Principi di leadership personale

Ciò che abbiamo dietro di noi e ciò che abbiamo davanti a noi è irrilevante rispetto a ciò che abbiamo dentro.

Oliver Wendell Holmes

Ora ti pregherei di trovarti un posto dove poter leggere le pagine successive restando solo e senza che niente possa interromperti. Sgombra la mente da tutto, fuorché da quello che leggerai e che io t’inviterò a fare. Non pensare al lavoro, al fari, famiglia o amici. Concentrati su quanto ti dico e cerca veramente di aprire la mente.

Cerca di immaginarti mentre stai per andare al funerale di una persona cara. Stai guidando l’auto verso la camera ardente, parcheggi ed esci dall’auto. Entrando nell’edificio puoi vedere i fiori, sentire l’organo che suona. Nel corridoio vedi volti di amici e familiari. Senti che ti accomuna a loro il dolore per la perdita, l’altra faccia della gioia di aver conosciuto il defunto.

Poi entri nella camera ardente, guardi il feretro, e improvvisamente ti trovi taccia a faccia con te stesso. Quello è il tuo funerale, di qui a tre anni. Tutte quelle persone sono venute per onorarti, a testimoniare i loro sentimenti di amore e di apprezzamento per quanto hai fatto.

Prendi una sedia e, nell’attesa che inizi la cerimonia funebre, dai una scorsa al programma che hai in mano. Prenderanno la parola quattro persone. Un congiunto: figlio o genitore, fratelli, sorelle, nipoti, arrivati da ogni dove per l’occasione. il tuo migliore amico, la persona che meglio ti conosceva. Il terzo a parlare sarà un tuo collega di lavoro. Il quarto sarà un membro dell’associazione sportiva o culturale di cui hai fatto parte.

Adesso rifletti profondamente. Che cosa ti piacerebbe che ciascuna di queste persone dicesse di te e della tua vita? Che tipo di marito, moglie, padre o madre vorresti apparire attraverso le loro parole? Che tipo di figlio o figlia o amico, collega? Guarda attentamente i presenti. In che modo vorresti aver influito sulla loro vita?

Prima di leggere oltre, prenditi qualche minuto per mettere su carta le tue impressioni. Questo ti permetterà di comprendere meglio dal punto di vista personale la regola 2.

2.1 Cosa significa “Comincia pensando alla fine”

Se hai partecipato seriamente a questa esperienza di visualizzazione, hai sfiorato per un momento alcuni dei tuoi valori profondi, fondamentali. Hai stabilito un breve contatto con il sistema interiore di guida situato nel cuore della tua sfera d’influenza.

Considera le parole di Joseph Addison:

Quando guardo la tomba dei grandi, ogni sentimento d’invidia muore in me; quando leggo gli epitaffi di chi fu di grande bellezza, ogni mio desiderio sregolato scompare; quando incontro il cordoglio di genitori chini su un tumulo, il cuore mi si stringe per la pietà; quando vedo la tomba dei genitori stessi, medito sulla vanità di piangere per noi, che dovremo seguirli fra breve; quando vedo i re giacere accanto a coloro che li detronizzarono, quando penso a ingegni rivali sepolti fianco a fianco, o agli uomini di religione che divisero il mondo con le loro controversie e le loro dispute, rifletto con doloroso stupore sulle meschine competizioni, fazioni e diatribe dell’umanità. Quando leggo le date sulle lapidi, e vedo che qualcuno è morto ieri e qualcun altro seicento anni fa, il mio pensiero va al grande giorno in cui tutti saremo contemporanei e faremo la nostra ricomparsa insieme.

Anche se la regola 2 vale per molte circostanze diverse e diverse fasi della vita, la sua applicazione principale è legata a iniziare oggi ad avere l’immagine, la raffigurazione o il paradigma della fine della nostra vita, come quadro di riferimento o come criterio in base al quale esaminare ogni altra cosa. Ogni parte della nostra vita - comportamento di oggi, di domani, della settimana prossima, del mese prossimo - può essere esaminata nel contesto globale, di quello che veramente conta di più per noi. Avendo chiaramente in mente la fine, possiamo assicurarci che qualsiasi cosa facciamo in un qualsiasi giorno non violi il criterio che abbiamo definito di massima importanza, e che ogni giorno della nostra vita contribuisca in modo significativo alla visione che abbiamo della nostra vita.

Cominciare pensando alla fine significa iniziare con una chiara comprensione della nostra destinazione. Significa sapere dove siamo diretti, così da capire meglio dove ci troviamo ora e far sì che i passi da noi compiuti siano sempre nella direzione giusta.

E incredibilmente facile essere intrappolati in un’attività sbagliata, un’attività fine a se stessa, nel lavorare sempre più duramente per arrampicarsi sulla scala del successo solo per scoprire che è appoggiata sul muro sbagliato. È possibile essere impegnati, molto impegnati, senza essere efficaci.

Spesso le persone si trovano a ottenere vittorie prive di significato, successi ottenuti a spese di cose che improvvisamente si riconoscono come di gran lunga più preziose. In qualsiasi campo di attività, medici, insegnanti, attori, uomini politici o d affari, atleti o idraulici, lottano spesso per ottenere un reddito più alto, un maggior riconoscimento o un certo grado di competenza professionale, solo per scoprire che le energie spese per conseguire tali obiettivi li hanno resi ciechi nei confronti delle cose che in realtà contavano di più e che adesso sono irrimediabilmente perdute.

Ben diverse sono le nostre vite quando sappiamo davvero che cos’è importante per noi e, tenendo questa idea in mente, ci sforziamo ogni giorno di essere e di fare quello che conta realmente di più. Se la scala non è appoggiata al muro giusto, ogni passo che muoveremo non farà che farci arrivare più in fretta nel posto sbagliato. Possiamo essere molto impegnati, possiamo essere molto efficienti, ma saremo anche efficaci solo quando cominceremo pensando con la fine in testa.

Se hai considerato attentamente quello che avresti voluto venisse detto di te nell’esperienza del funerale, vi troverai la tua definizione di successo. Può essere molto diversa dalla definizione che pensavi di avere in mente. Forse fama, successo, denaro o qualcuna delle altre cose per cui lottiamo con così tanto impegno, non fanno neppure parte del muro giusto.

Quando cominciamo pensando alla fine, otteniamo una diversa prospettiva. Un uomo chiese a un altro, alla morte di un amico comune: “Quanto ha lasciato?”. E l’altro rispose: “Tutto”.

2.2 Tutte le cose sono create due volte

Comincia pensando alla fine” si basa sul principio che tutte le cose sono create due volte. In tutte le cose c’è una prima creazione, quella mentale, e una seconda creazione, quella fisica.

Prendiamo per esempio la costruzione di una casa. Viene portata a termine in ogni particolare prima ancora che venga piantato il primo chiodo. Prima si cerca di avere un idea molto chiara del tipo di casa che si vuole. Se desideriamo una casa per la famiglia, con dei bambini, il progetto prevedrà un grande soggiorno, dove poter stare. Ci saranno porte scorrevoli ed un giardino con dei giochi. Lavorate su idee. Si lavora con la propria mente finché non si arriva ad avere un’immagine chiara di tutto quello che si vuole costruire.

