Furia

Sul pannello della stazione centrale di Bologna l’interregionale per Ravenna, che ferma anche a Castel S. Pietro e Imola, è segnato con una crocetta. 10.38, binario 1 est, dice, solo più tardi scoprirò che la crocetta stava a significare che passa solo nei giorni festivi, quando si va o si dovrebbe andare a messa. La crocetta può voler dire solo questo.

L’ennesimo sciopero rischia di farmi arrivare tardi.

Alla stazione dei pullman c’è una corriera stracarica di ragazzini urlanti che punta dritta su Imola.

“A che ora arriva?”, chiedo.

“Tra un’ora, un’ora e un quarto”, risponde un omino in scoppola blu.

Tanto, troppo per un’udienza che è cominciata alle 9 e vede Michele Alboreto tra i testi citati dall’accusa. Non so veramente cosa fare, mi sento imprigionato in quell’andirivieni di persone che aspettano ognuno il proprio binario quotidiano e non sanno che molto lontano dai loro interessi si gioca a fare un processo che non restituirà una vita, forse nemmeno giustizia.

C’è un treno per Rimini alle 11.20 e allora, aspetto. Aspetto seduto su di una panca con un gelato e un ragazzo di Roma che mi racconta di quando faceva il promoter di una rivista per aspiranti affaristi che poi è diventata casa editrice, che poi si è trasformata in azienda del network marketing, che poi ha assunto una tipologia multilivello. Ascolto tutti e nessuno, solo di tanto in tanto mi rianimo per organizzare un servizio a Vallelunga per il mercoledì successivo.

In pochi minuti siamo tutti fermi sotto il sole, chi tra i binari infuocati, chi seduto sulla banchina, chi stravaccato sui sedili: il treno si è fermato a Varignana per un incendio all’altezza di Castel S. Pietro e non si sa bene quando potremo ripartire.

Castel San Pietro.

L’ultima notte di Ayrton.

Chissà cosa avrà pensato, solo nella sua stanza, aspettando un Gran Premio che non dava il tempo di celebrare il lutto di uno di loro; chissà se, forse per la prima volta, si sarà sentito veramente solo con la sua ossessione di essere il migliore.

Chissà cosa ti sarà frullato per la mente, cosa avrai visto sotto i tuoi occhi, chiusi ma vivi, prima di spegnere la luce e aspettare la sveglia verso un altro semaforo verde, un altro semaforo per correre di nuovo incontro a te stesso.

Due ometti parlano stretto e veloce, hanno le mani grosse e tozze, screpolate e senz’unghie, i capelli ricci e scuri, le sopracciglia folte e aggrottate. Una signora con il baschetto di pelliccia protesta in dialetto locale, dolce e severo: “Vengo da Sanremo – dice – e lì si che funziona tutto”, il nostro solito campanilismo idiota comincia a serpeggiare tra la gente scontenta. È mezzogiorno e il sole picchia giù duro come un macigno.

Quando il treno finalmente riparte mi accorgo di essermi addormentato. La stanchezza, la sveglia alle cinque e mezza e lo stress cominciano a farsi sentire.

Spero solo di arrivare in tempo per sentire Michele. Dalla stazione all’albergo sono dieci minuti a piedi in assetto leggero, ma la borsa pesa e un certo Fausto mi porta sino al semaforo con il suo motorino monosella; i vigili che incombono sul lato opposto mi costringono a fare gli ultimi cinquecento metri a piedi e con la giacca di tweed, la cravatta e il giaccone di renna mi sento come se stessi in tuta da sci sotto un piumone d’oca: sudato, accaldato, quasi sfinito.

L’aula è gremita come non mai, ci sono molti più giornalisti che la volta scorsa, telecamere, microfoni, operatori dappertutto e i posti sono completamente occupati. Mi metto in disparte, dietro uno dei due monitor perennemente fissi sulle immagini della camera car di Senna, immobili, sempre accesi, sempre inutili.

L’avvocato Dominioni mi fa un cenno di fredda cortesia; è seduto di fianco, appoggiato al separé che delimita la zona dei legulei da quella dei certosini della carta stampata; sembra quasi distratto, assente, mentre Alboreto parla e i flash scattano a ripetizione.

L’altra volta non c’era nessuno, il processo sembrava morto e troppo tecnico per interessare, ma evidentemente basta Alboreto con i suoi 189 gran premi e le sue 5 vittorie per risvegliare l’attenzione, anche perché di queste cinque, tre sono arrivate al volante di una Ferrari. La nazionale rossa, la nazionale del motore, la bandiera che unisce a tutte le latitudini, hanno scritto. Peccato che non abbia potuto unirsi al giallo verde brasiliano per celebrare un’accoppiata memorabile.

Un’accoppiata vincente. Ayrton voleva la Ferrari, Fiorio era andato vicino a farlo firmare ma poi successe che Prost creò i soliti casini di cui era maestro per rigirare tutto e tutti a suo favore, facendo saltare l’accordo. Grande cervello Alain, in pista e fuori. L’unico veramente capace di conservarsi un ampio limite e fare ugualmente faville, l’unico veramente in grado di amministrare al meglio se stesso. Ad Ayrton Senna questo un pochino mancava, non sapeva gestirsi politicamente, dava sempre il massimo, con ossessione maniacale, senza pensare troppo a quello che girava intorno ai suoi fantastici exploit cronometrati, alle sue incredibili 65 partenze in pole. Commercialmente era bravo, sì, perché intelligente, di quell’intelligenza lucida e distante dei grandi, ma dal punto di vista delle strategie politiche era un disastro; faceva dichiarazioni ad arte per far salire il suo prezzo sul mercato, per dimostrare che era il più bravo, quello valutato di più secondo le leggi della domanda e dell’offerta ma poi arrivava Prost, strappando forse meno soldi ma probabilmente una sistemazione più favorevole in squadra. Politicamente con Alain non c’era confronto.

Michele Alboreto veste di blu scuro e ha il collo strozzato in una cravatta rossa con il nodo stretto; è abbronzato, anzi carbonizzato, e gli occhi chiari risaltano dietro l’obiettivo delle telecamere. È leggermente ingrassato e gesticola con gli occhiali in mano:

“Anch’io ho avuto un problema allo sterzo, a Fiorano nel 1986”, è la risposta data al PM, che vuole sapere da Alboreto tutto quello che Alboreto sa sui mostri meccanici della Formula 1. Problemi allo sterzo: a volte capitano. A Senna era già capitato nel 1987, capiterà anche al campione del mondo Schumacher, in Brasile, nel ’95. Capiterà anche all’emergente Fisichella, a Imola edizione 1997.

Si spera sempre che non debba capitare più.

Il pilota milanese racconta pacato, dice che “spanciare” è normale, che la bassa pressione dei pneumatici si sente soprattutto sulle curve lente, che quando uscì di pista al Tamburello – nel 1991 – fu per un problema meccanico, che prima di sbattere sul muro si cerca di ridurre l’angolo d’impatto in qualsiasi maniera: frenando, scalando le marce, sterzando. Ayrton Senna, prima del muro, non ha sterzato: “La cosa mi sorprese”, dice.

Poi si passa al capitolo pista e l’ex ferrarista assolve in pieno il tracciato imolese e la curva del Tamburello, dove le vetture toccavano terra come in molti altri circuiti del mondo.

Ricordo l’intervista di Michele pubblicata subito dopo l’incidente di Senna, la sua posizione colpevolista, il suo dare addosso al muro di cemento, alla pista, agli organizzatori. Adesso è tutto cambiato, perché questa contraddizione?

Forse l’emergere delle risultanze processuali ha cambiato il suo approccio alla vicenda, forse alcuni particolari hanno convinto anche lui.

Mi rianimo.

Dal mio rifugio in Sardegna chiamo Alboreto sul cellulare: il numero non è corretto, la rubrica di Paolo è un gran casino. Provo a casa: entra una segreteria con una musichetta che non finisce mai. Ritorno sulle immagini dei ricordi di quel giorno d’udienza. Ricordi definiti.

Parla ancora Alboreto:“Noi sappiamo quello che rischiamo”, dice ed è lo stesso ritornello di sempre, l’ovvietà vera di tutti i piloti del mondo, e quando lo dice si vede che vuole sentirsi ancora uno di loro, uno del gruppo, uno che corre. Il pilota milanese è uno della razza degli Andretti, dei Fittipaldi, dei Merzario, di quelli che continuano a correre finché non si appiccicano definitivamente a un muro o vengono fermati per sopraggiunti limiti di età: lui il muro l’ha già preso in America, inseguendo il sogno di Indianapolis, ma non gli ha fatto granché e adesso aspetta di vedere se c’è ancora qualcuno che lo vuole per fare il Mondiale GT.

“Se si prospettasse qualcosa di interessante, io sono pronto”, afferma ribadendo un concetto già espresso, ed è evidente che non lo fermeranno mai.” Questo scrivevo all’epoca, quando Alboreto era ancora vivo.

La sua deposizione quel giorno finì in fretta. Ricordo di averlo seguito mentre usciva dalla porta dei testimoni. Solo una domanda: “Michele – e con la voce un po’ rotta al pensiero di vedermelo lì dopo 15 anni da quella notte in cui ero solo un bambino che lo guardava mentre vinceva a Las Vegas, gli pongo la domanda di sempre, quella che proporrò a tutti i piloti che verranno in pellegrinaggio a Imola per dare il loro piccolo contributo alla verità – Ayrton ha girato 1’24”9 l’ultimo passaggio. È stato sostenuto che i sei lunghi giri dietro la pace car avrebbero potuto provocare un raffreddamento e un abbassamento di pressione delle gomme; secondo te era possibile fare un tempo simile con problemi del genere? Per scaldare bene le gomme può bastare meno di un giro, lo so, ma è importante che tutti lo dicano, che dicano che quel tempo è stato fatto perché la macchina era perfetta fino al traguardo del sesto giro, che l’assetto non si è abbassato per le gomme sgonfie, che Ayrton non ha sbagliato, non è svenuto, non è schizzato via perché non ha saputo riprendere le spanciate della macchina sul terreno.”

“Non c’entra, la macchina andava bene, era partito in pole, può essere stato solo un cedimento meccanico.”

“Quanto può aver influito la pista?”

“Questo è da vedere, io credo che si sia trattato di un problema relativo alla macchina.”

E la conferma arriva puntuale, se mai ce ne fosse bisogno.

Gentile, disponibile, Alboreto parla con tutti. Un giornalista di un importante TG privato gli chiede come mai Senna non ha azionato la radio accortosi del problema: accompagnato da una risata generale il pilota lascia il palazzo dei Circoli.

Il giorno successivo il quotidiano “La Repubblica” titola: Alboreto scagiona il circuito.

L’udienza continua, tocca ai commissari di percorso.

Mezzetti dice che Senna tenne una traiettoria leggermente più interna e parla di un abbassamento della parte anteriore sinistra della macchina, Nosco riferisce che dopo l’incidente le centraline della vettura n. 2 furono prelevate dai tecnici Williams su autorizzazione di Charlie Whiting, poi racconta dell’episodio gomme: la squadra chiese e ottenne di sostituire pneumatici usati con nuovi, una cosa insolita e vietata dal regolamento.

Piccoli frammenti del mosaico. Molti elementi che abbiamo già annotato assumono rilevanza nella visione d’insieme.

