1. Le sette regole

Noi siamo quello che facciamo più spesso. La perfezione, quindi, non è atto, ma regola.

Aristotele

Il carattere, sostanzialmente, è fatto di abitudini, regole che ci diamo nella quotidianità. C’è una massima che dice: “Semina un pensiero, raccogli un azione; semina un’azione, raccogli un’abitudine; semina un’abitudine, raccogli un carattere; semina un carattere, raccogli un destino”.

Le abitudini sono elementi forti nella nostra vita. Dato che sono modelli costanti, spesso inconsci, esprimono costantemente, quotidianamente, il nostro carattere e creano la nostra efficacia (o inefficacia).

Così si espresse una volta il grande educatore Horace Mann: “Le abitudini sono come una fune. Noi ne tessiamo un trefolo ogni giorno e ben presto essa non può essere spezzata”. Personalmente non sono d’accordo con l’ultima parte della sua affermazione. Credo che queste funi possano essere spezzate. Le abitudini, in quanto regole che ci siamo in qualche modo dati, che abbiamo appreso, possano essere imparate e disimparate. Certo non lo si può fare in quattro e quattr’otto. È un processo graduale e che necessita di un enorme impegno.

Quelli tra noi che ebbero la fortuna di assistere al viaggio dell’Apollo 11 rimasero assolutamente senza fiato nel vedere i primi passi di esseri umani sulla Luna e il loro ritorno sulla Terra. Aggettivi come “fantastico” e “incredibile” erano inadeguati per descrivere quegli storici giorni. Tuttavia, per arrivare a quel punto, gli astronauti dovettero sottrarsi alla tremenda forza di gravità della Terra. Fu spesa più energia in quei primi pochi minuti di distacco dall’atmosfera, in quei primi pochi chilometri, che non in tutto il resto del viaggio, durato vari giorni e lungo quasi un milione di chilometri.

Anche le abitudini hanno una formidabile forza di gravità, più forte di quanto la maggior parte della gente si renda conto o sia disposta ad ammettere. Interrompere comportamenti abituali profondamente radicati (rimandare, essere impazienti, mancanza di senso critico o egoismo) che violano i principi fondamentali dell’efficacia implica qualcosa di più di un po’ di volontà e di qualche piccolo cambiamento nella nostra vita. Il “distacco” richiede un incredibile sforzo, ma una volta sottratti alla spinta gravitazionale la nostra libertà assume una dimensione totalmente nuova.

Come qualsiasi forza naturale, la forza di gravità può lavorare con noi o contro di noi. La spinta gravitazionale di alcune delle nostre abitudini può effettivamente impedirci di andare dove vogliamo, essere un limite. È sempre la stessa spinta, però, che tiene insieme il nostro mondo, che mantiene i pianeti nella loro orbita e il nostro universo in ordine. È una forza potente, e se noi la usiamo in modo efficace possiamo servirci della spinta gravitazionale dell’abitudine per creare la coesione e l’ordine necessari per introdurre stabilmente l’efficacia nella nostra vita.

Definiamo le “regole”

Ai fini del nostro discorso, definiremo una regola come un incrocio di conoscenza, capacità e desiderio.

La conoscenza è il paradigma della teoria, il che cosa fare e perché. La capacità è il come fare, il desiderio è la motivazione, il voler fare. Per trasformare qualcosa in una regola, è necessario sviluppare tutti e tre questi aspetti.

Posso essere inefficace nelle mie relazioni con i colleghi, con il coniuge o con i figli perché costantemente dico loro cosa penso, ma non presto mai loro veramente ascolto. Se non cerco di capire quali siano i corretti principi d’interazione umana, posso addirittura non arrivare mai a sapere che ascoltare è necessario.

Naturalmente anche se so che per interagire in modo efficace con gli altri mi è necessario ascoltare, posso non averne la capacità. Posso non sapere come veramente ascoltare in modo profondo un individuo.

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Inoltre sapere che è necessario che io ascolti e sapere come ascoltare non è abbastanza. Se io non voglio ascoltare, se che non lo desidero, ascoltare non rappresenterà una regola nella mia vita. Creare una regola richiede di lavorare su tutte e tre le dimensioni.

Il cambiamento nel modo di essere e in quello di vedere è un processo che procede dal basso verso l’alto: l’essere cambia il vedere, che a sua volta cambia l’essere, e così via, man mano che progrediamo, in una spirale di crescita. Lavorando sulla conoscenza, sulla capacità e sul desiderio, possiamo raggiungere nuovi livelli di efficacia personale e interpersonale e nel contempo abbandonare vecchi paradigmi, che magari per anni sono stati una fonte di un finta sicurezza.

