Il pulsante giallo
Paolo arrampica in mezzo a cespugli di ginepro, si divincola tra gli arbusti, cammina spedito verso Monte Moro. Abbiamo deciso di ascendere all’osservatorio per vedere l’alba spuntare dal mare che costeggia la Corsica; le previsioni meteo del canale satellitare davano alta pressione su tutta la Sardegna nord occidentale e così, detto e fatto, abbiamo puntato la sveglia alle 4.45.
Alzarsi di notte fa sempre un certo effetto: mi ricorda partenze festose, piene di curiosità e voglia di scoprire, richiama alla memoria aeroporti immersi nella nebbia, luci soffuse, autostrade umide e veloci, stazioni deserte e polverose. Fa l’effetto si sentirsi vivi e in attesa di qualcosa.
A Monte Moro si arriva percorrendo la strada che dal bivio di Santa Teresina sale su per la collina, correndo dietro ai pochi filari di vigna, nascondendosi tra la macchia mediterranea che prima si mostra invadente e poi lascia nuovo spazio alla pietra sarda che riempie l’isola discreta.
Paolo veste con pantaloni combat verdi infilati in anfibi color cuoio, ha un enorme giaccone di tela che lo ripara dal vento e dal freddo del mare d’inverno, in testa porta uno zuccotto grigio a maglia larga. Fuma. Fuma mentre cammina, mentre arrampica, mentre osserva estasiato il golfo d’Arzachena che appare e scompare alla nostra sinistra Il mio allenamento non è quello dei tempi migliori e mentre seguo questo sessantenne gagliardo m’accorgo che aver fatto una vita stressante come la sua, se non t’ammazza, ti garantisce una vecchiaia da sprint. Paolo va via rapido, io arranco. Ogni tanto mi arriva una zaffata acre di Cohiba. Penso sempre a questo processo, all’esperienza che ho fatto, alle tante piccole cose che ho imparato osservando i protagonisti noti e meno noti di una vicenda particolare. In un’aula giudiziaria spesso si ricrea una piccola fetta di mondo, con i suoi personaggi, la sua stratificazione sociale, i suoi fatti e le sue emozioni. La grandezza della fetta dipende dai personaggi coinvolti, dalle parti processuali. Poi, alla fine, tutto è rimesso al giudizio di uno. Come nella vita che sta fuori dei palazzi di giustizia.
Per dieci mesi si sono dati appuntamento settimanale a Imola grandi principi del foro, inviati della carta stampata e della televisione, agenti di polizia, carabinieri, interpreti, dimafoni, stenografi, addetti tecnici e semplici appassionati. Appassionati di Ayrton Senna.
Uomini con esperienze diverse, dalle estrazioni più disparate, con tenori e stili di vita completamente differenti, hanno discusso secondo la stessa logica, si sono confrontati, hanno impegnato preziose ore della loro vita. È il miracolo della giustizia. Intesa come realtà ineluttabile che cerca di riavvicinare frammenti dispersi del grande mondo, schegge allontanatesi dalla verità e dal giusto.
Penso e ripenso mentre mi avvicino alla grande base di rocce e cemento che sorregge il cucuzzolo dell’osservatorio antincendi. Paolo è già su per la gradinata scavata nella pietra: sale veloce respirando con ritmo. “Sbrigati, corri! Sta per sorgere il sole !”, mi incita.
Salgo rapidamente, vicino a me c’è luce appannata che lascia scorgere il mare in trasparenza. Adesso siamo in cima. Intorno a noi si sente il vento che fischia forte e le antenne radio che sbattono sulle parabole dei ripetitori. Sotto c’è un’enorme distesa blu che si avvicina, che s’insinua sfuggente tra il marrone, il verde, il grigio di una terra sola. Sopra c’è un cielo che saluta le stelle, risplende di colori e accoglie il sole che nasce. Un sole bello e rotondo che spunta dall’acqua. Un sole come non ne avevo mai visti. Blu, azzurro, turchese prima della luce rossa e accecante, poi arancio, giallo, rosa velato di bianco e di nuovo tinte pastello che sfumano il telo cobalto. Guardiamo assorti per molti minuti. In silenzio.