Entra Bernard Michel Duffort, responsabile del controllo motori Renault Sport F1. Viene nominato un interprete di lingua francese. Duffort non era presente a Imola il giorno dell’incidente ma ricevette la centralina Magneti Marelli/Renault e dei dischetti magnetici la sera stessa, a Parigi. Il 18 maggio 1994 Duffort consegna la centralina nelle mani della polizia francese affinché sia a disposizione per essere inoltrata alle autorità italiane che indagano sul caso Senna. Insieme alla centralina, la gendarmeria riceve anche una serie di floppy disk, i supporti sui quali sono stati riversati i dati elettronici. Il tecnico spiega che la centralina è stata letta direttamente dalla macchina tramite un computer portatile, operazione che ha fatto sì che i dati in essa contenuti rimanessero nella memoria senza poter essere più letti.

I dati degli ultimi metri di Senna rimasero in memoria in attesa che vi si sovrapponesse una nuova registrazione e i dischetti che lui ha consegnato contengono il riversamento operato dai tecnici dopo l’incidente. È subito chiaro che il margine di attendibilità dei dischetti è molto inferiore a quello della memoria originale: mentre si riversano i dati si possono operare delle modifiche, il dubbio è lecito e i periti dell’accusa non mancano di farlo notare ai giornalisti presenti.

La centralina Magneti Marelli con i dati del motore e del cambio sarebbe stata riutilizzata al banco prova per immagazzinare dati di funzionamento! Ottimizzazione dei costi, anche le grandi case stanno attente alle spese. Ma la centralina con i rilevamenti del motore non è l’unica a bordo di una vettura di Formula 1, c’è anche quella contenente i dati del telaio, delle sospensioni, dei freni. Dello sterzo. Sulla macchina di Senna questa seconda centralina sarebbe stata danneggiata dall’urto e completamente inservibile. In ogni caso, Duffort spiega che i dati relativi alla vettura vengono scaricati via radio ai box ogni volta che la macchina passa davanti alla postazione della squadra; a ogni nuovo giro, quindi, la centralina è pronta a ricevere solo i nuovi rilevamenti.

Mentre Senna si avvicina al Tamburello, la centralina della sua macchina registra informazioni che verranno definitivamente perse. Del telaio, delle sospensioni, dei freni e dello sterzo della FW16 n. 2 impegnata nel 7° giro del Gran Premio di San Marino edizione 1994 non sapremo mai nulla di assolutamente certo. È un fatto. Se non ci fosse la centralina motore sugli ultimi metri di Ayrton sarebbe calato il buio assoluto.

Chiedo conferme dei miei dubbi: per Alboreto il fattore gomme non ha influito, per i commissari di gara non c’era sostanzialmente nulla di anomalo prima dell’incidente, per il tecnico Renault è abbastanza normale che una centralina venga riutilizzata.

I colleghi confermano, se mai ce ne fosse stato bisogno, se mai ce ne fosse davvero il bisogno dopo aver sentito parlare di centraline asportate e scaricate seduta stante in regime di parco chiuso, dopo aver ascoltato tecnici dire che i dati riversati da un computer su dischetti sono cancellati per sempre dalla memoria dell’elaboratore, commissari affermare che vennero sostituite gomme usate per nuove, dopo aver sentito delle immagini on board che arrivano con tre mesi di ritardo e mancanti dei fotogrammi essenziali... interrotte proprio al momento giusto, prima del botto, senza lasciarci vedere lo sterzo e l’avantreno.

Più tardi saprò che la scatola della telemetria Williams è apparsa ai periti danneggiata “come con un punteruolo”, quelli della Williams sostengono che si tratta semplicemente del cilindretto della serratura, comunque un altro dubbio.

Se mai ce ne fosse bisogno.

Martedì 18 marzo 1997

È il giorno di Charlie Whiting, il delegato tecnico FIA per la stagione agonistica 1994. Elegante, misurato nei modi e nelle parole che rivolge ai pochi giornalisti presenti, l’ex capo ingegnere del team Brabham è venuto a Imola per chiarire, al PM Passarini, le procedure di omologazione dei telai di Formula 1 e, soprattutto, molte delle circostanze relative al percorso delle centraline elettroniche dall’auto di Senna.

Primo punto: i telai.

“Il telaio n. 1 di ogni vettura – dice Whiting – è sottoposto al crash test (si lancia la scocca contro una barriera a circa 40 Km/h, N.d.A) e funge da riferimento per tutti i telai successivi, che devono corrispondere al primo esemplare e vengono sottoposti solo al load test laterale (la vettura viene compressa tra due blocchi, N.d.A). La FW16 di Senna fu esaminata il 16 febbraio del ’94 a Cranfield e non venne più rivista.”

“Un telaio modificato deve essere riomologato?”, domanda Passarini.

“Se le modifiche sono rilevanti, sì.”

Limature all’abitacolo per dare spazio alle mani di Ayrton, il pensiero sorge spontaneo.

Passarini mostra le foto della scocca limata di Senna, gli avvocati Williams contestano l’uso del termine “limature” .

“È la prima volta che vede queste limature?”

“Non ricordo di averle viste ma non sono sicuro che non fossero presenti al crash test.”

“Un telaio con queste modifiche poteva essere omologato?”

“Sì.”

“Può confermarci che all’atto dell’omologazione il telaio includeva il volante?”, Passarini lambisce l’argomento principe della sua tesi.

“Io non ricordo esattamente, ma quando si fa il crash test il volante, di solito, non è montato.”

La deposizione va avanti, punto secondo: le centraline.

“Ci dice che cosa è successo nel parco chiuso subito dopo l’incidente?”

“Dunque, provo a ricordare... Mi sembra che andai a vedere la macchina con due ingegneri della Williams, non ricordo se c’era Patrick Head. Comunque, uno di loro mi chiese di prelevare le centraline, io acconsentii e poi andammo tutti sul camion della squadra per vedere se i dati ci dicevano qualcosa sull’accaduto.”

“Lei era sul camion Williams?”

“Sì, ricordo che non fu possibile collegare la centralina Williams per cui decidemmo di andare a prelevare quella Renault.”

“Si ricorda qual era la difficoltà nel leggere i dati?”

“Era andato in frantumi il connettore che serviva a trasferire i dati; comunque, poi riprese la gara e io dovetti tornare al mio posto.”

Prende la parola l’avvocato Causo. Ha accompagnato lui il teste a Imola, è lui che frequenta abitualmente il Circus e conosce meglio degli altri legali presenti in aula tutte le sfaccettature tecniche della vicenda Senna.

“Per quali ragioni ha autorizzato il prelievo della black box?”, chiede a Whiting.

“Il motivo era che potevano esserci dati utili al team per prevenire che potesse succedere qualcosa alla vettura di Hill durante la gara, era imperativo farlo...”

“Lei era al corrente della gravità delle condizioni di Senna quando ha concesso l’autorizzazione?”

“No, sapevo che l’incidente era grave ma nulla delle sue condizioni di salute.”

Causo è preciso, metodico, attento.

“Ci può indicare sulla centralina il connettore che impediva il contatto per scaricare i dati?”

“Non sono un esperto di elettronica ma presumo che siano queste due parti – e indica due prese a chiodi – mi ricordo che furono gli ingegneri che lo dissero, ricordo che c’era una scheda da inserire per scaricare i dati.”

Per scaricare i dati dalla centralina occorreva una scheda o bastavano i connettori? Whiting ha detto che i dati non potevano essere scaricati perché i connettori erano andati in frantumi, poi ha accennato alla scheda. La relazione dei periti di accusa della scheda non parla affatto.

Entra Spiga, consulente del pubblico ministero per l’argomento centraline elettroniche, prende in mano la black box e dice: “Il bordo superiore è danneggiato da fessurazioni, anche all’interno i circuiti presentano danneggiamento da fessurazione e asportazioni di materiale che rendono impossibile l’utilizzo. Inoltre manca la batteria, forse è stata persa nell’impatto.” Nell’impatto o durante lo svolgimento di perizie a volte troppo confuse.

Passarini, come tutti, ha pochi elementi oggettivi certi, uno di questi è la centralina danneggiata in modo singolare.

“Che ci dice delle fessurazioni esterne?”

“Forse sono dovute all’incidente.”

“Può compararci i danni esterni e quelli interni?”

“Dentro ci sono i danni maggiori: la parte elettronica risulta gravemente danneggiata con chip da 6 mm mancanti di intere parti e circuiti stampati da 3 mm stranamente integri.”

Spiga va avanti spedito, lascia intendere la presenza di segni di danneggiamento da “punteruolo”, scatena le ire della difesa Williams. Gli vengono richieste numerose precisazioni su ogni singola parola della sua relazione: sulla centralina stanno tutti molto attenti, nessuno parla, nessuno legge.

“Le era stato chiesto (nella consulenza, N.d.A) della compatibilità tra danni e incidente, che ci dice?”

“È possibile una compatibilità ma non una consequenzialità univoca.”

Linguaggio tecnico, preciso, precisissimo.

Passarini prosegue: “Ha tentato di estrarre i dati?”

“No, perché sono apparsi danni irreversibili che rendono l’operazione impossibile... comunque, sarebbe occorsa una chiave di lettura (un codice, N.d.A) Williams.”

“Può esaminare lo spinotto di collegamento?”

“Ce ne sono quattro che non presentano tracce di danneggiamento.”

“Materialmente è possibile connettersi alla centralina, indipendentemente dalla possibilità di estrazione dei dati?”

“Credo di sì... sì, è possibile.”

“Quanto tempo ci vorrebbe per farlo adesso?” Il PM è scatenato, la centralina è una delle sue pezze di appoggio preferite.

Caos tra i difensori. Un accertamento tecnico fatto in assenza dei periti delle parti, esperti sull’argomento specifico, è inaccettabile: il pretore stabilisce che il prossimo 24 marzo si procederà a un tentativo di connessione in aula.

Meglio così, nessuno nota che i consulenti dell’accusa non sapevano che alla centralina ci si collega tramite una carta, una carta come quelle dei telefonini; gli uomini di Passarini pensavano solo agli spinotti, che non si capisce se siano integri o danneggiati.

Causo approfitta della situazione, prende la parola e fa precisare a Spiga che la batteria è l’unico sistema di alimentazione della centralina: la batteria che manca.

“La perdita dei dati non è legata esclusivamente alla batteria – lo interrompe Spiga – la mancanza della batteria ha portato solo all’azzeramento di eventuali memorie.”

“La differenza di massa tra involucro esterno e circuiti interni può giustificare la diversa entità dei danni?”

“In parte sì.”

Domanda azzeccata, l’interno – molto affollato, fatto di circuiti stampati e chip di silicio – pesa più dell’involucro esterno di magnesio, quindi gli effetti della botta sarebbero meno accentuati fuori e più marcati dentro, dove la massa è maggiore. Teoricamente, quindi, se lanci una scatoletta di fiammiferi contro un muro, si danneggiano i fiammiferi e il pacchetto rimane integro. Questa sarà la tesi difensiva della squadra sull’argomento centralina e sulle sue presunte manomissioni e ogni tanto mi viene il dubbio che Causo, tutto sommato, non abbia mai dubitato della linea difensiva del suo amico Williams: difende Bruynserade, ma adotta una linea convergente con quella del team anglosassone, d’altronde l’aveva detto.

Whiting si congeda, Causo scherza: “C’è una lettera di un esperto di magnetismo che dice che il Tamburello ha un campo magnetico pazzesco, che influisce su tutti quelli troppo nervosi”. Humor nero.