Poi la si traduce in un progetto e si sviluppano i piani di costruzione. Tutto questo viene fatto prima che si sia toccato una sola volta il terreno. Se questo non accade, in fase di seconda creazione, la creazione fisica, sarà necessario fare modifiche costose che potrebbero far raddoppiare il costo della casa.

La regola del carpentiere è “misura due volte, taglia una volta sola”. Bisogna assicurarsi che il progetto, la prima creazione, sia veramente quello che si vuole, che tutto sia stato pensato nel più piccolo dettaglio. Poi lo si realizza in mattoni e calce. Ogni giorno si va in cantiere, si guarda il progetto e si danno gli ordini per il lavoro della giornata. Si comincia pensando alla fine.

Questo accade anche nel campo degli affari. Se si vuol avere un’impresa di successo, bisogna definire con chiarezza che cosa si sta cercando di realizzare. Bisogna riflettere accuratamente sul prodotto o servizio che si vuole fornire e quale è il target che si vuole raggiungere; in seconda battuta si organizzano tutti gli aspetti correlati - finanziari, di ricerca e sviluppo, prodotto, marketing, risorse umane, ... - per raggiungere questo obiettivo. Tanto più si comincia tenendo presente il punto di arrivo, quanto più è possibile prevedere se si sarà in grado oppure no di creare un’impresa di successo. La maggior parte dei fallimenti nel mondo degli affari cominciano nella prima creazione, con problemi come l’inadeguato investimento di capitali oppure errori di marketing o di pianificazione.

Lo stesso vale nell’essere genitori. Se vuoi crescere figli responsabili, autodisciplinati, bisogna avere chiaro nella mente questo obiettivo finale in ogni relazione quotidiana con loro. Non ci si può rivolgere loro in modi che compromettano la loro autodisciplina o la loro autostima.

A vari livelli, tutti noi applichiamo questo principio in molti diversi settori della vita. Prima di fare un viaggio, scegliamo la destinazione e pianifichiamo l’itinerario migliore. Prima di piantumare un giardino, lo progettiamo nella mente, magari anche sulla carta. Prima di fare interventi a convegni li scriviamo, prima di piantare alberi e siepi intorno alla nostra casa decidiamo la loro disposizione, prima di metter mano ad ago e filo disegniamo il modello dell’abito che vogliamo realizzare.

Nella misura in cui comprendiamo il principio delle due creazioni e accettiamo la responsabilità per entrambe, agiamo nell’ambito della nostra sfera d’influenza e ne allarghiamo i confini. Nella misura in cui non operiamo in armonia con questo principio e non ci incarichiamo della prima creazione, rimpiccioliamo la nostra sfera d’influenza.

2.3 Con o senza progetto

È un principio che tutte le cose sono create due volte, ma non tutte le prime creazioni avvengono per un progetto consapevole. Nella nostra vita personale, se non sviluppiamo la nostra consapevolezza e diventiamo responsabili delle prime creazioni, permettiamo ad altre persone ed a circostanze esterne alla nostra sfera d’influenza di controllare gran parte della nostra vita. Viviamo reattivamente i copioni che ci vengono forniti dalla nostra famiglia, da colleghi, in base a programmi creati da altri, in base alle pressioni delle circostanze: i copioni formatisi nei nostri primi anni di vita, per la formazione ricevuta, con il nostro condizionamento.

Questi copioni provengono da persone, non da principi; hanno origine dalle nostre debolezze più intime, dalla nostra profonda dipendenza dagli altri e dai nostri bisogni di sentirci accettati, amati, di appartenere, di un senso d’importanza e di valore, della sensazione di contare.

Che ne siamo consapevoli o no, che ne abbiamo il controllo o no. c'è una prima creazione in ogni parte della nostra vita. Noi siamo la seconda creazione del nostro progetto proattivo, oppure siamo la seconda creazione di programmi di altre persone, di circostanze o vecchie abitudini.

Le facoltà specificatamente umane di autoconsapevolezza, immaginazione e coscienza ci consentono di esaminare le prime creazioni e di prendere l’iniziativa di scrivere il nostro personale copione. In altri termini, la regola 1 dice: “Tu sei il creatore”; la regola 2 è la prima creazione.

2.4. Leadership e management: le due creazioni

La regola 2 si basa sui principi della leadership personale, e questo significa che la leadership è la prima creazione. Leadership non significa management. Il management è la seconda creazione, e ne discuteremo nel capitolo sulla regola 3. La leadership deve precedere il management.

Il management si concentra sulla bottom line, sul punto di partenza: come posso fare certe cose nel modo migliore? La leadership riguarda gli obiettivi, la top line: quali sono le cose che voglio raggiungere? Come si espressero Peter Drucker e Walter Bennis: “Management è fare le cose bene; leadership è fare le cose giuste”. Management è efficienza nel salire la scala del successo; la leadership determina se la scala è appoggiata al muro giusto.

Un ottimo modo per capire la differenza è questo: immaginate un gruppo di professionisti che creano un sentiero nella giungla a colpi di machete. Sono coloro che agiscono, quelli che risolvono i problemi. Si aprono la strada nel sottobosco, tagliando arbusti e liane.

A seguire arrivano i manager, che affilano i loro machete, scrivono manuali organizzativi e di procedure, implementano programmi per lo sviluppo della muscolatura, introducono tecnologie innovative e fissano orari di lavoro e programmi di svago per i collaboratori.

Il leader è quello che sale sull’albero più alto, esamina l’intera situazione e grida: “È la giungla sbagliata!”.

Ma come rispondono spesso gli impegnati, efficienti lavoratori e manager? "Stia zitto! Noi stiamo facendo progressi”.

Come individui, gruppi e società commerciali, spesso siamo così occupati ad aprirci la via attraverso il sottobosco che non ci rendiamo neppure conto di trovarci nella giungla sbagliata. E l’ambiente in rapido mutamento in cui viviamo rende la leadership efficace ancora più decisiva di quanto sia mai stata: in ogni aspetto della vita dipendente e interdipendente.

Noi abbiamo più bisogno di una visione, di una destinazione e di una bussola (un sistema di principi o direzioni) e meno bisogno di una mappa stradale. Spesso non sappiamo come sarà il terreno che ci troveremo davanti o di che cosa avremo bisogno per attraversarlo; molto dipenderà dal nostro discernimento al momento opportuno. Una bussola interna, però, ci darà sempre la direzione.

L’efficacia - e spesso la sopravvivenza stessa - non dipende unicamente dalla misura dei nostri sforzi, ma anche dal fatto che gli sforzi da noi compiuti avvengano o meno nella giungla giusta. Il cambiamento che si sta verificando praticamente in ogni industria e professione richiede che la leadership abbia la precedenza rispetto al management.

Nel mondo degli affari, il mercato cambia così rapidamente che molti prodotti e servizi che pochi anni fa incontravano con successo i gusti del consumatore oggi sono obsoleti. Una leadership fortemente proattiva deve costantemente sondare il mutamento ambientale, con particolare attenzione alle regole e motivazioni d’acquisto della clientela, e fornire la forza necessaria per organizzare le risorse nella giusta direzione.

