17 GLI UOMINI DI MARCO ANTONIO

Il padre della legione era morto. La Decima era stata creata da Cesare, e per tutti i diciassette anni della sua esistenza aveva combattuto per Cesare. Di colpo, il suo comandante – la sua stessa ragion d’essere – non c’era più. Certamente per gli uomini della Decima fu un colpo durissimo. Ma restavano pur sempre tra i migliori soldati dell’esercito romano. Era pressoché inevitabile che svolgessero un ruolo di primo piano nei tumultuosi eventi che sarebbero seguiti alla drammatica fine del dittatore.

Nei primi mesi dopo il cesaricidio, i congiurati invocarono il ripristino del vecchio sistema repubblicano, secondo il quale Roma doveva essere governata dal senato. Ma altri sostenevano che ormai fosse giunta l’ora dell’uomo forte. Inevitabilmente, la divisione tra «democratici» e «autocratici» determinò la nascita di partiti contrapposti, ciascuno con le proprie figure di riferimento. Marco Antonio si considerava il legittimo successore di Giulio Cesare. Nelle ripartizioni territoriali che erano seguite al conflitto civile, aveva ricevuto in dono il governo della Macedonia, con cinque legioni al suo comando.

La Quinta legione era stata trasferita dalla Spagna in Macedonia, per unirsi alle forze di Antonio. Proprio come le unità cesariane in congedo, nel frattempo rimpolpate con nuove reclute, anche le vecchie legioni ispaniche di Pompeo accolsero migliaia di coscritti. La Quarta, sconfitta da Cesare a Tapso, era stata ricostituita in Spagna, e ora marciava con la «famosa Quinta» alla volta della Macedonia. La Settima, come si è visto, si trovava già a Roma, in attesa di imbarcarsi per la Siria e partecipare alla campagna contro i parti. Quanto alla Decima, per il momento restava di stanza in Spagna.

Pochi mesi dopo la morte di Cesare, Antonio decise che per i suoi gusti la Macedonia era troppo lontana dalla scena politica di Roma; di conseguenza, chiese al senato che gli venisse affidata un’altra provincia, meno distante dal cuore degli eventi: la Gallia cisalpina. A quel tempo, il territorio cisalpino era governato da Marco Decimo Bruto Albino, uno dei cesaricidi, e Antonio gli suggerì uno scambio di province. Albino, tuttavia, rifiutò la proposta. Così, nella tarda estate del 44 a.C., visto che la situazione ristagnava, Antonio si risolse a prendere l’iniziativa, facendo sbarcare quattro delle sue legioni nel porto di Brindisi. Tecnicamente, si trattava di un atto di guerra contro il senato, così come cinque anni prima lo era stato il passaggio del Rubicone da parte di Cesare.

Bruto e l’ammiraglio Gaio Cassio (un altro cesaricida) erano i pretori ai quali l’anno seguente, secondo il vecchio disegno del dittatore, sarebbe spettato il governo di due province: la Macedonia (per Bruto) e la Siria (per Cassio). Ma dopo la morte di Cesare, Antonio aveva convinto il senato a rifiutare loro tali posizioni, in favore di incarichi di minor prestigio, che li scontentarono molto. A settembre, Bruto e Cassio fuggirono da Roma per timore del loro rivale. Una volta in Macedonia, convocarono le sei legioni di stanza in Siria, che ancora attendevano l’inizio della campagna contro i parti. Intimidito da tale manovra, il senato concesse ai due il comando di tutte le province orientali, dall’Adriatico alla Siria.

A novembre, Antonio si mise in marcia verso il Po, con l’obiettivo di strappare la Gallia cisalpina ad Albino. Nel frattempo, il senato di Roma lo aveva dichiarato nemico di Stato a causa delle sue azioni illegali. A tale notizia, due legioni preferirono disertare. Si trattava della Quarta e della Martia, quest’ultima di stanza in Cilicia, per ordine di Pompeo, nel 49 a.C., all’epoca della creazione della Gemina. Incurante di tali defezioni, Antonio proseguì l’offensiva con tre contingenti e cinse d’assedio Mutina (l’odierna Modena), dove Albino si era asserragliato con quattro legioni.

Marco Antonio, però, autoproclamatosi successore di Cesare, si stava sopravvalutando. Non aveva forse considerato la possibilità che si creasse una coalizione contro di lui. Uno scenario che difatti si realizzò. Tale coalizione comprendeva tra gli altri il diciottenne bisnipote di Cesare, Gaio Ottavio, che il defunto dittatore aveva nominato figlio adottivo ed erede con il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano.

