresti meglio, e allora la scuola ti piacerebbe, ti abbiamo detto mille volte di metterti d’impegno. E dire che le capacità le hai, solo che non vuoi applicarti. Devi sforzarti di più. Devi avere un atteggiamento positivo verso la scuola”.

Pausa.

“E adesso va’ avanti. Dimmi cosa provi”.

Tutti noi abbiamo una simile tendenza a precipitarci in aiuto di qualcuno, a sistemare le cose con buoni consigli. Ma spesso ci dimentichiamo di prenderci il tempo necessario per fare la diagnosi, per capire realmente, profondamente, qual è il problema.

Se dovessi riassumere in una sola frase il principio più importante che ho imparato nel campo delle relazioni interpersonali, questa potrebbe essere: “Prima cerca di capire... poi di farti capire”. Questo principio è la chiave di un’efficace comunicazione interpersonale.

5.1 Carattere e comunicazione

In questo istante voi state leggendo un libro che io ho scritto. Leggere e scrivere sono entrambe forme di comunicazione. Lo stesso vale per il parlare e l’ascoltare. In effetti, questi sono i quattro tipi fondamentali di comunicazione. E pensate a tutte le ore che passate facendo almeno una di queste quattro cose. La capacità di farle bene è assolutamente essenziale per la vostra efficacia.

Nella vita la capacità di comunicare è la più importante delle facoltà. Noi passiamo la maggior parte del nostro tempo a comunicare. Ma considerate questo: ci avete messo anni per imparare a leggere e a scrivere, anni per imparare a parlare. Ma che dire dell’ascoltare? Quale addestramento o formazione avete ricevuto che vi permetta di ascoltare in modo da poter comprendere realmente, profondamente, un altro essere umano, dal suo punto di vista?

Relativamente poche persone hanno ricevuto una qualsiasi forma di training all’ascolto. E, per la maggior parte, il loro addestramento rientra nelle tecniche dell’etica della personalità, avulse dai concetti di carattere e relazioni, assolutamente vitali per un’autentica comprensione del prossimo.

Se volete interagire efficacemente con me, se volete esercitare la vostra influenza su di me - coniuge, figlio, vicino, direttore, collega o amico - bisogna che prima mi capiate. E non potete farlo solamente con la tecnica. Se mi accorgo che state usando una qualche tecnica, sento che c’è doppiezza, manipolazione. Mi chiedo perché lo facciate, quali siano le vostre motivazioni. E non mi sento abbastanza sicuro da aprirmi con voi.

L’unico vero modo in cui potete influenzarmi è il vostro esempio, quello che fate. Il vostro esempio nasce naturalmente dal vostro carattere, ovvero dal tipo di persona che siete veramente: non da quello che gli altri dicono che voi siate o da quello che potete volere che io pensi che voi siate. È evidente dal modo in cui io vi percepisco.

Il vostro carattere comunica continuamente. In base al vostro carattere, in definitiva, io arrivo ad avere fiducia o sfiducia in voi e negli sforzi che state facendo nei miei confronti.

Se la vostra vita conosce alti e bassi, se vi mostrate caustici e gentili allo stesso tempo e, soprattutto, se il vostro comportamento privato non è conforme al vostro comportamento pubblico, è molto difficile per me aprirmi con voi. Quindi, per quanto io voglia o abbia bisogno di ricevere il vostro affetto e i vostri consigli, non mi sento abbastanza sicuro da mettere a nudo le mie opinioni, le mie esperienze, i miei sentimenti più profondi. Chi sa quello che succederà?

Ma fino a quando io non mi aprirò con voi, fino a quando non capirete me, la mia situazione e i miei sentimenti, voi non saprete come consigliarmi o quali suggerimenti offrirmi. Quello che dite va bene ed è bello, ma non mi riguarda affatto.

Voi potete dire che tenete a me, e mi apprezzate. Io voglio assolutamente crederlo. Ma come potete apprezzarmi nel momento in cui non riuscite neppure a capirmi? Tutto quello che sento sono parole, e io non posso fidarmi di semplici parole.

Finché non riuscirete a comprendere veramente la mia unicità, io non mi lascerò influenzare dai vostri consigli. L’efficacia della comunicazione interpersonale passa non solamente attraverso la tecnica. È necessario sviluppare la capacità di ascoltare empaticamente, basato su un carattere che ispiri apertura e fiducia, è necessario costruire un forte Conto Corrente Emozionale.

5.2 L’ascolto empatico

“Prima cerca di capire” implica un radicale cambio di paradigma. Di solito noi cerchiamo prima di tutto di farci capire. Nella maggior parte dei casi, le persone non ascoltano con l’intenzione di capire; ascoltano con l’intenzione di rispondere. Parlano o si preparano a parlare. Filtrano qualsiasi cosa attraverso i loro paradigmi, leggendo la loro autobiografia nella vita degli altri.

“Oh, io lo so bene come ti senti!”.

“A me è capitata la stessa identica cosa. Adesso ti racconto la mia esperienza”.

Non fanno che proiettare i loro film di famiglia nelle vicende di altre persone. Prescrivono i loro occhiali a tutte le persone con cui interagiscono.

Se hanno problemi con qualcuno - un figlio, una figlia, un coniuge, un dipendente - il loro atteggiamento è: “Quella persona proprio non capisce”.

Una volta un padre mi disse: “Non riesco a capire mio figlio. Non mi vuole ascoltare”.

“Vorrei riformulare quello che ha appena detto,” replicai. “Lei non capisce suo figlio perché lui non le dà ascolto?”.

“Esatto”, rispose.

“Mi consenta di riprovare”, continuai. “Lei non capisce suo figlio perché lui non ascolta lei, è così?”.

“È proprio quello che ho detto”, confermò in tono spazientito.

“Io pensavo che, per capire un’altra persona, occorresse ascoltarla”, suggerii.

“Oh!” esclamò. Ci fu una lunga pausa. “Oh!” ripetè, e la luce cominciò ad accendersi. “Ah, già! Ma io lo capisco. Lo so che tipo di esperienza sta vivendo. Ci sono passato anch’io. Credo che non capisca, perché non vuole darmi ascolto”.

Quell’uomo non aveva la più pallida idea di quanto stava veramente succedendo nella testa del suo ragazzo. Guardava nella propria testa e pensava di vedere il mondo, compreso suo figlio.

Lo stesso succede a tanti di noi. Noi siamo pieni delle nostre ragioni personali, della nostra autobiografia. Vogliamo essere compresi. Le nostre conversazioni diventano monologhi, e non capiamo mai realmente cosa succede nell’intimo di un altro essere umano.

Quando un’altra persona parla, di solito “ascoltiamo” ad uno dei seguenti quattro livelli. Possiamo ignorare l’altro, non ascoltarlo veramente. Possiamo tìngere di ascoltarlo: “Già. Ah-ha. Giusto”. Possiamo praticare l’ascolto selettivo, ascoltando cioè solo certe parti della conversazione. Spesso lo facciamo quando ascoltiamo l’ininterrotto chiacchiericcio di un bambino in età prescolare. Oppure possiamo anche praticare l’ascolto attento, prestando attenzione e focalizzando energia sulle parole che vengono dette.

Ma solo pochissimi di noi praticano almeno qualche volta il quinto livello, la forma superiore di ascolto, l’ascolto empatico.

