14
Virginia
Luke, appoggiato alla Mustang, osservò il SUV nero che entrava nell’area di servizio. Erano appena passate le cinque del mattino, l’aria era gelida ma lui non la sentiva nemmeno: provava solo rabbia per essersi lasciato fregare da un’estranea e per la distruzione dell’oggetto cui teneva di più. Il conducente del carro attrezzi aveva scosso la testa nel caricare la Mustang, poi l’aveva portata lì, in una fila di altre vetture che avevano visto giorni migliori.
Il SUV si fermò e dalle portiere posteriori scesero due persone: Stephanie e un uomo in cappotto nero.
«Nottataccia?» disse Stephanie. Da dove si trovava, poteva vedere la fiancata destra della Mustang.
L’altro uomo prese la parola: «Anja Petrova è pericolosa. Ha lavorato in polizia per diversi anni ed è altamente addestrata».
Questo spiegava l’accaduto. La donna non era un’inesperta. «E lei sarebbe...?»
L’uomo si presentò come Nikolaj Osin. Stephanie aggiunse: «A capo del distaccamento locale della SVR».
«Ufficialmente sono solo un delegato commerciale e della SVR non so niente.»
«Questa sì che è bella», disse Luke. «Dicevamo, di Anja Petrova?»
Nello spiazzo illuminato c’erano solo loro, in mezzo alle auto guaste.
«È legata a un uomo che potrebbe causare grossi problemi a questo Paese. È stato lui a mandarla qui, così ho consigliato a Stephanie di tenerla d’occhio. A quanto pare Anja non ha gradito.»
Luke stava ancora tentando di capire come avesse fatto quella donna ad accorgersi di lui. Eppure era stato attentissimo. D’altronde, non tutte le ciambelle riescono col buco. Avrebbe voluto chiedere qualcosa di più, ma decise di lasciar perdere. «Dobbiamo controllare quella villa.»
Tornarono verso sud, nelle campagne della Virginia, fino al cancello in ferro battuto. La Sezione Magellano avrebbe impiegato pochi minuti a rintracciare i dati catastali, se fosse ancora esistita. Certo, poteva farlo anche la Casa Bianca, ma per richiederlo occorreva fare rapporto, perciò Stephanie suggerì di aspettare. E Luke non protestò: aveva mandato tutto a monte, facendo proprio l’unica cosa che zio Danny gli aveva chiesto di non fare, ma ora si prospettava l’eventualità di scoprire qualcosa che lo rabbonisse.
Scesero dal SUV.
«L’ennesima casa abbandonata. La Virginia ne è strapiena», disse Stephanie.
«Che grossa», commentò Nikolaj Osin.
«E sembra incustodita da un bel po’», aggiunse lei.
Durante il tragitto, Luke era venuto a sapere che forse Malone era nei guai, e che Cassiopea era stata mandata a verificare. Quest’ultima cosa era un bene e un male allo stesso tempo. Sperava che le cose si stessero risolvendo, ma non c’era verso di avere notizie dalla Siberia. La domanda da un milione – alla quale nessuno avrebbe saputo rispondere – era per quale motivo qualcuno avesse abbattuto l’aereo di Malone. Chiunque fosse, possedeva missili terra-aria, la qual cosa significava che la faccenda era ben più grossa di quanto i russi fossero disposti ad ammettere... e di quanto zio Danny gli avesse rivelato.
L’autista accese una potente torcia alogena e la porse a Luke, che entrò per primo. L’orizzonte cominciava a schiarirsi a est, ma mancavano due ore all’alba e la casa aveva ancora un’aria tetra, da mausoleo.
«È venuta dritta fin qui», disse Luke. «Sapeva benissimo dove andare.»
Stephanie si voltò verso Osin. «Hai idea di che cosa stesse cercando?»
«Posso dirtelo dopo il sopralluogo? Cercherò di essere il più diretto possibile.»
Luke ne dubitava. Dalle poche volte in cui si era imbattuto negli uomini della SVR, li avrebbe definiti tutto fuorché loquaci. Inaffidabili? Bugiardi? Entrambi gli aggettivi calzavano a pennello. Ma questa, a quanto capiva, era una specie di operazione congiunta, della quale lui voleva far parte, perciò si guardò bene dal fare certi commenti. Li condusse lungo il corridoio, fino allo studio dalla parete divisoria sfondata, e indicò l’accetta. «Aveste visto con che impeto la usava!» Poi puntò la torcia verso l’apertura, ansioso di vedere che cosa c’era dietro.
Era uno stanzino di circa tre metri per tre, con tre pareti interamente ricoperte di scaffali che, a differenza di quelli dello studio, vuoti e sbilenchi, erano strapieni di libri. Al centro c’era un tavolo con una campana di vetro che conteneva un leggio, sul quale era posato un volume aperto. Dal soffitto pendeva un piccolo lampadario che rifletteva la luce della torcia. Le lampadine erano ricoperte di polvere, inservibili in assenza di corrente.