Poi Paolo dice: “Quando uscirà il libro avrai molti nemici, sarai subissato dalle critiche, dai veleni, ma non farci caso. Quando pensi che tutto volga al peggio, prendi l’aereo, dormi a casa mia, metti la sveglia presto e sali qui su. Anche solo. Tutto tornerà roseo come quest’alba.”
Al ritorno abbiamo parlato del più e del meno, spettegolato su alcuni dei maggiori protagonisti dell’ambiente delle corse. A volte Paolo ha parlato di gente che neanche conosco.
Gran parte delle udienze di giugno sono saltate per impegni del pretore, il 24 sera, però, il processo Senna è tornato d’attualità: uno speciale mandato in onda su Italia Uno ha suscitato un vespaio di polemiche.
Senna, il buco nero, a cura di Alessandro Mischi, Giorgio Terruzzi e Luca Budel ha lanciato il sospetto dell’esistenza di un supertestimone francese, un ingegnere di cui gli inquirenti conoscerebbero il nome ma che non sarebbe stato ancora ascoltato in merito agli episodi di Imola. Il fantomatico uomo misterioso sarebbe il tecnico incaricato di scaricare materialmente i dati dalla centralina-motore della Williams di Ayrton Senna subito dopo l’incidente. La centralina in questione sarebbe quella riutilizzata al banco prova dalla Renault e ormai inservibile ai fini processuali.
L’ipotesi avanzata dal servizio è che il tecnico, avendo riversato i dati su dischetti, avrebbe dovuto poter leggere la telemetria reale della macchina n. 2, comprese eventuali anomalie all’impianto guida. Le immagini mandate in onda fornirebbero anche altri spunti di riflessione, a cominciare dal meccanico che si avvicina alla macchina di Damon Hill durante un pit-stop successivo al secondo via del Gran Premio di San Marino 1994, per finire con l’intervento di un altro uomo Williams durante la stessa fermata. Gli interventi sulle vetture impegnate in gara sono vietati a chi non indossa tute ignifughe e i controlli operati sulla Williams di Hill avrebbero causato alla squadra una multa di 10.000 dollari. Che cosa hanno controllato i due tecnici del team anglofrancese?
Mistero. I principali protagonisti del Processo non commentano.
Passarini: “Non ho nulla da dire in proposito.”
Dominioni: “Eravamo in viaggio per Imola proprio mentre lo speciale andava in onda.”
Come al solito parla solo Causo, difensore dell’ispettore FIA Bruynseraede: “Le televisioni hanno molta fantasia – ha detto – è chiaro che qualcuno ha riversato i dati della centralina su dischetti, per sapere chi è basterebbe andare a Parigi e chiederlo. Il meccanico che alza il musetto della macchina di Hill e se ne va con qualcosa in mano, invece, ha semplicemente levato della carta dai radiatori, mentre il tecnico che arriva dal muretto controlla solo la temperature delle gomme, abbassatasi dopo i giri dietro la safety car.”
Tutto chiaro?
Tornato nuovamente nello studiolo di Paolo, apro i file relativi a i miei articoli sulle udienze precedenti l’estate 1997, sono tutti ordinati per numero progressivo nella directory “Rombo”, la rivista che mi ha consentito di aggiornare ogni settimana circa 30.000 lettori interessati al processo.
Martedì 1° luglio 1997
Rombo n. 27
“Con la quindicesima udienza il processo Senna è entrato nel vivo del contraddittorio dibattimentale, destinato a infuocarsi man mano che si avvicina la pausa estiva. Dopo i testimoni e i periti chiamati dal PM per conto dell’accusa, infatti, la difesa Williams ha presentato in aula quattro tecnici che hanno sostanzialmente suffragato la linea difensiva della squadra inglese.