Quando dico ascolto empatico non mi riferisco alle tecniche dell’ascolto “attivo” o dell’ascolto “riflessivo”, che fondamentalmente implicano una mimesi di quello che un’altra persona dice. Questo tipo di ascolto si basa su una tecnica, è avulso dal carattere e dalle relazioni, e spesso insulta coloro che vengono “ascoltati” in questo modo. Inoltre è essenzialmente autobiografico. Se praticate queste tecniche, potete anche non proiettare la vostra autobiografia nell’interazione, ma la motivazione del vostro ascolto è autobiografica. Ascoltate con capacità riflessive, ma ascoltate pur sempre con l’intenzione di rispondere, di controllare, di manipolare.

Quando dico “ascolto empatico” intendo ascolto con l’intento di comprendere. Intendo cercare prima di tutto di capire, di capire davvero. È un paradigma completamente diverso.

L’ascolto empatico (da Empatia) entra nel quadro di riferimento dell’altra persona. Significa guardare attraverso di esso, osservare il mondo nel modo in cui gli altri lo osservano, capire i loro paradigmi, capire cosa provano.

Empatia non significa simpatia. La simpatia è una forma di accordo, una forma di giudizio. E a volte è il sentimento e la risposta più adeguata. Ma la gente spesso si nutre di simpatia. Ne è dipendente. L’essenza dell’ascolto empatico non è che voi vi dichiariate d’accordo con qualcuno; è che lo capiate pienamente, profondamente, sia dal punto di vista emotivo che da quello intellettuale.

L’ascolto empatico va oltre il registrare, soppesare o anche capire le parole che vengono dette. Gli esperti di comunicazione, infatti, stimano che soltanto il 10% della nostra comunicazione sia rappresentato dalle parole che pronunciamo. Un altro 30% è rappresentato dai nostri suoni, e un 60% dal nostro linguaggio gestuale. Nell’ascolto empatico, ascoltate con le orecchie, ma anche - e questo è ancora più importante - con gli occhi e con il cuore. Ascoltate per recepire dei sentimenti, un significato. Ascoltate per interpretare un comportamento. Usate sia la parte destra sia quella sinistra del cervello. Sentite, intuite, avvertite.

L’ascolto empatico è così potente perché vi fornisce dati precisi su cui lavorare. Invece di proiettare la vostra autobiografia e di presumere pensieri, sentimenti, motivi e interpretazioni, avete a che fare con la realtà che si trova dentro a testa e il cuore di un’altra persona. Ascoltate per capire. Siete concentrati sul compito di ricevere la comunicazione profonda di un’altra anima umana.

Inoltre, l'ascolto empatico è assolutamente essenziale per poter effettuare dei depositi in Conti Correnti Emozionali, perché niente che voi facciate è un deposito, a meno che l’altra persona non lo percepisca come tale. Potete lavorare fino allo sfinimento per fare un deposito, e vedervelo trasformare in un prelievo nel momento in cui l’altro giudica i vostri sforzi come manipolativi, interessati, intimidatori o condiscendenti perché non capite che cosa realmente gli stia a cuore.

L’ascolto empatico rappresenta, in sé e per sé, un potente deposito nel Conto Corrente Emozionale. E profondamente terapeutico e salutare perché rifornisce una persona di “aria psicologica’’.

Se in questo stesso momento l’aria della stanza dove ora vi trovate venisse risucchiata fuori, che ne sarebbe del vostro interesse per questo libro? Il libro non v importerebbe più; non pensereste ad altro che a procurarvi aria. La vostra unica motivazione sarebbe la sopravvivenza.

Ma adesso che avete l’aria, essa non vi motiva. Ecco una delle più grandi intuizioni nel campo della motivazione umana: i bisogni soddisfatti non motivano Sono solo i bisogni insoddisfatti a motivare. Dopo la sopravvivenza fisica, il più grande bisogno di un essere umano è la sopravvivenza psicologica: essere compreso, essere affermato, essere approvato, essere apprezzato.

Quando ascoltate con empatia un’altra persona, le date aria psicologica. E dopo che questa vitale necessità è stata soddisfatta, potete adoperarvi a esercitare la vostra influenza o a risolvere i problemi.

Questo bisogno di aria psicologica si riflette sulla comunicazione in ogni aspetto della vita.

Una volta insegnai questo concetto durante un seminario a Chicago, e detti istruzioni ai partecipanti di praticare l’ascolto empatico durante la serata. La mattina dopo venne da me un tale. Non stava nella pelle dalla voglia di raccontarmi quello che gli era successo.

“Devo proprio dirle che cos’è capitato ieri sera”, spiegò. “Stavo cercando di concludere un grosso affare nel settore degli immobili qui a Chicago. Mi sono visto con gli imprenditori, i loro avvocati e un altro agente immobiliare che era appena stato fatto arrivare con una proposta alternativa”.

“Sembrava che stessi perdendo l’affare. Ci avevo lavorato per più di sei mesi, e ci avevo riposto davvero tutte le mie speranze. Tutte quante. Sono stato preso dal panico. Ho fatto tutto quello che ho potuto. Ho tirato fuori tutte le obiezioni, ho usato tutte le tecniche di vendita in mio possesso. L’ultima obiezione fu. “Non potremmo rimandare solo di poco questa decisione?’. Ma ormai erano cosi lanciati, e così stufi di averla tirata per le lunghe, che era evidente che erano sul punto di concludere.

“Allora mi sono detto: ‘Beh’, perché non provare? Perché non mettere in pratica quello che ho imparato quest’oggi e cercare per prima cosa di capire, e poi di essere capito? Non ho niente da perdere”.

“Così ho detto semplicemente a quell’uomo: ‘Vediamo se capisco veramente qual è la sua posizione e cos’è che veramente la preoccupa delle mie raccomandazioni. Quando lei sente che io lo capisco, allora vedremo se la mia proposta è pertinente oppure no”.

“Ho cercato davvero di mettermi nei suoi panni. Ho cercato di verbalizzare i suoi bisogni e le sue preoccupazioni, ed egli ha cominciato ad aprirsi .

“Più io intuivo ed esprimevo le cose che lo preoccupavano, le conseguenze che prevedeva e temeva, più si apriva”.

“Alla fine, nel bel mezzo della nostra conversazione, si è alzato, è andato al telefono e ha chiamato la moglie. Poi ha messo la mano sul ricevitore e mi ha detto: ‘Allora, affare fatto”.

“Sono rimasto assolutamente esterrefatto”, concluse. “E lo sono ancora questa mattina”.

Egli aveva fatto un enorme deposito sul Conto Corrente Emozionale dando a quell’uomo aria psicologica. Quando si arriva a quel punto, a parità di altre condizioni, le dimensioni tecniche dell’affare contano molto meno della dinamici umana.

Cercare prima di capire, diagnosticare prima di prescrivere: e difficile. E’ tanto più facile nel breve termine porgere a qualcuno un paio di occhiali che ci sono andati bene per molti anni. Ma nel lungo periodo P e CP si deprimono. Non potete ottenere la massima produzione interdipendente da una comprensione inesatta della posizione di altre persone. E non è possibile avere CP interpersonale - grossi Conti Correnti Emozionali - se la persona con cui vi relazionate non si sente veramente compresa.

L’ascolto empatico è anche rischioso. Ci vuole una buona dose di sicurezza per ascoltare profondamente, perché ci si apre ad essere influenzati. Diventiamo vulnerabili. Può essere un paradosso, in un certo senso, perché per poter esercitare influenza dobbiamo essere influenzati. Ciò significa che dobbiamo comprendere davvero.