Parla l’ingegner Fumagalli, riferisce del casco di Senna. Un casco del tutto identico al modello di riferimento utilizzato per le omologazioni, solo più leggero di 239 grammi.

“Le modifiche possono aver diminuito la funzionalità del casco?”, chiede Passarini.

“Dipende dalle modalità di modifica, a priori non si può dire.”

La calotta pesava 204 grammi in meno, la visiera era più leggera di 35 grammi.

Degli spessori non si parla, il casco, comunque, non ha importanza. Ce lo spiegano i periti medico-legali, quelli che hanno esaminato il corpo di Senna.

Ricci, Romanelli e il consulente di parte della SAGIS, il professore Cipolla d’Abruzzo, vengono ascoltati congiuntamente per ragioni di economia processuale.

Parla Ricci: “Al momento dell’incidente Senna aveva il casco calzato... l’ho visitato presso l’istituto di medicina legale dell’ospedale Maggiore di Bologna, presentava tre tipi di lesioni rilevanti. In corrispondenza della regione sopraccigliare destra mostrava una ferita da corpo contundente rotondeggiante di forma allungata... corrispondentemente si rilevava una frattura dell’osso frontale unita a una lacerazione bilaterale del sistema nervoso... la parte anteriore del cervello appariva compromessa fino al bulbo, alla regione basale... ed era piena di sangue.”

Ricordo il gelo dell’aula impietrita dall’ascolto di un resoconto agghiacciante. Non capirò mai questo lavoro dei medici legali.

Ricci continua: “La regione occipitale mostrava fratture stellari unite a striature nella regione mandibolare, alle quali non corrispondevano tracce traumatiche... la seconda lesione di rilievo era sulla spalle sinistra, che mostrava una lacerazione ascellare in alto e un profilo affondato in basso, senza fratture – sono ematomi dovuti alle cinture di sicurezza – mentre la terza lesione era situata posteriormente, nella regione dorsale centrale ove c’erano contusioni presenti anche nella zona femorale. In conclusione, abbiamo rilevato una grave lesione cranico-encefalica anteriore trasmessa, per contraccolpo, alla parte posteriore.”

Il PM prosegue: “la lesione mortale era quella anteriore destra?”

“Sì.”

“Sono stati effettuati esami istologici e tossicologici?”

“Sì, hanno escluso problemi fisici o l’assunzione di sostanze.”

“La lesione sopraccigliare destra corrispondeva sul casco?”

“Sì, sì, corrispondeva.”

L’avvocato Landi chiede che vengano mostrate ai periti le foto n. 67 e 68 dell’albo della Polizia, quelle del braccetto della sospensione anteriore destra, poi domanda:

“Quel corpo contundente da voi descritto poteva avere queste caratteristiche?”

“Io ritengo che sia molto sottile... la corrispondenza non si verifica perché la misura (del braccetto mostrato in foto, N.d.A.) è inferiore però può darsi che affondando si crei una lesione simile.”

“Non può escludere la corrispondenza?”

“Nell’ipotesi che fosse stato affondato con violenza, probabilmente sì (non la escluderei, N.d.A.).”

È un particolare importante: dimostrare che Senna è morto trafitto dal braccetto della sospensione alleggerisce la posizione del muro a bordo pista.

Ancora Landi: “Non può ammettere ma nemmeno escludere la compatibilità?”

“Morfologicamente la escluderei, dal punto di vista dinamico non ammetto e non escludo...”

Prende la parola il pretore: “Nella sua relazione lei scrisse ‘non siamo in grado di identificare il corpo contundente ma risulta di forma allungata... ’ lei – rivolgendosi al consulente di parte, il dottor Cipolla D’Abruzzo – è d’accordo?”

“Mah... la corrispondenza (tra la forma del braccetto della sospensione e la lesione rilevata, N.d.A.) è possibile, anche considerando l’elevata energia dell’impatto.”

La difesa della pista si rivolge al suo perito: “Se fosse mancata questa lesione, avete riscontrato altre lesioni potenzialmente mortali?”

“No, la morte è dovuta a lesione encefalica traumatica... non c’erano altre lesioni come quelle che solitamente si accompagnano a traumi lesivi di questo tipo.”

“Che cosa può dirci per quanto riguarda i “tempi” del decesso?”

“Le conseguenze fisiopatologiche di questo tipo di lesione sono un’immediata perdita di coscienza, una morte molto rapida... ”, meno male Ayrton non ha avuto neanche il tempo di soffrire.

“Tuttavia la morte è intervenuta per altri motivi?”

“Mah... in genere la morte di fatto è rapidissima ma è difficile dare una definizione cronologica esatta del verificarsi della morte. L’arresto delle funzioni cerebrali è immediato, che poi quelle cardiache possano continuare – grazie anche all’immediato soccorso e alle tecniche relative apportate – è un discorso diverso. In effetti è documentato che ci sono attività cardiache successive alla morte cerebrale e dovute all’attività di soccorso, culminate nel decesso alle ore 18.40.”

I periti autoptici se ne vanno, e sugli ultimi istanti in vita di Senna non si è saputo nulla di nuovo. Inseguo Romanelli, lo fermo e gli chiedo: “C’era nulla nella calotta cranica? Frammenti, pezzi, residui di materiale?”

“No... nulla.”

L’ipotesi del giovane medico amico di Paolo, una pazzia.

“Il corpo contundente, quindi, è entrato e uscito?”

“No, ha colpito e ha spaccato il cranio – mi risponde con la freddezza glaciale di chi è abituato a segare, sezionare, plastinare – il corpo contundente di per sé, così quale fosse, non è stato ritrovato. In un caso come questo, di possibili corpi contundenti del genere ce ne sono 5/6 milioni.”

Un collega accenna alla forma della lesione, il medico spiega paziente: “È come un bambino che batte per terra, magari fuori la botta è piccola ma dentro la lesione è grande – parla in un linguaggio, semplice, diretto, essenziale – non so... immaginate di avere una palla di gomma con dentro dell’acqua densa e sbatterla per terra, la botta di trasmette ovunque”.

Immaginiamo, già.

Esce la Jaguar blu scuro di Causo, con i suoi stemmi cromati sulla calandra e le antenne che luccicano, colpite dagli ultimi raggi di sole. Escono i carabinieri, i cancellieri, gli uscieri e rimangono accese solo le luci della sala da gioco dove gli anziani continuano imperterriti a sfidarsi alle carte.

Chiudo il mio pezzo per “Rombo”: “... dalle prossime udienze di aprile, con l’escussione delle perizie sul piantone dello sterzo, comincerà il vero processo, quello che vedrà il formarsi delle prove nel contraddittorio delle parti e fornirà al pretore gli elementi su cui emettere la sentenza.”

Rileggo gli appunti di quelle giornate: “Il palazzo prestato alla giustizia va ad assopirsi aspettando la prossima udienza, senza dir nulla, senza fiatare. Immobile con i suoi muri grigi e severi e i suoi stucchi riverniciati di fresco. Non c’è rumore ma vento, non c’è aria ma brezza gelida e sospesa che attende impassibile il momento in cui riprenderà il corso normale della vita e delle cose che sembra essersi fermato.”

Lunedì 24 marzo 1997

Mancano i quattro connettori in grado di rendere possibile l’interfaccia con la centralina elettronica Williams: salta l’accertamento tecnico incrociato del professore Spiga (accusa) e degli ingegneri Stirano (difesa Williams/Head) e Alviano (Bendinelli/Poggi). Sembra che gli spinotti fabbricati dalla californiana Rytheon Corp., la stessa che produce i missili Patriot, tristemente noti durante il periodo della guerra del Golfo, siano assolutamente introvabili nel nostro paese.

Mercoledì 2 aprile 1007

Udienza confusa

In un magazzino della Williams a Grove, l’ingegnere Stirano ha reperito tre dei quattro connettori della centralina Williams, connettori che – contrariamente a quanto affermato dall’accusa, che sospettava un loro danneggiamento doloso – hanno dimostrato di agganciarsi alla perfezione.

L’avvocato Causo ha chiesto come mai Spiga non avesse fatto questo tipo di collegamento in precedenza, la risposta è burocratica: “Nel mese in cui le ho effettuate, i connettori non erano oggetto di queste perizie.”

Disattenzione dei periti e del PM: accadrà spesso. Non solo, si è scoperto chiaramente che i connettori in questione non servivano affatto a estrarre i dati dalla centralina, bensì a immetterveli! Per conoscere il contenuto della centralina di Senna occorreva una ram card, una tessera magnetica da inserire nel quinto connettore, in grado di scaricare la memoria in cinque secondi. Insomma, gli approfondimenti tecnici del PM lasciano spesso a desiderare, ormai è chiaro, ma veder sfumare gran parte della credibilità dell’accusa in questo modo ha un sapore amaro.

I giornali titolano: “Una centralina boomerang per Passarini.”

Il magistrato dell’accusa si chiede come mai non sia stato possibile avere anche la ram card dal team inglese: la carta non era oggetto dei quesiti posti ai consulenti tecnici Williams e la squadra, ovviamente, non ha nessun interesse a fornire quello che non le è stato neanche richiesto, comprensibile ma non apprezzabile.

Sottigliezze, comunque, perché i dati contenuti nella centralina di Ayrton erano andati comunque perduti staccando la black box dalla vettura, dove due accumulatori forniscono l’energia provvisoria necessaria al mantenimento della memoria e al riversamento del suo contenuto, mentre la batteria di servizio della memoria ram – quella temporanea con i dati giro per giro – si era disconnessa nell’urto. Gli unici dati certi sono quelli del motore. Riversati su dischetti. Certi per modo di dire.

La settimana successiva alle udienze delle centraline la rivista “Autosprint” pubblica due pagine di Speciale dedicate al processo Senna, il titolo non ha bisogno di commenti: “C’è la verità nella camera car!”

Quale verità?

Il Centro Interuniversitario di Calcolo CINECA ha presentato un ricostruzione digitalizzata delle immagini televisive agli atti del processo; si tratta di un videodisco che sincronizza i fotogrammi della telecamera di bordo di Senna, di quella di Schumacher (che seguiva il brasiliano), delle riprese RAI Tv e dei tracciati superstiti della telemetria.

Il servizio della rivista punta il dito sul braccetto dello sterzo: guardando attentamente le immagini lo si vedrebbe scorrere nel senso opposto a quello di marcia, in una direzione contraria a quella imposta dalla curva. Sulle monoposto di Formula 1 i tiranti dello sterzo sono attaccati alle ruote all’estremità anteriore del portamozzo (la fusione contenente l’attacco di fissaggio delle ruote, delle sospensioni, dell’impianto frenante, N.d.A.) e la giuntura mobile che garantisce la rotazione consiste in una piccola sfera ingabbiata in materiali plastici come il teflon. Dalla parte opposta, all’altezza del telaio, i tiranti entrano nella scocca e vanno a chiudersi nella scatola dello sterzo a cremagliera tramite due piccoli giunti metallici, i braccetti delle sospensioni, invece, vanno a spingere su di una leva attaccata agli ammortizzatori.

Il video mostra che quando la vettura è in rettilineo i giunti del tirante dello sterzo non si vedono, perché troppo bassi e vicini al telaio, quando Senna percorre il Tamburello sterzando a sinistra, invece, questi cominciano a scorrere verso l’interno della curva.