Qualche volta è un processo doloroso. È un mutamento che dev’essere motivato da un obiettivo molto forte, dalla volontà di subordinare un obiettivo a breve termine ad uno a lungo termine. Questo processo, però, produce felicità, “l’oggetto e lo scopo della nostra esistenza”. La felicità, infatti, può essere definita, almeno in parte, come il frutto del desiderio e della capacità di sacrificare quello che vogliamo adesso per quello potremmo volere in seguito.

Il continuum della maturità

Le Sette Regole non sono una serie di prontuario di psicologia spicciola. In armonia con le leggi naturali che regolano la crescita, sono un approccio integrato, sequenziale e coerente, per lo sviluppo dell’efficacia personale ed interpersonale. Le regole ci portano progressivamente lungo il continuum della maturità dalla dipendenza all’indipendenza e infine all’interdipendenza.

Tutti noi iniziamo la vita come neonati, totalmente dipendenti dagli altri. Noi siamo portati, nutriti e sostenuti da altri. Se non fossimo accuditi in questo modo, vivremmo soltanto poche ore o al massimo pochi giorni.

Poi, gradualmente, con il passare dei mesi e degli anni, diventiamo sempre più indipendenti - fisicamente, mentalmente, emotivamente e finanziariamente - finché alla fine possiamo sostanzialmente badare a noi stessi, diventando padroni di noi stessi.

Man mano che continuiamo a crescere e a maturare, ci rendiamo sempre più conto che tutto nella natura è interdipendente, che c’è un sistema ecologico che governa la natura, compresa la società. Scopriamo inoltre che la parte migliore dell’essere umano è legata alle relazioni con gli altri: la vita stessa è dominata dall’ interdipendenza.

La nostra crescita, dall’infanzia all’età adulta, funziona coerentemente con le leggi naturali. Questa crescita si manifesta in molti modi. Il raggiungimento della piena maturità fisica, per esempio, non ci garantisce automaticamente maturità emotiva o mentale. Al contrario, la dipendenza tisica di una persona non significa che sia mentalmente o emotivamente immatura.

Nel continuum della maturità, la dipendenza è il paradigma del tu (o del voi): tu ti prendi cura di me; tu agisci per me; tu non hai agito; tu sei responsabile dei risultati. L’indipendenza è il paradigma dell’ io: io posso farlo; io sono responsabile; io sono padrone di me stesso; io posso scegliere.

L’interdipendenza è il paradigma del noi: noi possiamo farlo; noi possiamo collaborare; noi possiamo mettere insieme i nostri talenti e le nostre capacità e creare insieme qualcosa di più grande.

“ Le persone dipendenti hanno bisogno degli altri per ottenere quello che vogliono. Le persone indipendenti possono ottenere quello che vogliono attraverso i loro sforzi individuali. Le persone interdipendenti combinano i loro sforzi individuali con quelli degli altri per conseguire un successo più grande.

Se io fossi fisicamente dipendente - paralizzato o disabile o con qualche limite - avrei bisogno del vostro aiuto. Se fossi dipendente emotivamente, il senso di autostima e il mio senso di sicurezza deriverebbero dall’opinione che avete di me. Se quest’opinione fosse negativa, l’effetto potrebbe essere devastante. Se fossi dipendente intellettualmente, conterei su di voi perché pensiate al posto mio, perché riflettiate sulle questioni e sui problemi della mia vita.

Se fossi fisicamente indipendente, potrei benissimo cavarmela da solo. Se lo fossi mentalmente, potrei concepire i miei pensieri, passare da un livello di astrazione a un altro. Potrei pensare in modo creativo e analitico e organizzare ed esprimere i miei pensieri in modi comprensibili. Se fossi emotivamente indipendente, avrei la conferma della validità delle mie azioni da me stesso. Sarei diretto da me stesso. Il senso del mio valore non dipenderebbe dal fatto di piacere agli altri o di essere trattato bene.

È facile vedere che l’indipendenza è molto più matura della dipendenza. L’indipendenza è in sé e per sé un traguardo di fondamentale importanza. Ma l’indipendenza non è lo stadio ultimo.

Tuttavia il paradigma sociale attualmente più popolare pone al primo posto l’indipendenza. L’indipendenza è l’obiettivo dichiarato di molte persone e gruppi sociali. La maggior parte dei manuali di auto-aiuto mettono su un piedistallo l’indipendenza, come se la comunicazione, il lavoro di gruppo e la cooperazione fossero valori di secondo ordine.

Credo che gran parte dell’attuale sopravvalutazione dell’indipendenza sia una reazione alla dipendenza, alla condizione che ci mette in condizione di essere controllati, giudicati e manovrati.

Il concetto scarsamente compreso dell’interdipendenza è da molti assimilato alla dipendenza, e così troviamo persone che, spesso per motivi egoistici, rompono i loro matrimoni, abbandonano i loro figli e rinunciano a ogni tipo di responsabilità sociale: tutto in nome dell’indipendenza.

