Capitolo 123
Il vero Cotrim
Nonostante i miei quarant’anni suonati, poiché all’armonia familiare ci tenevo, non pensai di propormi senza prima averne parlato con Cotrim. Lui mi ascoltò e mi rispose serio serio di non poter esprimere opinione alcuna sulle questioni riguardanti i suoi parenti. Se avesse lodato le qualità eccelse di Nhã-loló, gli si sarebbe forse potuto attribuire qualche interesse; perciò preferiva non pronunciarsi. Anzi: era sicuro che sua nipote nutrisse per me una vera passione, ma, se fosse andata a chiedergli consiglio, lui avrebbe espresso parere negativo. Questo non perché fosse spinto da odio alcuno; anzi apprezzava le mie ottime qualità – né si stancava di elogiarle, come era sacrosanto; quanto a Nhã-loló, mai si sarebbe azzardato a negare le sue eccellenti doti di futura sposa, ma di lì a consigliarci di convolare a nozze c’era un abisso.
«Me ne lavo completamente le mani», concluse.
«Ma se l’altro giorno mi dicevate che avrei dovuto sposarmi al più presto...».
«È un altro paio di maniche. Penso che il matrimonio sia indispensabile, innanzitutto per chi abbia ambizioni politiche. In politica, sappiatelo, il celibato costituisce impedimento. Ma sulla candidata non posso avere voce in capitolo, non voglio, non devo, non sarebbe onorevole da parte mia. Secondo me, Sabina si è spinta già troppo in là nel farvi certe confidenze, almeno a quanto mi ha detto; in ogni caso, lei è soltanto la zia acquisita di Nhã-loló, sono io a esserle consanguineo. Guardi... ma no... meglio non esprimermi...».
«Dica».
«No, no, non voglio dir nulla».
Gli scrupoli di Cotrim potrebbero sembrare eccessivi a chi non conoscesse la feroce onorabilità del suo carattere. Io stesso ero stato ingiusto, negli anni immediatamente successivi all’inventario dei beni di mio padre. Riconosco in lui un modello. Gli davano dell’avaro, e credo a ragione; ma l’avarizia altro non è se non l’esagerazione di una virtù, e le virtù valgono come i bilanci: meglio in attivo che in passivo. I suoi modi parecchio bruschi gli erano valsi dei nemici, i quali lo accusavano addirittura di brutalità. L’unica prova addotta su questo punto era che faceva spesso rinchiudere gli schiavi, i quali tornavano ridotti ad ammassi sanguinolenti; ma, a parte che rinchiudeva solo i malvagi e i fuggiaschi, c’è da considerare che, avendo contrabbandato schiavi per molto tempo, si era in qualche modo abituato ai modi un po’ più duri richiesti da quel genere di commercio, né si può onestamente attribuire all’indole intima di un uomo il semplice effetto delle sue frequentazioni. La prova dei sentimenti puri di Cotrim stava nell’amore per i figli e nel dolore che lo colpì quando, di lì a pochi mesi, morì sua figlia Sara; una prova irrefutabile, direi, e non la sola. Era tesoriere di una confraternita e socio di diverse congregazioni, di una delle quali addirittura socio benemerito, il che non si accorda molto con la reputazione di avaro; vero è che non erano donazioni senza ritorno: la congregazione (di cui era stato anche arbitro) gli aveva fatto eseguire il ritratto a olio. Insomma Cotrim non era perfetto, sia pure; per esempio, aveva il vizio di mandare ai giornali la notizia di questa o quella beneficenza da lui effettuata – vizio censurabile o comunque non lodevole, siamo d’accordo; ma lui si discolpava dicendo che le buone azioni diventavano contagiose, se rese pubbliche; argomento non privo di ottime ragioni. Credo anzi (ed è per me la sua qualità migliore) che di quando in quando facesse beneficenza al solo scopo di stimolare la filantropia altrui; se la sua intenzione era questa, è giocoforza ammettere che comunicarlo ai quattro venti rappresentava una conditio sine qua non. Insomma, avrà anche mancato di gentilezza, ma non doveva un soldo a nessuno.