I tecnici CINECA hanno schiarito le immagini dell’abitacolo e si vede chiaramente il guanto di Senna abbassarsi verso sinistra poi, in pochi centesimi di secondo, si può notare il pilota che sposta il casco, sembra sterzare sempre di più ma il giunto del tirante dello sterzo comincia a scorrere verso destra: le ruote vanno in senso opposto alla curva, riallineandosi per effetto della forza centrifuga.

Guardo e riguardo quelle immagini, le rallento nella mia mente in una slow motion senza fine. I giunti dei tiranti dello sterzo sono due puntini luminosi in un mare di luce accecante, sembrano scorrere verso destra... ‘sembrano’ : non basta.

La pubblica accusa non ci fa caso.

Il servizio della rivista cadrà presto nel dimenticatoio.

Martedì 15 aprile 1997

È il giorno delle 500 pagine di perizie decisive, quelle sul piantone dello sterzo presentate dal pool dei consulenti tecnici dell’accusa: Forghieri, Carletti e Lorenzini. L’occasione è di quelle importanti, Patrick Head e Adrian Newey fanno il loro ingresso al palazzo dei Circoli, in veste di osservatori. Il primo viene direttamente dall’Argentina via Londra, il secondo ha dovuto interrompere le sue ferie. Head è in grigio, Newey veste una giacca a quadri con camicia bianca e cravatta con elefantini colorati, calza degli imbarazzanti mocassini con pennacchi. Per la prima volta si materializzano in aula i due principali protagonisti di questa vicenda, uomini da milioni di dollari importunati da una seccatura inevitabile.

Patrick Head è l’indiscusso leader della tradizionale scuola telaistica inglese, l’uomo artefice dell’incredibile continuità dei successi Williams. Secondo i ben informati del “circus” avrebbe intorno al 20% delle azioni del team anglosassone.

Un tipo dall’aspetto burbero e dal carattere apparentemente in linea con l’immagine esterna.

Paolo: “Sembra sempre incazzato con il mondo ma in realtà è un buono, basta non pestargli troppo i piedi.”

Il 1997 sarà l’anno del suo matrimonio con Betise Assumpçao, l’addetta stampa di Senna: l’amore è cieco.

Nel 1994 Head supervisionava il lavoro dell’estroso Newey, ingegnere aeronautico della nuova scuola, cresciuto in galleria del vento a pane e filetti fluidi, abituato a estremizzare le sue geniali intuizioni e a progettare macchine affusolate e ristrette i cui piloti devono sacrificare il comfort di guida per guadagnare preziosi decimi in penetrazione aerodinamica.

Oggi Newey vive da separato in casa Williams, al centro di una disputa legale sul suo contratto, potrebbe esser prossimo a un passaggio in McLaren.

Head e Newey, ancora insieme ma lontano dalle piste: in un’aula giudiziaria.

Sono entrambi seduti accanto agli avvocati Williams, non vogliono essere ripresi, non parlano con nessuno.

Entrano i consulenti del pubblico ministero. Forghieri, alto, abbronzato, è un bell’uomo di 65 anni che ha fatto dell’ingegneria automobilistica il suo motivo di vita. È stato direttore tecnico della Ferrari degli anni d’oro, quando c’era ancora il Commendatore e i piloti si chiamavano Regazzoni, Lauda, Scheckter e Villeneuve. Ha vinto titoli mondiali a ripetizione poi la nuova generazione della Formula 1, quella dei telai in materiali compositi, ha spento il suo estro di designer e lo ha dirottato verso la grande industria motoristica. È un uomo di cultura e di mondo, pignolo, preciso, misurato al tavolo da disegno ma sempre pronto a esplodere nell’esuberanza tipica delle sue Emilie.

Tommaso Carletti si è laureato alla Normale di Pisa, è stato responsabile del reparto esperienze FIAT per dodici anni poi è passato in Formula 1 con Ferrari e Renault. Ha un aspetto bonario da uomo di campagna, una barba folta a incorniciare un faccione rosso e un sorriso accattivante. È l’uomo del dubbio: “Mi piacerebbe parlare con lei dopo il Processo” mi ha detto. Aspetto d’incontrarlo.

Lorenzini è stato Preside della facoltà d’ingegneria dell’Università di Bologna fino al 1995, è autore di numerose pubblicazioni internazionali in materia di meccanica, termica, fluidodinamica. È l’unico professore del gruppo dei consulenti tecnici.

Passarini ha la toga sulle spalle e sembra più attivo del solito, attende il giuramento dei periti, poi ascolta l’esposizione di Carletti sulla curva del Tamburello: l’ingegnere parla di una curva a largo raggio pendente di 2,38 gradi, con un coefficiente di accelerazione laterale che per le Formula 1 è di circa 4.2/4.6 g (dove “g” è l’accelerazione di gravità nel punto in cui si esegue la misurazione).

Il PM si rivolge a Forghieri: “Il Tamburello è detta “curva” perché non è un rettilineo... ci spieghi come veniva affrontata dai piloti.”

“Sì, all’epoca (dell’incidente, N.d.A.) non era una curva... soprattutto se si considera la leggera sopraelevazione di circa due gradi, che incrementa l’aderenza... richiedeva una sterzata inferiore a 1°.”

“In che marcia veniva percorsa?”

“Dipendeva dai cambi, comunque con la più alta.”

“Occorreva levare il gas?”

“No, la si affrontava con l’acceleratore al massimo.”

Forghieri ha abbozzato un tentativo di risposta in inglese, il pretore l’ha stoppato: l’interprete Tambella sembra non aver gradito la sovrapposizione.

Carletti: “Dall’analisi dei rilevamenti della Polizia e delle immagini televisive Senna è andato dritto di circa 9° rispetto alla traiettoria di curva e dopo 121 metri, percorsi in 1,6 secondi, ha urtato il muro a una velocità di 210/220 Km/h e con un’inclinazione di 22° circa.”

Il pretore annota tutto su di un computer portatile ma vuole maggiori precisazioni. Soprattutto vuole capire come si è giunti alle conclusioni evidenziate nella relazione, come si è potuto stabilire che Senna è uscito di strada e come si è stabilita la rottura del piantone dello sterzo: “Occorre spiegare – dice – come si arrivi ad affermare che è stato percorso un dato spazio in un dato tempo...”

Riprende la parola Forghieri: “Dai dati telemetrici forniti dalla Williams l’auto viaggiava a circa 310 Km/h, dopo alcuni dossi che hanno fatto sobbalzare la vettura questa ha deviato dalla traiettoria ideale... il pilota ha chiuso in due tempi l’acceleratore e ha iniziato un fortissima frenata rettilinea.”

Immagino Ayrton alle prese con una macchina impazzita, il succedersi dei suoi pensieri, lo scorrere veloce delle immagini e delle reazioni istintive.

Forghieri continua: “Dopo circa 83 metri è uscito dalla sede della pista e ha cominciato a saltellare, preciso che non intendo dire che la vettura si è alzata di un metro, come qualcuno ha fatto. Queste sono auto che viaggiano normalmente a mezzo cm da terra per cui sono sufficienti quattro o cinque cm o ballonzoli a destra e sinistra per far perdere loro, fortemente, le caratteristiche aerodinamiche. Tutto questo per spiegare che la macchina, oscillando, riceveva dei colpi sulle ruote anteriori e posteriori così come indicato dalla bloccata delle ruote evidenziata dalle tracce (intermittenti, N.d.A.) al suolo.”

La deposizione si fa confusa, Passarini tenta di renderla più chiara: “Parliamo del tratto sulla banchina di sicurezza?

“Sì, dei 38 metri fuori pista.”

“In base a quali criteri ha individuato le misure?”

“Per i primi 121 metri dai dati Williams e per gli ultimi 38 metri ci siamo basati sui rilievi della polizia.”

È importante capire se la relazione dei consulenti dell’accusa si è basata o meno sulla ricostruzione video del CINECA, perché se così fosse si tratterebbe di misurazioni ottenute grazie a un incarico conferito al consorzio interuniversitario successivamente alla fase istruttoria, in assenza di garanzie per le altre parti processuali e, quindi, i dati sarebbero inutilizzabili in contraddittorio. Agli avvocati, naturalmente, tutto ciò non sfugge.

La difesa Williams solleva il problema, il pretore: “Il filmato CINECA può essere usato solo come presentazione delle risultanze delle parti... quando e dove sono stati elaborati i dati presentati?”

“Appena avuto l’incarico ci siamo avvalsi di tutti i mezzi disponibili – dice Forghieri – soprattutto degli esami meccanografici sulle parti potenzialmente interessate, abbiamo usato di tutto, per questo ho chiesto al CINECA di sincronizzare le immagini.”

“Quando avete realizzato il video CINECA?”

“... sicuramente prima della relazione.”

I periti dell’accusa hanno visionato più volte le immagini, comprese quelle della camera car di cui inizialmente si era negata l’esistenza, poi le hanno sincronizzate tra loro e, soprattutto, con i dati della telemetria. Più avanti sorgerà il problema del metodo utilizzato per questa sincronizzazione.

Dettagli tecnici importantissimi di una vicenda intricata, sempre più complessa.

L’ingegner Forghieri torna alla ricostruzione dell’incidente: “L’auto saltellava sulla banchina di sicurezza, come indicato dalle punte di pressione della telemetria (pressione rilevata sulla scatola dello sterzo e probabilmente dovuta alle ruote che saltellano, N.d.A.).”

Il PM: “Ci spieghi meglio...”, il magistrato sa che rendere la vita difficile a un collega avulso dal tecnicismo della Formula 1 può essere molto pericoloso.

“All’epoca la Williams aveva un sistema di aiuto al pilota – spiega Forghieri – una pompa idraulica forniva olio in pressione (per il servosterzo, N.d.A.) e un software stabiliva quanto aiutare il pilota in funzione della velocità e dello sforzo... c’erano dei sensori di pressione sulla scatola dello sterzo... un sistema estremamente valido.”

Il pretore chiede chiarimenti, Forghieri mostra le immagini e commenta:

“Al momento 12”38 (cioè 12 secondi dopo il passaggio della macchina di Senna sul traguardo, N.d.A.) la pressione del sistema è di 299 libre per centimetro quadro. Sulla cremagliera c’è un altro sensore che ha un picco (nel grafico mostrato in aula, N.d.A.) perché una ruota ha sterzato “libera” imponendo la rilevazione al sensore... le ruote, urtando, sterzano loro stesse la cremagliera”.

Il giudice Costanzo chiede maggior precisione.

“Mi sono soffermato sui picchi di pressione per far notare che, contrariamente al solito, sono le ruote che girano e impongono sollecitazioni allo sterzo anziché lo sforzo del pilota, che fa entrare in funzione la pompa (del servosterzo, N.d.A.). Negli ultimi 38 metri ci sono dei picchi molto alti nel dato relativo alla sterzata (la linea bianca mostra 1141 libre per cm quadro, N.d.A.) a dimostrare che la ruota sterza velocemente da una parte all’altra.”

Non lo si dice chiaramente ma l’assunto di fondo è che il piantone dello sterzo si sia rotto, lasciando le ruote libere di girare a destra e sinistra a causa dei sobbalzi compiuti dalla vettura su di una imperfetta banchina di sicurezza.