Il genere di reazione di persone che “spezzano le catene”, sono “liberate”, “affermano se stesse”, dedicate ai “fatti propri”, è sintomo spesso di dipendenze ancor più forti, che non possono essere rimosse perché sono interiori anziché esteriori. È dipendenza lasciare che le debolezze di altre persone rovinino la nostra vita emotiva, com’è dipendenza sentirsi vittima di individui ed eventi estranei al proprio controllo.

Naturalmente, può anche rendersi necessario cambiare le circostanze in cui viviamo. Tuttavia il problema della dipendenza rimane una questione di maturità personale che ha poco a che vedere con le circostanze. Anche nelle migliori circostanze, di frequente l’immaturità e la dipendenza persistono.

La vera indipendenza di carattere ci permette di agire, anziché essere oggetto dell’azione altrui, ci libera dalla nostra dipendenza dalle circostanze e dagli altri ed è un obiettivo che, se raggiunto, procura un gran senso di benessere, di liberazione. Non è, in ogni caso, l’obiettivo finale per vivere una vita efficace.

Il pensiero indipendente da solo non è adeguato ad una realtà d’interdipendenza. Persone indipendenti che non abbiano la maturità per pensare e agire in modo interdipendente possono essere buoni giocatori solitari, ma non buoni dirigenti o giocatori di squadra. Non provengono dal paradigma dell’interdipendenza, che è necessario per riuscire nel matrimonio, nella famiglia o nella realtà aziendale.

La vita è, per sua natura, fortemente interdipendente. Cercare di ottenere il massimo dell’efficacia attraverso l’indipendenza è come cercare di giocare a tennis con una mazza da golf: lo strumento non è adeguato.

Quello dell’interdipendenza è un concetto molto più maturo, più avanzato. Se io sono fisicamente interdipendente, sono autosufficiente e capace, ma mi rendo conto che voi ed io lavorando insieme possiamo realizzare molto di più di quanto io, anche col massimo impegno, posso fare da solo. Se sono emotivamente interdipendente, ricavo senso del mio valore da me stesso, ma riconosco anche il mio bisogno di amore, di dare e di ricevere amore dagli altri. Se sono intellettualmente interdipendente, mi rendo conto dell’utilità che i pensieri di altre persone vengano ad aggiungersi al mio.

Come persona interdipendente ho la possibilità di condividere me stesso in modo profondo e significativo con altre persone, e ho così accesso alle vaste risorse e al potenziale di altri esseri umani.

L’interdipendenza è una scelta che solo gli individui indipendenti possono fare. Le persone dipendenti non possono scegliere di diventare interdipendenti. Non hanno il carattere necessario per farlo; non sono abbastanza in controllo di se stesse.

Ecco perché le regole 1, 2 e 3 illustrate nei capitoli successivi riguardano la padronanza di sé. Vogliono guidare una persona dalla dipendenza all’indipendenza. Rappresentano quei “successi privati” che costituiscono l’essenza dello sviluppo del carattere.

I successi privati precedono i successi pubblici. Non si può invertire il processo, così come non si può raccogliere prima di aver seminato. Il processo parte dall’interno per rivolgersi all’esterno: “Inside-Out”.

Una volta diventati veramente indipendenti, avete la base su cui costruire un’efficace interdipendenza, per poter lavorare in modo efficace sui “successi pubblici” (più legate alla personalità e relative al lavoro di gruppo, la cooperazione e la comunicazione) attraverso le regole 4, 5 e 6.

Ciò non significa che prima di poter lavorare sulle regole 4, 5 e 6 occorre essere perfetti nelle regole 1, 2 e 3. La comprensione della sequenza aiuterà a organizzare la crescita in modo più efficace, ma naturalmente non sto dicendo che ci dobbiamo isolare per decenni finché non abbiamo sviluppato pienamente le regole 1, 2 e 3 !

Come parti di un mondo interdipendente, dovete relazionarvi ogni giorno con tale mondo. I gravi problemi di questo mondo, tuttavia, possono facilmente oscurare quelli cronici causati dal carattere. La comprensione di come quello che si è influisca su ogni interazione interdipendente potrà essere di aiuto a focalizzare i nostri sforzi in maniera sequenziale, in accordo con le leggi naturali della crescita.

La regola 7 è quella del rinnovamento: un rinnovamento su base regolare e bilanciato di ciascuna delle quattro fondamentali dimensioni della vita. Racchiude e riassume tutte le altre regole. È la regola del miglioramento continuo, la regola che contribuisce a creare quella spirale di crescita che porta a nuovi livelli di comprensione e permette di vivere ciascuna delle regole man mano che procediamo nel percorso 1.

Il diagramma qui rappresentato è una visualizzazione della sequenza e dell’interdipendenza delle sette regole, e sarà utilizzato durante tutto il libro man mano che esamineremo sia il rapporto di sequenza fra le regole sia la loro sinergia: come, relazionandosi le une con altre, prendano nuove forme che arricchiscono ancora di più il loro valore. Ogni concetto o regola sarà prima illustrato e poi approfondito.