Ecco perché le regole 1, 2 e 3 sono fondamentali. Esse ci forniscono quell’immutabile nucleo interiore, quel centro basato su principi, con il quale possiamo gestire la vulnerabilità più esteriore con serenità e con forza.

5.3 Diagnosticare prima di prescrivere

Sebbene rischioso e difficile, cercare prima di capire, o diagnosticare prima di prescrivere, è un principio corretto che si manifesta in molti settori della vita. È il segno distintivo dei veri professionisti. È essenziale per l’oculista, per il medico. Nessuno si fiderebbe della ricetta di un medico se non si fidasse della diagnosi.

Quando la nostra figlia Jenny aveva solo due mesi, si ammalò un sabato, il giorno di una partita di football che nella nostra città teneva in stato di eccitazione praticamente tutti. Era una partita importante, con circa 60.000 spettatori. Io e Sandra avremmo voluto andarci, ma non volevamo lasciare la piccola Jenny. I suoi sintomi, vomito e diarrea, ci avevano allarmati.

Il dottore era andato alla partita. Non era il nostro medico di famiglia, ma era l’unico che si potesse chiamare. Quando le condizioni di Jenny peggiorarono decidemmo di chiedere consiglio ad un medico.

Sandra fece il numero dello stadio e chiese che lo chiamassero con l’altoparlante. La partita era arrivata a un punto critico, e lei poté avvertire un tono serio nella voce del medico. “Sì?” disse con fare un po’ seccato. “Cosa c’è?”.

“Sono la signora Covey, dottore, e siamo preoccupati per nostra figlia Jenny”.

“Qual è la situazione?” chiese.

Sandra descrisse i sintomi, e lui disse: “Ok, detto una ricetta per telefono. Qual è la vostra farmacia?”.

Quando riappese, Sandra sentì che nella fretta non gli aveva fornito proprio tutti i dati, ma che quanto gli aveva detto era adeguato.

“Pensi che si renda conto che Jenny è solo una neonata?” le chiesi.

“Sono sicura di sì”, rispose lei.

“Ma non è il nostro medico. Non l’ha mai neppure avuta in cura”.

“Beh, sono piuttosto sicura che lo sappia”.

“Vuoi darle la medicina anche se non sei assolutamente sicura che lo sappia?”.

Sandra rimase in silenzio. “Cosa vogliamo fare?” chiese alla fine.

“Richiamalo”, risposi.

“Fallo tu”, replicò Sandra.

E così feci. Egli fu chiamato dall’altoparlante ancora una volta in piena partita. “Dottore”, dissi, “quando ci ha dettato quella ricetta aveva capito che Jenny ha solo due mesi?”.

“No!” esclamò. “Non me ne ero reso conto. Ha fatto a bene a richiamarmi. Cambio immediatamente la ricetta”.

Se non vi fidate della diagnosi, non potete fidarvi della ricetta.

Questo vale anche nel campo delle vendite. Il venditore di grande professionalità cerca prima di tutto di capire i bisogni, gli interessi, la situazione del cliente. Il venditore dilettante vende prodotti; il venditore di professione vende sistemi per soddisfare bisogni e risolvere problemi. È un approccio completamente diverso. Il professionista impara a diagnosticare, a capire. Impara inoltre il modo di mettere i suoi prodotti o i suoi servizi in rapporto ai bisogni delle persone. E deve essere tanto onesto da poter dire se necessario, nel rispetto della verità: “Il mio prodotto o servizio non può soddisfare quel dato bisogno.

Diagnosticare prima di prescrivere è fondamentale anche in campo legale. L’avvocato professionista raccoglie prima i fatti per capire la situazione, per capire le leggi e i precedenti poi prepara la causa. Un bravo avvocato scrive la memoria della propria controparte prima della propria.

E lo stesso vale per la creazione di prodotti. Immaginate un tizio in una ditta che si mette a dire: “Queste ricerche di mercato sono fesserie. Noi creiamo prodotti”. In altre parole, dimenticatevi di capire le regole del consumatore e le motivazioni dei suoi acquisti: semplicemente, si creino dei prodotti. Non funzionerebbe mai.

Un bravo ingegnere, prima di progettare e costruire un ponte, valuterà le forze e le tensioni che entreranno in gioco. Un bravo insegnante valuta le caratteristiche della classe prima d’insegnare. Un bravo studente prima comprende la materia e poi si applica allo studio. Un bravo genitore comprende i propri figli prima di valutarli o giudicarli. La chiave di un buon giudizio è la comprensione. Se si giudica prima, non si comprenderà mai a fondo.

Cercare prima di capire è un principio corretto evidente in tutti i settori della vita. E un principio generale, un comune denominatore, ma sprigiona la sua forza maggiore nel campo delle relazioni interpersonali.

5.4 Quattro risposte autobiografiche

Dato che ascoltiamo in modo autobiografico, tendiamo a rispondere in uno di questi quattro modi. Noi valutiamo: ci troviamo d’accordo o in disaccordo; inquisiamo: poniamo interrogativi partendo dal nostro modo di vedere le cose; consigliamo: forniamo consigli basati sulla nostra esperienza; oppure interpretiamo: cerchiamo di mettere a fuoco il prossimo, di spiegare le sue motivazioni, il suo comportamento, sulla base delle nostre motivazioni e del nostro comportamento.

Queste risposte ci vengono naturali. Ci siamo noi dentro di loro; tutta la nostra vita ruota intorno a risposte di questo tipo. Ma in che modo esse si riflettono sulla nostra capacità di capire veramente?

Se io cerco di comunicare con mio figlio, lui può sentirsi libero di aprirsi completamente nel momento in cui io valuto tutto quello che dice prima ancora che lo spieghi veramente? Gli sto dando aria psicologica?

E come si sente lui quando io inquisisco? Inquisire significa subissare di domande. E autobiografico, controlla, e invade. Inoltre è logico, e il linguaggio della logica è diverso dal linguaggio del sentimento e dell’emozione. Si può subissare di domande qualcuno tutto il giorno senza arrivare a scoprire che cos’è importante per lui. Questo continuo inquisire è uno dei principali motivi per cui i genitori non riescono ad avvicinarsi ai loro figli.

"Come va, figlio mio?”.

“Bene”.

“Che novità mi racconti?”.

“Nessuna”.

“Ci sarà qualcosa che ti entusiasma a scuola?”.

“Mica tanto.

“E cosa hai in mente di fare per il weekend?”.

“Non so”.

Non potete staccarlo dalle conversazioni telefoniche con gli amici, e tutto quello che ricaverete da lui sono risposte di una o due parole. La vostra casa è un albergo dove mangia e dorme, ma lui non si confida mai, non si apre mai.

E se ci pensate, onestamente, perché dovrebbe farlo, se ogni volta che si scopre un poco voi calate il vostro zampone da elefante con i vostri consigli autobiografici e i vostri “te l’avevo detto io”.

Queste risposte ci appartengono così profondamente che non ci rendiamo neppure conto quando le usiamo. Ho insegnato questo concetto a migliaia di persone in seminari in ogni angolo del paese, e non manca mai di colpire profondamente quando insceniamo situazioni dove, da vari ruoli, pratichiamo l’ascolto empatico e le persone finalmente cominciano ad accorgersi delle loro risposte tipiche. Ma non appena cominciano a capire come rispondono normalmente e imparano ad ascoltare con empatia, possono constatare i fantastici risultati a livello di comunicazione. Per molti, cercare prima di capire diventa la più eccitante, la più immediatamente applicabile di tutte le Sette Regole.