I consulenti tecnici del pubblico ministero sostengono che il pilota, accortosi di un problema a bordo della sua vettura, avrebbe scelto di sfruttare al massimo le possibilità offerte da una frenata rettilinea: sarebbe andato dritto di proposito perché sterzando e frenando contemporaneamente diminuisce l’aderenza delle ruote anteriori e, quindi, la capacità di frenata.

“I sensori dell’accelerazione longitudinale – dice Forghieri – mostrano una decelerazione costante di 4.38 g prima dell’uscita di pista, dopo questa scende a dei valori più bassi.”

La banchina di sicurezza posta prima del muro non sarebbe complanare al tracciato, pertanto la vettura di Senna avrebbe potuto frenare al meglio fino a bordo pista – con valori di carico aerodinamico e di aderenza ottimali – mentre avrebbe perso gran parte delle sue caratteristiche negli ultimi trentotto metri.

Passarini: “Possiamo confermare che per quei 38 metri la macchina di Senna ha potuto decelerare in maniera imperfetta?”

“Sì.”

“È stata fatta una valutazione di quella che avrebbe potuto essere la velocità dell’impatto se la decelerazione fosse rimasta similare alla pista anche sulla banchina di sicurezza?”, chiede il PM.

Nel capo d’imputazione di Poggi e Bruynserade si legge che la mancata complanarità della banchina alla pista sarebbe stata concausa dell’incidente e, quindi, della morte di Senna.

Forghieri: “Sicuramente la parte esterna della pista deve essere diversa (alla pista stessa, N.d.A.). Qui si è voluto enfatizzare il fatto che la macchina, uscendo, avesse perso efficienza, per valutare la velocità d’impatto abbiamo ipotizzato che le caratteristiche fossero le stesse, quindi il pilota avrebbe continuato a frenare con circa 4.6 g di decelerazione e impattato a una velocità approssimativa di 130/150 Km/h.”

Sembra tutto approssimativo, si parla di “circa”, “più o meno’”, si costruiscono periodi ipotetici. Il guaio è che si tratta di fatti talmente incerti da rendere spesso difficile una quantificazione numerica, un’oggettivizzazione dell’accaduto. Con una velocità d’impatto diversa, Senna sarebbe morto?

Non è detto, è una risposta impossibile da dare.

Non sapremo mai se il braccetto della sospensione che ha trafitto il brasiliano si sarebbe staccato o meno in condizioni diverse. La pericolosità di un sinistro automobilistico dipende da troppi fattori perché le casistiche che possono nascere in funzione di incidenti a diverse velocità sono praticamente infinite: occorre valutare il variare degli angoli d’impatto, considerare la parte della vettura che urta il muro, come lo urta, dove lo urta, ecc. Ma in un’aula giudiziaria, nell’esposizione dei teoremi accusatori e difensivi, tutto può tornare utile, sarà il pretore a decidere.

Passarini, quindi, insiste. “Quali sono gli elementi che non hanno permesso un impatto a velocità minore?”

“Per poter continuare a frenare sarebbe occorsa una continuazione dell’asfalto”, risponde incerto Forghieri.

“Se la pista avesse avuto andamento complanare, la decelerazione sarebbe stata inferiore?”

“... credo di sì.”

Le difese della SAGIS e dell’ispettore FIA, Bruynserade, non ci stanno: quando si parla di complanarità ci si riferisce al capo d’imputazione dei loro assistiti. L’avvocato Causo vuole sapere se sono state fatte traduzioni adeguate dei regolamenti, se si è proceduto a prove di aderenza dei pneumatici sulle due diverse superfici della pista e della banchina di sicurezza. Birindelli (difesa Poggi/Bendinelli) vuole capire se il manto erboso che preesisteva alla banchina in cemento avrebbe potuto favorire maggiormente la frenata.

Forghieri risponde pazientemente alle domande di tutti, conferma che mancano raffronti sulla diversa aderenza delle gomme sulle due superfici, che l’erba a bordo pista non avrebbe modificato la situazione, poi chiarisce che cosa intende dire quando parla di “volo” della vettura fuori pista a causa della mancanza di complanarità: “Per una Formula 1 “volare” significa stare 4/5 cm. in aria...”

Le difese attaccano Forghieri, contestano i rilevamenti acquisiti e dati per certi dalla sua relazione, rifiutano di ritenere valido il sistema adottato per campionare i tempi e le immagini del video CINECA, ritengono del tutto inesatti i calcoli relativi alle velocità di uscita e d’impatto. I consulenti del PM riferiscono di non aver ritenuto attendibili gli accelerometri longitudinali (sensori che misurano accelerazione e decelerazione lungo quest’asse della vettura) a causa dei sobbalzi della monoposto a bordo pista poi, però, fanno intendere che sono giunti alla determinazione del momento esatto dell’uscita della vettura dalla sede stradale in base al variare della decelerazione.

Contraddizioni velate, incertezze pesanti.

Si passa alle ipotesi sulle cause dell’incidente, è sempre Forghieri che tiene banco in attesa che gli altri due periti possano intervenire sull’argomento piantone dello sterzo.

“Inizialmente – dice l’ex ds Ferrari – si era parlato di una sospensione posteriore e dei pneumatici... ma queste ipotesi vennero subito scartate perché non sarebbe stato possibile da parte della macchina ottenere quella decelerazione in frenata e mantenere quella linea d’uscita (rettilinea, N.d.A.).”

Passarini vuole escludere tutte le ipotesi possibili e andare a stringere il cerchio sull’unico particolare meccanico che non ha un alibi per il momento dell’incidente, il piantone. Secco, deciso, di poche parole, il PM insiste: “Quale sospensione posteriore attirò la vostra attenzione?”

“Quella sinistra.”

“Vi siete avvalsi del laboratorio dell’Aeronautica Militare di Pratica di Mare per esaminare questa sospensione posteriore?”

“Sì... e anche dell’istituto di metallurgia dell’Università di Bologna, ma sulle leve e su altri particolari meccanici può rispondere l’ingegner Carletti.”

Passarini segue subito il consiglio e rivolgendosi a Carletti chiede: “Cosa è emerso sulla rottura della sospensione?”

“Che fu dovuta da un eccesso di compressione, presumibilmente durante o alla fine dell’incidente.”

Sospensioni posteriori a profilo alare, carenavano i differenziali, non avevano funzioni aerodinamiche e servivano essenzialmente a rendere realizzabile la progettazione di un retrotreno più basso, in grado di far lavorare meglio l’aerodinamica del fondo piatto. La posteriore sinistra si sfibrò alla prima uscita, in Portogallo, venne rinforzata con del lamierino, fu accusata di aver causato altri fuoripista in Francia e in Spagna, giunse a Imola ancora con una placca di alluminio rivettata.

“La valutazione degli esami fatti confermò la vostra valutazione che l’uscita di pista non è da attribuire alla rottura della sospensione ma, anzi, questa ne è stata una conseguenza?”

“Presumibilmente sì, considerando anche la fortissima decelerazione, altrimenti la macchina sarebbe partita in testacoda per lo squilibrio delle forze frenanti.”

Arriva il momento del piantone, indiziato n. 1 dell’uscita di pista di Senna al Tamburello. Il campione brasiliano non riusciva a guidare con il volante rotondo da 24,5 mm, non gradiva lo sterzo a mezzaluna usato da tutti gli altri piloti di monoposto perché sosteneva che dava sensazioni meno precise e rendeva più faticosa la guida: questione di leve, più il diametro del volante è grande minore è lo sforzo richiesto per girarlo. Per ridurre l’affaticamento nell’ultima parte della gara, inoltre, Senna faceva montare il piantone dello sterzo in una posizione abbastanza alta, che consentiva alle braccia un angolo più disteso rispetto alle spalle e una presa meno costretta. Queste sue esigenze non vennero soddisfatte nella progettazione della scocca della Williams FW16, costruita con il volante affogato nell’abitacolo, necessariamente più piccolo di quello che Ayrton aveva potuto utilizzare sulle McLaren degli ultimi anni. Per sopperire alle carenze del progetto rimanendo fedeli al dettato regolamentare (che prevedeva il passaggio obbligato nell’abitacolo di una sagoma quadra di 25 cm per lato), alla Williams si pensò di allungare l’asta dello sterzo per portare il volante più in basso e vicino al pilota, rendendo possibile il montaggio dell’abituale cerchio in camoscio che Senna si portava dietro da sempre, ma, soprattutto, si decise di limare il telaio al di fuori della linea di cintura anteriore dell’abitacolo per lasciar spazio alle mani.

Passarini: “Cosa è stato rilevato circa il piantone dello sterzo?”

Carletti: “Inizialmente fu portata a Pratica di Mare la parte di piantone attaccata all’auto poi, circa due mesi dopo, venne consegnata l’altra parte, quella attaccata alla scatola di guida. Dall’esame dei due pezzi, soprattutto del secondo, il laboratorio ha steso una relazione in cui indica che almeno il 70% della sezione del piantone era già rotta per fatica prima dell’incidente.”

Rottura per fatica, che cosa vuol dire? Non una rottura semplice, in due parti, ma un cedimento subdolo che inizia invisibile e procede silenzioso sino al punto in cui la sezione resistente è così piccola da rendere possibile la seconda parte della rottura vera e propria, quella di schianto. Secondo i consulenti di Passarini sul piantone dello sterzo di Senna questa frattura invisibile era almeno del 70% prima dell’impatto.

“Sono state effettuate analisi analoghe anche presso un altro centro?”, chiede il PM per dar maggior peso alla sua tesi.

“Sì, presso l’allora Istituto di metallurgia della Facoltà di chimica industriale dell’Università di Bologna, i risultati sono stati del tutto uguali.”

Il professore Lorenzini parla di un piantone dello sterzo costruito in tre parti di diametro e sezione diversa saldate tra loro.

L’originale tubo unico in acciaio D45, in pratica, venne segato a circa 12 cm dal volante e nell’intersezione creatasi fu inserita un’asta di diametro minore (18 mm invece di 25). L’acciaio EN14 della parte aggiunta era diverso dall’originale e, soprattutto, la sezione del tubo era inferiore; secondo i consulenti dell’accusa il pezzo modificato si ruppe vicino alla saldatura di raccordo.

L’ingegner Stirano, difesa Williams, non è d’accordo: “La rappresentazione del disegno n. 415 (fascicolo del PM, N.d.A.) non è puntuale – dice – la saldatura è mostrata molto vicina alla rottura, cosa che in realtà non è vera...”

Il PM precisa: “Possiamo ripetere la distanza tra punto della saldatura (del pezzo aggiunto, N.d.A.) e punto di rottura?”

“... 32 mm sul nostro disegno, la scheda n. 412 è della Williams mentre gli altri tre schizzi sono stati fatti da noi.”

“Qual’era il raggio di raccordo nel punto della frattura?”

“… circa 1 mm.”

Si riferiscono alla sezione del punto incriminato: su di un tubo da 18 mm di diametro e 1 mm. di sezione si reggevano le sorti di una vita.

“Queste misure sono precise o sono correzioni apportate da voi nella ricostruzione?”

“No, no sono precise. Il raggio è molto importante per la resistenza del pezzo alla fatica – continua Lorenzini – più è piccolo e più si hanno concentrazioni di tensioni e rischi di cedimento. Un altro elemento che ha aggravato le condizioni nel punto della rottura è la brusca variazione di sezione unita a dei segni di lavorazione da utensile. Per ridurre la fatica, infatti, occorre che il pezzo sia liscio e il più possibile senza intagli. Per concludere, c’erano tre concause che provocavano una mancanza di robustezza del pezzo, cioè la variazione di sezione del particolare (aggiunto, N.d.A.), il raggio troppo piccolo e la qualità grossolana della lavorazione.”

