3.8 Vivere il programma

Tornando ancora una volta alla metafora del computer, se la regola 1 dice “Tu sei il programmatore” e la regola 2 dice “Scrivi il programma”, allora la regola 3 dice “Attiva il programma”, “Vivi il programma”. E viverlo dipende in prima battuta dalla nostra volontà autonoma, dalla nostra autodisciplina, dalla nostra coerenza e dal nostro impegno: non da incombenze e programmi a breve scadenza o dall’impulso del momento, ma dai corretti principi e dai nostri più profondi valori, che danno significato e contestualizzano i nostri obiettivi, i nostri programmi e la nostra vita.

Nell’arco della settimana, troverai senza dubbio occasioni in cui la tua coerenza verrà messa in gioco. La popolarità offerta dal reagire alle urgenti ma non importanti priorità di altre persone nel quadrante III o il piacere di rifugiarsi nel quadrante IV minacceranno di sopraffare le importanti attività del quadrante II programmate. I principi che hai come centro, la tua autoconsapevolezza e la tua coscienza possono fornire un ottimo livello di sicurezza, direzione e saggezza intrinseca, tale da permetterti di servirti della volontà e di mantenerti fedele a quanto è veramente importante.

Dal momento che non sei onnisciente, non puoi sempre sapere in anticipo che cos è veramente importante. Per quanto tu possa organizzare accuratamente la tua settimana, si presenteranno sempre momenti in cui, come persona legata ai principi, dovrai subordinare il tuo programma a un valore superiore. Però, avendo messo al centro di tutto i principi, potrai farlo con un senso di pace interiore.

Ci fu un periodo in cui uno dei miei figli era diventato assolutamente fanatico dell’efficienza e della programmazione. Un giorno si trovò con un programma molto stretto, che assegnava tempi precisi al minuto a ciascuna delle attività previste, fra cui andare in biblioteca a prendere dei libri, lavare la macchina e mollare Carol, la sua ragazza. Tutto andò secondo il programma stabilito finché non venne la volta di Carol. Uscivano insieme da molto tempo, ma alla fine egli era arrivato alla conclusione che la loro relazione non poteva continuare. Così, in accordo con il suo modello di efficienza, aveva preventivato una telefonata dai dieci ai quindici minuti per comunicarglielo.

La notizia fu molto traumatica per Carol. Un’ora e mezzo dopo erano ancora impegnatissimi in una concitata conversazione, ma neppure quella lunga chiacchierata bastò. La situazione fu un’esperienza molto frustrante per entrambi.

Come si può vedere anche nel caso appena descritto, quando si ha a che fare ; con le persone non si può pensare in termini di pura e semplice efficienza. Si i i pensa in termini di efficacia con le persone e di efficienza con le cose. Io ho cercato di essere “efficiente” con una persona sgradevole, ma ho visto che semplicemente non funziona. Ho cercato di concedere dieci minuti di “tempo di qualità a un figlio o a un collaboratore per aiutarlo a risolvere un problema, solo per scoprire che tale “efficienza” crea nuovi problemi e di rado scioglie le problematiche più profonde.

Vedo molti genitori, soprattutto madri con bambini piccoli, spesso frustrati nel loro desiderio di ottenere risultati di altissimo livello, perché non fanno che soddisfare i bisogni dei figli. La frustrazione, ricordate, è una conseguenza delle nostre aspettative, e le nostre aspettative sono spesso un riflesso dello specchio sociale, e non dei nostri valori e delle nostre priorità.

Se avete profondamente introiettato nel cuore e nella mente la regola 2, avete questi valori superiori a guidarvi. Potete subordinare il vostro programma a questi valori. Potete adattarvi; potete essere flessibili. Non vi fate cogliere dal senso di colpa quando non seguite il programma o quando vi trovate a doverlo cambiare.