Il responsabile del reparto produzione, Tony Pilcher, incaricato di supervisionare la costruzione del piantone modificato di Senna, ha fornito per la prima volta dati precisi, sostenendo che alla colonna dello sterzo originale, disegnata il 3 febbraio del ’94, ne venne sostituita una in nove componenti, regolarmente ispezionata e giudicata conforme, tanto da venir prodotta in ben tre esemplari intorno al 10 marzo, giusto in tempo per il Gran Premio del Brasile. Il piantone incriminato, quindi, non sarebbe stato adattato alle richieste del pilota durante i tre giorni di quel tragico GP di San Marino, come sostiene l’accusa, anche perché – ha precisato il tecnico britannico – ‘per realizzare una lavorazione di quel tipo occorrono almeno due o tre giorni’. Il responsabile dell’aerodinamica e del servosterzo, Nightingale, e i due incaricati delle prove di laboratorio, Simon Wells e Steve Wise, hanno riferito dei test svolti sui dati telemetrici, sul piantone della vettura gemella di Damon Hill e sulla sospensione posteriore a profilo alare. I tre hanno fatto notare come i picchi di pressione sulla scatola dello sterzo debbano essere ricondotti ai sobbalzi delle ruote sulla banchina una volta che il pilota aveva lasciato il volante, perché se questo si fosse troncato di netto la telemetria dello sterzo di sarebbe azzerata.
In un’udienza piuttosto tecnica e noiosa, l’unica deposizione che ha lasciato dubbi è stata quella di Wise, che ha riferito sì di aver eseguito test comparativi sul piantone della vettura di Hill, ma non prove relative all’accertamento di eventuali tracce di fatica ovvero le uniche che potevano interessare ai fini del processo.”
Martedì 8 luglio 1997
Rombo n. 28. Articolo redatto da Gabriele Testi
“Alla vigilia dell’udienza che il 9 luglio prossimo congederà dalla pretura di Imola il processo penale per la morte di Ayrton Senna, prima della pausa estiva e della ripresa delle ostilità, un colpo di scena ha caratterizzato la giornata di venerdì scorso: la presentazione da parte del CINECA di un nuovo filmato digitalizzato per conto del pubblico ministero. I periti che affiancano Maurizio Passarini per ciò che concerne le immagini televisive hanno lavorato su di una videocassetta in formato BETACAM, di cui la procura della Repubblica è entrata in possesso soltanto il 19 aprile di quest’anno grazie alla FOCA e che presenta, al contrario del materiale realizzato con il sistema VHS a disposizione del pretore, una maggior definizione dell’immagine.
Nel nuovo filmato i tecnici del centro di calcolo interuniversitario sono stati in grado di individuare nelle immagini del camera car di Senna un pulsante di colore giallo sul volante e una lettera bianca, misuranti rispettivamente 83 e 55 millimetri dal centro dello sterzo, dunque di 28 millimetri tra loro. Il CINECA ha effettuato una comparazione tra il giro veloce con il quale Senna siglò la pole position il venerdì e gli ultimi tragici passaggi del brasiliano la domenica. Nelle qualificazioni di venerdì e fino a 7"98 secondi dall’ultimo passaggio sul traguardo, i due punti solidali in esame sul volante sarebbero rimasti distanziati dal canonico spazio di 28 mm.
Dopo 9"84 secondi dal traguardo il pulsante giallo e la macchietta bianca coincidono, dopo 10"65 secondi il pulsante giallo si trova più in basso rispetto alla lettera, così come dopo 10"78 secondi, quando il punto giallo è ben al di sotto dell’altro riferimento selezionato dal laboratorio di visualizzazione scientifica del CINECA. Il tutto a suggerire inevitabilmente una traslazione del volante rispetto al fuoco dell’obiettivo fisso della camera car.
Per replicare a questo nuovo CD-Rom della pubblica accusa, i periti Vitali e Stirano hanno sollevato dubbi a 360 gradi, sia sulle caratteristiche dell’obiettivo (grandangolare) sia sull’esattezza e sulla tolleranza di ogni misurazione di questo genere, mentre Colin Martin della Williams ha proposto le immagini del muletto della FW16 (vettura di scorta, N.d.A.) riprese nel museo storico della scuderia, sul quale lo sterzo presenterebbe vistose oscillazioni già da fermo lungo i due assi, oscillazioni normali a opinione della factory di Grove. Su queste immagini, per richiesta di Passarini, sarà chiamato a pronunciarsi Michele Alboreto, dal momento che il filmato offerto dalla Williams ha sconcertato molti.