Lavorazioni grossolane: possibile? Quanto più aumenta il livello tecnologico, tanto più si ritorna a interventi artigianali: nessuna macchina stende delle pelli di fibra di carbonio sui telai di legno, c’è un uomo che lo fa; nessuna macchina sforna pedaliere adatte al millimetro ai piedi dei vari piloti, regola cinture di sicurezza, modifica sedili in poliuretano espanso, rattoppa parti plastiche danneggiate dagli urti con il terreno. Le macchine di Formula 1 sono gioielli tecnologici che necessitano di continui adattamenti che solo l’uomo può effettuare, a mano. Per i piantoni dello sterzo, forse, è diverso. Che bisogno c’era di una modifica fatta nella maniera descritta dai consulenti? Se il lavoro è stato eseguito in fabbrica, non conveniva progettare direttamente un piantone diverso, in un pezzo unico ma con lunghezze e sezioni diverse?

Non si sa quando la modifica sia stata apportata con esattezza, si sa solo che è stata fatta un’aggiunta e il pezzo è stato tornito a mano con degli utensili.

“È vero che in presenza di piccole scalfiture le forze si concentrano proprio in quei punti?”, ha chiesto il magistrato.

“Sì.”

“Ne consegue che la teorica resistenza del pezzo diminuiva, anche in maniera apprezzabile?”

“Sì, infatti nella relazione di Pratica di Mare si legge che la rottura per fatica ha probabilmente avuto inizio in un punto dove probabilmente vi era un segno di utensile.”

“Si può valutare la qualità dei due diversi tipi di acciaio EN14 e D45?”

“Si tratta di materiali simili, saldabili, non particolarmente forti ma resistenti, di qualità. Tra i due c’è una differenza dell’8% circa (dei valori di robustezza, N.d.A.) relativamente al punto di rottura.”

“Qual era più resistente? Il primo (D45,N.d.A)?”

“... sì, il primo.”

Dominioni protesta, gli altri avvocati mormorano. Non si possono esprimere valutazioni non supportate da riferimenti scientifici precisi e sulle questioni metallurgiche interverranno i periti di Pratica di Mare. L’ingegnere Vitali di Alenia Spazio, consulente della difesa Williams, non mancherà di sottolineare che la relazione dell’Istituto di metallurgia bolognese (anch’esso perito del PM), contrariamente a quella dell’Aeronautica, parla di “ottime finiture”, di “torniture e lucidature ottimali” ; Forghieri: “Gli esperti di Pratica di Mare hanno detto che i segni di lavorazione hanno ‘peggiorato’ la situazione, non che ‘sono la causa’ della rottura.”

Passarini continua, è scatenato: “Qual è lo spessore del tratto di piantone intermedio (quello aggiunto, N.d.A.)?”

“Approssimativamente 1.25 mm, come indicato anche nel disegno mandatoci dalla Williams.”

“Può essere considerato uno spessore adeguato?”

“Evidentemente no, perché si è rotto...”

In aula scoppia il putiferio, i collegi difensivi protestano e il pretore ha il suo bel da fare per mettere a tacere 48 persone inferocite: avvocati, consulenti tecnici di parte e giornalisti. Patrick Head sembra quasi assente, prende appunti in continuazione e scruta tutto e tutti dietro i suoi occhialetti di tartaruga rettangolari.

Si va nello specifico: “L’estensione del 70% di rottura, di che tipo era?”

“In alcuni punti era una rottura passante, per fatica”, precisa Lorenzini.

“Nella relazione si legge che dall’esame delle due tracce speculari (si tratta dei segni di rottura sul piantone, N.d.A.) la sezione presenta danneggiamento da sfregamento e battitura, che cosa significa?”

“Indicano uno sfregamento con l’altra parte dovuto a flessione e movimento tra i due pezzi, presumibilmente riconducibile a manovre del pilota dopo la rottura...”

Si ripresenta nella mia mente Ayrton che gira uno sterzo che non risponde, che lo tira a sé e vede il volante rimanere appeso ai fili di contatto della radio e del cambio: una scena agghiacciante.

“Queste tracce presuppongono che la rottura sia antecedente all’urto?”

“Diciamo che c’è una parte di rottura per fatica che avviene prima, poi c’è una parte di rottura ‘duttile’ ...”

Passarini insiste, sapere se il piantone si è rotto prima o dopo l’impatto con il muro è il quesito principe posto ai suoi esperti con l’affidamento dell’incarico.

“L’urto non potrebbe aver provocato un martellamento, quindi, questi indizi di martellamento non possono che esser relativi a una rottura antecedente?”

“Sì.”

Una rottura di schianto lascia il pezzo segato a metà, forse leggermente sfilacciato ma mai battuto e martellato come se le due parti avessero sfregato l’una contro l’altra prima di cedere entrambe. La rottura “duttile”, per flessotorsione è quella che vediamo quando torciamo un pezzo di fil di ferro: prima si gira, si piega, si flette poi, all’improvviso, si rompe in due pezzi: se lo osservassimo al microscopio noteremmo che le due parti presentano segni di sfregamento delle superfici entrate in contatto nella fase iniziale della rottura, quella in cui la fatica comincia a scavare il metallo sino al punto critico.

“L’individuazione di una rottura per fatica di simile estensione, era avvertibile dal pilota?”

Forghieri interrompe Carletti e riprende la parola; una volta lo chiamavano “Furia”, il cavallo pazzo della fortunata serie televisiva. “Può darsi che il pilota si sia reso conto – dice – credendo agli esperti di Pratica di mare, il piantone, in quella zona, aveva una cricca “martellata” molto estesa e per martellare ci vuole del tempo; alcuni ritengono che nell’ultima parte dell’incidente (gli ultimi 1.6 secondi della vita di Senna, N.d.A.) il piantone era attaccato solo per un terzo. Questo ha probabilmente causato dei movimenti anormali, soprattutto dopo i dossi presenti in quel punto della curva, che non avevano nulla a che fare con la sterzata...”

Quindi, Senna se ne rese conto?

È importante capire come mai il pilota brasiliano non sembrò abbozzare nessun tentativo di reazione, nessuna sterzata delle ruote per ridurre l’angolo di impatto sul muro di cemento posto all’uscita del Tamburello.

“Secondo me le cricche di fatica hanno proceduto, sono avanzate, quando le ruote urtavano a destra e sinistra (sulla banchina di sicurezza, N.d.A.) e hanno portato alla rottura quando la ruota anteriore destra ha toccato il muro. È mia opinione – sottolinea deciso Forghieri – che il volante fosse ancora torsionalmente utilizzabile ma non so fino a che punto... nel prosieguo dell’uscita di strada, la cricca (la traccia di rottura da fatica, N.d.A.), che già era estesa del 70%, ha proseguito per colpa delle gomme che sollecitavano la cremagliera e, quindi, quel lembo di materiale cui era attaccato lo sterzo... mentre il volante probabilmente era tenuto dalle braccia del pilota.”

I picchi di pressione rilevati sulla scatola dello sterzo sono dovuti al rimbalzare delle ruote o a movimenti delle braccia del pilota sul volante?

Questo quesito, così come quello sulla funzionalità residua dello sterzo rimarrà terreno di scontro dei consulenti per tutto il processo.

Senna avrebbe avvertito una risposta anomala dello sterzo, il volante non gli sarebbe rimasto in mano ma non si sa fino a che punto poteva garantirgli una sterzata ottimale: una sterzata che, comunque, non c’è mai stata.

“Ipotizzo che poco prima di abbandonare la traiettoria – conclude Forghieri descrivendo gli attimi dell’incidente sui tracciati telemetrici – parta una forte correzione sul volante a causa dei dossi... se non avesse corretto sarebbe uscito di pista, lo si vede chiaramente dalla camera car di Schumacher (che seguiva Senna, N.d.A.)... si vede l’auto che tocca violentemente il terreno, una cosa abbastanza normale con gomme sgonfie. Il pilota realizza qualcosa di errato nel volante e prende una decisione non immediata, ricordiamoci che ha chiuso in due tempi l’acceleratore... quindi lascia che il volante ritorni in posizione diritta perché altrimenti non avrebbe potuto frenare.”

Resosi conto che qualcosa non andava sullo sterzo, dice in sostanza Forghieri, il pilota avrebbe scelto di andare deliberatamente dritto per sfruttare una frenata rettilinea... d’accordo ma perché non tentare di ammorbidire l’angolo d’impatto prima dell’urto? Perché non provare? Forse Ayrton ha tentato, ma il piantone ha pensato bene di cedere del tutto mentre la macchina sobbalzava a bordo pista.

L’udienza continua senza soste, si va avanti come se queste ore di deposizione dei consulenti del PM dovessero riassumere necessariamente tutto il processo.

Forghieri è instancabile. Ha la voce roca ma non ha chiesto neanche un bicchier d’acqua: dipendesse da lui probabilmente salirebbe sulla cattedra del pretore e farebbe un monologo.

C’è un particolare da ricordare: Forghieri ha accennato a un pulsante giallo sullo sterzo di Senna, forse quello dello smagrimento della miscela aria/benzina o di qualche altra diavoleria elettronica. Questo pulsante farebbe un movimento non circolare, non conseguente al ruotare del volante, muovendosi in maniera anomala di qualche centimetro rispetto alla linea fissa del bordo esterno dell’abitacolo, unico punto di riferimento visibile negli ultimi istanti del filmato on board.

Si passa a esaminare i saltellamenti delle macchine dovuti ai dossi presenti sulla curva del Tamburello, Minen – difesa Williams – chiede a Forghieri se condivide o meno la conclusione data da Alboreto lo scorso 17 marzo, secondo la quale “i saltelli non potevano assolutamente provocare l’uscita”: “Non posso smentire un pilota del livello di Alboreto”, dice l’ingegnere bolognese.

L’avvocato Dominioni, difensore Williams, vuole capire da dove sono stati presi i dati analizzati dai consulenti del pubblico ministero, soprattutto quelli relativi alla pressione delle gomme. Sembra che i valori di pressione siano stati estrapolati da altre vetture presenti in pista quel giorno a Imola, che le cifre indicate si riferiscano alla macchina di Brundle (un pilota McLaren, N.d.A.) visto che nessuno può sapere i valori reali delle gomme dell’auto di Senna al momento dell’incidente. L’obbiettivo è quello di trasformare da “concausa” a “causa principe” l’abbassamento dell’assetto della macchina di Senna, dovuto allo sgonfiamento delle gomme per il raffreddamento delle stesse dopo sei giri percorsi ad andatura ridotta dietro la macchina di sicurezza.

Per la difesa Williams l’assetto particolarmente basso avrebbe provocato una reazione diversa della macchina sui dossi, una perdita di aderenza che avrebbe portato Senna dritto verso la tangente con il muro.

Dietro la pace car, però, c’erano altre 25 macchine: sono rimaste tutte in pista.

Per i consulenti della squadra Campione del Mondo il piantone dello sterzo era sì crepato ma in misura minore (intorno al 21%) e il 70% del danneggiamento indicato dall’accusa riguarderebbe la circonferenza e non la sezione; il piantone, insomma, sarebbe stato tale da garantire una sterzata che non c’è stata perché lo scompenso sui dossi ha fatto andar dritto Senna, che poi ha scelto di frenare al meglio senza fare altri tentativi.