3.9 I progressi della quarta generazione

Uno dei motivi per cui le persone non amano utilizzare strumenti di pianificazione di terza generazione è che sentono di perdere spontaneità. Questi strumenti sono rigidi e non flessibili. I programmi hanno il sopravvento sulle persone, perché il paradigma di efficienza non è in armonia con il principio per cui le persone sono più importanti delle cose.

Lo strumento di quarta generazione riconosce questo principio. Riconosce anche che la prima persona che devi considerare in termini di efficacia piuttosto che di efficienza sei tu. Incoraggia a trascorrere del tempo nel quadrante II, a comprendere la vita e a incentrarla sui principi, a dare chiara espressione ai fini e ai valori a cui vuoi ispirati nelle decisioni quotidiane. Aiuta a creare equilibrio nella vita. Aiuta a superare i limiti della programmazione giornaliera e a pianificare nel contesto della settimana. E quando un valore superiore entra in conflitto con quanto programmato, permette di usare l’autoconsapevolezza e la coscienza per mantenere la coerenza dei principi nei confronti dei propositi che hai deciso essere più importanti. Invece di usare una mappa stradale, usi una bussola.

La quarta generazione è più avanzata della terza sotto cinque importanti aspetti.

Primo, ha dei principi al centro. Anziché limitarsi ad attribuire un’importanza solo simbolica al quadrante II, crea il paradigma sociale che ti permette di vedere il tuo tempo nel contesto di ciò che è realmente importante ed efficace.

Secondo, è diretto dalla coscienza. Ti dà la possibilità di organizzare la tua vita al meglio delle tue capacità e in armonia con i tuoi valori più profondi. Ma ti dà anche la libertà di subordinare tranquillamente il tuo programma a valori superiori.

Terzo, definisce la tua specifica missione, compresi valori e obiettivi a lungo termine. Questo dà direzione e scopo al tuo modo di trascorrere le giornate.

Quarto, ti aiuta a dare equilibrio alla tua vita identificando i vari ruoli, fissando ogni settimana gli obiettivi e programmando le attività in ogni ruolo chiave.

Quinto, ti fornisce un contesto più ampio, grazie alla programmazione settimanale (con adattamenti giornalieri se necessario), al di là della prospettiva limitata della giornata e ti permette di attingere ai tuoi valori più profondi, attraverso la riflessione sui ruoli chiave.

Il filo conduttore fra tutti e cinque questi progressi è costituito dalla principale focalizzazione sulle relazioni interpersonali e sui risultati e da una secondaria focalizzazione sul tempo.

3.10 Delega: aumentare P e CP

Noi realizziamo tutto quello che facciamo tramite la delega: al tempo o ad altre persone. Se deleghiamo al tempo, pensiamo in termini di efficienza. Se deleghiamo ad altre persone, pensiamo in termini di efficacia.

Molte persone si rifiutano di delegare perché pensano che questo richieda troppo tempo e troppo sforzo e sono convinti di poter far meglio da soli. Delegare in modo efficace è forse l’attività con il più alto valore aggiunto che esista.

Trasferire responsabilità ad altre persone capaci e formate adeguatamente ci permette di dedicare la nostra energia ad altre attività. Delega significa crescita, sia per gli individui che per le organizzazioni. Lo scomparso J.C. Penney confessò che la decisione più saggia che avesse mai preso era stata quella di “lasciar andare” dopo essersi reso conto che non ce l’avrebbe più fatta a badare a tutto quanto da solo. Questa decisione, presa tanto tempo fa, permise uno sviluppo e un’espansione quantificabili in centinaia di negozi e in migliaia di addetti.

Dato che la delega coinvolge altre persone, è successo pubblico e potrebbe essere incluso nella regola 4. Dal momento che qui discutiamo di principi di management personale, e poiché la capacità di delegare ad altri è la principale differenza fra il ruolo del manager e un “produttore”, considererò la delega dal punto di vista delle capacità manageriali personali.

Un “produttore” compie tutto quello che è necessario per conseguire i risultati desiderati, per ottenere le uova d’oro. Un genitore che lava i piatti, un architetto che elabora un progetto o una segretaria che batte a macchina la corrispondenza.

