Capitolo 76
Il concime
Lì per lì la coscienza mi diede uno strattone, accusandomi di aver fatto capitolare l’onestà di quella donna, di averla costretta a un ruolo vergognoso dopo una vita di fatiche e privazioni. Mezzana non era meglio che concubina, e io l’avevo trascinata in quel mestiere a forza di lusinghe e di denaro. Così mi ripeté la mia coscienza; rimasi una decina di minuti senza sapere che rispondere. Lei aggiunse che mi ero approfittato dell’influenza esercitata da Virgília sulla sua vecchia sarta, della gratitudine di quest’ultima, infine della sua condizione di bisogno. Mi ricordò le resistenze iniziali, le lacrime dei primi giorni, la faccia scura, i silenzi, gli occhi bassi e le mie astuzie nel sopportare tutto, pur di conquistarmela. E mi strattonò di nuovo, nervosa e arrabbiata.
Le diedi ragione, ma a mia difesa addussi che ora la vecchiaia di dona Plácida era al riparo dall’accattonaggio: questo in parte la ricompensava. Non fosse stato per i miei amorazzi, probabilmente sarebbe finita come tanti altri esseri umani; da cui si può dedurre che il vizio fa spesso da concime alla virtù. Il che non impedisce alla virtù di restare un fiore prospero e profumato. La mia coscienza si mostrò d’accordo, e io andai ad aprire la porta a Virgília.