Trasformazioni come la deregulation nell’industria aeronautica, la vertiginosa ascesa delle spese per la sanità e l’aumento di importazione di automobili dal migliore rapporto qualità/prezzo hanno un impatto significativo sull’ambiente. Se le industrie non operano un monitoraggio dell’ambiente, comprese le loro stesse maestranze, e non esercitano una leadership creativa per garantire che f progressi continueranno nella giusta direzione neanche la migliore competenza manageriale potrà impedire il fallimento.

Una gestione efficiente senza una direzione efficace equivale, come si suol dire, a “raddrizzare le sedie sul ponte del Titanic”. Nessun successo manageriale può compensare un fallimento in termini di leadership.

Esiste una difficoltà, tuttavia: spesso il nostro paradigma è legato alla managerialità, e non alla leadership.

Durante l’ultimo incontro di un lungo programma di formazione per alti dirigenti, durato un anno a Seattle, il presidente di una società petrolifera venne da me e mi disse:

“Stephen, quando hai fatto notare la differenza fra leadership e management, nel secondo mese, io ho considerato il mio ruolo di presidente della società e mi sono reso conto che non mi ero mai dedicato ad esercitare un ruolo di leader. Ero completamente coinvolto nel management, sepolto fino al collo dai problemi pressanti e dai dettagli logistici della giornata. Così ho deciso di lasciar perdere la gestione. Potevo affidarla ad altri. Io volevo dirigere in senso vero e proprio la mia organizzazione.

“È stata dura. Ho sofferto di sindrome di astinenza perché ho smesso di occuparmi di una quantità di questioni urgenti, pressanti, che si trovavano proprio davanti a me e mi davano un senso d’immediata realizzazione. Non avevo molta soddisfazione quando ho cominciato ad affrontare i problemi a livello dirigenziale, legati alla creazione di una cultura aziendale, dedicarmi alla loro analisi approfondita e ad approfittare di nuove opportunità. Anche altre persone sono passate attraverso la stessa crisi, perché hanno dovuto abbandonare il loro ritmo quotidiano. Ora non mi rendevo più disponibile come prima, e loro sentivano questa mancanza. Avrebbero voluto trovarmi ancora disponibile, disposto a dargli sempre retta, ad aiutarli a risolvere i loro problemi ogni giorno”.

"Ma io ho perseverato. Ero assolutamente convinto che era necessario che io fossi finalmente un leader. E mi sono comportato di conseguenza. Oggi l’intera azienda è diversa. Siamo più in linea con il nostro settore. Abbiamo raddoppiato il fatturato e quadruplicato i profitti. Ora applico veramente uno stile di leadership”.

Io sono convinto che anche certi genitori rimangono troppo spesso intrappolati nel paradigma della gestione, con la loro insistenza su controllo, efficienza e regole anziché su direzione, scopo e sentimento familiare.

La leadership manca ancora di più nella nostra vita personale. Noi investiamo tutti i nostri sforzi nel gestire in modo efficiente, fissando e raggiungendo gli obiettivi prima ancora di aver chiarito i nostri valori.

2.5 Riscrivi il copione: diventa il primo creatore di te stesso

Come abbiamo già osservato, la proattività si basa su quella dote tipicamente umana che è f autoconsapevolezza. Le altre due facoltà esclusivamente umane che ci permettono di espandere la nostra proattività e di esercitare la leadership personale nella nostra vita sono l’immaginazione e la coscienza.

Attraverso l’immaginazione, possiamo visualizzare il potenziale che è dentro di noi. Con la coscienza possiamo entrare in contatto con leggi o principi universali, con i nostri specifici talenti e le nostre modalità creative, e con le linee guida personali grazie alle quali possiamo sviluppare nel modo più efficace talento e modalità. Combinate con l’auto-consapevolezza, queste due facoltà ci mettono in condizione di scrivere il nostro personale copione.

Dal momento che viviamo già con molti copioni che ci sono stati dati, il processo di scrivere il nostro copione è in realtà più un processo di “riscrittura”, o di cambio di paradigmi: si tratta di cambiare alcuni dei paradigmi fondamentali che abbiamo già. Non appena riconosciamo i copioni inefficaci, i paradigmi errati o incompleti all’interno di noi, possiamo cominciare in modo proattivo a darci un nuovo copione.

Penso che una delle descrizioni più stimolanti del processo di riscrittura di un copione si trovi nell’autobiografia di Anwar Sadat, il presidente egiziano assassinato. Sadat aveva subito in tutta la sua educazione e formazione la profonda influenza di un copione intriso d’odio per Israele. Dagli schermi della televisione nazionale proclamava: “Io non stringerò mai la mano di un israeliano fintanto che Israele occuperà anche un solo centimetro di suolo arabo. Mai, mai, mai!”. E folle oceaniche in tutto l’Egitto scandivano: “Mai, mai, mai!”. Egli incanalava l’energia e unificava la volontà dell’intero paese secondo questo copione.

Il copione era molto indipendentista e nazionalista, e suscitava profonde emozioni nel popolo, ma era anche folle, e Sadat lo sapeva. Non prendeva in considerazione la pericolosità della situazione, caratterizzata da un’estrema interdipendenza.

Perciò egli riscrisse il proprio copione. Fu un processo che aveva appreso da giovane mentre si trovava in isolamento nella cella 54, nella prigione centrale del Cairo, per aver partecipato a un complotto inteso a rovesciare re Faruk. Aveva imparato a distanziarsi dalla propria mente e a scrutarla per vedere se i copioni fossero corretti e saggi. Imparò a svuotare la propria mente e, attraverso un profondo processo personale di meditazione, a lavorare con la propria scrittura, con la propria forma di preghiera, a crearsi un nuovo copione.

Scrisse che fu quasi restio a lasciare la sua cella perché era stato là dentro che aveva capito come il vero successo sia il successo con noi stessi. Si tratta non di avere delle cose, ma di conseguire la padronanza di sé, la vittoria sul sé.

Per un certo periodo, durante l’amministrazione Nasser, Sadat fu relegato in una posizione poco importante. Tutti pensavano che fosse un uomo distrutto nello spirito, ma non era così. Stavano proiettando i loro “film” su di lui. Non lo comprendevano. Lui aspettava il suo momento.

Quando questo momento venne, quando egli diventò presidente dell’Egitto e si trovò ad affrontare la realtà politica, si diede un nuovo copione favorevole a Israele. Intervenne alla Knesset, a Tel Aviv, e inaugurò uno dei grandi movimenti di pace della storia del mondo, un’iniziativa incredibile e senza precedenti che culminò negli accordi di Camp David.

Sadat riuscì a usare la sua autoconsapevolezza, la sua immaginazione e la sua coscienza per esercitare la leadership personale, per cambiare un paradigma essenziale, per modificare il suo modo di vedere la situazione. Lavorò nel centro della sua sfera d’influenza. Da questa riscrittura del copione, da questo cambio di paradigma, derivarono mutamenti di comportamento e di atteggiamenti che influirono su milioni di vite nella più ampia sfera di coinvolgimento.

