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Washington,
ore 08.05

Stephanie uscì dalla Casa Bianca e prese un taxi per il Mandarin Oriental, dove fece una doccia, si cambiò d’abito e andò a mangiare un boccone. Si era concessa appena qualche ora di sonno e stava ancora rimuginando su ciò che aveva letto in quel faldone: l’Unione Sovietica aveva svolto ricerche approfondite sul XX Emendamento alla Costituzione, con tanto interesse da affibbiargli addirittura un soprannome: Emendamento Zero.

La vecchia circolare non spiegava che cosa significasse, ma altri documenti attestavano che quel nomignolo figurava in parecchi atti dell’URSS fra gli anni ’70 e ’80, tutti legati direttamente a Jurij Andropov, nientemeno.

Poi, dopo il 1984, nessun documento ne parlava più.

I servizi segreti statunitensi facevano molta attenzione alle cronologie di certi eventi, perché era importante determinare quando sbocciavano e quando appassivano. C’erano analisti che passavano un’intera vita a studiare queste tempistiche; per loro, il nesso fra l’aprirsi e il chiudersi di una questione era il Santo Graal dello spionaggio. Ma stavolta era stato Cotton a trovare l’aggancio, quando Bel’čenko, agonizzante, gli aveva mormorato le parole «Matto dello Stolto» ed «Emendamento Zero». Ora, Stephanie aveva bisogno di capire che cosa fosse di preciso il Matto dello Stolto. E sapeva esattamente a chi rivolgersi.

Kristina Cox abitava a Washington, a pochi passi dalla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, colloquialmente chiamata «Cattedrale Nazionale». Il marito Glenn, un omone dalla voce tonante, aveva lavorato lì: era stato canonico episcopale per più di trent’anni, per poi diventare vescovo della diocesi del distretto di Columbia, fino alla triste domenica in cui un attacco cardiaco l’aveva stroncato proprio sul pulpito.

In segno di ringraziamento per la lunga carriera di Glenn, la Chiesa aveva concesso a Kris l’usufrutto a vita di una casetta a due piani un po’ discosta dalla strada, con una facciata color crema e alte finestre la cui simmetria era turbata soltanto dal modulo del condizionatore fissato a quella sinistra. Presso i servizi segreti, nessuno trovava strano che la moglie di un vescovo episcopale fosse anche una spia. Nessuno aveva mai sollevato obiezioni, tanto più che Kris aveva sempre saputo separare l’ambito professionale da quello privato. Era stata proprio lei a insegnare quella regola a Stephanie, che l’aveva violata una sola volta in vita sua.

Raccolse il giornale all’imbocco del vialetto che attraversava il giardino circondato da una staccionata alta un metro e mezzo. Aveva telefonato dall’albergo per annunciare la propria visita, perciò, non appena bussò, Kris venne ad aprire immediatamente, in accappatoio, e l’abbracciò. Stephanie non veniva a trovarla da diversi mesi, ma di tanto in tanto si sentivano per telefono. Kris era sempre stata minuta e distinta. Aveva capelli corti, grigio argento, e luminosi occhi azzurri. Veleggiava verso l’ottantina e aveva lavorato per la CIA per quasi mezzo secolo: aveva cominciato come analista e prima del pensionamento era arrivata alla carica di vicedirettrice. Alla nascita della Sezione Magellano, Kris aveva contribuito a stenderne le linee guida, ed era stata lei a caldeggiarne il distacco dai poteri centrali. Stephanie aveva dedicato tutta la propria carriera a salvaguardarne l’indipendenza, ma alla fine erano stati proprio quei poteri centrali a decretarne la dissoluzione.

«Raccontami tutto», disse Kris. «Non ti offro il caffè perché so che lo detesti. E poi non sei venuta per fare salotto.»

«Già.» Si sedettero in cucina e Stephanie spiegò tutto ciò che era accaduto nei giorni precedenti, concludendo: «Ho bisogno di sapere che cosa significano le parole ’Matto dello Stolto’».