Vediamo come potrebbe essere una comunicazione tipica fra un padre e il suo figlio adolescente. Consideriamo le parole del padre in riferimento alle quattro diverse risposte che abbiamo appena descritto.

“Cavolo, papà, ho capito! La scuola va bene per i fessi!”.

“Cosa c’è che non va, figlio mio?” (inquisendo).

“Non ha niente di pratico. Io non ci cavo niente dalla scuola”.

“Beh, il fatto è che per ora non puoi vederne i benefici. Quando avevo la tua età ero della tua stessa idea. Ricordo che pensavo che certe materie fossero solo uno spreco di tempo. Ma più tardi quelle stesse materie si sono rivelate le più utili. Tu adesso bada solo a darci dentro. Dedica alla scuola ancora un po’ di tempo” (Consigliando).

“Dieci anni della mia vita ci ho dedicato! Mi sai dire che me ne farò io di un diploma a pieni voti quando sarò elettrauto?”.

“Elettrauto? Stai scherzando, vero?” (Valutando).

“No, no. Guarda Joe. Ha piantato la scuola e adesso ripara macchine. E fa una barca di soldi. Questo sì che è pratico”.

“Potrà sembrarti così adesso. Ma fra qualche anno Joe rimpiangerà di aver lasciato la scuola. Tu non vuoi diventare un elettrauto. Hai bisogno di un’istruzione che ti prepari per qualcosa di meglio” (Consigliando).

“Non lo so. Joe si è sistemato niente male”.

“Senti, ma almeno ci hai provato sul serio?” (Inquisendo, valutando).

“Sto facendo il liceo da due anni. Sicuro che ci ho provato. È solo uno spreco di tempo”.

“La tua è una scuola di prestigio, caro mio. Dovresti apprezzarla di più”. (Consigliando, valutando).

“Bah, gli altri ragazzi la pensano come me”.

“Ti rendi conto di quanti sacrifici io e tua madre abbiamo fatto per farti arrivare dove sei? Tu non puoi piantare tutto quando sei arrivato così avanti” (Valutando).

“Lo so che vi siete sacrificati, papà. Ma non ne valeva la pena”.

“Senti, forse se dedicassi più tempo ai compiti e meno alla Tv...” (Consigliando, valutando).

“Guarda, papà, semplicemente non fa per me. Oh... lasciamo perdere! Non ne voglio neanche più parlare”.

È ovvio che il padre era bene intenzionato. È ovvio che voleva offrire un aiuto. Ma ha almeno cominciato a capire veramente?

Osserviamo più attentamente il figlio: non le sue parole soltanto, ma i suoi pensieri e i sentimenti (qui espressi fra parentesi) e i possibili effetti di alcune delle risposte autobiografiche di suo padre.

“Cavolo, papà, ho capito! La scuola va bene per i fessi!” (Voglio parlare con te, avere la tua attenzione).

“Cosa c’è che non va, figlio mio?” (Allora sei interessato! Bene!).

“Non ha niente di pratico. Io non ci cavo niente dalla scuola”. (Per me la scuola è diventata un problema, e non ne posso proprio più).

“Beh, il fatto è che per ora non puoi vederne i benefici. Quando avevo la tua età ero della tua stessa idea” (Oh, no! Rieccoci all’ennesimo capitolo dell’autobiografia di papà. Non me ne frega proprio niente di quanti chilometri al giorno dovevi sfangarti nella neve senza neanche un paio di stivali ai piedi. E al mio problema che io voglio arrivare). “Ricordo che pensavo che certe materie erano solo uno spreco di tempo. Ma più tardi quelle stesse materie si sono rivelate le più utili. Tu adesso bada solo a darci dentro. Dedica alla scuola ancora un po’ di tempo” (Il tempo non risolverà il mio problema, papà. Vorrei potertelo dire. Vorrei soltanto poterlo sputare fuori).

“Dieci anni della mia vita ci ho dedicato! Mi sai dire che me ne farò io di un diploma a pieni voti quando sarò elettrauto?”.

“Elettrauto? Stai scherzando, vero?” (Non sarebbe contento di me se diventassi un elettrauto. Non sarebbe contento di me se non finissi la scuola. Devo giustificare quello che ho detto).

“No, no. Guarda Joe. Ha piantato la scuola e adesso ripara macchine. E fa una barca di soldi. Questo sì che è pratico”.

“Potrà sembrarti così adesso. Ma fra qualche anno Joe rimpiangerà di aver lasciato la scuola” (Oh, no! La solita lezione sul valore dell’istruzione). “Tu non vuoi diventare un elettrauto” (Cosa ne sai tu, papà? Ce 1 hai almeno un idea di quello che voglio?). “Hai bisogno di un’istruzione che ti prepari per qualcosa di meglio”.

“Non lo so. Joe si è sistemato niente male" (Non ò un fallito. Non ha finito la scuola e non è un fallito).

“Senti, ma almeno ci hai provato sul serio?” (Stiamo menando il can per l’aia, papà. Se solo mi dessi ascolto... ho veramente bisogno di parlarti di qualcosa d’importante).

“Sto facendo il liceo da due anni. Sicuro che ci ho provato. È solo uno spreco di tempo”.

“La tua è una scuola di prestigio, caro mio. Dovresti apprezzarla di più” (Fantastico, non c’è che dire. Adesso parliamo della credibilità della mia scuola. Io invece vorrei poter parlare di quello che sta a cuore a me).

“Bah, gli altri ragazzi la pensano come me” (Anch’io ho una certa credibilità. Non sono un deficiente).

“Ti rendi conto di quanti sacrifici io e tua madre abbiamo fatto per farti arrivare dove sei?” (Apriti o cielo, ecco la colpevolizzazione. Ebbene sì, sono un deficiente. La scuola è grande, papà e mamma sono grandi, e io sono un deficiente). “Tu non puoi piantare tutto quando sei arrivato così lontano”.

“Lo so che vi siete sacrificati, papà. Ma non ne valeva la pena” (Tu proprio non capisci).

“Senti, forse se dedicassi più tempo ai compiti e meno alla TV...” (Ma non è questo il problema, papà! Per niente! Non sarò mai capace di dirtelo. Sono stato uno sciocco a provarci).

“Niente, papà, semplicemente non fa per me. Oh... lasciamo perdere! Non ne voglio neanche più parlare”.

Riuscite a vedere i limiti che abbiamo quando cerchiamo di capire un’altra persona solamente attraverso le parole, e specialmente quando la osserviamo attraverso i nostri occhiali? Riuscite a vedere quanto sono limitanti le nostre risposte autobiografiche per qualcuno che sta sinceramente cercando di far sì che noi capiamo la sua autobiografia?

Noi non saremo mai in grado di entrare veramente in un altro, di vedere il mondo come lui lo vede, finché non svilupperemo il puro desiderio, la forza del carattere personale, e il Conto Corrente Emozionale positivo, nonché la capacità di ascolto empatico, necessari per ottenere questo.

La capacità, la punta dell’iceberg dell’ascolto empatico, implica quattro stadi di sviluppo.

Il primo e meno efficace è quello di imitare il contenuto. È la capacità insegnata con la tecnica dell’ascolto “attivo” o “riflessivo”. Senza la base costituita dal carattere e dalla relazione, spesso risulta insultante per le persone e le spinge a chiudersi. E ad ogni modo una capacità del primo stadio perché perlomeno vi induce ad ascoltare quanto viene detto.

Imitare il contenuto è facile. Basta ascoltare le parole che escono dalla bocca di qualcuno e ripeterle. Non c’è quasi neanche bisogno di usare un briciolo del proprio cervello.