Per il resto, la giornata precedente ha visto la deposizione di tre tecnici della Williams (Simon Scoins, Gary Woodward e Brian O’Rourke) e dell’ex capomeccanico Richard Dickie Stanford, oggi team manager.
I tre hanno escluso modifiche o riprogettazioni dei piantoni installati sulle monoposto di Senna, Hill e sulla T-car (muletto, N.d.A.) successive al Gran Premio del Brasile e hanno negato che la fessurazione sul coperchio della scatola nera VCM della macchina del brasiliano sia dovuta a un effetto diverso dal semplice comprimersi della serratura su di essa a causa del violentissimo impatto. Inoltre, hanno riferito dei controlli (Crack test, liquidi penetranti, comparatore a V) con i quali solitamente si certifica in fabbrica la regolarità di ogni pezzo, come la colonna dello sterzo e i bracci delle sospensioni.”
Mercoledì 9 luglio 1997
Il pretore di Imola ascolterà Roberto Nosetto e il professor Antonio Dal Monte ma è estremamente improbabile l’emergere di ulteriori novità clamorose.”
Ricordo un’influenza che mi prese allo stomaco e mi impedì di partecipare alle udienze dei primi di luglio. Ricordo l’amico Testi resocontarmi sino all’ultima virgola, il collega Andrea Tosi descrivermi le situazioni d’aula, l’esperto Moscato illustrarmi i passaggi giuridici. Tra giornalisti c’è stata molta collaborazione.
Dell’udienza del 4 luglio mi ha colpito una cosa: i consulenti Williams, Vitali e Stirano, hanno criticato la corrispondenza obiettivo del camera car pulsante giallo sul volante, operata dai tecnici del CINECA. Ricordiamo che furono proprio loro a prendere un punto fisso di riferimento al centro del fuoco della telecamerina per mostrare il presunto sovrasterzo di Senna, sostenendo che il fenomeno poteva venir validato dalla convergenza di vari indizi. Adesso dicono che un grandangolo non dà un’immagine precisa e che misurazioni di questo genere sono imperfette.
Il mese di luglio sembra non finire mai e suggerisce spesso uscite serali, all’aria aperta dei locali del centro. L’udienza del 4 luglio ha scatenato anche la stampa non specializzata, lanciata in titoli a effetto sulla questione del pulsante giallo:
Senna ecco la prova che accusa Williams, “Corriere dello Sport”
Un video conferma anomalie allo sterzo, “Gazzetta dello Sport”
Processo Senna: un video contro la Williams, “Tuttosport”
Williams, difesa a oltranza, “Tuttosport”
Passata l’influenza torno a godermi i primi scampoli d’estate, ritagliandomi pause dopo pranzo e pomeriggi domenicali sulle spiagge del litorale laziale. Due giorni di riposo e parto per l’ultima udienza di luglio, atto conclusivo prima della sospensione feriale dell’attività forense, che ogni anno paralizza il sistema giudiziario dal 10 agosto al 15 settembre.
Dal mio articolo per “Rombo” n. 29 del 15 luglio 1997:
“Dopo sei mesi trascorsi in bilico tra perizie tecniche, testimonianze, scioperi e rinvii di vario genere, lo scorso 9 luglio Imola ha avuto – finalmente – la diciottesima udienza dedicata alla sua pista, a quel tracciato che rappresenta il cuore pulsante della cittadina sulle rive del Santerno, il motore economico di un intero anno vissuto in attesa dell’evento. Un’udienza-fiume, lunga e pesante, che ha visto per la prima volta in aula uno dei sei imputati di questo processo, Roland Bruynserade, l’uomo che ispezionò e certificò il tracciato per conto della FIA. Sull’omologazione della pista, come previsto, si è giocata la prima parte di una battaglia tra il PM Passarini, i legali di Poggi e Bendinelli (Direzione di pista e gestione) e quelli Williams che sembra destinata a concludersi solo in autunno inoltrato, riservando un ruolo del tutto marginale all’imputato belga. Come ormai noto, l’accusa e la difesa Williams (incredibilmente uniti in questo frangente) attribuiscono al circuito un ruolo importante: quello di aver causato la perdita d’aderenza della vettura di Senna a causa dei dossi e, soprattutto, avergli impedito una frenata efficace per via della mancanza di complanarità tra asfalto e banchina di sicurezza.