Nessuna delle due si soffermò sulla questione del licenziamento: la politica funziona così, e nessuno lo sapeva meglio di Kris. La sua triplice regola era: niente chiacchiere, dritti al punto, subito al lavoro. Un principio per il quale Stephanie l’ammirava tantissimo, e lei stessa l’aveva sempre applicato, quando era a capo della Sezione Magellano. Peccato che fossero state proprio queste tre cose a scontrarsi con gli invadenti poteri centrali che l’avevano licenziata.

«Me lo ricordo, il Matto dello Stolto. Era un nome in codice. Sospettavamo che fosse un’operazione segreta dello spionaggio sovietico, concepita da Andropov in persona.»

Jurij Andropov era stato forse l’ultimo comunista della vecchia guardia e il più pericoloso di tutti i sovietici. Scaltro, sfuggente, mai un passo falso, rappresentava senz’altro un ritorno ai tempi di Lenin, ed era sicuramente scandalizzato dalla corruzione che imperava sotto Brežnev. Stephanie ricordava le inchieste e gli arresti seguiti alla nomina di Andropov a segretario generale. Molti stretti collaboratori di Brežnev erano finiti sul patibolo.

«Andropov non era nostro amico», disse Kris. «Si spacciava per riformatore, ma era uno della linea dura. Per fortuna è rimasto in carica per poco tempo e si è ammalato quasi subito.»

Stephanie sapeva di aver fatto bene a rivolgersi a lei, anziché aspettare nuove informazioni da Osin, da Danny o da Edwin. Ecco perché era uscita presto dalla Casa Bianca: informarsi prima di loro poteva essere un vantaggio.

«Torniamo al 1983», riprese Kris. «Reagan acquisisce sempre più popolarità, scampa a un attentato e sfida l’Unione Sovietica su tutti i fronti. Il Blocco Orientale sta implodendo, la Polonia sta esplodendo, la Cortina di Ferro comincia a crollare. Brežnev è morto nel novembre del 1982 e Andropov ha preso il suo posto, ma nessuno pensa che sia un bene: stiamo parlando di uno che ha soffocato l’insurrezione ungherese del ’56 e la Primavera di Praga del ’68, e che quand’era direttore generale del KGB ha messo a tacere i dissidenti e caldeggiato l’invasione dell’Afghanistan. Uno stronzo matricolato. Con lui, l’Unione Sovietica non cambia affatto, anzi, non appena assume la carica di segretario generale la Guerra Fredda rischia di farsi... calda. Così noi ci tiriamo su le maniche e avviamo un intenso lavoro di spionaggio. Io passo un sacco di tempo al Campidoglio a elemosinare altri fondi dal Congresso. E poi un giorno mi ritrovo sulla scrivania il Matto dello Stolto.»

«La storia di Osin è vera? I sovietici hanno messo arsenali nucleari in casa nostra?»

«Non l’abbiamo mai appurato. Però le specnaz erano brave. Ed erano bravi quelli del KGB. In più, all’epoca, le nostre misure di sicurezza non erano come oggi. Ci portavano in casa di tutto.» Kris riprese a parlare di Andropov: «Odiava Reagan e gli dava parecchio filo da torcere. Avevamo una spia al Cremlino, un agente fra i più preziosi. Ci ha detto che Andropov stava studiando un piano per impedire che Reagan ottenesse un secondo mandato, nel caso in cui non fossero cessate le agitazioni nei Paesi dell’Est, soprattutto in Polonia. E dicevano che era solo un attorucolo! Guarda quanta paura faceva al comunistone».