«Una specie di camera segreta», borbottò Luke. «E la nostra dolce Anja la conosceva: è venuta direttamente qui, ignorando le altre stanze.» Entrò, seguito da Stephanie e da Osin, e passò in rassegna i dorsi dei volumi. Quasi tutti erano libri a stampa, altri erano manoscritti rilegati, ma c’era anche una breve fila di raccoglitori in legno. Lesse alcune delle etichette: CORRISPONDENZA COMANDO MILITARE; BATTAGLIA DI PRINCETON; ASSEDIO DI BOSTON; CATTURA DEL FORTE TICONDEROGA. Esplorò con lo sguardo l’intera stanza e individuò il tema preponderante: «È una biblioteca sulla Guerra d’Indipendenza».
«E non solo», aggiunse Stephanie. «Sono libri della fine del XVIII secolo e dell’inizio del XIX, ma ci sono anche storiografie del XX secolo sul periodo che intercorre fra la Guerra d’Indipendenza e la Guerra del 1812.»
A occhio, Luke calcolò che ci fossero diverse centinaia di volumi, tutti velati da uno spesso strato di polvere. Evidentemente la stanza era rimasta chiusa per molto tempo. Ma tra le file c’erano spazi vuoti lasciati da alcuni libri che ora stavano squadernati a terra. «Ecco cos’erano quei tonfi che sentivo!»
«Allora, Nikolaj», disse Stephanie. «Che cosa stava cercando?»
Anziché rispondere, Osin sollevò la campana di vetro e sfogliò lentamente il libro, poi lo chiuse in modo da mostrare la copertina in pelle nera con scritte in oro:
ISTITUZIONE ORIGINARIA
DE LA
GENERAL SOCIETÀ DE’ CINCINNATI
QUAL FU FORMATA DA’ UFFICIALI
DE L’ESERCITO DE’
STATI UNITI
IN CONCLUSIONE DE LA
GUERRA D’INDIPENDENZA
CHE SOVRANITÀ DIÈ A’
STATI UNITI D’AMERICA
Stephanie si avvicinò, riaprì il libro e ne scorse qualche pagina. «È la storia della Società, con tanto di costituzione, atti e verbali. È datata 1847.»
«Chi sarebbero ’sti Cincinnati?» chiese Luke.
Lei lo ignorò e scrutò gli scaffali. «Questo è un archivio, e scommetto che i Cincinnati non sanno che esiste ancora. Altrimenti l’avrebbero recuperato.» Si voltò verso Osin. «Come mai Anja Petrova s’interessa a cose del genere?»
Nessuna risposta.
Stephanie cambiò spigolo. «Prima, mi parlavi del Passavanti. Che io sappia, quell’operazione è ancora sotto segreto, quindi se ne sai qualcosa è perché l’hai trovata nei vostri archivi.»
«Sappiamo esattamente come sono andate le cose», disse Osin.
Ora avrebbe voluto saperlo anche Luke.
«E dunque ne è al corrente anche Aleksandr Zorin?» riprese Stephanie.
«Senz’altro. E Bel’čenko sa ancora più cose.»
«Compresa l’ubicazione delle atomiche scomparse?»
Luke rimase in disparte, badando bene a non interrompere la schermaglia. Ma aveva sentito giusto? Atomiche scomparse? Si augurava vivamente che Stephanie lo ragguagliasse quanto prima.
Lei si voltò. «Quella donna ha portato via qualcosa?»
Luke scosse la testa. «No, che io abbia visto.»
«Vuol dire che non ha trovato quel che cercava. Nikolaj, hai detto che mi avresti dato una risposta diretta. Come mai Anja Petrova è venuta qui?» Stephanie stava alzando la voce. Non era da lei.
«Ti risponderò dopo essermi consultato con Mosca. Certe cose vanno discusse in privato.»
«Però io, su tua richiesta, ho spedito un uomo in Siberia. Lui ha obbedito senza fare domande e adesso è scomparso.»
«Ti abbiamo pur permesso di mandare un altro agente a investigare, no?»
«Non mi basta. Cosa c’è in ballo?»
«Per ora non posso dirtelo.»
Luke colse il tono inquieto, insolito per un uomo della SVR.
«Devo fare rapporto al presidente», disse Stephanie. «Deciderà lui sul da farsi.»
«Capisco.» Senza aggiungere altro, il russo uscì dalla stanza segreta.
Luke guardò la sua ex superiore. «Siamo nella merda, dico bene?»
Stephanie posò delicatamente la campana di vetro sopra il leggio con il libro, sollevando un velo di polvere che luccicò al fascio della torcia. «A dir poco.»
«Tu sai chi sono questi Cincinnati?» chiese Luke per la seconda volta.
Lei annuì lentamente.
«Puoi dirmelo?»
Stephanie si voltò per andarsene. «Non qui.»