Il salone delle feste

Poltrone in sky, il sudore che appiccica il vestito come in pieno agosto, l’aria piena e irrespirabile che rende l’oscurità ancor più opprimente, carica di angoscia e di un peso insopportabile. Il treno scorre veloce senza badare ai pensieri di nessuno, salta stazioni, case, vite che si vivono in quello stesso istante in cui per chi guarda sono già vissute; fischia lontano nella notte, scorrendo chilometri di rotaie perse nella campagna emiliana, saltellando sugli scambi, rallentando ai passaggi al livello, cadenzati a unire strade dove oggi non passa nessuno. Nebbia e umido nascondono i boschi e fanno trasparire i primi accenni di cemento, le prime luci, le prime auto.

Il tempo mi si blocca e guardo tutto da una prospettiva sempre più lontana.

Senna e gli anni del mito, l’incidente, il processo: tutto confuso e montato nella calma piatta del treno che si ferma.

Imola, quinta udienza, ultima fermata.

È tutto fermo e silenzio, ora che gli stantuffi aprono le porte sulla notte di provincia. È buio, è scuro, è triste e piazzale Maradini sembra il cortile di un carcere, con le sue segrete e i suoi angoli nascosti tra gli alberi a far sperare una fuga. Ma sono lì e dopo tre anni non è più ora di scappare.

E allora volano via le poche luci di una piccola città che continua imperterrita la sua piccola vita, mentre i manifesti ai semafori annunciano la 17° edizione del Gran Premio. Si respira già l’attesa per l’evento della Provvidenza, che porterà gente, lavoro, soldi, allegria e proietterà la piccola città all’attenzione del grande mondo.

Imola, città leonardesca piena di chicche nascoste. Al numero 95 della via Emilia c’è la Farmacia dell’ospedale di Santa Maria, datata 1766; ha gli scaffali d’ebano intagliati e più di quattrocento vasi in maiolica dipinti a mano, tutt’intorno si possono ammirare affreschi di scuola bolognese, iscrizioni in latino, statue di terracotta. È un luogo che conserva il sapore di tempi lontani, quando al farmacista si chiedeva un infuso o una tisana medicamentosa.

Più avanti, sui viali che portano fuori città, c’è la Rocca Sforzesca, con la sua pianta rettangolare e i grandi torrioni che delimitano il fossato. È uno dei simboli imolesi: d’estate luogo d’incontri musicali, d’inverno raccolto museo per visitatori curiosi. Poi il palazzo Tozzoni di via Garibaldi, il convento di San Francesco, i giardini, la chiesa di S. Niccolò e Domenico, la pinacoteca del convento dei Domenicani, palazzo Monsignani, la basilica di San Cassiano, protettore di questi luoghi dove il silenzio è rotto solo dal rumore delle auto.

Il mio hotel è d’angolo a viale Nardozzi, illuminato a giorno dietro le sue vetrate liberty e i legni lucidi appena ravvivati di coppale; il portiere di notte è un ragazzo distinto, che si affanna tra i registri a controllare la prenotazione. Il corridoio è stretto, l’atmosfera ovattata dalla moquette verde e dal leggero soffiare degli aeratori elettrici. La porta si avvicina a schiudere una stanza, come quelle di tutti gli alberghi a tre stelle. Alla parete una foto di Prost, Alesi e Piquet accanto a quello che presumo essere il proprietario, che li guarda fiero da dietro il bancone, che ammira quei sette titoli mondiali suoi per una sera e già gode al pensiero che quell’immagine la vedranno anche gli amici di piazza, quelli del bar e i soci del circolo.

Ricordo tutto. E come potrei dimenticare?

Mi sembra oggi, adesso, in quest’istante, come se fossi venuto a Imola per vedere una giornata di prove invernali. Quelle dove non c’è nessuno e chi c’è rimane nascosto nella nebbia. Quelle dove anche la Formula 1 sembra una cosa normale.