Quando una persona per produrre le uova d’oro comincia a lavorare con o grazie a persone e sistemi, diventa un manager, nel senso che si rende interdipendente. Un genitore che delega il lavaggio dei piatti a un figlio è un manager. Un architetto che guida una squadra di altri architetti è un manager. Una segretaria che sovrintende ad altre segretarie e ad altre persone è una manager.

Un “produttore” può pensare di investire un’ora di sforzo e produrre un’unità di risultati, supponendo di non avere perdita di efficienza.

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Invece un manager può investire un’ora di sforzo e produrre dieci o cinquanta o cento unità, attraverso una delega efficace.

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Management significa essenzialmente muovere il fulcro, e la chiave del management efficace è la delega.

3.11 Delega operativa

Esistono fondamentalmente due tipi di delega: la “delega operativa” e la “delega di responsabilità”. Delega operativa significa: “Va’ a prendere questo, va’ a prendere quello, fa’ questo, fa’ quello e avvertimi quando hai finito”. La maggior parte dei “produttivi” ha un paradigma di delega operativa. Ricordate gli uomini con il machete che si aprono un varco nella giungla? Loro sono i produttivi. Si rimboccano le maniche e fanno il loro lavoro. Anche se gli viene assegnata una posizione di supervisione o di gestione, pensano sempre da “produttivi”. Non sanno come delegare veramente, affinché un’altra persona sia responsabilizzata a raggiungere risultati. Poiché sono focalizzati sui metodi, diventano responsabili dei risultati.

Una volta sono stato coinvolto direttamente in un caso di delega operativa. Stavamo facendo sci d’acqua con tutta la famiglia: mio figlio, che è bravissimo, stava sciando, io guidavo il motoscafo. Porsi la macchina fotografica a Sandra e le chiesi di scattare qualche foto.

In un primo tempo le chiesi di essere selettiva, perché il rullino stava finendo. Poi mi resi conto che non conosceva bene la macchina e cominciai a darle istruzioni più particolareggiate. Le dissi di stare attenta, di aspettare che il sole venisse a trovarsi dietro la barca e che nostro figlio superasse d’un balzo la scia o si esibisse in una giravolta toccandosi il gomito in gesto di sfida.

Ma più pensavo al rullino che stava per finire e alla mancanza di confidenza di mia moglie con la macchina, più ero preoccupato. Alla fine dissi: “Senti, Sandra, fa’ così: schiaccia quando te lo dico io. Capito?”. E nei minuti che seguirono non feci che gridare: “Ora! Ora! Adesso no! Aspetta!”. Temevo che se non l’avessi diretta in ogni movimento, secondo per secondo, sarebbe venuto fuori un pasticcio.

Ecco un esempio da manuale di delega operativa: una supervisione di metodi da parte di una persona su un’altra persona. Molti delegano sistematicamente in questo modo. Ma quanto, in pratica, è efficace un’operazione del genere? E quante persone è possibile dirigere o gestire, quando è necessario intervenire su ogni loro mossa?

C’è un modo migliore e più efficace di delegare ad altri. È basato su un paradigma di valorizzazione dell’autoconsapevolezza, dell’immaginazione, della coscienza e della volontà altrui.

3.12 Delega di responsabilità

La delega di responsabilità si concentra sui risultati anziché sui metodi. Lascia alle persone la scelta del metodo e le rende responsabili dei risultati. Richiede più tempo agli inizi, ma è tempo bene investito. Per mezzo della delega di responsabilità è possibile muovere il fulcro, accrescere la potenza della nostra leva.

La delega di responsabilità implica una comprensione e un impegno chiari e reciproci in cinque aree.

Risultati desiderati. Creare una chiara reciproca comprensione di quello che è necessario portare a termine, concentrandosi sull’obiettivo, non sul come: sui risultati, non sui metodi. Impiegare il tempo necessario. Essere pazienti. Visualizzare il risultato desiderato. Indurre la persona a vederlo, a descriverlo, a dichiarare quali saranno i risultati e in che tempi saranno raggiunti.