“Cavolo, papà, ci sono arrivato! La scuola va bene per i fessi!”.

“Ci sei arrivato. Tu pensi che la scuola sia per i fessi”.

Sostanzialmente avete ripetuto e rilanciato il contenuto di quanto ò stato detto. Non avete valutato, inquisito, consigliato o interpretato. Avete perlomeno dimostrato che prestate attenzione alle sue parole. Ma per capire dovete fare di più.

Il secondo stadio dell’ascolto empatico è quello di riformulare il contenuto. È un po’ più efficace, ma è ancora limitato alla comunicazione verbale.

“Cavolo, papà, ci sono arrivato! La scuola va bene per i fessi!”.

“Tu non hai più voglia di andare a scuola”.

Questa volta avete trasposto il suo significato in parole vostre. Adesso state pensando a quello che ha detto, frutto principalmente dell’emisfero cerebrale sinistro, il lato raziocinante, logico del cervello.

Il terzo stadio fa entrare in funzione la parte destra del vostro cervello. Voi riflettete un sentimento.

“Cavolo, papà, ci sono arrivato! La scuola va bene per i fessi!”.

“Si vede proprio che a scuola ti senti frustrato”.

Adesso non state prestando così tanta attenzione a ciò che sta dicendo, quanto a come si sente rispetto a ciò che sta dicendo. Il quarto stadio include sia il secondo che il terzo. Riformulate il contenuto e riflettete il sentimento.

“Cavolo, papà, ci sono arrivato! La scuola va bene per i fessi!”.

“Sei proprio frustato sulla scuola”.

La frustrazione è il sentimento; la scuola è il contenuto. Usate entrambi i lati del vostro cervello per comprendere entrambi i lati della sua comunicazione.

Ora, quello che succede quando usate il quarto stadio dell’ascolto empatico è veramente incredibile. Quando cercate sinceramente di capire, quando riformulate il contenuto e riflettete il sentimento, date all’altra persona una bella boccata di aria psicologica. Inoltre l’aiutate a elaborare i suoi pensieri e sentimenti. Man mano che essa acquista fiducia nel vostro sincero desiderio di ascoltare e capire, la barriera fra ciò che ha dentro e quanto vi viene effettivamente comunicato scompare. Si apre un flusso da anima ad anima. L’altro non pensa e sente una cosa, e ne comunica un’altra. Egli comincia a nutrire fiducia in voi con i suoi sentimenti e pensieri più intimi.

“Cavolo, papà, ci sono arrivato! La scuola va bene per i fessi!” ( Voglio parlare con te, ricevere la tua attenzione).

“Si vede che a scuola ti senti frustrato” (Azzeccato in pieno! È così che mi sento).

“Certo che mi sento frustrato. Non ha niente di pratico. Io non ci cavo niente dalla scuola”.

“Insomma pensi che la scuola non ti sia di nessun beneficio” (Vediamo un po’... è questo che intendo dire?).

“Beh, sì. Io non imparo niente che possa aiutarmi. Guarda Joe. Ha piantato la scuola e adesso ripara macchine. E fa una barca di soldi. Questo si che è pratico”.

“Secondo te Joe ha avuto un’idea giusta” (Beh...).

“Beh, credo di sì, in un certo senso. Sta facendo un bel po’ di grana. Ma fra pochi anni scommetto che si mangerà i gomiti”.

“Pensi che Joe capirà a un certo punto di aver preso una decisione sbagliata?”.

“Certo. Pensa solo a cosa rinuncia. Se non hai un’istruzione, voglio dire, non puoi farcela a questo mondo”.

“L’istruzione è importante, eccome”.

“Eh, già. Se non hai un diploma, se non riesci ad avere un lavoro o ad andare all’università, che cos’altro puoi fare? L’istruzione ci vuole”.

“E importante per il tuo futuro”.

‘Lo è senz’altro. E... sai una cosa? Sono davvero preoccupato. Senti, non andrai mica a dirlo alla mamma, vero?”.

“Non vuoi che tua madre venga a saperlo?”.

“Non proprio. Oh, penso che puoi dirglielo. Probabilmente verrà a saperlo comunque. Pensa, quest’oggi ho fatto una prova, una prova di lettura. E, papà, l’insegnante mi ha detto che leggo benissimo e con espressione! E dire che ho appena cominciato le medie!”.

Che differenza può fare una reale comprensione! Tutti i consigli del mondo permeati delle migliori intenzioni non valgono praticamente niente se non ci rivolgiamo neppure al vero problema. E non arriveremo mai al problema se continueremo a restare tanto impigliati nella nostra autobiografia, nei nostri paradigmi, da non toglierci gli occhiali abbastanza a lungo da vedere il mondo da un altro punto di vista.

“Sto per essere bocciato, papà. Se mi bocceranno dovrò lasciare la scuola. Ma io non voglio lasciare la scuola”.

“Ti senti diviso. Sei alle prese con un dilemma”.

“Cosa pensi che dovrei fare, papà?”.

Cercando prima di tutto di comprendere, questo padre ha trasformato un’opportunità di transazione in un’opportunità di trasformazione. Invece d’interagire a un livello superficiale di comunicazione e limitarsi a esortare il figlio a compiere il suo lavoro, ha creato una situazione in cui ora può avere un impatto trasformatore, non solo su suo figlio ma anche sul rapporto. Mettendo da parte la sua autobiografia e cercando realmente di comprendere, ha fatto un colossale deposito sul Conto Corrente Emozionale e ha dato modo a suo figlio di aprirsi, per gradi, fino a giungere al vero problema.

Ora padre e figlio stanno guardando il problema dallo stesso lato del tavolo, invece di sedere ai lati opposti guardandosi l’un l’altro. Il figlio apre l’autobiografia di suo padre e chiede consiglio.

Il padre, anche quando comincia a impartire i suoi consigli, deve essere sensibile a quanto gli viene comunicato dal figlio. Fintanto che la risposta è logica, il padre può efficacemente porre domande e dare consigli. Ma nel momento in cui la risposta diventa emozionale deve tornare all’ascolto empatico.

“Senti, io riesco a vedere certe cose che forse vorrai prendere in considerazione”.

“Per esempio, papà?”.

Per esempio cercare di metterti in pari con un corso speciale. Mi pare che ve ne siano all’istituto tecnico”.

"Sono già andato a informarmi. Il corso prende due sere alla settimana e tuttala giornata di sabato. Un mucchio di tempo!”.

Avvertendo dell’emozione nella risposta, il padre torna all’empatia: “Già, è un prezzo un po’ salato da pagare”.

"Senza contare, papà, che ho detto a quelli delle medie che gli avrei fatto da allenatore”.

"E tu non vuoi deluderli”.

"Ma ti dico una cosa, papà. Se pensassi davvero che il corso mi sarebbe d'aiuto, ci andrei. Incaricherei qualcun altro di fare l’allenatore di quei ragazzi .

"Tu vuoi seriamente essere aiutato, ma dubiti che il corso farebbe qualche differenza”.

"Tu pensi che mi aiuterebbe, papà?”.

Il figlio è ancora una volta aperto e logico. Sta aprendo ancora una volta l’autobiografia di suo padre. Ora il padre ha un’altra occasione di influenzare e trasformare.

Talvolta la trasformazione non richiede nessun consiglio esterno. E spesso, quando alle persone viene data realmente l’opportunità di aprirsi, esse mettono a nudo i loro problemi, e le soluzioni gli appaiono chiare.