Definire l’efficacia

Le sette regole sono regole per sviluppare l’efficacia. Dal momento che si basano su principi, apportano i maggiori risultati a lungo termine. Diventano la base del carattere di una persona, attraverso la creazione di un centro, fatto di mappe corrette che permettono agli individui di risolvere efficacemente i problemi, di sfruttare al massimo le possibilità, di apprendere continuamente e di integrare altri principi in una continua crescita.

Sono regole per sviluppare l’efficacia perché si fondano su un paradigma che è in armonia con la legge naturale, un principio che personalmente chiamo “equilibrio P/CP”, contro cui si scontrano gli sforzi di molte persone. Questo principio può essere molto chiaro, ricordando la favola di Esopo della gallina dalle uova d’oro.

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La favola ci racconta di un povero contadino che un giorno scopre nel nido della sua gallina preferita un meraviglioso e prezioso uovo d’oro. All’inizio pensa allo scherzo di qualcuno. Sta per buttare via l’uovo quando ci ripensa e lo porta al mercato per un controllo. L’uovo è d’oro puro! Il contadino non riesce a credere alla sua fortuna. Diventa ancora più incredulo il giorno dopo quando l’esperienza si ripete. Per molti giorni, appena sveglio corre al pollaio e trova un uovo d’oro. Diventa favolosamente ricco; tutto gli sembra troppo bello per essere vero.

La ricchezza, però, porta con sé avidità e impazienza. Incapace di aspettare un giorno dopo l’altro l’uovo d’oro, il contadino decide di uccidere la gallina per prendersi subito tutte le uova contenute nella sua pancia : quando squarta la gallina, però, non trova nulla. Non ci sono uova d’oro, e non c’è più modo di averne altre. Il contadino ha distrutto la gallina che le produceva.

Credo che questa favola illustri una legge naturale, un principio: la fondamentale definizione di efficacia. La maggior parte delle persone vede l’efficacia secondo il paradigma dell’uovo d’oro: più si produce, più si fa, più si è efficaci.

La nostra storia ci insegna, però, che la vera efficacia dipende da due cose: il prodotto (le uova d’oro) e la risorsa o capacità produttiva (la gallina).

Se adottiamo un modello di vita che si concentra sulle uova d’oro e trascura la gallina, ben presto rimarremo senza la risorsa che produce le uova d’oro. Se invece ci prendiamo cura soltanto della gallina senza aspirare minimamente alle uova d’oro, ben presto ci troveremo senza i mezzi per sfamare noi stessi e la gallina.

L’efficacia è nell’equilibrio, quello che io chiamo equilibrio P/CP: P sta per produzione di risultati desiderati (le uova d’oro), ci sta per capacità di produzione, la risorsa o capacità produttiva che porta ad avere le uova d’oro (la gallina).

Tre tipi di risorse

Esistono tre tipi di risorse: fisiche, finanziarie e umane. Vediamole una per volta.

Qualche anno fa acquistai una risorsa di tipo fisico, una falciatrice elettrica, per il mio prato. La usai spesso senza far nulla per la sua manutenzione. L’attrezzo funzionò bene per due stagioni, ma poi cominciò a perdere colpi. Quando cercai di farlo riparare scoprii che il motore aveva perso metà del suo potenziale originario. Praticamente era da buttare via.

Se avessi investito in CP - provvedendo alla manutenzione dell’apparecchio - avrei ancora ottenere il suo P: il prato rasato. Le cose però erano andate diversamente, e quindi dovetti spendere molto più tempo e denaro, sostituendo la falciatrice, di quanto ne avrei mai speso, occupandomi della sua manutenzione. Fu un pessimo esempio di efficacia.

Cercando profitti o risultati a breve termine, spesso compromettiamo definitivamente una risorsa fisica di valore: un’auto, un computer, una lavatrice o una lavastoviglie, addirittura il nostro corpo o l’ambiente circostante. Mantenere in equilibrio P e CP, fa veramente la differenza nell’ottica di uso efficace delle risorse.

Lo stesso si può dire per le risorse finanziarie. Quanto spesso le persone confondono il capitale con l’interesse? Non vi è mai capitato di intaccare il vostro capitale per aumentare il vostro livello di vita, per avere più uova d’oro ? Il capitale a quel punto diminuisce, e con esso diminuisce anche la capacità di creare interesse. Si crea, quindi, un meccanismo tale per cui il capitale diminuisce a tal punto da non bastare neanche più per le necessità primarie.

