IL TITOLO «FRETENSIS»

È stato suggerito che la Decima legione si fregiasse del titolo «Fretensis» mentre prestava servizio in Giudea. Questa ipotesi, tuttavia, non è comprovata da alcun autore classico. La Decima, popolarissiama al suo apogeo, era la legione più frequentemente citata dalla storiografia romana; eppure né lo scrupoloso Tacito né altri autori classici si riferiscono a essa con un titolo di qualsiasi tipo. Tacito, in particolare, era solito precisare sia i nomi che i numeri delle legioni: una buona abitudine non sempre seguita dai suoi colleghi. E Cassio Dione, quando elencava tutte le legioni ancora in servizio ai suoi giorni (attorno al 233 d.C.), si faceva scrupolo di specificare i titoli ufficiali, presenti e passati, di ciascuna unità militare. Ciò nonostante, prescindendo dai riferimenti alla Decima Gemina (che era un’altra legione), anche qui la Decima appare priva di titolo.

Ora, questo non significa necessariamente che la Decima non potesse portare l’appellativo di «Fretensis» come una specie di soprannome ufficioso, usato dai ranghi ma non dalla burocrazia dell’esercito; ma la questione rimane: come entra il titolo «Fretensis» nella storia di questa legione?

La parola «fretensis» sembra derivare da fretum Siciliense e significa letteralmente «dello stretto di Sicilia» (l’odierno stretto di Messina). Senza dubbio, è quantomeno strano che un appellativo del genere sia stato conferito a una legione. Infatti, i titoli identificativi di ciascuna unità militare potevano essere attribuiti in quattro modi diversi. Anzitutto, poteva trattarsi dell’appellativo che una legione portava con sé nel 30 a.C., all’epoca della guerra civile, e che Ottaviano aveva successivamente confermato; oppure poteva trattarsi di una legione «gemella», nata dall’accorpamento con un’altra e quindi identificata come Gemina; o ancora, in epoca imperiale, il titolo poteva riferirsi al valore così come alla lealtà di una specifica legione; e infine (caso meno frequente), l’appellativo poteva derivare dal luogo di origine della legione.

Per quanto riguarda sia il luogo d’origine che la sede di reclutamento, la Decima legione non pare avere intrattenuto alcun rapporto con lo stretto di Messina. Fu costituita in Spagna, che rappresentò il suo bacino di reclutamento fino al II secolo, quando questo si spostò nella Turchia settentrionale. Inoltre, la Decima prestò servizio in Medio Oriente per tutta l’epoca imperiale, senza mai neppure avvicinarsi allo stretto di Messina.

C’è da dire che una spiegazione del titolo «Fretensis» potrebbe arrivarci da una mattonella, scoperta in Palestina nel XX secolo, che reca la scritta «LEG X F». Sopra questa scritta svetta la raffigurazione di una galea; sotto, quella di un cinghiale. Si è sempre pensato che il simbolo della Decima legione fosse il toro, mentre il cinghiale fosse l’emblema della Sesta Ferrata, di stanza in Giudea nel II secolo. Tuttavia, ipotizzando per un istante che il cinghiale identificasse la Decima legione, si aprirebbe uno scenario che merita di essere esaminato.

Nel 38 a.C., Ottaviano, che da Roma governava le province occidentali dell’impero, si era impantanato in un conflitto con Sesto Pompeo, il figlio più giovane di Pompeo Magno, che aveva occupato la Sicilia con notevoli forze terrestri e navali. A quell’epoca, secondo tutte le fonti documentali in nostro possesso, la Decima legione era di stanza in Oriente, al servizio di Marco Antonio, che amministrava quella parte dell’impero. Ottaviano aveva lanciato una serie di campagne militari contro Sesto Pompeo, subendo però molte sconfitte navali, una delle quali proprio nello stretto di Messina, dove era sfuggito alla morte per un soffio. Due anni più tardi, Marco Agrippa – l’ammiraglio di Ottaviano – avrebbe definitivamente sconfitto Sesto Pompeo in uno scontro al largo di Mylae (l’attuale Milazzo), sulla costa nordorientale della Sicilia ma abbastanza lontano dallo stretto di Messina.

È possibile che la Decima legione si trovasse a bordo di una delle tante flotte di Ottaviano nel 38 a.C., e che avesse combattuto valorosamente durante gli abbordaggi dei legni nemici, guadagnandosi il diritto di fregiarsi del simbolo della galea, né più né meno come Giulio Cesare aveva concesso il simbolo dell’elefante alla Quinta legione dopo la battaglia di Tapso. In ragione delle sue sconfitte sul mare, Ottaviano aveva scambiato 20 000 dei suoi legionari con 120 navi da guerra della flotta di Antonio, così da rimpiazzare i vascelli perduti; e forse fu così che la Decima legione rientrò nei ranghi dell’esercito di Antonio, dove aveva già servito nel corso del decennio precedente, e dove sarebbe rimasta fino alla battaglia di Azio.

Questa ricostruzione presta però il fianco a numerosi rilievi. Anzitutto, quando in epoca tarda si conferiva a una legione un titolo o un emblema per ricompensarla del valore che aveva dimostrato in battaglia, questo avveniva solo in caso di vittoria, non di sconfitta. In secondo luogo, almeno per quanto ne sappiamo, prima del 25 a.C. (circa) non venivano accordati titoli alle legioni già identificate con un numero. Dopo che il senato ebbe concesso a Ottaviano il titolo di Augusto nel 27 a.C., sembra che lo stesso imperatore inaugurasse il costume di «nominare» le unità dell’esercito, partendo dalle sette legioni che si erano particolarmente distinte nelle guerre cantabriche del 29-19 a.C. Per quel che concerne gli scontri navali nello stretto di Messina del 38 a.C., Appiano – autore di una cronaca molto dettagliata di quegli eventi, con tanto di indicazione delle legioni coinvolte, comprese la Prima e la Tredicesima – non fa il benché minimo cenno alla Decima, tantomeno a suoi presunti atti di valore, che pure avrebbero certamente meritato qualche citazione. Non a caso, è lo stesso Appiano che ci ricorda quanto si rivelò decisivo l’ardimento della Quinta legione nella vittoria di Giulio Cesare a Tapso nel 46 a.C.

Tutto questo ci porta a concludere che l’appellativo di «Fretensis», in rapporto alla Decima legione, fosse soltanto una specie di nomignolo, un mero soprannome colloquiale. Semplicemente, non c’è alcuna prova che si trattasse di un titolo ufficiale.