Nello sviluppare la nostra autoconsapevolezza scopriamo molto spesso copioni inefficaci, regole profondamente radicate che non sono coerenti con noi, che contrastano con le cose che per noi hanno davvero valore nella vita. La regola 2 afferma che non dobbiamo vivere con questi copioni. È nostra facoltà e responsabilità usare la nostra immaginazione e creatività per scriverne di nuovi che siano più efficaci, più consoni ai nostri valori più profondi e ai corretti principi che conferiscono loro significato.

Supponiamo, per esempio, che io sia iper-reattivo con i miei figli. Supponiamo che ogni volta che cominciano a fare qualcosa che secondo me non è giusta io avverta un immediato senso di tensione alla bocca dello stomaco. Sento che si alzano barriere difensive; mi preparo a dar battaglia. Il mio polo d’interesse e di azione non è la crescita interiore a lungo termine, ma il comportamento a breve termine. Il mio intento è vincere la battaglia, non la guerra.

Tiro fuori le mie munizioni - la mia statura superiore, la mia posizione di autorità - e alzo la voce, ricorro all’intimidazione, alle minacce o a una punizione. E vinco. Così vengo a trovarmi, vittorioso, in mezzo alle macerie di un rapporto distrutto, mentre i miei figli sono apparentemente sottomessi, ma intimamente ribelli, e reprimono sentimenti che in seguito troveranno sfogo in modi più aggressivi e forti.

Ora, se io immaginassi un funerale come quello che abbiamo visualizzato in precedenza, e durante la cerimonia uno dei miei figli stesse per parlare, vorrei che la sua vita rappresentasse la vittoria di un’opera d’insegnamento, di educazione e di disciplina ispirata all’amore e protrattasi per anni anziché le cicatrici lasciate da una serie di stupide battaglie. Vorrei che mi ricordasse come un padre amorevole che condivise con lui le gioie e i dolori della crescita. Vorrei che ricordasse le volte che mi confidò i suoi problemi e le sue preoccupazioni. Vorrei essere stato capace di ascoltare, amare, prestare aiuto. Vorrei che sapesse che non ero perfetto, ma che mi ero sforzato con tutto me stesso di esserlo. E che, forse più di chiunque altro al mondo, gli avevo voluto bene.

Il motivo per cui avrei voluto questo è perché, nel profondo di me stesso, do una grande importanza ai miei figli. Io li amo, voglio aiutarli. Il mio ruolo di padre mi sta enormemente a cuore.

Ma non sempre vedo questi valori. Mi capita di perdermi in faccende di minor importanza. Quello che conta di più viene a trovarsi sepolto sotto il peso di problemi pressanti, preoccupazioni immediate e comportamenti superficiali. Divento reattivo. E spesso il mio modo d’interagire ogni giorno con i miei figli rispecchia poco quello che sento nel profondo per loro.

Poiché sono autoconsapevole, poiché ho immaginazione e coscienza, sono in grado di esaminare i miei valori più profondi, posso rendermi conto che il copione secondo cui sto vivendo non è in armonia con questi valori, che la mia vita non è il prodotto del mio progetto proattivo, ma il risultato della prima creazione che ho delegato alle circostanze e ad altre persone. Mi rendo conto che sono in grado di cambiare. Posso basare la mia vita sull’immaginazione anziché sulla memoria. Posso legarmi al mio illimitato potenziale anziché al mio limitante passato. Posso diventare il mio primo creatore.

Iniziare con la fine in mente significa vedere il proprio ruolo di genitore, nonché gli altri ruoli che si hanno nella vita, con una chiara visione dei propri valori e dei propri obiettivi. Significa essere responsabile della propria prima creazione, riferirsi a un nuovo copione in modo che i paradigmi da cui nascono il proprio comportamento e il proprio atteggiamento siano coerenti con i propri valori più profondi e in armonia con i giusti principi.

Significa, inoltre, iniziare ogni giorno con questi valori nella mente. Così, quando arrivano vicissitudini, sfide, si possono prendere le proprie decisioni basate su questi valori. Si può agire con coerenza. Non è necessario reagire all’emozione, alle circostanze. È possibile essere realmente proattivi, mossi da valori,-perché i propri valori sono chiari.

2.6 Dichiarazione della mia missione personale

Il sistema più efficace che conosco per iniziare con la fine in mente è quello di sviluppare l’idea di una propria “missione”, o filosofia, o credo, e di esprimerla in una dichiarazione di missione personale. La “missione” si concentra su ciò che si vuole essere (carattere) e fare (contributi e realizzazioni), e sui valori o principi su cui si fondano l’essere e il fare.

Dal momento che ciascun individuo è unico, una dichiarazione della propria missione personale rifletterà tale unicità, sia in termini di contenuto che di forma. Il mio amico Rolfe Kerr ha espresso in questo modo il suo credo personale:

Abbi successo per prima cosa in famiglia.

Cerca e sii degno dell’aiuto di Dio.

Non scendere mai a patti con l’onestà.

Ricorda le persone coinvolte.

Ascolta entrambe le campane prima di giudicare.

Ascolta il consiglio degli altri.

Difendi gli assenti.

Sii sincero, ma deciso.

Sviluppa ogni anno una nuova competenza.

Programma oggi il lavoro di domani.

Datti da fare nell’attesa.

Mantieni un atteggiamento positivo.

Coltiva il senso dell’umorismo.

Sii ordinato nella persona e nel lavoro.

Non temere gli errori, ma l’assenza di reazioni creative, costruttive e correttive a questi errori.

Facilita il successo dei tuoi collaboratori.

Ascolta il doppio di quanto parli.

Concentra tutte le tue capacità e i tuoi sforzi sul compito del momento, senza preoccuparti del lavoro che verrà poi o della promozione.

Una donna che cercava di trovare un equilibrio fra i valori della famiglia e quelli del lavoro ha espresso il suo senso di missione personale in termini diversi:

Io farò del mio meglio per armonizzare il più possibile fra loro carriera e famiglia perché entrambi sono importanti per me.

La mia casa sarà un posto dove io e la mia famiglia, i miei amici e i miei ospiti troveremo gioia, conforto, pace e felicità. Cercherò anche di creare un ambiente pulito e ordinato, e nello stesso tempo vivibile e confortevole. Interverrò saggiamente nelle nostre scelte in fatto di alimentazione, letture, spettacoli e attività di famiglia. In particolare voglio insegnare ai miei figli ad amare, a imparare e a ridere, nonché a lavorare e a sviluppare il loro talento individuale.

Io apprezzo i diritti, le libertà e le responsabilità che sono prerogative della nostra società democratica. Sarò una cittadina responsabilizzata e informata, impegnata nel processo politico, decisa a far sentire la sua voce e a far contare il suo voto.

Sarò una persona autonoma che nella vita esercita la propria iniziativa nel perseguire i suoi obiettivi. Agirò su situazioni e opportunità, anziché “essere passiva”.

Cercherò sempre di non cadere in regole schiavizzanti e distruttive. Svilupperò regole in grado di liberarmi da vecchie etichette e limiti e di espandere le mie capacità e scelte.