Siamo alla mia prima udienza, alla fine ce l’ho fatta. Forse non ho mai voluto nient’altro in maniera così forte, appassionata, totale. Volevo seguire questo processo. Adesso che ne parlo con Paolo sembra una cosa normale ma allora ricordo di essermi sentito così appagato, così realizzato, così felice da non aver chiuso occhio. La notte, infatti, non ho dormito. Episodio destinato a ripetersi.

Le prime tre sedute del processo sono state dedicate alla costituzione delle parti e ai consueti preliminari, questioni procedurali d’impaccio al processo; tra queste ce n’è una importante: i legali di Adrian Newey hanno chiesto la nullità o inutilizzabilità delle consulenze dell’accusa sulla base del fatto che l’allora progettista Williams era stato interrogato senza esser stato avvertito, con un avviso di garanzia, del suo status di indagato. L’8 settembre del ’94 Newey avrebbe risposto senza sapere che quanto diceva poteva portarlo al rinvio a giudizio, poi puntualmente arrivato.

In quella data il tecnico inglese avrebbe detto: “Lavoro per la Williams in qualità di capo progettista, occupandomi prevalentemente di aerodinamica, unitamente al direttore tecnico Patrick Head.”

Parole che sembrano escludere un suo coinvolgimento in questioni di carattere meccanico come quelle inerenti il piantone dello sterzo.

Nella stagione 1995 la Williams perde il campionato mondiale di Formula 1, Newey non appare più sulle piste. Un anno dopo, il divorzio, l’aerodinamico artefice degli ultimi titoli iridati Williams è in rotta per la McLaren. A quell’epoca Newey era solo un testimone informato dei fatti, di lì a poco sarebbe diventato persona indagata.

Il 27 aprile di quel 1995 Patrick Head riferisce al PM Passarini che “fu Newey a decidere di modificare lo sterzo” e la posizione di Adrian comincia a farsi difficile. Alla luce delle dichiarazioni di Head è quanto mai importante invalidare l’intero processo. Grazie al suo ormai ex-datore di lavoro, infatti, Newey viene a trovarsi in una posizione piuttosto scomoda.

Un altro fatto. Motivando la sua richiesta, l’avvocato di Newey ha richiamato un intervento della polizia stradale per rintracciare un certo Gavin Fisher e l’ha definito “uno dei tecnici che ha operato la modifica del piantone.”

Gavin Fisher, un nome da ricordare.

Piccole nebulose nella galassia dei fatti di questo processo.

Alla seconda udienza è tutto più chiaro, il pretore ha accolto le richieste di audizione dei 110 testimoni indicati da accusa e difesa e ha rigettato le eccezioni di nullità e inutilizzabilità sollevate, comprese quelle sulla questione dell’incompetenza territoriale di Imola. Per Newey non ricorreva l’obbligo dell’avviso “perché tale obbligo non ricorre nel caso in cui la persona indagata sia stata individuata successivamente all’affidamento dell’incarico ai consulenti e all’apertura dell’istruttoria.” La sede di svolgimento del processo è Imola perché se è vero che il luogo “ove è avvenuto l’ultimo evento del fatto reato (la morte, N.d.A)”, come prescrive la legge, è Bologna, è altrettanto vero che “agli imputati Head e Williams è contestato di aver affidato a Senna la macchina modificata”, fatto avvenuto a Imola.

Martedì 11 marzo 1997

Quinta udienza

Arrivo al palazzo dei Circoli, una casa del dopolavoro in cui stride il contrasto tra la serietà del processo e l’allegria degli anziani che giocano a carte nell’androne antistante il bar Tobia. Ci sono grandi tavoli e sedie disperse a casaccio, una pedana che accompagna alle scale, delle porte a vetri che fungono da separé con la salita all’aula giudiziaria. La saletta al pianterreno è deserta, sembra che ci sia stato grande afflusso solo il giorno dell’apertura. Comunque, c’è poco pubblico: tre persone separate dall’arena dei giornalisti, recintata con un muro di legno alto un metro e mezzo. La zona riservata alla stampa ha un lungo tavolo adagiato sul tramezzo che divide l’area riservata agli avvocati, sullo sfondo c’è la cattedra del Pretore, protetta da un pannello color crema che nasconde il sipario di un teatro.