Linee guida. Identificare i parametri all’interno dei quali operare. Dovrebbero essere i più limitati possibile, per evitare una delega di metodo, ma dovrebbero includere anche restrizioni tassative. Non si può dare a una persona tutta la libertà d’azione che vuole purché raggiunga l’obiettivo se far questo è contrario a consuetudini e valori radicati. La mancanza di linee guida uccide l’iniziativa e spinge le persone alla delega operativa: “Tu dimmi solo quello che vuoi che faccia, e io lo faccio”.

Se conoscete le aree di rischio e le criticità discutetele apertamente. Siate onesti e aperti: dite all’altro dove ci sono le sabbie mobili e dove le bestie feroci. Lasciate che altri imparino dai vostri errori o dagli errori comuni e noti. Mostrate quali strade possono condurre al fallimento, quali cose non vanno fatte; ma non dite agli altri che cosa devono fare. Lasciategli la responsabilità dei risultati, e la libertà di manovra entro i confini delle linee guida.

Risorse. Identificare le risorse umane, finanziarie, tecniche od organizzative da cui la persona può attingere per ottenere i risultati desiderati.

Valutazione. Fissare i criteri di valutazione delle prestazioni e le scadenze precise per la presentazione e l’analisi dei report.

Conseguenze. Specificare quali saranno le conseguenze, nel bene e nel male, di questa valutazione. Conseguenze che potrebbero essere soldi, riconoscimenti morali, assegnazioni a incarichi diversi e conseguenze naturali legate al percorso dell’azienda.

Qualche anno fa ebbi un’interessante esperienza di delega con uno dei miei figli. Era in corso una riunione di famiglia, e appendemmo alla parete una dichiarazione di missione familiare per essere sicuri che i nostri piani fossero in armonia con i nostri valori. La famiglia era al gran completo.

Presi una grande lavagna e scrivemmo i nostri obiettivi - gli obiettivi chiave- e le varie attività che si rendevano necessarie per conseguire questi obiettivi. Poi chiesi volontari per ciascuna di queste attività.

“Chi vuol pagare il mutuo?” domandai. Notai che fui l’unico ad alzare la mano.

Chi vuol pagare l’assicurazione? Il vitto? Le auto?”. Sembrava proprio che fossi io ad avere tutte queste opportunità.

“Chi vuole allattare il piccolo?”. Qui si manifestò un po’ più d’interesse, ma mia moglie era l’unica con i requisiti per questa attività.

Nello spuntare le varie voci dell’elenco, attività per attività, si rese ben presto evidente che papà e mamma avevano settimane lavorative di più di sessanta ore. Evidenziare questo paradigma permise di vedere le altre attività in una più giusta prospettiva.

Mio figlio Stephen, che allora aveva sette anni, si offri come volontario per il nostro prato. Prima di affidargli il lavoro preparai un accurato processo di addestramento. Volevo che avesse in mente un quadro chiaro di ciò che s’intendeva per prato ben curato, e quindi lo condussi a quello del nostro vicino di casa.

“Guarda, figliolo” dissi. “Vedi com’è verde e pulito il prato del nostro vicino? È così che noi vogliamo che sia anche il nostro: verde e pulito. Adesso vieni a vedere il nostro. Vedi come è? Non ci siamo proprio, questo non è verde. Noi lo vogliamo verde e pulito. Adesso sta a te riuscire a farlo diventare verde. Sei libero di farlo nel modo che preferisci, basta che non lo dipingi. Però posso dirti come farei io se dovessi farlo.

“Come faresti, papà?”.

“Userei il nostro sistema di irrigazione. Ma può darsi che tu preferisca usare i secchi o una canna di gomma. Non è importante. Tutto quello che ci interessa è che il colore sia verde. D’accordo?”.

“D’accordo”.