Altre volte hanno davvero bisogno di maggiore prospettiva e di aiuto. La chiave consiste nel ricercare sinceramente il bene dell’individuo, nell’ascoltarlo con empatia, nel lasciare che egli giunga al problema e alla soluzione secondo la sua velocità, secondo i suoi tempi abituali. Strato dopo strato: come quando si sbuccia una cipolla finché non si arriva al delicato nucleo interno.

Quando le persone stanno veramente male e voi le ascoltate con un puro desiderio di capire, vi stupirete della rapidità con cui si aprono. Esse vogliono aprirsi. I bambini vogliono disperatamente aprirsi, ancor di più con i loro genitori che con i loro coetanei. E si aprono, se sentono che i loro genitori li amano incondizionatamente e che gli saranno fedeli senza giudicarli o prenderli in giro.

Se cercate davvero di comprendere, senza la minima ipocrisia, a volte resterete letteralmente sbalorditi dalla pura conoscenza e dalla comprensione che vi giungeranno da un altro essere umano. Non è neppure sempre necessario parlare per creare empatia. Anzi, talvolta le parole possono rivelarsi di ostacolo. Ecco un importantissimo motivo per cui la tecnica da sola non funziona. Quel tipo di comprensione trascende la tecnica. La pura tecnica è soltanto un impiccio.

Mi sono soffermato sulle capacità di ascolto empatico perché la capacità è una parte importante di qualsiasi regola. Possedere certe capacità è necessario. Ma mi sia consentito di ripetere che le capacità non sono efficaci se non provengono da un sincero desiderio di capire. Le persone si risentono di qualsiasi tentativo di manipolarle. Infatti, se si ha a che fare con qualcuno che ci è vicino, è utile dirgli che cosa si sta facendo. “Ho letto questo libro sull’ascolto e 1 empatia, e ho pensato al mio rapporto con te. Mi sono reso conto che non ti ho ascoltato come avrei dovuto. Ma io voglio ascoltarti. È difficile per me. A volte magari trascuro di farlo, ma ho intenzione di mettermici d’impegno. Tu mi stai molto a cuore e io voglio capire. Spero che mi aiuterai”. Affermare la vostra motivazione costituisce un deposito enorme.

Ma se non siete sinceri, non ci provate neppure. Si potrebbero creare una breccia e una vulnerabilità che in seguito si volgerebbero a vostro danno qualora una persona scoprisse che non vi importa veramente di lei, che non la volevate veramente ascoltare, e che l’avete lasciata allo scoperto, vulnerabile e ferita. La tecnica, la punta dell’iceberg, deve poggiare sulla solida base del carattere sottostante.

C’è chi obietta che l’ascolto empatico richiede troppo tempo. Può richiedere un po’ più di tempo all’inizio, ma ne fa risparmiare una gran quantità in seguito. La cosa più efficace che si può fare se si è un medico e si vuol prescrivere la giusta cura è quella di emettere una diagnosi accurata. Non si può dire: “Ho fretta. Non ho tempo di fare una diagnosi. Si accontenti di questa medicina”.

Ricordo che una volta stavo scrivendo in una stanza sulla costa settentrionale di Oahu, nelle Hawaii. Spirava una lieve brezza, e quindi avevo aperto due finestre - una di fronte e una laterale - per rinfrescare la stanza. Su un ampio tavolo avevo spiegato una quantità di fogli, disposti capitolo per capitolo.

Improvvisamente la brezza si trasformò in vento e sparpagliò i fogli per la stanza. Ricordo l’affranto senso di disagio che mi colse perché le cose non erano più al loro posto, comprese pagine non numerate. Mi misi a correre per la stanza cercando disperatamente di riacchiappare i fogli e di riordinarli. Alla fine mi resi conto che avrei fatto meglio a lasciar stare per dieci secondi e andare a chiudere una delle finestre.

L’ascolto empatico richiede tempo, ma molto meno di quanto ce ne vuole per capire e correggere errori di valutazione quando ci si è già spinti molto avanti, per rifare le cose, per convivere con problemi inespressi o irrisolti, per vedersela con le conseguenze dell’aver negato agli altri aria psicologica.

Un ascoltatore empatico dotato di discernimento può intuire rapidamente quanto sta avvenendo, e può mostrare una tale capacità di accettazione e di comprensione che gli altri si sentono abbastanza sicuri da aprirsi strato dopo strato, fino a quel delicato nucleo interno dove realmente sta il problema.

Le persone vogliono essere comprese. E quale che sia l’investimento di tempo necessario per giungere a tale comprensione, il risparmio di tempo sarà di gran lunga maggiore per chi avrà lavorato partendo da un’accurata conoscenza dei problemi e della situazione, e dall’alto Conto Corrente Emozionale che ne deriva quando qualcuno si sente profondamente capito.

5.5 Comprensione e percezione

Nell’imparare ad ascoltare profondamente gli altri scoprirete enormi differenze in fatto di percezione. Comincerete anche a rendervi conto dell’impatto che queste differenze possono avere quando le persone cercano di lavorare insieme in situazioni interdipendenti.

Tu vedi la giovane donna; io vedo la vecchia. Ed entrambi possiamo aver ragione.

Tu vedi il mondo attraverso occhiali che mettono al centro della tua visuale il tuo coniuge; io posso vederlo attraverso occhiali che mettono a fuoco l’aspetto monetario ed economico delle cose.

Il tuo copione potrà ispirarsi alla mentalità dell’abbondanza; il mio alla mentalità della penuria.

Magari tu affronti i problemi partendo da un paradigma altamente visuale, intuitivo, globale, “cerebrodestro”, mentre invece io ho un approccio molto “cerebrosinistro”, cioè molto sequenziale, analitico e verbale.

I nostri modi di percepire le cose possono essere molto diversi. Eppure sia tu che io abbiamo vissuto con i nostri paradigmi per anni, pensando che fossero dei "fatti”, e criticando il carattere o contestando la competenza mentale di chiunque non riuscisse a “vedere i fatti”.

Ora, con tutte le nostre differenze, cerchiamo di lavorare insieme - in un matrimonio, in un lavoro, in un programma di assistenza sociale - per gestire certe risorse e conseguire certi risultati. E come otteniamo questo? Come trascendiamo i limiti delle nostre capacità di percezione individuali così da poter comunicare profondamente, per poter affrontare i problemi in modo cooperativo e giungere a soluzioni vinco/vinci?

La risposta è la regola 5. È il primo passo nel processo vinco/vinci. Anche se (e specialmente quando) l’altra parte non ha quel tipo di paradigma, cercate prima di tutto di comprendere.

Questo principio funzionò in modo spettacolare per un dirigente che mi raccontò la seguente esperienza.

“Lavoravo con una piccola impresa che era in trattative per un contratto con un importante istituto di credito a livello nazionale. Questo istituto bancario fece arrivare in volo da San Francisco i suoi avvocati, dall’Ohio il suo negoziatore, e i direttori di due grosse banche consociate per formare un team di otto persone da incaricare delle contrattazioni. La ditta per cui lavoravo aveva deciso per una soluzione vinco/vinci, oppure niente di fatto. Voleva incrementare in modo significativo il livello del servizio e il costo, ma era stata quasi sopraffatta dalle richieste di quel grosso istituto finanziario.