Tutto si svolge nella sala delle feste e le luci psichedeliche appese al muro si notano quasi fossero accese. Una scenografia inquietante.

Sopra alla sedia del pretore Costanzo il solito proclama: “La legge è uguale per tutti”; inquietante anch’esso, ma ribadire il concetto non fa mai male.

Alle 9.40 entra il teste Casoni, il pilota della macchina di soccorso Fastcar n. 0, e il pubblico ministero apre il processo con le sue domande: “Lei fu tra i primi ad accorrere sul luogo dell’incidente?”

“Sì, quando sono arrivato c’erano solo altri due medici.”

“Ricorda in che posizione ha trovato il volante di Senna?”

“Sì, era in una posizione anomala, divelto e attaccato solo a un cavo.”

“Era dentro o fuori l’abitacolo?”

“Era fuori.”

“Le risulta che sia intervenuto qualcuno per staccarlo?”

“No, almeno... io non l’ho visto.”

Il piantone: indiziato numero uno da quando una fotografia di Orsi lo ha mostrato poggiato per terra accanto alla macchina di Senna, con il pilota sdraiato e i medici intenti a tagliargli la tuta. Poche domande, semplici, dirette.

Attacca Dominioni, difesa Williams: “Quante persone vide intorno alla vettura?”

“Molte, dopo di me si creò una specie di cordone, rammento un medico accanto a Senna.”

“Poteva essere il dottor Bezzi?”

“Può darsi.”

“Cosa può dirci del volante?”

“Era in una posizione anomala.”

“Perché?”

“Perché non era in sede.”

Dominioni contesta e sfodera la veste che più gli compete, quella di attento osservatore delle sviste altrui: cita una dichiarazione rilasciata da Casoni alla Polizia Stradale nella quale non si fa menzione del fatto che il volante era attaccato a un solo cavo.

Casoni passa oltre, gli altri difensori si fanno spiegare come funziona il collegamento radio che tiene in contatto tutti i commissari e i medici a bordo pista:

“Chi lo ha chiamato per accorrere sul luogo dell’incidente?”

“Non sapevo con chi eravamo collegati, appena giunta la chiamata sono andato sul posto con il medico FIA, Watkins... siamo arrivati al volo, ho fatto più in fretta che potevo.” In fretta già, forse nella speranza che dieci secondi di anticipo avrebbero salvato una vita.

Sid Watkins, il medico che da sempre segue la Formula 1 (oggi scomparso), ha visto tutti gli incidenti mortali che si ricordino ma non ne vuole parlare, ho provato a rintracciarlo al telefono ma non c’è stato nulla da fare. Non è un teste citato, non avremo mai la sua versione.

Casoni si congeda ed entra Stefano Stefanini, ispettore della Stradale di Bologna; ha pochi capelli lisci e fini, una giacca grigia su camicia bianca, l’andatura incerta e la faccia imbarazzata. È l’uomo che ha svolto tutte le indagini per conto del pubblico ministero, sa tutto, ma proprio tutto sulla fase istruttoria che ha preceduto il processo.

Passarini si fa raccontare com’è strutturata la proprietà e la gestione del circuito, che appartiene al Comune ed è dato in gestione alla Società SAGIS. I siN.d.Aci che si sono succeduti nel tempo, da Vespignani a De Brasi, hanno sempre appoggiato il circuito e il suo indotto da settanta miliardi, per Imola la pista è un mezzo di sussistenza e un insostituibile veicolo promozionale.