Il mio denaro sarà il mio servo, non il mio padrone. Cercherò di arrivare all’indipendenza finanziaria. I miei desideri saranno subordinati alle mie necessità e a cosa è importante per me. Eccezion fatta per il mutuo per la casa e la macchina, cercherò di non fare debiti o acquisti a rate. Spenderò meno di quello che guadagno e risparmierò o investirò regolarmente parte del mio reddito.

Inoltre, userò tutto quello che possiedo, denaro e capacità, per migliorare la vita del prossimo con volontariato e atti di carità.

Una dichiarazione di missione personale è una sorta di costituzione personale. Come la costituzione degli Stati Uniti, o di ogni stato civile, è fondamentalmente inalterabile. In oltre duecento anni, ci sono stati solo ventisei emendamenti, dieci dei quali si trovavano già nell’originale dichiarazione dei diritti.

La costituzione degli Stati Uniti è il metro in base al quale viene valutata ogni legge nell’intero paese. È il documento che il presidente accetta di difendere e sostenere quando pronuncia il giuramento di fedeltà. È il criterio in base al quale viene concessa la cittadinanza americana. E il fondamento e il centro che ha permesso ad ogni cittadino di superare gravi traumi come la guerra di secessione, il Vietnam o il Watergate. È il canone scritto, la chiave con cui ogni altra cosa viene giudicata e governata.

La costituzione ha retto al tempo e assolve tuttora la sua funzione vitale perché si fonda su principi giusti, sulle verità evidenti contenute nella dichiarazione d’indipendenza. Questi principi conferiscono alla costituzione una forza che sfida il tempo, anche nei periodi di ambiguità sociale e di mutamento. “La nostra peculiare sicurezza”, disse Thomas Jefferson, “consiste nel possesso di una costituzione scritta”.

Una dichiarazione di missione personale, basata su principi corretti diventa lo stesso tipo di criterio per il singolo. Diventa una costituzione personale, il presupposto in nome del quale prendere le decisioni più importanti, quelle che determinano il corso di una vita e le scelte quotidiane, pur in mezzo alle tempeste delle circostanze e delle emozioni che turbano le nostre esistenze. Conferisce agli individui la stessa forza che è data ad un paese da una costituzione nazionale, una forza che resiste al tempo e ai mutamenti.

Le persone non possono convivere col cambiamento se dentro di loro non c’è un nucleo immutabile. La chiave della capacità di cambiare è un senso immutabile di ciò che si è, di ciò che si fa e di ciò che si vale.

Con una dichiarazione di missione, noi possiamo procedere con i cambiamenti. Non abbiamo bisogno di preconcetti o pregiudizi. Non abbiamo bisogno di soppesare qualsiasi cosa nella vita, d’incasellare ogni cosa e ogni persona in stereotipi e categorie per dare un senso e un ordine alla realtà.

L’ambiente in cui viviamo si sta trasformando a un ritmo sempre più veloce. Un mutamento così rapido spiazza un gran numero di persone che pensano di non potercela fare a gestirlo, di non poter gestire una vita così frenetica. Esse diventano reattive e praticamente si arrendono, sperando che le cose vadano bene.

Questa non è la strada giusta. Fu addirittura in un campo di sterminio nazista che Victor Frankl imparò, oltre al principio della proattività, l’importanza di trovare uno scopo e un significato nella vita. L’essenza della “logoterapia”, la filosofia che in seguito sviluppò e insegnò, è che molte cosiddette malattie mentali ed emozionali sono in realtà sintomi di un senso d’inutilità o di vuoto, sepolto nel profondo. La logoterapia elimina questo vuoto aiutando la persona a scoprire il suo significato unico, la sua missione nella vita.

Una volta che avete questo senso di missione, avete l’essenza della vostra proattività. Avete la direzione fondamentale in cui muovervi per raggiungere i vostri obiettivi a lungo e a breve termine. Disponete del potere di una costituzione scritta basata su principi corretti, a cui potete riferirvi per valutare saggiamente ogni decisione circa l’impiego più efficace del vostro tempo, dei vostri talenti e delle vostre energie.

2.7 Al centro

Per poter scrivere una dichiarazione di missione personale, dobbiamo partire dal centro stesso della nostra sfera d’influenza, quel centro che comprende i nostri paradigmi fondamentali, la lente attraverso la quale vediamo il mondo.

E qui che noi esercitiamo la nostra visione delle cose e i nostri valori. E qui che applichiamo le nostre facoltà umane. E qui che usiamo la nostra autoconsapevolezza per esaminare le nostre mappe e, se seguiamo i giusti principi, ci rendiamo conto se le nostre mappe descrivono in modo esatto il territorio, se i nostri paradigmi si basano su principi e sulla realtà.

È qui che usiamo la nostra conoscenza come una bussola, che ci aiuti a riconoscere il nostro talento e i campi in cui possiamo dare il nostro contributo. E qui che usiamo la nostra immaginazione per creare mentalmente il fine a cui tendono i nostri desideri, dando direzione e scopo ai nostri inizi e dando sostanza alla nostra costituzione.

 

Image

È qui inoltre che i nostri sforzi, se focalizzati, ottengono i maggiori risultati. Mentre lavoriamo nel cuore della nostra sfera d’influenza, noi la espandiamo. Si tratta di un lavoro ad alto potenziale di CP, con un impatto decisivo sull’efficacia delle nostre azioni, in ogni aspetto della nostra vita.

Qualsiasi cosa si trovi al centro della nostra vita è la fonte della nostra sicurezza, della nostra direzione, della nostra saggezza e del nostro potere.

La sicurezza rappresenta il senso del nostro valore, la nostra identità, il nostro ancoraggio emotivo, la nostra stima di noi stessi, la nostra fondamentale forza personale (o la mancanza di essa).

La direzione è ciò che guida la nostra vita. La nostra mappa, il nostro interno quadro di riferimento che interpreta per noi quanto avviene all’esterno, racchiude in sé canoni, principi o criteri impliciti che governano, momento per momento, ogni nostra decisione e azione.

La saggezza è l’ottica secondo cui vediamo la vita, il nostro senso di equilibrio, la nostra comprensione del modo in cui le varie parti e i vari principi sono interconnessi e interagiscono fra loro. Comprende concetti come quelli di giudizio, discernimento e comprensione. È un insieme, un’unità, una totalità di fattori integrati.

Il potere è la facoltà o capacità di agire, la forza e la potenza necessaria per compiere qualcosa, l’energia vitale che permette di operare scelte e prendere decisioni. Comprende anche la capacità di superare abitudini profondamente radicate e di coltivarne altre, più efficaci.

Questi quattro fattori - sicurezza, direzione, saggezza e potere - sono interdipendenti. La sicurezza unita a una chiara direzione genera la vera saggezza, e la saggezza diventa la scintilla che fa da catalizzatore per il potere, lo libera e lo indirizza. Quando questi quattro fattori sono presenti insieme, armonizzati fra loro e in condizione di potenziarsi, creano la grande forza di una personalità nobile, un carattere equilibrato, un individuo meravigliosamente integrato.