Le piste di tutto il mondo devono rispondere a delle normative e, in questo caso, Imola sembra essere perfettamente in regola con quanto previsto dall’appendice O, allegato 2 dell’annuario FIA 1994. Tale annuario, emanato a Parigi dalla Federazione – che lì ha sede – è scritto in francese, lingua che fa fede in caso di controversia, e nella sua versione originaria dice sostanzialmente che la banchina a bordo pista ‘dovrebbe’ essere complanare alla superficie della pista stessa. Ma la Formula 1, si sa, è sport anglosassone e il professore Dal Monte – direttore dell’Istituto di Scienze dello Sport – e l’ingegnere Nosetto – direttore del Dino Ferrari dall ’80 all ’89 – fanno notare che la traduzione inglese invece del condizionale userebbe l’imperativo, tanto da imporre quella assoluta complanarità che alla curva del Tamburello mancava e che avrebbe fatto ‘decollare’ la macchina di Ayrton impedendogli di decelerare come la vettura avrebbe consentito.
Al di là delle diatribe sulla traduzione, il professore Giavotto, per conto della difesa dell’autodromo, ha prodotto un video in cui spiega che anche nelle condizioni ottimali (che avrebbero visto la velocità d’impatto ridursi da 188 a 167 Km/h, se non più bassa come ipotizzato da alcuni in precedenza) il gruppo ruota-sospensione avrebbe avuto – con buona approssimazione – lo stesso comportamento e, quindi, il braccetto che ha trafitto Ayrton si sarebbe ugualmente staccato.
Dalle supposizioni ai fatti: la complanarità richiesta manca in quasi tutti i circuiti del mondo, in parte perché causerebbe problemi di drenaggio in caso di pioggia, in parte perché non tutti ritengono che tra pista e muro – che in America ritengono essere il miglior sistema per disperdere l’energia cinetica dell’impatto in curve a scarsa angolazione – debba necessariamente esserci dello spazio. Ciò che importa è che la pista sia omologata come rispondente alle specifiche richieste e al di là delle altre prove che gli avvocati della pista presenteranno dopo la pausa estiva (si riprenderà il 16 settembre), sembra proprio che il capitolo tracciato sia destinato a essere velocemente depennato dal lungo elenco delle questioni chiave del processo.”
La pista non c’entra, se c’entra è una concausa. La mia impressione è che si tratti di una concausa niente affatto determinante. Forse il piantone si è rotto definitivamente sui dossi, come sostiene Forghieri, forse l’auto si è scomposta, forse il pilota non ha fatto in tempo a controllarne le reazioni. Fatto sta che c’è un reperto sigillato in busta di plastica: è un piantone comunque segnato dalla fatica.
Parlano i fatti, gli oggetti, le cose.
Arriva agosto, il popolo dei vacanzieri ingolfa le autostrade, i treni, gli aerei; gli instancabili lavoratori della Formula 1 puntano dritto su Budapest, Gran Premio d’Ungheria. Il ferrarista Schumacher è in testa al mondiale piloti e costruttori con tre vittorie, Jaques Villeneuve su Williams lo insegue a tre punti di distacco: è gara aperta. Sotto lo sguardo di 120.000 persone Villeneuve conquista la sua quinta vittoria stagionale davanti al risorto Damon Hill su Arrows. Schumacher è solo quarto a oltre 30”, il danese Jan Magnussen si ritira al quinto giro per problemi allo sterzo della sua Stewart-Ford.