“Il direttore della nostra compagnia si mise al tavolo delle contrattazioni e disse ai rappresentanti dell’istituto di credito: ‘È nostro desiderio che voi scriviate il contratto nel modo che volete; così potremo essere sicuri di comprendere i vostri bisogni e le vostre preoccupazioni. Noi risponderemo a tali bisogni e preoccupazioni. Poi potremo parlare dei costi”.

“I membri del team dell’istituto bancario rimasero esterrefatti. Quasi non riuscivano a credere di avere l’opportunità di stilare il contratto. Per prepararlo ci misero tre giorni”.

“Quando lo presentarono, il direttore disse: ‘Ora vogliamo essere sicuri di capire quello che volete’. E tornò al contratto, riformulandone il contenuto in modo che riflettesse lo spirito dell’accordo, finché lui e gli altri non furono sicuri che egli comprendeva che cos'era importante per loro. ‘Sì. Questo va bene. No, non è esattamente questo che intendevamo qui... sì, adesso sì che ci siamo'”.

“Quando ebbe compreso a fondo il loro punto di vista, passò a spiegare alcune preoccupazioni dal suo punto di vista... ed essi ascoltarono. Erano disposti ad ascoltare. Non dovevano lottare per avere aria. Quello che era cominciato in un’atmosfera molto formale, di scarsa fiducia, quasi ostile, si era trasformato in un ambiente favorevole alla sinergia”.

“Alla conclusione delle discussioni, i membri del team addetto alle contrattazioni dissero sostanzialmente: ‘Vogliamo lavorare con voi. Vogliamo stipulare questo affare. Fateci solo sapere qual è il prezzo e firmiamo’”.

5.6 Poi cercare di farsi capire

Prima cerca di capire... poi di farti capire. Sapersi far comprendere è l’altra metà della regola 5, ed è altrettanto essenziale per giungere a soluzioni vinco/vinci.

In precedenza abbiamo definito la maturità come l’equilibrio fra coraggio e considerazione. Cercare di capire richiede considerazione; cercare di essere compresi richiede coraggio. Vinco/vinci richiede una buona dose di entrambe le cose. Così è importante per noi farci comprendere in situazioni di interdipendenza.

Gli antichi greci avevano una magnifica filosofia che si può riassumere in tre parole disposte in sequenza: ethos, pathos e logos. A mio avviso queste tre parole contengono l’essenza del cercare in primo luogo di comprendere e del fare presentazioni efficaci.

Ethos è la vostra credibilità personale, la fiducia che gli altri hanno nella vostra integrità e competenza. È la fiducia che ispirate, il vostro Conto Corrente Emozionale. Pathos è il lato empatico: è il sentimento. Significa che siete in sintonia con la tensione emotiva della persona che comunica con voi. Logos è la logica, la parte raziocinante della presentazione.

Notate la sequenza: ethos, pathos, logos - il vostro carattere, il vostro carattere nel contesto dei vostri rapporti umani, e infine la logica del vostro modo di presentare le cose. Questo costituisce un altro fondamentale cambio di paradigma. La maggior parte delle persone, nel presentare le proprie posizioni, vanno direttamente al logos, alla logica “cerebrosinistra”, delle loro idee. Cercano di convincere gli altri della validità di tale logica senza prima prendere in considerazione ethos e pathos.

Un mio conoscente si sentiva molto frustrato perché pensava che il suo capo fosse prigioniero di uno stile di leadership che egli giudicava improduttivo. “Perché non fa qualcosa?” mi chiese. “Gliene ho parlato, lui si rende conto del problema ma non fa niente per risolverlo”.

“Beh, perché non gli ha fatto una presentazione efficace?” domandai.

“L’ho fatto”, fu la risposta.

“Come definisce lei il termine ‘efficace’? Chi è che rimandiamo a scuola quando il venditore non riesce a vendere: l’acquirente? Efficace significa che funziona; significa P/CP. Lei ha creato l’occasione che voleva? Ha sviluppato gradualmente il rapporto? Quali sono stati i risultati della sua relazione?”.

“Io gli ho detto come stanno le cose, ma lui non ha fatto niente. Non mi ha dato ascolto”.

“Allora presenti la situazione in modo efficace. Lei deve “empatizzare” con la sua mente. Deve penetrare nel suo modo di pensare. Deve esprimere la propria opinione in modo semplice e visivo e descrivere l’alternativa da lei preferita meglio di quanto egli stesso potrebbe fare. Questo richiederà un certo lavoro preparatorio. È disposto ad accollarselo?”.

“Perché dovrei sobbarcarmi tutto questo?” chiese.

“In altre parole, vuole che lui cambi completamente il suo stile di leadership e non è disposto a cambiare il suo modo di presentare la situazione?”.

“Penso che si possa metterla in questi termini”, confermò.

“Begh, allora” commentai, “ci faccia sopra un bel sorriso e impari a convivere con la situazione”.

“Ma io non posso conviverci”, protestò. “Compromette la mia integrità”.

“Benone, allora si metta al lavoro per preparare un’efficace relazione. Questo compete alla sua sfera d’influenza”.

Alla fine, non si sentì di farlo. L’investimento gli parve troppo grande.

Un altro mio conoscente, professore universitario, fu disposto a pagare il prezzo. Un giorno venne da me e mi disse:

“Stephen, non riesco neppure a cominciare a porre le basi per ottenere un finanziamento perché la mia ricerca non s’inquadra esattamente negli interessi prevalenti di questo dipartimento”.

“Se fossi in te”, suggerii, “preparerei un’efficace relazione con un debito impiego di ethos, pathos e logos. So che sei sincero e che la ricerca che vuoi fare porterebbe grandi benefici. Descrivi l’alternativa favorita dai professori del tuo dipartimento meglio di quanto potrebbero fare loro stessi. Dimostra che li comprendi profondamente. Poi spiega con cura la logica alla base della tua richiesta”.

“Bene, ci proverò”, assentì.

“Vuoi esercitarti un po’ con me?” gli proposi. Lui si mostrò ben disposto, e così facemmo le prove generali della sua presentazione.

Quando si recò a esporre la sua relazione, cominciò il discorso col dire: “Ora vorrei vedere se prima di tutto capisco quali sono i vostri obiettivi, e quali possono essere le vostre eventuali riserve circa questa relazione e le mie raccomandazioni”.

Si concesse il tempo necessario per farlo lentamente, gradualmente. Nel bel mezzo della sua relazione, mentre stava ancora dimostrando quanto profonda fosse la sua comprensione e quanto grande fosse il suo rispetto per il punto di vista dei suoi interlocutori, un professore anziano si volse a un suo collega, annuì con il capo, si girò di nuovo verso il mio conoscente e disse: “Il finanziamento le è accordato”.

Quando potete presentare le vostre idee in modo chiaro, specifico, visuale e, cosa più importante di tutte, contestualizzato - che significa nel contesto di una profonda comprensione dei paradigmi e degli interessi degli altri - accrescete in modo considerevole la credibilità delle vostre idee.

Voi non siete i messia del vostro verbo personale, tutti infervorati a predicare con retorica magniloquenza da un palco di fortuna. Voi comprendete sul serio. Quello che presentate può anche essere diverso da quello che avevate pensato in un primo tempo perché, nel vostro sforzo di capire, avete imparato.

La regola 5 conferisce alle vostre comunicazioni una maggior accuratezza, una maggiore coerenza. E gli altri se ne rendono conto. Capiscono che presentate le idee in cui credete sinceramente, prendendo in considerazione tutti i fatti noti e i vari modi di percepirli, e soprattutto capiscono che il beneficio sarà comune.