Passarini vuole sapere quali erano le posizioni degli imputati all’epoca dei fatti, poi, quasi fosse una svista, accenna ad Adrian Newey:

“Quand’è emersa la figura di Newey?”

“Nell’agosto del 1994, da indiscrezioni dei giornali francesi, cominciammo a cercarlo e lo rintracciammo a Monza, in settembre.”

“Che ruolo aveva allora all’interno della Williams?”

“Era un tecnico specializzato in aerodinamica.”

Passarini sorvola, fa brevi accenni e sorvola. Un modus procedendi che adotterà per tutte le udienze dibattimentali, quelle nelle quali si formano le uniche vere prove valutabili dal giudice penale. A volte forse sorvola troppo.

“Ci descrive la vettura del signor Senna dopo l’incidente?”

“Era visibilmente danneggiata nella parte anteriore e laterale destra, aveva il musetto staccato, la ruota anteriore destra e il mozzo della sospensione divelti, mostrava un grosso urto nella parte posteriore con l’alettone e il cerchione posteriore destro danneggiati, il cerchione era quello del pneumatico staccatosi. Il fondo piatto era tutto strisciato e ne mancava un pezzo, la sospensione posteriore sinistra era integra ma con un braccetto crepato.”

Sospensioni, elementi elastici innovativi della macchina n. 2, profili alari in carbonio, piastre di rinforzo, chi non ricorda i dubbi che hanno preceduto l’avvio del mondiale 1994?

Passarini tira dritto e richiama le foto n. 55 e 58 del suo fascicolo.

Due parole sul fondo piatto.

“Le slitte e la parte anteriore destra erano in frantumi – dice Stefanini – un pezzo del fondo fu trovato vicino al muro, il rimanente mostrava segni di sfregamenti.”

“Sono tutti danni conseguenti l’uscita?”

“Mah, in gran parte si.”

Passarini ci ripensa: “Le sospensioni, già.”

“Le sospensioni posteriori erano danneggiate?”

“Sì, a destra mancava un braccetto e a sinistra il profilo aveva ceduto.”

“Ci parli delle placche di rinforzo sui triangoli delle sospensioni.”

“Ce ne erano su entrambi i lati, una era danneggiata.”

“Erano già emersi problemi circa questi particolari?”

“Al circuito Paul Ricard di Le Castellet, durante una seduta di prove private invernali.”

“Sospensioni innovative, ogni novità è un rischio.”

“Cosa può dirci del piantone dello sterzo?”

“Era rotto, spezzato a 225 mm. dal volante.”

“E la cellula di sicurezza della vettura?”

“Mostrava due limature lunghe circa 10 cm all’altezza del volante e una lacerazione passante dalla limatura di sinistra al fondo piatto. A destra solo incrinature.”

“Sono limature successive alla costruzione della scocca?”

“Sembrerebbe di si...”

Limature sulla scocca: allargare lo spazio progettato per far guidare Ayrton con il suo volante da 28 mm. Il telaio era veramente stretto, Ayrton: “Non potevo ingrassare nemmeno di un chilo”, la macchina era stata fatta proprio su misura. Anche troppo.

“Queste modifiche sono intervenute nel corso della stagione?”

“In base alle foto della stampa specializzata precedenti il GP di Imola sembrerebbe di si.”

“Cosa diceva la stampa circa le difficoltà di Senna con lo sterzo?”

“Riportava le sue lamentele, il fatto che il signor Senna non riusciva a guidare come voleva.”

Il signor Senna, lo chiamano così in aula. Qui è una persona qualunque al centro di un processo.

Passarini si fa dire chi era, quanti Gran Premi aveva corso, quali erano stati i suoi risultati.

Quattro volte campione brasiliano di kart, due titoli sudamericani, due volte secondo nel mondiale.

Campione inglese di Formula Ford 1600 c.c. all’esordio in automobile, 12 vittorie su 20 gare.

Campione inglese di Formula Ford 2000, 23 vittorie su 29 gare disputate, 16 pole position.