Dall’Ungheria alla Spagna, la Formula 1 viene vista in tutto il mondo: è uno sport veramente internazionale. Gli spagnoli sono pazzi per tutto ciò che vuol dire motori, rumore, velocità, se si tratta di moto, poi, perdono veramente la testa. Il tifo è esasperato: si sparano petardi a bordo pista, s’improvvisano balli e coreografie all’ingresso del circuito in un’atmosfera di festa incredibile che vede protagonisti i maniaci delle due ruote. Sulla via del ritorno, gli appassionati si scatenano in impennate e sfide all’ultimo sangue. Ogni tanto ci scappa il morto ma la festa continua. Per le auto è diverso, c’è sempre molta attenzione ma non ci sono piloti e squadre iberiche da difendere: non è la stessa cosa.
Comunque, guardo il Gran Premio d’Ungheria in un bar di Formentera, piccola isola delle Baleari. Ci sono almeno trenta persone assiepate dentro lo stretto saloncino adibito ad arena televisiva: la metà sono tedeschi con la maglietta di Schumacher e una bottiglia di birra. Gli italiani sono dieci. Si vedono cinque testoline marchiate Nacional su sfondo blu: il cappello che indossano è quello di Ayrton Senna.
Ricordo spesso il brasiliano avvicinato dalla sua addetta stampa con una sfilza di berretti da baseball pronti per essere impreziositi con la sua firma. La Nacional è una banca brasiliana legata da sempre alla figura di Senna. Quando Ayrton è morto hanno smesso di fare pubblicità: “Il nostro ritorno d’immagine era Senna, non la Formula 1”, hanno detto.
Il volo che mi riporta a Roma è un charter strapieno di ubriachi che cantano: turisti rapiti dalla magia di un paese dove regna il ritmo positivo della vita. Sono in ansia. Aspetto un mail con le immagini digitalizzate del filmato CINECA, quello con le misurazioni del presunto spostamento del pulsante giallo.
Martedì 14 agosto 1997, ore 4.30
Arrivo a casa trafelato e apro subito il collegamento: il messaggio CINECA dice che non è possibile farmi vedere tutto il filmato perché si tratta di un atto processuale, mi hanno mandato quattro fotogrammi distinti.
La prima immagine mostra la prospettiva on board della macchina di Ayrton: si vedono un pulsante giallo marchiato con un segnetto, una “V” bianca e il bordo del cockpit segnato con crocette di colore verde. La bordatura verde dell’abitacolo costituisce il riferimento fisso, i due segni posti sul pulsante e sulla lettera consentono di descrivere le traiettorie rotatorie dello sterzo. Il fotogramma iniziale è preso al tempo 7 "98 (dal rilevamento sul traguardo, N.d.A.): Senna è in rettilineo, tutto è a posto. Il secondo frame è al tempo 9"84: il pilota sta percorrendo il Tamburello, tra il pulsante giallo e la “V” bianca non ci sono i canonici 28 mm di distanza iniziale: i due rilievi digitali coincidono. Tempo 10"78: il bottone giallo ha descritto una traiettoria che piega verso il basso; è sotto il tracciato della “V” bianca, ovvero la linea di rotazione ideale rispetto al punto di riferimento, a conferma che il volante ha subito un abbassamento e uno spostamento laterale di quasi tre centimetri. Il quarto fotogramma mostra gli archi relativi agli spostamenti dei punti indicati durante le prove del Gran Premio di Imola 1994: si vede che la circonferenza tracciata dal pulsante giallo è solidale con i movimenti del volante e i 28 mm tra il bottone e la “V” rimangono costanti.
Sono senza parole: sembra una prova decisiva. Certo, la definizione è relativamente accettabile e quantificare esattamente lo spostamento non deve essere facile, soprattutto non deve essere facile dimostrarlo. Ma io ci credo, mi sembra una ricostruzione a regola d’arte: non ci sono valori discutibili, dati imprecisi, parametri incerti, ci sono delle immagini, dei punti colorati che indicano alcune zone di queste immagini e un raffronto tra i vari fotogrammi. Semplice e conciso.