5.7 A tu per tu

La regola 5 è potente perché sta esattamente nel mezzo della vostra sfera d’influenza. In situazioni d’interdipendenza molti fattori si collocano nella vostra sfera di coinvolgimento: problemi, disaccordi, circostanze, il comportamento altrui. E se concentrate le vostre energie su questi fattori esterni, le esaurite con scarsi risultati.

Ma potete sempre cercare in primo luogo di comprendere. Questo è sotto il vostro controllo. E quando vi sforzate, quando vi focalizzate sulla vostra sfera d’influenza, arrivate a comprendere veramente e profondamente gli altri. Disponete di informazioni accurate con cui lavorare, arrivate rapidamente al nocciolo delle questioni, sviluppate conti correnti emozionali e date agli altri l’aria psicologica di cui hanno bisogno, così da poter realizzare un’efficace collaborazione.

E l’approccio inside-out. E, mentre lo applicate, osservate che cosa accade alla vostra sfera d’influenza. Dato che ascoltate veramente, diventate influenzabili. Ed essere influenzabili è una condizione indispensabile per poter influenzare gli altri. La vostra sfera d’influenza comincia a espandersi. Aumentate la vostra capacità d’influire su molte delle cose all’interno della vostra sfera d’influenza.

E osservate quello che succede a voi stessi. Più profondamente capite le altre persone, più le apprezzate, più avvertite rispetto per loro. Toccare l’anima di un altro essere umano significa camminare su suolo sacro.

La regola 5 è qualcosa che potete praticare fin d’ora. La prossima volta che comunicate con qualcuno, potete lasciare da parte la vostra autobiografia personale e cercare di comprendere davvero. Anche quando gli altri non vogliono confidare i loro problemi, potete provare empatia. Potete leggere nei loro cuori, potete avvertire se si sentono offesi o depressi, e potete rispondere. “Sembri giù di corda quest’oggi”. Può darsi che l’altro non dica niente. Va bene lo stesso. Avete dimostrato comprensione e rispetto.

Non siate invadenti; siate pazienti; siate rispettosi. Non c’è bisogno che l’altro si apra verbalmente perché possiate “empatizzare”. Potete empatizzare continuamente con il suo comportamento. Potete essere perspicaci, sensibili e consapevoli, e quando si renda necessario potete vivere fuori dalla vostra autobiografia.

E se siete altamente proattivi potete creare opportunità per svolgere del lavoro preventivo. Per cominciare a capire non c’è bisogno che aspettiate che vostro figlio o vostra figlia abbiano problemi scolastici oppure che vi si presenti la prossima contrattazione d’affari.

Passate del tempo con i vostri figli adesso, comunicate con loro a tu per tu e a cuore aperto. Ascoltateli; capiteli. Guardate i vostri familiari, la vita scolastica ilei vostri figli, le sfide e i problemi che si trovano a dover affrontare, guardate attraverso i loro occhi. Arricchite il Conto Corrente Emozionale. Dategli tutta l’aria psicologica che gli serve per respirare.

Uscite regolarmente con vostro marito o vostra moglie. Andate a cena fuori o fate insieme qualcosa che piace ad entrambi. Ascoltatevi a vicenda; cercate di capirvi. Osservate la vita ciascuno con gli occhi dell’altro.

Il tempo che passo ogni giorno con Sandra è qualcosa che non scambierei con nient’altro al mondo. Oltre a cercare di comprenderci a vicenda, spesso dedichiamo del tempo a far pratica di ascolto empatico, affinché questa capacità possa aiutarci a comunicare con i nostri figli.

Spesso ci confidiamo i nostri diversi modi di percepire la situazione, e cerchiamo di inscenare, interpretando vari ruoli, approcci più efficaci a difficili problemi interpersonali all’interno della famiglia.

Per esempio io faccio la parte di un figlio o di una figlia che chiede un determinato privilegio anche se è venuta meno a una fondamentale responsabilità familiare, e Sandra fa la parte di se stessa.

Noi interagiamo con il passato e con il futuro e cerchiamo di visualizzare la situazione in un modo molto reale, così da esercitarci ad essere coerenti nel compito di fare da modello per i nostri figli e di insegnare loro retti principi. Alcune delle nostre sceneggiate più utili nascono dalla riproduzione di qualche episodio passato un po’ burrascoso e in cui uno di noi perse la pazienza.

Il tempo investito nel comprendere profondamente i nostri cari porta enormi dividendi in una comunicazione aperta. Molti dei problemi che coinvolgono le famiglie e i matrimoni non hanno semplicemente il tempo di degenerare. La comunicazione diventa così aperta che problemi potenziali possono essere stroncati sul nascere. E se si presentano problemi, nel Conto Corrente Emozionale ci sono grandi riserve di fiducia per poterli affrontare.

In azienda, potete di trovarvi con i vostri dipendenti per discutere a quattr’occhi. Ascoltateli, capiteli. Nella vostra azienda stabilite una specie di contabilità delle risorse umane, o sistemi d’informazione pertinenti che vi consentano di avere un riscontro onesto e accurato ad ogni livello: da clienti, fornitori e dipendenti. Fate sì che l’elemento umano sia importante quanto quello finanziario o quello tecnico. Quando in azienda attingete dalle risorse umane, risparmiate enormi quantità di tempo, energia e denaro a ogni livello. Quando ascoltate, imparate. E inoltre date a coloro che lavorano per voi e con voi una riserva d’aria psicologica. Ispirate una lealtà che va molto oltre le richieste fisiche di un lavoro “dalle otto alle cinque”.

Cercate per prima cosa di capire. Prima che i problemi si presentino, prima di cercare di valutare e di prescrivere, prima di cercare di presentare le vostre idee, cercate di comprendere. È una formidabile regola di interdipendenza efficace.

Quando noi realmente, profondamente, ci capiamo gli uni con gli altri, apriamo le porte a soluzioni creative e a terze alternative. Le nostre differenze non rappresentano ostacoli per la comunicazione e il progresso. Diventano invece trampolini di lancio per il raggiungimento della sinergia.

Suggerimenti pratici

  1. Scegliete un rapporto dove sentite di avere il conto corrente emozionale in rosso. Cercate di capire la situazione e di descriverla per iscritto dal punto di vista dell’altro. Nella vostra successiva interazione, ascoltate per capire, confrontando quanto ascoltato con quanto scritto. Fino a che punto sono state valide le vostre congetture? Avevate compreso veramente il punto di vista dell’altra persona?
  2. Condividete il concetto di empatia con una persona molto vicina a voi. Ditele che volete applicarvi ad ascoltare realmente gli altri e chiedetele un riscontro nell’arco di una settimana. Come vi sentivate? Come si è sentita quella persona?
  3. La prossima volta che avete l’occasione di osservare persone che comunicano fra loro, copritevi le orecchie per qualche minuto e limitatevi ad osservare. Quali emozioni vengono comunicate che possono non essere espresse unicamente a parole?
  4. La prossima volta che vi sorprendete a ricorrere in modo scorretto a una delle risposte autobiografiche - inquisendo, valutando, consigliando o interpretando - cercate di trasformare la situazione in un deposito riconoscendo il vostro sbaglio e chiedendo scusa. (“Mi spiace, ora mi rendo conto che non sto veramente cercando di capire. Non possiamo cominciare da capo?”).
  5. Basate la vostra prossima presentazione sull’empatia. Descrivete il punto di vista dell’altro come lui lo descriverebbe, o ancora meglio; poi cercate di far sì che comprenda il vostro modo di vedere le cose dal suo punto di vista.