Campione inglese di Formula 3, 13 vittorie su 21 gare disputate, compresa la prestigiosa kermesse di Macao.

Tre volte Campione del Mondo di Formula 1, due volte secondo, una volta terzo, tre volte quarto, 65 pole position all’attivo, 41 Gran Premi Vinti. Statistiche impressionanti di un Mozart del volante.

Trentaquattro anni, trenta trascorsi con un volante tra le mani: una carriera incredibile riassunta in pochi minuti che non fanno giustizia alla dimensione del personaggio, ma Passarini vuole solo che sia chiaro che non si sta parlando di un dilettante. Bastano poche cifre e tutti capiscono.

Stefanini racconta della struttura televisiva che segue le gare: delle 12 telecamere fisse, delle 13 a bordo delle vetture, dell’elicottero che rimanda alla regia FOCA i segnali che attendono di essere smistati alle varie emittenti che trasmettono la gara. Un sistema complesso, una fabbrica di soldi. Ogni TV paga diritti FOCA, per la stagione 1994 sembra che la RAI abbia speso circa cento miliardi: cifre da guinness.

“Le telecamere a bordo delle vetture erano della Rai?”, chiede Passarini

“No, erano della FOCA TV di Ecclestone, il loro regista decideva quali immagini dare alla Rai Tv.”

“Quando vi fu consegnata la camera car di Senna?”

“Il 6 settembre del 1994.”

“Quando veniste a conoscenza della sua esistenza?”

“Il 6 giugno del ’94, dal pilota Damon Hill.”

Prima di allora non ne sapevate nulla?

“No, la Procura chiese informazioni alla Williams e ci fu risposta negativa.”

Camera car, una scatoletta argentata di 15 cm per lato in grado di riprendere la prospettiva del pilota che guida e dare immagini incredibilmente fedeli all’emozione della pista.

La FOCA Tv ha la proprietà degli impianti e delle immagini, le reti pagano i diritti e ottengono quanto previsto dal loro contratto. Nessuno sa se esistevano immagini trasmesse dalla vettura di Ayrton Senna durante e subito dopo l’incidente. Esistono immagini che, guarda caso, si interrompono subito prima dell’uscita di pista, immagini di cui prima si è negata l’esistenza e che poi, come vedremo, spunteranno fuori senza gli ultimi metri percorsi dal brasiliano.

Passarini passa a esaminare i tempi sul giro: Senna fece 1’24”9 al sesto giro, Hill 1’24”3, ottimi tempi.

“Ci furono piloti che migliorarono i tempi fatti sino al sesto giro nelle fasi successive della gara?”

“No.”

Il tempo di Senna era molto buono e fu realizzato il giro immediatamente precedente l’impatto, se il brasiliano avesse avuto problemi di temperatura delle gomme a causa dei giri rallentati dietro alla vettura di sicurezza, entrata in pista per l’incidente di Lamy, avrebbe girato più piano, o no?

Resterà una mia fissazione per tutto il processo: le gomme di Senna erano ok, ha girato a sei decimi dal tempo di Hill, andava davvero più lento.

L’avvocato Dominioni prende la parola per il controesame del teste, si spera in una pausa che non arriva.

“Ispettore Stefanini, ha parlato di ‘limature’ sulla scocca di Senna, è un termine suo e non tecnico?”

“Sì, si è un termine mio.”

“Ha accertato lamentele dell’altro pilota Williams, Damon Hill, circa la posizione di guida?”

“No.”

“Mi ripete come è stato rinvenuto il piantone dello sterzo di Senna?”

“Tranciato.”

L’informativa della Polizia stradale, a pagina 14, parla di piantone “rotto”, per Dominioni ogni vocabolo può valere l’assoluzione dei suoi imputati.

“Rotto o tranciato?”

“Rotto, tranciato tra virgolette.”

“Vi suggeriva qualcosa circa le modalità di rottura?”

“... no, nulla di particolare.”