Ricordo i commenti successivi alla presentazione del filmato CINECA. Passarini: “Le immagini parlano da sole”; Forghieri: “È evidente che il pulsante giallo, impostando una curva a sinistra, si sposta sulla destra a causa dei movimenti di traslazione”; Stirano, perito Williams: “La camera car (da cui sono prese le immagini, N.d.A.) è montata a sbalzo, le misurazioni non sono precisissime e inoltre assetti e pesi variano moltissimo tra prove e gara.” All’ingresso della casa sarda di Paolo c’è una fotografia in bianco/nero che ritrae l’autodromo nazionale di Monza negli anni cinquanta, subito dopo la guerra. È una foto aerea, gli spazi sembrano immensi e si nota subito l’enorme parabolica in cemento dalla sopraelevazione esagerata.
Prima della ripresa del processo sono tornato a Monza per il Gran Premio. Mancavo dal 1991, vittoria di Mansell. Monza non è Imola, non ha i prati, le colline ricoperte di rosso Ferrari, ma fa ugualmente effetto. Un effetto diverso. È un monumento dentro al quale le macchine borbottano, urlano, gridano, strillano mentre spariscono veloci scivolando come su di un cuscino d’aria portandosi via il loro coloratissimo rumore.
Erano anni che non entravo all’Autodromo Nazionale e anche questa volta mi sono sentito il profano che varca i cancelli di un luogo che ha scritto un pezzo di storia dello sport. A Monza ho visto vetture incredibili per uomini incredibilmente dotati e fortunati. L’accelerazione è pazzesca, la frenata irreale, le velocità di percorrenza delle curve inspiegabile. I piloti frenano, cambiano, s’inseriscono in curva, misurano forze ed emozioni, accelerano e fuggono via tenendo sotto controllo il più alto concentrato di tecnologia di fine millennio.
Vedere per credere. Ma non sperate di vedere correre delle auto. Si tratta di oggetti misteriosi che non danno la sensazione di rotolare per terra ma sembrano volare a un pelo da tutto e da tutti. E a un pelo da tutto e da tutti vola chi è in Formula 1.
Monza no, Monza è reale e tangibile. Insieme a Montecarlo e al motodrom di Hockenheim è una delle poche piste al mondo dove i piloti hanno il tempo e la possibilità di vedere le tribune e sentire i tifosi; le velocità a lungo costanti lasciano qualche decibel libero per percepire una trombetta e qualche frazione di sguardo per vedere che si corre veramente sulla terra, in pista, con dei tifosi intorno che cercano di stare in macchina con te. Il pilota lo sa e Monza è diversa anche per lui.
Ma se i tifosi sono con il pilota, il pilota non è mai con i tifosi: è chiuso nel tempio. Un tempio circondato da cancelli di tre metri, che nasconde i suoi adepti per non esporli a chissà quali sguardi o, più realisticamente, per coltivare un business dove paghi quel che vedi. Non importa cosa. Se vedi paghi.
Un fortino itinerante che si sposta ogni quindici giorni e ogni anno raddoppia le difese per preservare le creature magiche del circo dei maghi. Maghi della velocità ma sempre maghi. Che guidino, progettino, avvitino bulloni o impazziscano dietro ai computer della telemetria sono maghi che sfruttano ogni singola possibilità per andare più forte, sempre più forte, lì dove nessun uomo potrebbe andare da solo.
Noi camminiamo a 4,5 Km/h di velocità massima, corriamo a 36 Km/h e in quasi quattro ore di marcia ne percorriamo appena cinquanta. E questo vale solo per gli atleti, per i più forti.
Andiamo più piano di un cavallo, di molti uccelli e della maggior parte dei quadrupedi selvatici. La nostra struttura fisica è molto limitata e a nessun uomo è consentito andare oltre le sue possibilità fisiologiche: solo la macchina può. E allora l’uomo monta in macchina e va a provare quello che ha sempre desiderato provare: andare oltre i suoi limiti per sentirsi onnipotente e vivere una vita oltre le possibilità del suo fisico.
In molti lavorano per farlo andare ma alla fine va da solo a vivere la propria avventura, inesorabilmente solo con la sua tuta, i suoi guanti, il suo casco e, soprattutto, i suoi limiti. Non è un pazzo che rischia la vita per soldi, successo, fama: è l’unico a vivere un’emozione indescrivibile. È il protagonista di un’esperienza irripetibile.