Ottaviano era tornato in fretta da Apollonia in Grecia, dove stava studiando da sei mesi, per unirsi al padre putativo nell’imminente campagna contro i parti. Il giovane aveva rivelato subito un insospettabile talento politico, che era maturato pienamente dopo l’assassinio di Cesare.

Diventato uno dei personaggi più autorevoli della fazione dei nostalgici cesariani, nella primavera del 43 a.C., con l’appoggio del senato, dei consoli in carica – Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa – e di cinque legioni (compresa la Settima, la Quarta e la Martia sotto il generale Sulpicio Galba), Ottaviano si mosse dalla capitale per soccorrere Albino. Quasi contemporaneamente, Marco Lepido penetrò dalla Spagna nella Francia del Sud, allo scopo di occupare la Gallia transalpina e sottrarla ad Antonio. Assieme a Lepido marciavano le legioni ispaniche, con la Decima in testa.

Il 14 e il 21 aprile del 43 a.C., nel corso di due battaglie presso Mutina, Antonio dovette soccombere alle legioni di Ottaviano, perdendo il 50 per cento degli effettivi. Fra i morti della parte opposta ci furono i due consoli, Aulo Irzio – per tanti anni aiutante di campo di Cesare e poi curatore delle sue memorie – e il generale Pansa. Antonio, radunate le truppe superstiti, si diresse verso la Gallia transalpina, dove però fu intercettato dalle legioni ispaniche di Marco Lepido, rafforzate da un’unità locale.

I due eserciti entrarono in contatto presso un fiume, quasi certamente il Varo, al confine fra le due Gallie, e si accamparono ciascuno su una riva. Per mostrare che non aveva intenzioni bellicose, Antonio non fece allestire un campo fortificato, ordinando alle sue truppe di acquartierarsi allo scoperto sotto le tende. Ben presto i soldati dei due eserciti fraternizzarono, e costruirono perfino un ponte di barche per unire le due sponde.

Nel campo di Lepido, gli uomini della Decima, che durante la guerra civile erano stati qualche volta agli ordini di Antonio, cominciarono a parlarne bene ai commilitoni degli altri reparti. Lepido si mise subito in allarme, temendo che l’unità potesse passare al fronte nemico. Per scongiurare qualsiasi voltafaccia – è Appiano a riferirlo – una notte divise le truppe in tre scaglioni, a cui diede compiti che ne avrebbero messo alla prova la lealtà. Il suo stratagemma sortì un effetto imprevisto, perché i soldati dell’ultimo turno di guardia aprirono le porte all’esercito di Antonio. Lepido, descritto unanimemente come debole di corpo e di nervi, si accordò subito con il vincitore. Il risultato fu che la Decima e le altre legioni passarono al nemico di Ottaviano, benché Lepido ne mantenesse nominalmente il comando.

Presto si aggregarono ad Antonio anche le tre legioni di Publio Ventidio, uno dei nuovi consoli. A questo punto, il suo schieramento contava ben tredici legioni. A novembre, l’astuto Ottaviano convinse Antonio e Lepido a unirsi a lui in un patto a tre, sancendo la nascita di quello che gli storici successivi avrebbero definito il Secondo triumvirato. Durante un incontro a Bonomia, Ottaviano, Lepido e Antonio decisero di mettere a morte gli oppositori politici (tra i quali Cicerone) e di dividersi le province. Ad Antonio sarebbe spettato l’Oriente. C’era però un piccolo problema: l’Oriente era controllato da Bruto e Cassio, i quali erano risoluti a resistere al nuovo triumvirato e a restaurare la repubblica. Per di più, i due avevano costituito un esercito di venti legioni: le sei di stanza in Siria, due arruolate da Bruto in Macedonia, e altre dodici raccolte da Cassio in varie basi dell’Oriente, comprese le quattro lasciate da Cesare in Egitto, al servizio di Cleopatra, nel 47 a.C.

Nell’estate del 42 a.C., mentre Lepido, sulle orme del defunto dittatore, riceveva il titolo di pontifex maximus a vita, veniva nominato console e si assumeva la responsabilità di restare a Roma per difenderla, Antonio e Ottaviano si prepararono a invadere la Grecia. Avrebbero unito le loro legioni, tra le quali la Decima di Antonio, e le avrebbero scagliate contro Bruto e Cassio, che si erano attestati in Macedonia, nei pressi di una città sulla strada militare fra Dyrrhachium e le province d’oriente. Il nome di questa città era Filippi.