In ogni caso: è normale ammettere che una vettura di Formula 1 possa girare in pista con un piantone dello sterzo che presenta tracce di rottura per fatica, seppur di misura irrilevante?

Dominioni si rivolge al trittico dei consulenti: “Nella vostra relazione, a pag. 13 secondo paragrafo, dite ‘il piantone si sta rompendo’, a pag.4 invece affermate che ‘probabilmente’ si è rotto... che peso date al ‘probabilmente’ ?”

“Carletti mi fa notare che ci si riferisce al ‘modo’ della rottura..”, risponde Forghieri.

I consulenti dell’accusa sembrano in difficoltà, gli altri avvocati approfittano: tutti sembrano aver voce in capitolo sulle questioni tecniche.

Lanzi, difesa Newey, replica: “Voi dite che Senna, dopo aver valutato le condizioni dello sterzo, avrebbe deciso di far tornare il volante a zero, levare il gas e frenare..avrebbe potuto fare qualcos’altro?

“Io non sono un pilota, posso dare un parere approssimativo... forse poteva far altro ma per me ha fatto il meglio che poteva fare... io prendo spunto da quanto detto da Alboreto, che ha raccontato di quando si ritrovò con il volante in mano, ovviamente il caso di Senna è diverso – precisa Forghieri – ha avuto poche frazioni di secondo per decidere. Credo che il brasiliano fosse sorpreso perché non ha tolto il gas di botto ma in due tempi, quando l’ha tolto del tutto aveva realizzato.”

Gran Premio del Brasile 1987, ricordo Senna fermarsi al box Lotus nel corso dell’ottavo giro: era in testa alla gara ma aveva avvertito dei problemi allo sterzo. Rientrò in pista al quattordicesimo passaggio in ottava posizione, dopo venti giri era secondo ma fu fermato da un separatore elettromagnetico del serbatoio dell’olio rotto.

Problemi allo sterzo: a volte capitano. Se capitano al Tamburello di Imola, all’Eau Rouge di Spa o in fondo al tunnel di Montecarlo non c’è molto spazio per poter fare qualcosa.

La decima udienza si avvia alla conclusione, il pretore chiede dei piccoli chiarimenti: “Il colpo di sterzo, la correzione effettuata dopo il primo dosso fu registrata anche nei giri precedenti?”

“Si ma in maniera minore.”

“Senza correzione (nel giro dell’incidente, N.d.A.) sarebbe uscito?”

“Sì, c’è stato uno scarto, si vede dai valori dell’accelerazione laterale...”

“Poi che cosa è successo?”

“Senna toglie un po’ l’acceleratore, lascia tornare dritto il volante, toglie del tutto il gas e frena... la miglior cosa che poteva fare..anche se mi sono stupito che Senna non abbia scelto una traiettoria rettilinea meno inclinata, che avrebbe potuto allungare la frenata.”

Forghieri intende dire che forse Senna avrebbe potuto tirare dritto con una linea meno perpendicolare al muro, per guadagnare spazio rettilineo e avere qualche metro in più a disposizione.

Avrebbe potuto, chi può dirlo?

Patrick Head e Adrian Newey escono dal palazzo dei Circoli.

Head: “Sono venuto al processo perché ritengo utile e importante partecipare alla fase del dibattimento dedicata alle perizie – recita – ma non faccio commenti sulle cause. Ovviamente non posso essere d’accordo con le conclusioni del signor Forghieri ma penso che questo debba far parte della logica processuale. Comunque, mi pare che questo sia un processo molto serio, il magistrato è a posto e ho grande fiducia nella giustizia italiana e nella nostra linea difensiva.”

Un commento che non ha bisogno di commento.

Parla Newey, solo due parole: “Sono venuto qui per onorare Ayrton Senna, che per me è stato un grande amico e un grande uomo.”

Sulla mia agenda di quei giorni trovo scritto: “Torno in albergo, senza parole.”

Paolo è assopito su di una grande sdraio piazzata proprio davanti al camino: guardare immobile le lingue di fuoco che divorano grossi pezzi di sughero è una delle sue abitudini preferite. Ha la barba lunga, beve rhum, fuma sigari Cohiba. Sembra un vecchio esule cubano che riflette sul regime speciale, sull’embargo e sul futuro del suo paese.

“Che cosa è successo il giorno dopo?”, mi chiede.

È più di un’ora che parlo da solo, che racconto di quei due giorni fondamentali per la vicenda Senna, ma lui sembra distratto, quando leggo brevi tratti del libro chiude gli occhi e rigira il bicchiere tra le mani. Sembra disattento ma in realtà vuole raccogliere tutte le informazioni possibili e spararmi una raffica di domande. È già accaduto.

L’indomani è stato il giorno del riscatto Williams; l’ingegner Stirano ha chiarito la linea di difesa della squadra ricostruendo gli ultimi istanti di Ayrton, dal passaggio davanti al suo box alla frenata disperata, dal tempo 10"7 a quello 11"80 in cui le immagini della camera car spariscono. Prima, però, c’è stata tutta una mattinata dedicata alle precisazioni del trio di consulenti dell’accusa, con Passarini che ha insistito molto sulla durata delle parti meccaniche. Una mattina di sole in un’aula deserta.

“Carletti, è in grado di definire la durata operativa di uno sterzo in Formula 1?”, ha chiesto il PM.

“In linea di massima una stagione, con controlli ogni 2/3 Gran Premi.”

“Premesso che nelle gare di Formula 1 il guasto meccanico è abbastanza comune, nelle competizioni automobilistiche in generale la rottura dello sterzo è un fatto usuale?”

“Usuale non direi. Un guasto al piantone è molto raro, in qualche caso ci sono state rotture alla scatola guida, a un braccetto dello sterzo... non è che a ogni gara ci siano 8/10 macchine con lo sterzo rotto... ogni tanto accade.”

“È corretto dire che spesso queste rotture agli organi di sterzo derivano da urti delle vetture che salgono sui cordoli (i bordi rialzati in cemento che delimitano le curve, N.d.A.), diciamo da urti conseguenti a una guida ‘sportiva’ del pilota, che sfrutta al massimo la vettura?”

È corretto, Passarini lo sa; solo che Ayrton Senna cercava di aggredire i cordoli il meno possibile per andare più rapido, soprattutto su piste medio-veloci come Imola, mentre non gli era possibile evitare le sollecitazioni dovute ai sobbalzi del Tamburello.

“Nel dimensionamento di certi pezzi come lo sterzo si ipotizzano alcuni carichi (di peso, sforzo, sollecitazione, N.d.A.) e poi ci si prende un certo margine, purtroppo non sempre si fanno dei calcoli giusti, perché non sempre si sa dove il pilota va ad arrampicarsi...”

Carletti è sembrato rimanere sul vago ma in realtà ha fornito un particolare importante: c’è un discreto margine di indeterminazione nella progettazione di molti dei pezzi di una Formula 1, le condizioni di utilizzo sono varie e infinite.

“Esiste un coefficiente di sicurezza rispetto allo sforzo che si ritiene che quel pezzo debba sopportare?”, ha chiesto Passarini.

“Sì, esistono dei criteri di questo genere che variano da squadra a squadra, esistono in tutte le cose che si progettano. In Formula 1, da poco, si usano misure di carico inglesi uguali per tutti.”

Forghieri ha precisato al pretore che nel calcolo di particolari insostituibili si tengono coefficienti di sicurezza maggiori rispetto a quelli calcolati per altri particolari, coefficienti di 1/4 anziché 1/2.

Passarini ha puntato nuovamente il dito sull’artigianalità di certe lavorazioni adottate dalla Williams, come le limature sulla scocca dell’auto di Senna o i rattoppi sulle sospensioni posteriori: interventi che si verificano spesso in un mondo teso alla ricerca della prestazione in poche ore di qualificazione o di gara. Carletti, uomo di pista, ha confermato.

Ricordo gli incidenti che hanno preceduto quello di Senna, tutti accaduti al Tamburello, tutti dovuti a guasti meccanici. Ricordo Passarini mostrare ai suoi consulenti i filmati delle uscite di Piquet nel 1987 e di Berger nell 1989, di Alboreto nel 1991 e di Patrese l’anno seguente. L’uscita del ferrarista Gerhard Berger è quella che più rassomiglia a quella di Ayrton Senna. Berger, il grande amico di Ayrton. Fatalità.

L’incidente dell’austriaco fu causato dalla perdita dell’alettone anteriore sinistro che fece in modo che l’avantreno della sua monoposto perdesse aderenza e controllabilità di sterzo, mandandolo dritto. Le ruote giravano ma la macchina andava dritta. Anche la macchina di Alboreto andò dritta con le ruote sterzate, poi partì in testacoda come quella di Piquet.

Le ruote di Senna non hanno girato e la macchina non ha perso alettoni e non è andata in testacoda.

Su questo punto c’è stato anche l’unico intervento dell’avvocato Carcaterra, il legale della famiglia Senna. Voleva capire se esistono dati certi su questa mancata sterzata: no.

Paolo: “Il pretore ha chiesto approfondimenti, ha fatto commenti, è intervenuto nel dibattito?”

“Sì, il pretore è intervenuto spesso per sapere se era possibile o meno conoscere il coefficiente di carico del piantone dello sterzo di Senna. Un’impresa impossibile, il piantone è stato visionato dai consulenti solo dopo l’incidente: rotto. Solo il progettista conosce i coefficienti del pezzo in funzione dei carichi ai quali il pezzo deve essere sottoposto – ha detto Forghieri. Nel caso del piantone dello sterzo di Senna è stato possibile stabilire solo che il coefficiente di sicurezza usato nel primo e nel secondo pezzo della modifica è enormemente superiore a quello del tratto intermedio, perché il coefficiente di sicurezza del metallo aumenta con il cubo del diametro”.

E un diametro da 22 mm è indubbiamente maggiore di uno da 18 mm: la misura del tubo aggiunto. Almeno secondo i periti dell’accusa.

Entrambi i materiali utilizzati, l’acciaio D45 e quello N14, sono risultati molto resistenti, quello che si contesta alla Williams è la ridotta sezione e l’insufficiente diametro del pezzo, soprattutto in considerazione del fatto che sembra certo che le sollecitazioni si concentrano laddove il particolare presenta una superficie tormentata e il piantone di Senna rinvenuto accanto all’auto presentava segni di lavorazione a utensile.

Perché lavorare a utensile un particolare, lasciando dei segni tanto evidenti se è possibile costruirlo ex novo in fabbrica? È una domanda senza risposta, una delle tante. Forse il piantone di Senna è stato veramente modificato in fretta e furia sul tracciata del Santerno, forse era questa la preoccupazione che costrinse Senna a tornare sui suoi passi per parlare nuovamente con Frank Williams e Patrick Head quel pomeriggio del sabato antecedente la sua morte.

Stirano ha spesso tradotto intere parti della consulenza dell’accusa a Head e Newey, soprattutto ha fatto notare loro che c’è molta confusione sui coefficienti di sicurezza.

Forghieri ha buttato là che se Senna avesse abbozzato una sterzata il piantone si sarebbe rotto, “è evidente che il pilota ha giudicato di non poter sterzare – ha detto – ho troppo rispetto di Senna per pensare che non abbia fatto il meglio che poteva fare... noi non sappiamo se le ruote della sua macchina si sono raddrizzate per effetto della forza centrifuga, senza controllo, o perché il pilota le ha messe dritte... anche se le immagini privilegiano la seconda ipotesi.”