Questi fattori sostengono ogni dimensione e aspetto della vita. Nessuno di loro, però, va trattato come un tutto o niente (bianco o nero): il grado con cui ciascuno di noi li ha sviluppati potrebbe essere misurato con un diagramma, secondo una linea ininterrotta, più o meno come potrebbe esserlo il continuum della maturità a cui abbiamo già accennato. In corrispondenza con il tratto iniziale della linea, i quattro fattori sono deboli. Siamo fondamentalmente dipendenti dalle circostanze o da altre persone su cui non abbiamo nessun controllo diretto. All’apice del tracciato possediamo il controllo. Abbiamo una forza indipendente e le basi per ricche relazioni d’interdipendenza.

La tua sicurezza si situa nel continuum in qualche punto fra l’insicurezza estrema da una parte - dove la tua vita è in balia di forze che agiscono su di lei - e un profondo senso del tuo valore intrinseco e di sicurezza personale dalla parte opposta. Nel continuum la direzione passa dalla dipendenza dallo specchio sociale o da altre fonti instabili, fluttuanti, a una forte guida interiore. La tua saggezza va da una mappa completamente imprecisa, dove tutto è distorto e niente sembra trovarsi al posto giusto, a una mappa della vita dove tutte le parti e tutti i principi sono in corretta relazione fra loro. Il tuo potere va dall’essere manovrato da qualcun altro come una marionetta mossa dai fili ad un alto grado di proattività, alla possibilità di agire in base ai tuoi valori anziché essere azionato da qualcun altro e da circostanze esterne.

La collocazione di questi fattori lungo il continuum, il livello della loro integrazione, della loro armonia e del loro equilibrio, il loro impatto positivo su ogni aspetto della tua vita, dipendono dal tuo centro, dai paradigmi fondamentali che hanno sede proprio nel tuo nucleo centrale.

2.8 Centri alternativi

Ciascuno di noi ha un centro, anche se di solito non lo riconosciamo come tale. E neppure riconosciamo gli effetti totalizzanti di tale centro su ogni aspetto della nostra vita.

Esaminiamo brevemente alcuni centri o paradigmi abitualmente presenti in noi, per una miglior comprensione del modo in cui essi influiscono su queste quattro dimensioni fondamentali e, in ultima analisi, del tipo di vita che ne scaturisce.

Il coniuge. Il matrimonio può essere la più intima, la più soddisfacente, la più duratura, la più feconda delle relazioni umane in fatto di crescita interiore. Può apparire naturale e giusto avere come centro il proprio marito o la propria moglie.

L’esperienza e l’osservazione raccontano una realtà diversa. Nel corso degli anni mi sono trovato a lavorare su molti matrimoni in difficoltà, e ho osservato un minimo comune denominatore in pressoché tutti i rapporti focalizzati sul partner. Questo denominatore è la forte dipendenza emotiva.

Se la nostra idea di valore ci proviene primariamente dal sentimento, diventiamo altamente dipendenti da questo rapporto. Diventiamo vulnerabili agli stati d’animo e ai sentimenti, al comportamento del nostro coniuge e al trattamento che lui ci riserva, o a qualsiasi evento esterno che possa turbare la relazione: un nuovo figlio, parenti acquisiti, difficoltà finanziarie, successi ecc.

Quando le responsabilità crescono e nel matrimonio intervengono fattori di tensione, tendiamo a tornare ai copioni che ci erano stati dati mentre crescevamo. Lo stesso accade al nostro coniuge. E questi copioni sono di solito diversi. Affiorano modi diversi di trattare i problemi finanziari, la disciplina dei figli o i rapporti con gli altri parenti. Quando queste tendenze nascoste in -profondità si combinano con la dipendenza emotiva nel matrimonio, la relazione incentrata sul partner rivela tutta la sua vulnerabilità.

Quando siamo dipendenti dalla persona con cui siamo in conflitto, bisogno e conflitto si amalgamano fra loro. Alcuni dei risultati consueti di questa situazione sono reazioni esasperate di amore-odio, tendenza alla lotta o alla fuga, isolamento in noi stessi, aggressività, amarezza, risentimento e fredda competitività. Quando si manifestano queste reazioni, tendiamo a ricadere in tendenze e abitudini latenti ancora più antiche, nello sforzo di giustificare e difendere il nostro comportamento, mentre sferriamo un attacco contro le tendenze e abitudini del nostro consorte.

Inevitabilmente, ogni volta che siamo troppo vulnerabili sentiamo la necessità di proteggerci da ulteriori ferite. Così ricorriamo al sarcasmo, alle battute, alle critiche: a tutto quello che impedisce che la nostra tenerezza venga alla superficie. Ciascuno dei due partner tende ad aspettare l’iniziativa dell’altro per una riconciliazione, ma finisce da un lato con il rimanere deluso, dall’altro per avere la conferma della correttezza delle accuse da lui mosse.

Anche quando tutto sembra andar bene, in una relazione del genere c’è soltanto un fantasma di sicurezza. La direzione si basa sull’emozione del momento. Saggezza e potere vanno perse nelle interazioni negative controdipendenti.

La famiglia. Un altro comune centro è la famiglia. Anch’esso può sembrare naturale e legittimo. Come area di convergenza d’interessi e d’intenso coinvolgimento, la famiglia fornisce grandi opportunità di relazioni profonde, di affetto, di condivisione, di molto di ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Come centro - ironicamente - distrugge proprio gli elementi necessari per il suo successo.

Gli individui che hanno messo al centro la famiglia traggono il loro senso di sicurezza o di valore personale dalla tradizione e dalla cultura familiare o dalla reputazione della famiglia. Così diventano vulnerabili a qualsiasi mutamento che intervenga in tale direzione o cultura o a qualsiasi influenza suscettibile di alterare tale reputazione.

Genitori accentrati sulla famiglia non hanno la libertà emotiva, il potere, di allevare i loro figli dando realmente la priorità al loro bene futuro. Se traggono la loro sicurezza dalla famiglia, il loro bisogno di ottenere sempre il massimo gradimento dai propri figli può essere più importante di un investimento a lungo termine, nella loro crescita e nel loro sviluppo interiore. Oppure possono concentrarsi esclusivamente sul comportamento giusto e corretto del momento. Qualsiasi comportamento che essi considerino improprio minaccia la loro sicurezza. Diventano confusi, si lasciano guidare dalle emozioni del momento, e reagiscono in modo spontaneo e approssimativo alla preoccupazione immediata, invece di badare innanzitutto alla crescita e allo sviluppo a lungo termine del ragazzo. Può capitare che facciano la voce grossa, che si mettano ad urlare, che perdano le staffe e elaborino punizioni sotto l’impulso di un’arrabbiatura. Tendono ad amare i loro figli in modo condizionato, rendendoli emotivamente dipendenti o recalcitranti a tale dipendenza e ribelli.

Il denaro. Un altro centro logico ed estremamente comune che le persone danno alla loro vita è il far soldi. La sicurezza economica è fondamentale per chi vuole esercitare un’azione incisiva in qualsiasi altra dimensione. Nella scala dei bisogni, la sopravvivenza fisica e finanziaria viene al primo posto. Altri bisogni non hanno neppure la possibilità di manifestarsi fintanto che questa necessità basilare non viene soddisfatta, almeno in misura minima.