“A che cosa sono dovuti i segni sul fondo piatto della vettura?”

“Presumibilmente allo strisciare del fondo sulla banchina, ove c’erano tracce speculari.”

“È importante capire se la vettura ha strisciato anche sulla pista o solo nella via di fuga – puntualizza Dominioni – perché nell’informativa di P.S. del 14/4/1994 dite che le tracce in pista non sono riconducibili alla vettura di Senna mentre quelle sulla banchina si?”

“Perché i rilevamenti sulla pista sono stati fatti dopo il Gran Premio, quando nello stesso punto erano già passati altri piloti.”

In effetti le tracce sulla banchina di sicurezza a bordo pista mostrano sicuramente tracce lasciate dalla vettura di Senna mentre tale sicurezza non possono darla le tracce in pista, visto il passaggio delle vetture da gara subito dopo l’incidente.

Il pretore sembra quasi perdersi nei meandri della terminologia tecnica, per fortuna quando gli sfugge qualcosa chiede. Un atto d’umiltà fondamentale.

“Senna era l’unico che toccava con la macchina sull’asfalto?”

“No, no.”

“I segni potevano essere attribuibili anche ad altri?”

“Sì.”

Le macchine di Formula 1 hanno sempre viaggiato molto vicine al terreno, quelle del ’94 in particolare. Più si è vicini a terra, più il baricentro è basso, più l’aerodinamica del fondo vettura “lavora”, più la macchina garantisce aderenza, con movimenti orizzontali e longitudinali ridotti. A Imola si spanciava, come a Montecarlo, in Canada, in Belgio, in Portogallo, in Giappone.

Quando si toccano aspetti che possono coinvolgere in qualche modo la pista la difesa SAGIS si risveglia e l’avvocato Landi s’inalbera: “Signor pretore non le pare che vengano poste domande suggestive?”

Il pretore passa oltre e non sembra prestare molta attenzione all’anziano difensore, una volta rinomato attore dei banchi di difesa, oggi tranquillo e simpatico avvocato vecchia maniera.

Dominioni introduce l’argomento relativo all’incidente Ratzenberger, un modo come un altro per far capire che quella pista non era poi così sicura, tant’è vero che Senna venne ammonito per essersi recato sul luogo dell’incidente: la sua presenza vicino al muro di cemento attirava troppa attenzione.

“Cosa avvenne dopo l’incidente mortale di Ratzenberger al sabato? Cosa fece Senna dopo quest’incidente?”

“Si recò sul posto.”

“Perché?”

“Non lo so... è stato ripreso dalla direzione gara per questo.”

“Perché è stato ripreso?”

“So che alle ore 15.10 venne ascoltato dalla direzione gara, lui raccontò di aver chiesto un’auto alla fine della corsia box e di esser stato assecondato. Sul posto qualcuno gli disse ‘tu pensa a guidare’, ‘tu pensa a guidare’, gli dissero: assurdi della Formula 1. Se vuoi guidare non rompere troppo, il caso Villeneuve e le sue critiche alle regole 1998 – recentissimo – ne è la riprova.”

Essere famosi non basta per farsi valere, soprattutto all’interno di un meccanismo che i personaggi famosi li crea belli e pronti per essere immessi sul mercato.

Dominioni insiste sulla pista, sulla conformazione dei luoghi, sulle misure delle planimetrie.

“Ci parli delle bocciardature sull’asfalto.”

“Si tratta di lavori di livellamento fatti dalla ditta Eurostrade di Milano in vari punti del circuito, lavori effettuati nel giugno ’93 e nel marzo ’94 dopo che proprio Senna si era lamentato dei dossi durante alcuni test. Dalle foto si possono vedere i segni della macchina che livellava l’asfalto.”

“Ci parli delle lamentele di Senna.”

“Si tratta di indiscrezioni riportate dalla “Gazzetta di Mantova”, che ha parlato di un filmato che mostra Senna e Poggi che visionano la curva del Tamburello.”