La nostra risorsa finanziaria più importante è la nostra capacità di guadagnare. Se non investiamo continuamente nel migliorare il nostro fattore CP limitiamo pesantemente le nostre scelte. Restiamo intrappolati nella nostra situazione presente, sempre timorosi dell’opinione della nostra azienda o del nostro capo, economicamente dipendenti e sulla difensiva. Anche in questo caso, l’efficacia è pessima.

Nel campo delle risorse umane, l’equilibrio P/CP è altrettanto fondamentale, anzi ancora più importante perché gli uomini possono controllare le risorse fisiche e finanziarie, ma non quelle umane.

Quando due persone all’interno del loro rapporto matrimoniale si preoccupano di ottenere le uova d’oro, i benefici, più che di preservare la relazione che le rende possibili, spesso diventano insensibili e prive di rispetto, finiscono con il trascurare quelle piccole attenzioni e cortesie che sono così importanti per un rapporto profondo. Cominciano a usare leve di controllo per influenzare e manovrare il proprio coniuge, a concentrarsi sui propri bisogni, a giustificare la propria presa di posizione e cercare elementi che dimostrino che è l’altro ad essere in torto. L’amore, la pienezza del rapporto, la tenerezza e la spontaneità cominciano a diminuire. La gallina si ammala sempre di più giorno dopo giorno.

Questo può accadere anche nel rapporto fra genitore e figli, soprattutto se piccoli. I bambini sono molto dipendenti, molto vulnerabili. Diventa allora estremamente facile trascurare con loro il fattore CP: l’educazione, la comunicazione, la relazione, l’ascolto. È facile approfittarsi dei figli, manipolarli, ottenere quello che si vuole nel modo che si vuole.., e subito! Noi siamo più grandi, siamo più intelligenti, e abbiamo ragione! Quindi, perché non ci limitiamo a dirgli che cosa devono fare? Se necessario, alziamo pure la voce con loro, ricorriamo all’intimidazione, imponiamo i nostri obblighi.

Oppure possiamo viziarli. Possiamo cercare l’uovo d’oro della “popolarità” compiacendoli, lasciandogli fare ciò che vogliono, dandogliela sempre vinta. In questo modo cresceranno senza senso di aspettative, senza nessun impegno ispirato all’autodisciplina o al senso di responsabilità.

In un modo (quello autoritario) o nell’altro (quello permissivo), mostriamo la stessa mentalità del contadino che voleva le uova d’oro. Noi vogliamo ottenere subito quello che desideriamo, oppure non vogliamo correre il rischio di dispiacere a nostro figlio. Cosa succede, intanto, alla gallina? Con quale senso di responsabilità, di autodisciplina o di fiducia nel fare scelte corrette o di conseguire risultati importanti verrà a trovarsi il ragazzo di lì a qualche anno? Cosa accadrà al nostro rapporto? Quando arriverà all’adolescenza, con le crisi d’identità, la confusione in testa, saprà, in base alle esperienze vissute, che sapremo ascoltarlo senza giudicare, che lui ci sta a cuore realmente, profondamente, come persona, che può avere fiducia in noi? Il nostro rapporto sarà abbastanza forte da permetterci di arrivare a lui, di comunicare con lui, di esercitare la nostra influenza su di lui?

Poniamo che voi vogliate che vostra figlia abbia la propria camera in ordine: questo è P, produzione, l’uovo d’oro. Supponiamo che vogliate che sia lei a pulirla: questo è CP, capacità di produzione. Vostra figlia è la gallina, la risorsa, che produce l’uovo d’oro.

Se voi avete P e CP in equilibrio, vostra figlia pulisce la stanza volentieri, senza che sia necessario ricordarglielo, perché si è assunta un impegno e ha l’autodisciplina che serve per mantenerlo. Vostra figlia è una risorsa valida, una gallina in grado di produrre uova d’oro.

Se, al contrario, il vostro paradigma è concentrato sulla produzione, sull’ottenere che la stanza sia pulita, potreste trovarvi costretti a dover insistere. Potreste addirittura spingervi a minacciare o ad alzare la voce con lei. In questo modo, nel vostro desiderio di ottenere l’uovo d’oro, compromettereste la salute e il benessere della gallina.

A questo proposito vi voglio raccontare la mia esperienza con una delle mie figlie. Avevamo in programma di uscire insieme, noi due da soli, un piccolo rituale che ho con ciascuno dei miei figli. In realtà organizzare la serata è tanto piacevole quanto trascorrerla.

Così, andai da mia figlia e le dissi: “Sono tutto tuo, questa sera è dedicata a te, tesoro. Cosa vuoi fare?”.

“Oh, papà, lascia stare”, fece lei. “Davvero,” replicai. “Cos’è che vuoi fare?”.

“Beh,” rispose alla fine, “quello che voglio io non piacerebbe a te, lo so”.

“Ma cosa dici”, dissi onestamente, “certo che voglio farlo. Di qualsiasi cosa si tratti, è una tua scelta”.