La maggior parte di noi ha preoccupazioni di ordine economico. Molte forze, in un mondo globalizzato, possono agire e agiscono sulla nostra situazione economica, provocando o minacciando un danno talmente ingente che spesso proviamo una preoccupazione e un’ansia non consapevoli.

A volte il far soldi ha motivi apparentemente nobili, come il desiderio di provvedere alla propria famiglia. E queste sono cose importanti. Ma fare dell’accumulo di denaro il centro della propria vita finisce con l’essere contro-producente.

Consideriamo di nuovo i quattro fattori chiave: sicurezza, direzione, saggezza e potere. Poniamo che io tragga gran parte della sicurezza dal mio impiego e dalle mie entrate. Dato che molti fattori influiscono su queste basi economiche, divento ansioso e inquieto, protettivo e sulla difensiva, circa qualsiasi cosa che potrebbe riflettersi su di esse. Quando il senso del mio valore personale proviene dai soldi, sono vulnerabile a qualsiasi cosa che potrebbe intaccare questo patrimonio. Lavoro e denaro, di per sé, non forniscono saggezza, non forniscono un indirizzo, ma soltanto una misura limitata di potere e sicurezza. Basta una crisi nella propria vita o nella vita di una persona cara per dimostrare le limitazioni della concezione del denaro come centro di tutto.

Le persone “denarocentriche” spesso mettono da parte la famiglia o altre priorità, nella convinzione che chiunque comprenderà che le esigenze economiche vengono per prime. So di un padre che stava per andare coi suoi figli piccoli al circo, come aveva promesso, quando ricevette una telefonata che gli chiedeva di recarsi invece al lavoro. Si rifiutò. Sua moglie suggerì che forse avrebbe fatto meglio ad andare al lavoro, ma egli rispose: “Il lavoro tornerà, ma l’infanzia dei nostri figli no”. Per tutta la vita i suoi figli ricordarono questo piccolo atto di definizione di priorità, non solo come una lezione nelle loro menti, ma anche come un’espressione d’amore nei loro cuori.

Il lavoro. Una persona focalizzata completamente sul lavoro può prendere il lavoro come una droga, e sforzarsi di produrre il più possibile sacrificando salute, relazioni e altri importanti aspetti della sua vita. La sua fondamentale identità gli proviene dalla sua professione: “Io sono medico”, “Io sono scrittore”, “Io sono attore”.

Poiché la sua identità, il senso del suo valore sono completamente assorbiti dal lavoro, la sua sicurezza è vulnerabile a qualsiasi evento che gli impedisca di continuare ad esserne assorbito. La sua direzione dipende dalle esigenze del lavoro. La sua saggezza e il suo potere si manifestano nelle aree limitate del suo lavoro, e questo lo rende inefficace in altri settori della vita.

I beni. Per molte persone il centro è rappresentato dai propri beni: non solo beni tangibili, materiali, come abiti alla moda, case, automobili, barche e gioielli, ma anche beni intangibili come la fama, la gloria o il riconoscimento sociale. I .a maggior parte di noi si rende conto, in base alla sua esperienza, della straordinaria precarietà di un simile centro, semplicemente perché può svanire rapidamente ed è influenzato da una miriade di forze.

Se il mio senso di sicurezza risiede nella mia reputazione o nelle cose che possiedo, la mia vita sarà oppressa da un continuo senso di minaccia e di pericolo, per il rischio che questi beni vadano perduti, siano rubati o finiscano svalutali, Se io mi trovo in presenza di qualcuno che mi supera in reddito, in fama o in posizione sociale, mi sento inferiore. Se mi trovo in presenza di qualcuno che possiede un patrimonio minore, che è meno famoso o a un gradino inferiore della scala sociale, mi sento superiore. Il senso del mio valore personale fluttua senza sosta. Non ho nessun senso di continuità, di ancoraggio e d’individualità permanente. Non faccio che cercare di proteggere e assicurare le mie sostanze, proprietà, azioni, la mia posizione o la mia reputazione. Abbiamo sentito tutti racconti di persone che si sono suicidate dopo aver perso le loro fortune in tracolli in borsa o la loro fama in una sconfitta politica.

Il piacere. Un altro centro, strettamente alleato al possesso, è rappresentato dal divertimento e dal piacere. Viviamo in un mondo dove la gratificazione immediata è disponibile e incoraggiata. La televisione e il cinema fanno lievitare le aspettative della gente, poiché rappresentano visivamente quello che certe persone hanno e possono fare vivendo negli agi e nei divertimenti.

Mentre gli aspetti positivi di una vita incentrata sul piacere sono evidenti, spesso vengono taciuti gli effetti sulla vita interiore, sulla produttività, sulle relazioni.

Piaceri semplici e misurati possono essere fonte di distensione per il corpo e per la mente e favorire la famiglia e altre relazioni. Il piacere, di per sé, non offre nessuna soddisfazione profonda, duratura, nessun senso di appagamento. Chi ha messo al centro il piacere, si annoia subito e deve continuamente giungere a nuove fonti di divertimento. I nuovi piaceri devono essere sempre più grandi, sempre più eccitanti. Un soggetto in questo stato diventa quasi completamente narcisista e interpreta tutto nella vita in rapporto al piacere che fornisce all’ego, hic et nunc.

Troppe vacanze che durano troppo a lungo, troppi film, troppa televisione, troppi videogame, troppo tempo libero indisciplinato a poco a poco rovinano una vita. L’unico risultato garantito è che le capacità dell’individuo restano inattive, i talenti non si sviluppano, la mente e lo spirito diventano letargici e il cuore è insoddisfatto. Dove sono la sicurezza, la direzione, la saggezza e il potere? All’estremità inferiore del continuum, nel piacere di un istante che è già scomparso.

Malcolm Muggeridge ha scritto come “testimonianza del xx secolo”:

Quando oggi ripercorro col pensiero la mia vita, cosa che ogni tanto faccio, quello che mi colpisce di più è che ciò che un tempo mi sembrava più importante e seducente oggi mi appare più futile e assurdo. Per esempio, il successo in tutte le sue varie forme; l’essere noto e l’essere adulato; apparenti piaceri come far soldi o sedurre donne, o viaggiare, andando avanti e indietro e su e giù per il mondo come Satana, sciorinando e sperimentando tutto quello che la fiera delle vanità ha da offrire.

A uno sguardo retrospettivo, tutti questi esercizi sul tema dell’autogratificazione sembrano pura fantasia, quello che Pascal chiamava “leccare la terra”.

Gli amici/i nemici. Sono soprattutto i giovani, anche se non esclusivamente, ad essere predisposti ad assumere come centro gli amici. Essere accettati da un gruppo di coetanei e appartenervi, può assumere un’importanza quasi suprema. Lo specchio sociale, distorto e sempre mutevole, diventa la fonte dei quattro fattori che sorreggono la vita, creando un alto grado di dipendenza dagli umori, sentimenti, atteggiamenti e comportamenti - tutti mutevoli - di altri.