“L’autore del filmato è Alberto Castioni di Mantova.”

“C’erano altri insieme a Poggi e Senna?”

“Non lo so.”

“Avete fatto accertamenti su quella circostanza?”

“Furono sentite alcune persone.”

“Che giorno era?”

“Il nove marzo del 1994, ore 14.”

“Chi fu sentito? Che accertamenti faceste? Chi sentì il giornalista Castioni?”

“Cercammo di rintracciare Castioni, che venne sentito dalla polizia stradale di Mantova, per delega.”

“Avete accertato cosa disse l’organizzazione della pista su questo episodio?”

“No. A Poggi – per esempio – non fu chiesto nulla.”

“Cos’è accaduto dopo quest’episodio?”

“Il 10 marzo vennero i tecnici e sistemarono la pista per far proseguire i test.”

“Chi li aveva chiamati?”

“Poggi, per telefono.”

Poggi era il direttore di pista, per la verità sempre molto attento ai problemi dei piloti. In quell’occasione la pista venne sistemata livellando i dossi e le prove ripresero senza problemi ma Dominioni non è convinto.

“Ci descrive le zone bocciardate della pista, quante erano?”

“Erano cinque punti dove la pista aveva un andamento ondulato.”

“Le auto toccavano ancora dopo le bocciardature?”

“Sì, in alcuni punti, ad esempio tra la seconda e la terza zona bocciardata.”

Dominioni mostra a Passarini un’enorme planimetria della sede stradale.

“Le risulta ci fosse una quarta zona bocciardata diversa dalle altre?”

“Sì, si possono vedere leggeri segni di incisione all’interno della quarta zona bocciardata.”

“Sono segni in linea con le tracce attribuibili al sinistro?”

“Sì, erano sullo stesso asse di uscita della vettura.”

L’avvocato Williams mostra le foto n. 45 e 46 dell’album 25A dei rilievi e prosegue sulla stessa linea.

La strategia della difesa della squadra sembra già puntare sui dossi del tamburello come causa prima dell’uscita.

“Cosa c’era alla fine della quarta bocciardatura?”

“Una striscia dell’asfaltatura.”

“Cosa ci dice delle tracce dell’auto di Senna sull’asfalto?”

“C’erano tracce della gomma sinistra per 38 metri, 6 metri di abrasioni nella zona erbosa posta a 5 metri dal muro di protezione, poi la traccia piegava verso sinistra e correva parallela a una metro dal muro. Per quanto riguarda la parte destra della vettura la traccia delle gomme era lunga 37 metri e il passaggio sull’erba era meno evidente.”

“Che vuol dire meno evidente?”

“Meno marcata.”

“E il muro?”

“È leggermente rientrato nella zona dell’impatto.”

Pochi dati per ricostruire gli effetti di uno schianto di una violenza inaudita. Perché è meno evidente la bruciatura sul manto erboso di destra? È indice di un diverso appoggio della macchina su quel lato, di una distribuzione dei carichi diversa. Se si fosse rotta la sospensione posteriore sinistra forse la vettura si sarebbe accasciata su quel lato alleggerendo la parte destra.

Paolo entra all’improvviso nello studiolo, mi prende di soprassalto: la sua stanzetta vista mare è ormai un mio feudo inviolabile e la totale immersione nelle carte processuali mi ha fatto perdere qualsiasi cognizione del tempo e dello spazio. Mentre scrivo, mentre racconto io sono a Imola, ancora in aula intento a capire i complicati perché di un perché complicato.

Sono trascorsi più di quindici giorni dal mio arrivo nell’isola, Paolo è andato e tornato dal “continente” così tante volte che non siamo più riusciti a incontrarci per confrontare le nostre idee. E pensare che è in pensione. Legge questo capitoletto sullo schermo del mio portatile.

“Che ne pensi?”, chiedo.

“Che è troppo incasinato, a nessuno gliene frega un tubo di quello che dicono i testi, vai al sodo.”