“Voglio andare a vedere Guerre stellari,” mi disse, “ma so che a te Guerre stellari non piace. Ti ha già fatto addormentare una volta. A te non piace il genere fantasy. Lascia perdere, papà”.

“Ma no, cara. Se è questo che ti va di fare, va bene anche per me”.

“Papà, non preoccuparti. Non è necessario che usciamo insieme tutte le volte”. E dopo una pausa aggiunse: “Lo sai perché non ti piace Guerre stellari? Perché non capisci la filosofia e l’educazione di un cavaliere jedi”.

“Cosa?”.

“Hai presente le cose che insegni, papà? Sono le stesse cose che fanno parte della formazione di un cavaliere jedi”.

“Davvero? Allora cosa aspettiamo ad andare a vedere Guerre stellari?'.

Così ci andammo. Mia figlia si sedette accanto a me e mi fornì il paradigma. Io diventai il suo allievo, e lei l’insegnante. Fu un’esperienza assolutamente affascinante. Potei cominciare a vedere secondo un nuovo paradigma l’intero modo in cui la filosofia insegnata a un cavaliere jedi si manifesta in circostanze diverse.

Non si trattò di un’esperienza di P programmata; fu la combinazione casuale e fortunata di un investimento in CP. Ci avvicinò ancora di più e fu molto soddisfacente. La gallina (la qualità del nostro rapporto) fu molto ben nutrita quella sera, e per di più potemmo goderci le uova d’oro.

CP nelle organizzazioni

Uno degli aspetti più preziosi di qualsiasi principio corretto è che esso è valido e applicabile in un’ampia varietà di circostanze. Nelle pagine di questo libro mi piacerebbe condividere con voi alcuni dei modi con cui questi principi si applicano a diversi tipi di organizzazioni, comprese le famiglie, oltre che a individui.

Quando le persone, nel loro utilizzo delle risorse fisiche all’interno di organizzazioni, non rispettano l’equilibrio P/CP, diminuiscono di gran lunga l’efficacia e spesso lasciano coloro che verranno alle prese con galline moribonde.

Ad esempio, il sig. Rossi, responsabile di una qualsiasi risorsa fisica, come un macchinario, può desiderare di fare una buona impressione sui suoi superiori.

Magari la ditta è in una fase di espansione e le promozioni avvengono con facilità. Così il Sig. Rossi produce ad un ottimo ritmo: nessun tempo passivo, nessuna manutenzione. Il macchinario lavora h24. La produzione è fenomenale, i costi sono ridotti e i profitti vanno alle stelle. In breve tempo viene promosso. Uova d’oro!

Voi avete preso il suo posto. Voi ereditate una gallina malata, una macchina che ormai è assolutamente “morta” e comincia a guastarsi. Dovete investire pesantemente in tempo passivo e manutenzione. I costi crescono vertiginosamente, i profitti precipitano, immaginate chi si prenderà la colpa della perdita delle uova d’oro? Voi. Il vostro predecessore ha effettivamente distrutto la risorsa, ma in azienda il percepito è stato solamente maggior produzione, minori costi e profitti alti.

L’equilibrio P/CP è particolarmente importante in rapporto alle risorse umane di un’azienda: i clienti e i dipendenti.

Ricordo un ristorante nella mia città dove si serviva una favolosa zuppa di cozze e molluschi e che ogni giorno, all’ora di pranzo, era pieno di clienti. Ad un certo pùnto ci fu un cambio di gestione, e il nuovo proprietario si concentrò sulle uova d’oro: decise di diminuire la qualità della zuppa.

Per circa un mese, con i costi ridotti e le entrate costanti, i profitti salirono di colpo. Ma a poco a poco i clienti cominciarono a sparire. La fiducia si era volatilizzata, e gli affari calarono fin quasi a zero. Il nuovo gestore tentò disperatamente di risalire la china, ma aveva trascurato i clienti, tradito la loro fiducia e perso così la risorsa della fedeltà del cliente. La gallina dalle uova d’oro non c’era più.

Molte aziende parlano molto del cliente ma poi lo trascurano completamente, trascurano le persone che lo gestiscono, cioè i dipendenti. Il principio è quello di trattare sempre i vostri dipendenti esattamente come volete che essi trattino i vostri migliori clienti.

Si possono comprare le capacità di una persona, ma non si può comprare il suo cuore. Il suo cuore è dov’è il suo entusiasmo, dov’è la sua lealtà. Si può comprare la sua schiena, ma non si può comprare il suo cervello. Ed è dal suo cervello che provengono la sua creatività, la sua capacità di immaginazione.

Lavorare sulla CP consiste nel trattare i dipendenti come “volontari”, esattamente come sono trattati quali volontari i clienti, perché è questo che sono. Entrambi prestano “volontariamente” quanto hanno di meglio: il loro cuore e la loro mente.