Stephanie ricordava il turbamento con cui il dipartimento di Stato aveva accolto la notizia della nomina di Andropov. George Shultz non l’aveva gradita, ma aveva affrontato il problema. L’operazione Passavanti era proseguita come se niente fosse. Giovanni Paolo II aveva fatto un nuovo viaggio in Polonia nel giugno del 1983, una baracconata che in sette giorni aveva rinfocolato gli animi di tutti i dissidenti. Stephanie aveva contribuito a organizzare il piano orario di quella visita pontificia in modo da stornare eventuali colpi di mano da parte di Andropov. «Ma la minaccia d’impedire a Reagan un secondo mandato non vi ha messi in allarme?»

«Bah, le minacce dal Soviet arrivavano tutti i giorni, nessuno pensava che l’URSS volesse davvero dichiararci guerra. Altrimenti l’avrebbero fatto, invece di limitarsi a minacciare. Ma non avrebbero potuto vincere.»

Sarà, pensò Stephanie. Ma oggi una minaccia del genere verrebbe presa sul serio. E per un buon motivo.

«Prima, quando mi hai telefonato per chiedermi del Matto dello Stolto, mi sono dovuta spremere le meningi. C’era una missione speciale, divisa fra quattro agenti, e ognuna delle loro operazioni aveva un nome scacchistico. L’ultima parte di quella missione si chiamava Matto dello Stolto. Abbiamo raccolto qualche informazione vaga, qua e là, ma niente di sostanziale. Dopo la morte di Andropov non se n’è saputo più niente, così abbiamo immaginato che, quand’anche ci fosse stato qualcosa da temere, se lo fosse portato nella tomba.»

«Non è detto.»

Nel suo lavoro, Kris aveva avuto accesso a più informazioni segrete di qualunque membro del governo, perciò Stephanie sapeva di poter parlare di queste cose proprio con lei. Ma a che pro? Tanto, da qualche ora, lei non aveva più accesso a niente.

«Tutti noi credevamo che Andropov avrebbe continuato a impedire le riforme e a opprimere i Paesi dell’Est», riprese Kris. «E invece ecco che si ammala e muore. Problema risolto. Un anno dopo arriva quella mammoletta di Gorbačëv, e il resto è storia.»

«Reagan sapeva come trattare con quello lì.»

«Altroché. Però adesso mi preoccupa questa spaccatura di cui mi parlavi. Lo staff di Daniels sapeva come affrontare queste cose, ma non abbiamo idea di come se la caverà l’amministrazione entrante. Le transizioni sono sempre delicate. I nuovi russi fanno sul serio, e tu lo sai già, ma io vorrei che lo sapessero anche i collaboratori di Fox.»

«Secondo te che intenzioni hanno?»

Kris parve riflettere con attenzione sulla domanda. «L’insediamento sarà fra poche ore. Sto pensando a quella storia del XX Emendamento. Mi ricordo bene quant’erano interessati i sovietici alla successione presidenziale. Bel casino. Dopo l’11 settembre, ci si aspetterebbe che il Congresso tenesse gli occhi bene aperti, e invece non è cambiato niente. La logica suggerisce che Zorin stia preparando un attacco durante l’insediamento, ma prima dovrebbe trovare una bomba atomica portatile sperando che sia ancora funzionante dopo venticinque anni e, quand’anche fosse, collocarla vicinissima al bersaglio. Per portatili che siano, quelle bombe sono grosse come zaini, e al momento Washington è sorvegliata da unità cinofile, rilevatori di radiazioni o di sostanze inquinanti, e chissà cos’altro. È praticamente impossibile che riesca ad avvicinarsi tanto da far fuori tutti.»

«E allora com’è che non desiste?»

Kris si appoggiò allo schienale. «Già. La cosa preoccupa anche me.»

«Forse sa qualcosa che noi ignoriamo?»

Kris fece spallucce. «Chissà? Se è così, dev’essere qualcosa di tosto.»

Vennero interrotte da un tintinnio di campanelle. Una suoneria.

Kris tese una mano per prendere il cellulare dal tavolo. «Stavo giusto aspettando questa chiamata.»

«Vado di là?»

«No, no. È per te.»