“Adesso veniamo alla parola ‘pulito’. Pulito significa niente lasciato per terra: niente cartacce, spaghi, ossicini, bastoncini, o altro. Ed ecco come farei io. Proviamo a pulire subito metà del prato, così puoi vedere la differenza”.

Prendemmo due sacchi di carta e ripulimmo metà del prato. “Adesso guarda questa metà. E guarda l’altra metà. Vedi la differenza? Pulito significa questo”.

“Aspetta!” gridò. “Ho visto della carta dietro quel cespuglio!”.

“Che bravo! Non avevo notato quel giornale. Hai un’ottima vista. E adesso, prima che tu decida se vuoi accettare o no il lavoro, lascia che ti dica un paio di altre cose. Quando avrai assunto la responsabilità del lavoro io non lo farò più. Sarà il tuo lavoro. Si chiama incarico. Incarico significa che io ti carico di una responsabilità. Io mi fido di te, e so che farai un ottimo lavoro. E adesso chi sarà il tuo capo?”.

“Tu, papà?”.

“No, non io. Sei tu. Tu sei il capo di te stesso. Non vorrai mica che papà e mamma ti stiano sempre dietro a sgridarti e a dirti quello che devi fare, no?”.

Certo che no”.

“Neanche a noi piace. Certe volte ci fa restare male, non è vero? E indovina chi è il tuo aiutante”.

“Chi?”.

“Io” risposi. “E tu mi darai gli ordini”.

“Davvero?”.

“Davvero. Il mio tempo, però, non sarà molto. Certe volte sono via. Ma quando ci sarò dimmi in che modo posso aiutarti. Io farò tutto quello che vorrai farmi fare”.

“Okay!”.

“Adesso indovina chi è che ti giudica”. “Chi?”.

“Tu giudichi te stesso.

“Dici sul serio?”.

Proprio così. Due volte alla settimana noi due faremo il giro del prato e tu mi potrai mostrare come sta andando. E com’è che lo giudicherai?”.

“Verde e pulito”. “Perfetto!”.

Lo addestrai con queste due parole per due settimane finché sentii che era pronto ad assumersi l’incarico. Finalmente arrivò il gran giorno.

Affare fatto, figliolo?”. “Affare fatto”. “Come diventerà il prato con il tuo lavoro?”. “Verde e pulito”. “Che cos’è il verde?”.

Guardò il nostro prato, che stava cominciando ad avere un aspetto migliore. Poi indicò il prato del vicino. “È il colore del suo prato”.

Che cosa vuol dire pulito?”. “Niente sporco”.

“Chi è il capo?”.

“Io”.

‘‘Chi è il tuo aiutante?”. “Tu, quando hai tempo”. “Chi è il giudice?”.

Io. Noi facciamo il giro del prato due volte alla settimana e io ti mostro come sta andando”.

“Qual è l’obiettivo?”.

“Il verde e il pulito”.

Quella volta non feci cenno a un compenso. Naturalmente non avrei trascurato di aggiungere una piccola paga ad una delega di responsabilità del genere.

Due settimane e due parole. Pensai che fosse pronto.

Era sabato. E non fece niente. Domenica... niente. Lunedì... niente. Uscendo in auto dal vialetto per andare in ufficio, quel martedì, guardai il prato giallastro e sudicio sotto il rovente sole di luglio. “Senza dubbio lo farà oggi” pensai.

Potevo capire che non 1 avesse fatto sabato perché quello era il giorno in cui avevamo fatto il patto. Potevo capire domenica: la domenica era fatta per altre cose. Ma non potevo capire lunedì. E adesso era martedì. Sicuramente l’avrebbe fatto quest’oggi. Era estate. Cos’altro aveva da fare?

Per tutto il giorno non vidi l’ora di tornare a casa per vedere com’era andata. Svoltato l’angolo, mi trovai davanti lo stesso quadro desolante lasciato quella mattina. Mio figlio stava giocando nel parco dall’altra parte della strada.