Una volta mi trovavo in un gruppo quando qualcuno chiese: “Come posso fare per gestire gli scansafatiche e gli incompetenti?”.

“Tirategli bombe a mano!” rispose un tizio.

Molti approvarono quel modo spiccio di gestire le risorse umane, atteggiamente del tipo “dentro o fuori”.

Un’altra persona del gruppo chiese: “E chi si occuperà di raccogliere i pezzi?”.

“Quali pezzi?”.

“Allora perché non fare lo stesso con i propri clienti?” disse l’altro. “Gli si può dire, senza tanti fronzoli: “Se non sei interessato a comprare puoi sempre uscire da quella porta!”.

Questo con i clienti non si può fare”, ammise il tizio che aveva parlato di bomba.

“Perché lo possiamo fare con i dipendenti?”.

“Perché sono sul tuo libro paga”.

“Capisco. I suoi dipendenti le sono fedeli? Lavorano sodo? Com’è il turnover?”.

“Vorrà scherzare! Oggi come oggi non si riesce più a trovare dei bravi lavoratori. C è troppo turnover, assenteismo, disaffezione. Oggi la gente semplicemente non si cura più di nulla”.

Questo focalizzarsi sulle uova d’oro - questo atteggiamento, questo paradigma - è completamente inadeguato per poter utilizzare le enormi e complesse energie che risiedono nella mente e nel cuore di un’altra persona. Un ottimo risultato a breve termine è importante, ma non così importante. Efficacia significa equilibrio. Troppa attenzione al P ha come risultati danni alla salute, macchine fuori uso, conti correnti in rosso e rapporti rovinati. Concentrarsi troppo sulla CP fa pensare a uno che corre per tre o quattro ore al giorno, vantandosi che questo gli porterà dieci anni di vita, senza rendersi conto che li sta spendendo nella corsa. Oppure a uno che non smette mai di andare a scuola, senza mai portare a casa i frutti del lavoro, vivendo sulle uova d’oro di altre persone: la sindrome dell’eterno studente. Mantenere l’equilibrio P/CP, l’equilibrio tra l’uovo d’oro e la salute e il benessere della gallina, è spesso una difficile prova di giudizio. Mi preme sottolineare che in questo consiste l’essenza stessa dell’efficacia. Bilanciare risultati a breve termine con risultati a lungo termine. Bilanciare il desiderio di ottenere un diploma con il prezzo che bisogna pagare per ottenere un’istruzione. Bilanciare il desiderio di avere una stanza pulita ed ordinata con la creazione di un rapporto in cui vostra figlia si senta veramente coinvolta a provvedere alla pulizia della propria stanza: con energia, volentieri e senza supervisione esterna. È un principio che potete veder confermato anche nella vostra quotidianità quando, per così dire, tirate troppo la corda per ottenere un maggior numero di uova d’oro e finite per spezzarla, ammalati o esauriti; comparato a quando vi godete una buona nottata di sonno e vi svegliate pronti a lavorare in maniera produttiva per l’intera giornata.

E un principio che potete verificare quando calcate la mano per averla vinta con qualcuno e più o meno chiaramente avvertite un senso di vuoto nel rapporto; o, al contrario, dedicate seriamente del tempo ad investire in un rapporto e potete apprezzare che il desiderio e la capacità di lavorare insieme, di comunicare, compiono un progresso eccezionale.

L’equilibrio P/CP è 1’essenza stessa dell’efficacia. È provato in ogni ambito della vita. Noi possiamo lavorare a favore o contro, ma è presente. È un faro di luce. Ed è proprio sulla definizione e il paradigma dell’efficacia su cui si basano le sette regole descritte in questo libro.

Come usare questo libro

Prima di iniziare a lavorare sulle sette regole, mi permetto di suggerire due salti di paradigmi per aumentare il valore di questo materiale per voi lettori.

In primo luogo, vi raccomanderei di non “vedere” questo materiale come un libro, non cioè come qualcosa da leggere una volta e poi riporre in uno scaffale.

Potete scegliere di leggerlo una volta da cima a fondo per avere un’idea dell’insieme. È stato pensato per essere un compagno, nel processo continuo di cambiamento e di crescita. È organizzato per step successivi di sviluppo e offre precisi suggerimenti in modo che alla fine dell’esposizione di ciascuna regola possiate applicare quanto avete appreso e prepararvi ad analizzare ed esplorare la regola successiva.

Man mano che arriverete a livelli sempre più profondi di comprensione e di implementazione, potrete tornare di tanto in tanto ai principi contenuti in ciascuna regola e lavorare per aumentare la vostra conoscenza, la vostra abilità nel metterlo in pratica e il vostro desiderio.

In secondo luogo, vi suggerirei di spostare il paradigma del vostro coinvolgimento in questo materiale dal ruolo di allievo a quello d’insegnante. Provate un approccio “Inside-Out”: leggete con il proposito di condividere o di discutere con un’altra persona quanto imparate, entro quarantott’ore da quando l’avete appreso.