La focalizzazione sull’amicizia può anche concentrarsi esclusivamente su una sola persona, assumendo alcune delle dimensioni del matrimonio. Questo tipo di focalizzazione può generare una dipendenza emotiva da un solo individuo e una escalation della spirale bisogno-conflitto, con conseguenti interazioni negative.

Che dire del fatto di mettere un nemico al centro della propria vita? Alla maggior parte di noi non passerebbe mai per la testa, e probabilmente non verrebbe mai in mente a nessuno in modo conscio. Nondimeno, il concentrarsi su un nemico è molto comune, specie quando c’è una frequente interazione fra persone che si trovano in una reale situazione di conflitto. Quando qualcuno sente di essere stato trattato ingiustamente da una persona emotivamente o socialmente importante, cade facilmente in preda all’ossessione di quest’ingiustizia e fa dell’altro il centro della sua vita. Invece di condurre in modo proattivo la propria vita, l’individuo così focalizzato reagisce, ribellandosi alla propria dipendenza, al comportamento e agli atteggiamenti della persona percepita come nemica.

Un mio amico che insegnava all’università restò turbato dalle debolezze di un certo responsabile con cui aveva un rapporto negativo. Non riusciva a fare a meno di pensare di continuo a quell’uomo, e alla fine questo pensiero diventò un’ossessione, tanto da compromettere le sue relazioni coi suoi familiari, la sua comunità e i suoi colleghi. A un certo punto arrivò alla conclusione che doveva lasciare l’università e accettare un posto d’insegnante altrove.

“Non preferiresti insegnare in questa università, se non ci fosse quell’uomo?”, gli chiesi.

“Si, lo preferirei”, rispose. “Ma finché c’è lui il fatto di restare è troppo distruttivo per la mia vita. Devo andarmene”.

“Perché hai fatto di questo responsabile il centro della tua vita?” gli domandai. Negò che le cose stessero così, ma era evidente che avevo toccato il tasto giusto. Gli feci osservare che stava permettendo ad un unico individuo e alle sue debolezze di distorcere l’intera mappa della sua vita, di minare la sua fiducia in se stesso e d’inquinare i suoi rapporti con i propri cari.

Alla line ammise che l’altro aveva avuto questo impatto su di lui, ma negò di essere stato lui a fare tutte quelle scelte. Attribuì la responsabilità di questa situazione al responsabile. Lui personalmente, dichiarò, non c’entrava nulla.

Continuammo a discutere, e a poco a poco finì per rendersi conto che era davvero coinvolto, ma che, dato che non stava affrontando bene questo coinvolgimento, si stava dimostrando irresponsabile.

Molti divorziati si comportano in modo analogo: sono assolutamente divorati dalla rabbia e dall’acredine nei confronti del proprio ex coniuge.

A tutti gli effetti sono ancora “legati”. Ciascuno di loro ha bisogno delle debolezze dell’ex partner per giustificare e sostenere le proprie accuse.

Molti “eterni bambini” passano la vita ad odiare apertamente o no i propri genitori. Li accusano di torti subiti, favoritismi, mancanza di affetto, e polarizzano la loro vita di adulti su questo odio, basandosi sul copione reattivo e autogiustificatorio.

La persona concentrata su un amico o nemico non possiede sicurezza intrinseca. I sentimenti di autostima dipendono dal comportamento di altre persone, dalle loro condizioni emotive. La direzione proviene dal modo di percepire come reagiranno gli altri, è limitata dalla lente sociale o dalla paranoia nemicocentrica. Altre persone tirano i fili.

Chiesa. Io credo che chiunque partecipi seriamente all’attività di una qualsiasi associazione religiosa sappia che andare in chiesa non è automaticamente sinonimo di spiritualità personale. Ci sono alcune persone talmente coinvolte nelle funzioni e nei programmi di una data chiesa da diventare insensibili alle pressanti necessità del prossimo, contraddicendo gli stessi principi in cui professano di credere fermamente. Altri, invece, vanno in chiesa meno di frequente o addirittura non vanno mai, ma hanno atteggiamenti e comportamenti che riflettono una più genuina aderenza ai principi della fondamentale etica giudaico-cristiana.

Per tutta la vita ho fatto parte di organizzazioni ecclesiastiche e gruppi di volontariato e di assistenza sociale, e ho potuto così constatare che andare in chiesa non significa necessariamente vivere i principi insegnati durante i servizi religiosi. Una persona può essere attiva in chiesa, ma inattiva nel suo vangelo.

Nella vita centrata sulla Chiesa, l’immagine e l’apparenza possono diventare la considerazione dominante di una persona, e questo conduce a un’ipocrisia che mina la sicurezza individuale e il valore intrinseco. La direzione proviene dalla coscienza sociale, e , quindi, chi è accentrato sulla chiesa tende ad etichettare artificialmente gli altri come “attivo”, “inattivo”, “progressista”, “ortodosso” o “conservatore”

Dato che la chiesa è un’organizzazione formale fatta di politiche, programmi, attività e persone, non può di per sé dare ad un individuo una sicurezza profonda, permanente, o un senso del proprio valore intrinseco. Questo può essere dato dai principi insegnati dalla chiesa, ma non dalla sola organizzazione.

Né la chiesa può dare un senso costante di direzione. Gli individui incentrati su una chiesa tendono spesso a vivere a compartimenti stagni, agendo, pensando e sentendo in certi modi nei giorni festivi e in modi completamente diversi in quelli feriali. Questa mancanza di totalità, di unità e di coerenza è una ulteriore minaccia alla sicurezza, e crea una sempre maggior necessità di attaccare etichette agli altri e di giustificare se stessi.

II vedere la chiesa come un fine anziché un mezzo diminuisce la saggezza e il senso di equilibrio di una persona. Anche se la chiesa afferma d’insegnare alla gente qual è la fonte della forza, non sostiene di essere essa stessa tale potere. Sostiene di essere il solo veicolo attraverso il quale il potere divino può essere incanalato nella natura umana.

Il sé. Forse il centro più comune oggigiorno è il sé. La sua forma più evidente è l’egoismo, che viola i valori della maggior parte delle persone. Tuttavia se analizziamo da vicino molte idee sulla crescita interiore e l’autorealizzazione, spesso troviamo che la loro essenza è proprio il sé.

Nel centro limitato del sé c’è poco in fatto di sicurezza, direzione, saggezza e potere. Come il mar Morto, il sé accetta ma non dà mai. Diventa stagnante.

Al contrario, il prestare attenzione allo sviluppo del sé nella prospettiva più ampia di migliorare la propria capacità di servire, di produrre, di contribuire in modi significativi, crea il terreno per un formidabile accrescimento dei quattro fattori che sostengono la vita.

Questi sono alcuni dei centri più comuni da cui gli esseri umani affrontano la vita. È molto più facile riconoscere il centro della vita di un altro che non quello della propria: probabilmente conosciamo qualcuno che antepone a tutto quanto il far soldi, probabilmente conosciamo qualcuno che dedica la sua energia all’impresa di giustificare la propria posizione in una relazione negativa esistente. Se guardiamo attentamente, potremo vedere al di là del comportamento il centro che lo determina.