Questo non era ammissibile. Ero arrabbiato e deluso per come si stava comportando dopo due settimane di addestramento e tutte quelle sue assicurazioni. Avevamo investito molti sforzi, orgoglio e denaro in questo prato e lo stavo vedendo andare in rovina. Inoltre, il prato del mio vicino era splendido e curato alla perfezione. La situazione cominciava a diventare imbarazzante.

^ Ero pronto a tornare alla delega operativa. “Stephen, va’ là a raccogliere quell’immondizia, e subito, altrimenti...”. Sapevo che in quel modo avrei potuto avere l’uovo d’oro. Ma che ne sarebbe stato della gallina? E cosa sarebbe accaduto al suo senso di impegno?

Così mi stampai un sorriso sulla faccia e gridai dall’altra parte della strada: “Ciao, Stephen. Come va?”.

“Bene”.

"Come te la cavi con il prato?”. Nel momento stesso in cui lo dissi capii che avevo infranto il nostro patto. Non era quello il modo in cui avevamo deciso insieme di fare una verifica. Non era su quello che ci eravamo messi d’accordo.

Così anche lui si sentì giustificato a non stare ai patti. “Benone, papà”.

Mi morsi la lingua e aspettai fin dopo cena. Poi dissi:

“Stephen, facciamo come eravamo rimasti d’accordo. Facciamo un giro del prato e tu mi mostri come te la sei cavata con la nuova responsabilità”.

Mentre andavamo verso la porta il suo mento cominciò a tremare. Dagli occhi gli sgorgarono dei lacrimoni, e quando arrivammo a metà del prato stava frignando.

“Sapessi com’è difficile, papà”.

“Cosa è difficile”, pensai. “Non hai fatto niente, assolutamente niente!”. Ma sapevo che cosa c’era di difficile: l’autogestione, l’auto supervisione. Quindi dissi:

“C’è qualcosa che possa fare per aiutarti?”.

“Davvero, mi aiuteresti?” balbettò, tirando su con il naso.

“Com’è che ci eravamo messi d’accordo?”.

“Mi avevi detto che mi avresti dato una mano se ne avessi avuto il tempo”.

“Ho tempo”.

Allora corse in casa e tornò con due sacchi. Me ne porse uno. “Ti va di raccogliere quella roba là?”. M’indicò col dito gli avanzi del barbecue del sabato sera. “Mi fa venir voglia di vomitare!”.

Così feci. Feci esattamente quello che mi chiese di fare. In quel momento capì, e si prese a cuore veramente l’incarico. Il prato diventò il suo prato, la sua responsabilità.

Mi chiese aiuto solo due o tre volte in tutta quell’estate. Si prese cura del prato. Lo tenne più verde e più pulito di quanto fosse mai stato quando me ne occupavo io. Arrivò perfino a sgridare i suoi fratelli e sorelle se lo sporcavano, gettando per terra la carta delle caramelle.

La fiducia è la forma più alta di motivazione umana. Fa emergere quanto c’è di meglio in assoluto nelle persone. Richiede tempo e pazienza, e non preclude la necessità di addestrare e formare delle persone in modo che la loro competenza possa salire a quel livello.

Io sono convinto che, se la delega di responsabilità è fatta in modo corretto, entrambe le parti ne beneficeranno e alla fine molto più lavoro sarà fatto in molto meno tempo. Io credo che una famiglia ben organizzata, il cui tempo sia stato utilizzato in modo efficace, grazie ad una delega personale, possa strutturare il lavoro in modo tale che ciascuno possa svolgere il proprio compito in circa un’ora al giorno. Questo richiede l’intima volontà di voler gestire, non solo produrre. Il focus è sull’efficacia, non sull’efficienza.

Non c’è dubbio che voi possiate tenere in ordine quella stanza meglio di quanto potrebbe fare un bambino, ma il nocciolo della questione è che voi volete comunicare a vostro figlio la possibilità di farlo. Ci vuole tempo, ma quanto si rivela prezioso, in seconda battuta, questo tempo! E quanto grande il risparmio che vi consente sul lungo periodo.