Se aveste saputo, per esempio, di dover insegnare a qualcun altro il concetto di equilibrio P/CP, avreste modificato il vostro stile di lettura? Provate ora a rileggere l’ultima parte di questo capitolo. Leggetela come se doveste insegnarla al vostro compagno, a vostro figlio, a un collega o a un amico oggi o domani, quando è ancora fresca nella vostra memoria, e provate ad osservare la differenza nel vostro processo mentale ed emotivo.

Se affronterete in questo modo il materiale di ciascuno dei capitoli successivi, vi garantisco che non solo ricorderete meglio quanto avrete letto, ma la vostra prospettiva si amplierà, la vostra comprensione si farà più profonda e la vostra motivazione ad applicare il materiale ne risulterà aumentata.

Inoltre, se condividerete in maniera aperta con altri quanto state imparando, probabilmente vi sorprenderà constatare che alcune etichette sbagliate e negative create da altri tenderanno a scomparire. Coloro a cui insegnerete vi vedranno come una persona che attraversa un processo di cambiamento, di crescita, e saranno più disposti ad aiutarvi e a sostenervi mentre lavorate, magari insieme con loro, per integrare le sette regole nella vostra vita.

Cosa potete aspettarvi

In ultima analisi, come osservò Marilyn Ferguson, “nessuno può convincere 1 un altro a cambiare. Ciascuno di noi è il custode di un cancello che può essere aperto soltanto dall’interno. Noi non possiamo aprire il cancello di un altro, né con la ragione né con il sentimento”.

Se voi decidete di aprite il vostro “cancello del cambiamento” per comprendere e vivere davvero i principi racchiusi nelle sette regole, posso assicurarvi che accadranno molte cose positive.

Primo, la vostra crescita sarà frutto di un’evoluzione, ma l’effetto complessivo sarà quello di una rivoluzione. Siete d’accordo che il principio dell’equilibrio P/CP da solo, se vissuto fino in fondo, sarebbe in grado di trasformare la maggior parte degli individui e delle organizzazioni?

L’effetto dell’apertura del “cancello del cambiamento” alle prime tre regole - le regole del “successo privato” - sarà di accrescere in modo rilevante la sicurezza in voi stessi. Giungerete a conoscervi in un modo più profondo, più significativo: il vostro carattere, i vostri valori base e la vostra capacità specifica, peculiare, di contribuire alla società. Nella misura in cui vivrete i vostri valori, il vostro senso d’identità, di coerenza e di autodeterminazione sarà veicolo sia di felicità che di pace. Voi definirete voi stessi dall’interno, non in base alle opinioni altrui o a confronti con altre persone. La vostra scoperta non avrà a che fare con i concetti di “sbagliato” o “giusto”.

Paradossalmente scoprirete che, nella misura in cui v’importerà meno di quanto gli altri pensano di voi, v’importerà di più di quello che gli altri pensano di se stessi e dei loro mondi, compresa la loro relazione con voi. Voi non costruirete più la vostra vita emotiva sulle debolezze di altre persone. Troverete inoltre che è molto più semplice e entusiasmante cambiare, in quanto c’è qualcosa - un nucleo intimo profondo - di essenzialmente immutabile.

Durante la scoperta delle tre regole successive - le regole del “successo pubblico” avrete forte il desiderio e le risorse necessarie per recuperare e ricostruire importanti relazioni che si sono deteriorate o addirittura interrotte. Le buone relazioni miglioreranno sempre più: diventeranno più profonde, più solide, più creative e più sperimentative.

La settima regola, se veramente interiorizzata, sarà fonte di rinnovamento per le prime sei e vi renderà davvero indipendenti e capaci di un’efficace interdipendenza. Grazie a essa potrete ricaricare le vostre batterie.

Qualsiasi cosa potete pensare adesso, vi posso assicurare che ciascuno di noi può cambiare. Potete sostituire i vecchi schemi di comportamento con nuovi modelli, con nuove regole efficaci, con relazioni basate sulla fiducia.

Vi incoraggio - e la mia sollecitudine è sincera - ad aprire il cancello del cambiamento e della crescita interiore mentre affrontate queste regole. Non pretendete troppo da voi stessi, siate pazienti. Il processo di sviluppo di se stessi è un processo delicato, è terreno sacro. È il miglior investimento che si possa fare.

Naturalmente non si tratta di un progresso realizzabile su due piedi. Posso però garantirvi che ne avvertirete i benefici e che riscontrerete immediatamente risultati incoraggianti. Ha detto Tom Paine: “Quello che otteniamo troppo facilmente, lo valutiamo poco. È soltanto la difficoltà con cui si ottiene una cosa a darle valore. Il cielo sa come attribuire il giusto prezzo ai suoi beni”.