Il Professor Lorenzini, sinora intervenuto solo per alcune precisazioni sulle perizie metallurgiche, ha sottolineato l’importanza della chiusura dell’acceleratore in due tempi: sarebbe indice di una presa di coscienza dell’impossibilità di sterzare da parte del pilota.

L’avvocato Dominioni è intervenuto per chiedere precisazioni circa i 7/8 cm di movimento del volante di cui hanno parlato i periti nella loro relazione:

“Se il volante si muoveva di così tanto il pilota non guidava, andava in gondola”, ha detto il legale milanese. Su questo punto ci si accanirà spesso in fase di ricostruzione e il pubblico ministero presenterà una rivisitazione del filmato CINECA contenente l’indicazione digitalizzata dello spostamento del pulsante giallo situato sullo sterzo di Senna.

Forghieri ha tirato fuori da uno scatolone il volante di Senna attaccato a una parte di piantone, ha indicato la posizione del pulsante giallo, posto a 63 mm dalla linea di mezzeria delle immagini on board, ma si è rivelato incerto sulla quantificazione dello spostamento dello sterzo e la difesa Williams non ha mancato di sottolineare che ancora una volta c’è stata molta imprecisione nella misurazione di dati oggettivi.

Paolo mi fa notare che Head e Newey non si aspettavano il discorso del pulsante giallo, un particolare che non avevano tenuto d’occhio, e in effetti ricordo il grande fermento di quegli istanti, con i due tecnici in fibrillazione che si acquattano a discutere con i loro avvocati. Per loro fortuna Passarini e i suoi consulenti sono sembrati spesso approssimativi.

Anche se quello che si dice è certo, spesso conta di più come lo si dice.

Nel pomeriggio di mercoledì 16 aprile, davanti a un enorme block notes bianco, Stirano ha ricostruito gli ultimi istanti dell’ultimo giro di Ayrton Senna da Silva, dal momento in cui passa davanti alla postazione della sua squadra sino allo schianto sul muro del Tamburello.

Dominioni si è riservato di produrre una ricostruzione video-dinamica dell’incidente comprensiva di tutti i dati a disposizione delle parti e non solo di quelli forniti dai consulenti dell’accusa, vale a dire i carichi sopportati dalla macchina, la pressione delle gomme, i coefficienti di aderenza e le misure esatte di quel tratto di pista.

L’esposizione dell’ingegner Stirano è in quindici tempi riportati su dieci fogli, vediamola:

Foglio n. 1

tempo 10"7-11"10

giri motore 13.890; 14.014

accelerazione laterale 2,4g; 2,7g

accelerazione longitudinale 0,33g; 0,49g

Le misurazioni in secondi indicano il tempo trascorso dal passaggio della vettura n. 2 innanzi al suo box, i rilevamenti sottostanti indicano i dati specifici in quel determinato momento. Senna sta percorrendo l’inizio della curva del Tamburello. Mantiene una traiettoria curvilinea stabile (vedi accelerazione laterale) a velocità crescente (vedi giri motore).

Foglio n. 2

tempo 11"10

giri motore 14.014

accelerazione laterale 3,27g

accelerazione longitudinale 0,49g

Senna sta per toccare il suolo con il fondo piatto della sua macchina in corrispondenza di un primo avvallamento. I consulenti Williams hanno posizionato il mouse (puntatore) computerizzato in corrispondenza del centro focale della camera car e facendo scorrere fotogramma dopo fotogramma le immagini avrebbero notato un inizio di sovrasterzo (sbandata del retrotreno, N.d.A.). L’ingegner Stirano ha sostenuto che il contatto vettura-pista sarebbe confermato dal disturbo delle immagini, dovuto al contraccolpo sulla telecamerina di bordo.

Foglio n. 3

tempo 11"22

giri motore 13.799

accelerazione laterale 3,62g

accelerazione longitudinale 0,33g

Il pilota avrebbe sentito lo scivolamento del posteriore, il sovrasterzo (vedi accelerazione laterale più alta rispetto al foglio precedente), e iniziato a parzializzare il pedale dell’acceleratore per contrastare il fenomeno, i giri motore calano. In quattro centesimi di secondo la macchina si riabbasserà verso il terreno. Le immagini hanno un campionamento fotogramma/tempo di 2/100, secondo Stirano tra la loro ricostruzione e i dati a disposizione ci sarebbe una differenza di 2 centesimi. Calcolando che una vettura lanciata a 310 Km/h percorre 86 metri in un secondo, in due centesimi dovrebbe coprirne 1,6: sono piccoli spazi di rilevante importanza.

Foglio n. 4

tempo 11"24 -11"26

giri motore 13.445; 14.076

accelerazione laterale 3,62g; 3,62g

accelerazione longitudinale 0,13g; –0,1g

In questo transitorio la vettura di Senna avrebbe tamponato nuovamente il terreno, allargato il muso e iniziato una traiettoria tangente verso il muro esterno. L’accelerazione laterale è costante mentre il dato negativo di quella longitudinale starebbe a indicare un leggero rallentamento dovuto al contatto.

Stirano: “Tra il tempo 11"10 e quello 11"24 la macchina sta chiudendo il muso verso sinistra, in corrispondenza della curva, per il sovrasterzo – tanto che l’accelerazione laterale passa da 2,72 a 3,62g – mentre nell’istante 11"26 inizia un effetto opposto.” Il pretore ha chiesto spesso chiarimenti e la difesa Williams ha fatto scorrere più volte le immagini della camera car avanti e indietro, tenendo il puntatore fisso sul centro dell’obiettivo: si noterebbe uno spostamento interno-esterno della macchina rispetto alla curva.

Foglio n. 5

tempo 11"30

giri motore 13.829

accelerazione laterale 2,13g

accelerazione longitudinale –0,25g

Inizierebbe la riduzione di sterzata per correggere il sovrasterzo, decisa un decimo prima (11"10) e visualizzata al tempo 11"30 a causa della differenza di due decimi nei tempi di campionamento tra le immagini e i dati telemetrici.

Cala l’accelerazione laterale perché diminuisce la curvatura.

Foglio n. 6

tempo 11"40

giri motore 13.709

accelerazione laterale 0,33g

accelerazione longitudinale –0,14g

Dalle immagini si nota il casco di Senna che si sposta verso l’interno della curva, effetto provocato del venir meno della forza centrifuga e dovuto all’ipotizzato raddrizzamento della macchina rispetto al senso di marcia, effetto che sarebbe confermato anche dal calare dell’accelerazione laterale.

Foglio n. 7

tempo 11"42, 11"48

giri motore 13.739; 13.542

accelerazione laterale 0,33g

accelerazione longitudinale –0,1; –0,45

In corrispondenza del secondo dosso Senna chiude completamente il pedale dell’acceleratore, calano i giri motore, aumenta l’accelerazione longitudinale dovuta all’inerzia della vettura che avanza con minor spinta motrice mentre quella laterale rimane pressoché costante lungo la traiettoria rettilinea.

Foglio n. 8

tempo 11"56

giri motore 13.532

accelerazione laterale 0,005

accelerazione longitudinale –1,59g

In presenza di una quarta interferenza del corpo vettura con il suolo continuerebbero a calare i giri motore e la vettura comincerebbe ad andar veramente dritta, come mostrato anche dal notevole aumento del valore dell’accelerazione longitudinale a causa del persistere di una resistenza all’avanzamento (provocata dal freno aerodinamico della macchina che procede con l’acceleratore chiuso).

Foglio n. 9

tempo 11"68; 11"70; 11"72; 11"74

giri motore 13.247; 13.164; 13.164; 13.001

accelerazione laterale 0,64g; 0,66g; 0,68g; 0,68g

accelerazione longitudinale –1,7g; –1,8g; –2,1g; –2,3g

Questi quattro tempi evidenziano l’inizio della frenata disperata di Ayrton Senna, con i giri motore che calano velocemente e i valori di accelerazione longitudinale che aumentano in negativo, a indicare la forza frenante che contrasta l’avanzare della massa in movimento.

Foglio n. 10

tempo 11"80

Le immagini della camera car spariscono.

giri motore 12.485

accelerazione laterale 0,33g

accelerazione longitudinale –3,22g

Senna sta frenando disperatamente, la sua testa è spostata in avanti per effetto della violenta decelerazione, i giri motore calano in misura minore rispetto alla forza frenante, l’accelerazione misurata sull’asse longitudinale della macchina è ormai violentissima.

Poi il buio. Il filmato on board manca degli ultimi istanti. Cruciali.

Dopo essersi sollevata al tempo 11"1 e aver ripreso contatto con il suolo a 11"24, la vettura avrebbe cambiato traiettoria nell’istante 11"26; questo contatto avrebbe fatto sì che il veicolo – anche a causa di una perdita di circa 200 Kg. di carico aerodinamico – subisse uno scarto improvviso, troppo rapido da controllare. Uno scarto che ha portato Senna dritto contro il muro.

Il raddrizzamento dell’asse della vettura, evidenziato dal calare dell’accelerazione laterale potrebbe esser dovuto anche a una perdita di funzionalità dello sterzo, in ogni caso il pilota si è trovato a bordo di un sistema divenuto improvvisamente instabile e in 2-4 centesimi di secondo ha perso 8-9 gradi rispetto alla traiettoria di percorrenza ottimale del curvone del Tamburello. Un curvone che non perdonava errori.

I consulenti dell’accusa hanno fatto notare che la teoria delle gomme sgonfie, a causa dei giri rallentati dietro la vettura di sicurezza, non sarebbe da prendere in considerazione, perché l’accelerazione laterale di 3,6g indicata come sintomo di sovrasterzo sarebbe comunque inferiore a quella del giro precedente, misurata in 4g.

Insomma, la Williams ha prodotto una ricostruzione puntuale e precisa, tuttavia non ha convinto. Non si capisce, infatti, perché il pilota levi il gas con un sovrasterzo, aumentando il carico all’avantreno: “

“Ai corsi di pilotaggio insegnano sempre che per correggere le sbandate – mi dice Paolo – occorre sì controsterzare ma allo stesso tempo ridare o mantenere costante il gas per riequilibrare i carichi e ridare aderenza al retrotreno.”

Non si capisce qual è il criterio che riallaccia i pochi dati telemetrici disponibili alla ricostruzione, considerata anche le notevole differenza tra i tempi di campionamento delle immagini della camera car e quelli dei rilevamenti telemetrici. Non si capisce come sia possibile prendere un punto fisso di riferimento su di un obiettivo grandangolare (quello della telecamera di bordo) attaccato in un punto della vettura (la presa d’aria del cofano motore) non perfettamente longitudinale e soggetto a vibrazioni e movimenti vari. Non si capisce come mai questo fenomeno di sovrasterzo debba essersi verificato solo sulla vettura di Senna e non su quelle degli altri partenti, né tantomeno a bordo di quella del suo compagno di squadra, identica per dimensioni, peso e caratteristiche aerodinamiche. Non si capisce, soprattutto, perché Senna non abbia accennato a un’ultima sterzata in prossimità del muro.

Carletti ha detto: “In base alla mia esperienza posso assicurare che nessun pilota accetterà mai di finire contro un muro... dopo aver frenato cercherà di mettere la vettura in testacoda.”