Questo approccio implica un paradigma di delega completamente nuovo. In effetti, cambia la natura della relazione: chi riceve la delega diventa capo di se stesso, guidato da una coscienza che propone l’impegno ad accettare gli accordi in vista dei risultati desiderati. Questo approccio consente anche di sprigionare una gran quantità di energie creative, così da permettergli di fare tutto quanto è possibile per arrivare, in armonia con principi corretti, a tali risultati.

I principi insiti nella delega di responsabilità sono corretti e applicabili a ogni tipo di persona o situazione.

Con le persone immature, sarà necessario identificare più linee guida e obiettivi meno sfidanti, mettere a disposizione più risorse, stabilire maggiori momenti di verifica e applicare immediatamente le conseguenze. Con persone più mature, ci saranno risultati più stimolanti, necessità di minori linee guida, verifiche meno frequenti e criteri di valutazione più aperti.

La delega efficace è forse il miglior indice di un’efficace gestione perché è fondamentale per la crescita sia personale che a livello organizzativo.

3.13 Il paradigma del quadrante II

La chiave per accedere ad una efficace gestione di se stessi, o di altre persone attraverso la delega, non va cercata in una tecnica, in uno strumento o fattore esterno. E qualcosa di intrinseco: è il paradigma del quadrante II che vi permette di vedere attraverso la lente dell’importanza anziché quella dell’urgenza.

Nell’Appendice B troverete un esercizio intitolato “Una giornata da Quadrante II in ufficio” vi aiuterà a vedere, in un contesto aziendale, con quale forza questo paradigma possa esercitare il suo impatto sul vostro livello di efficacia.

Man mano che procederete nel lavoro per sviluppare un paradigma da quadrante II, diventerete sempre più capaci di organizzare e gestire ogni settimana della vostra vita legandola alle vostre più profonde priorità, di realizzare i vostri programmi. Non sarete dipendenti da nessun’altra persona o cosa per una gestione efficace della vostra vita.

Fatto interessante, tutte le sette regole si situano nel quadrante II. Ciascuna di esse riguarda cose d’importanza fondamentale che, se fatte con regolarità e costanza, incideranno enormemente, e in modo positivo, sulla vostra vita.

Suggerimenti pratici

  1. Identifica un’attività da quadrante II che sai essere stata trascurata nella tua vita e che, se fatta bene, avrebbe avuto un impatto poderoso sulla tua vita, dal punto di vista personale o da quello professionale. Scrivila e impegnati a recuperare il tempo perduto.
  2. Prepara una matrice del tempo e cerca di valutare quale percentuale del tuo tempo passi in ciascun quadrante. Controlla i tuoi tempi per tre giorni ad intervalli di quindici minuti. Quanto è stata accurata la tua stima? Sei soddisfatto del tuo modo d’impiegare il tempo? Che cosa ti ci vorrebbe per cambiare?
  3. Fai l’elenco delle responsabilità che potresti delegare e l’elenco delle persone a cui potresti delegare o che potresti formare a tal fine. Definisci che cosa è necessario per avviare il processo di delega o di formazione.
  4. Organizza la tua prossima settimana. Inizia annotando i tuoi ruoli e i tuoi obiettivi per la settimana, poi trasferisci gli obiettivi a uno specifico piano d’azione. Alla fine della settimana, giudica tu quanto il tuo progetto abbia realizzato i tuoi valori profondi e propositi nella vita di tutti i giorni, e quanto sia stato capace di mantenerti coerente a questi valori e propositi.
  5. Impegnati a cominciare a organizzarti su base settimanale e fissa un orario regolare per i vari compiti.
  6. Converti in uno strumento di quarta generazione quello che stai utilizzando attualmente o procuratene uno.
  7. Leggi attentamente “Una giornata da Quadrante II in ufficio” (Appendice B) per una comprensione maggiore dell’impatto del paradigma del quadrante II.