“Ma si tratta pur sempre di un processo, cos’altro può aiutare a capire meglio cosa è successo se non il racconto fedele di quei giorni?”

“I tuoi articoli per la rivista, ad esempio, sono più coincisi. Appena hai fatto vieni a tavola che è in arrivo una persona per cena.”

“Se ricomincio a lavorare è la fine, una pausa di cinque minuti dell’udienza n. 5 giunge proprio al momento giusto.”

A cena c’è un medico che non vuole essere citato. Ogni tanto viene in Sardegna a controllare che i custodi della sua villa di Porto Pollo non lascino seccare il prato e non approfittino troppo del telefono. Ha trentotto anni, un aspetto sano, sportivo, è un amante del windsurf e gli piace trascorrere lunghe giornate nell’acqua gelida dell’isola dei Gabbiani.

“Avete mai pensato al fatto che qualcuno potrebbe aver voluto uccidere Senna?”, chiede.

Paolo mi guarda esterrefatto, la forchetta a mezz’aria.

Io ci ho pensato ma non ho trovato né il movente né un approccio realistico all’ipotesi. Chi poteva odiare così tanto il tre volte campione da pensare di ucciderlo? Chi poteva essere così abile da escogitare un omicidio perfetto? È un’ipotesi assurda, insensata, incredibile.

“Io credo che nessuno sarebbe stato così pazzo da tentare di uccidere un uomo controllato a vista da centinaia di persone durante un Gran Premio, in diretta Tv – rispondo quasi seccato – forse un megalomane ma, in tal caso, non avrebbe mancato di farcelo sapere.”

“Se non un megalomane un pazzo assetato di potere”, continua, iniziando a innervosirmi.

“Non è forse vero quello che dicono le riviste specializzate, che la popolarità di Senna era diventata superiore a quella dell’automobilismo stesso? Che era diventato un personaggio scomodo a molti, soprattutto per le sue continue prediche sulla sicurezza e le sue pazzesche pretese economiche che facevano lievitare il mercato?”

“In parte è vero, vedo che lei è molto informato – fa notare Paolo – perché non me l’ha detto prima? L’avrei invitata a qualche Gran Premio.”

Il medico non risponde e continua nella sua teoria: “Esistono dei proiettili particolari che vengono sparati ad alta pressione, colpiscono il bersaglio, creano danni da urto senza perforare e spariscono nel nulla senza lasciare tracce. Esistono proiettili di azoto congelato, oppure vegetali, che possono bucare una gomma o creare danni alla vettura in maniera del tutto inosservata e inosservabile.”

Mi piacerebbe sapere se è vero. Forse il medico è uno di quei fissati che comprano riviste di armi, giocano alla guerriglia in campagna e si fanno tatuare paracaduti, spade incrociate e filo spinato sul braccio. È un tipo strano e non riesco proprio a capire il perché di questa sua ipotesi sulla morte di Senna. Ma d’altronde c’è anche chi crede che Kennedy sia vivo.

La conversazione scivola sul processo, sulla giustizia in Italia, sulla burocrazia madre di tutte le disgrazie imprenditoriali nostrane, sul ceto politico da ricostruire. Parlando, parlando si arriva a teorizzare i massimi sistemi con discorsi noiosi che rendono la conversazione pesante. Più tardi, quando il nostro ospite ci avrà alleggerito della sua presenza, Paolo mi spiegherà che questo strano elemento dall’aria sempre in forma è un ex militare, medico nei carabinieri, improvvisamente ritiratosi dalla vita di caserma per dedicarsi a studi sull’ayurveda e la medicina orientale. Lui lo ha conosciuto in Giappone, in un albergo, sono diventati amici in poco tempo ma non sapeva che seguisse le corse, che fosse a conoscenza del caso Senna; pensava che niente potesse essere più distante da lui delle corse in automobile. “Se hanno ucciso Senna sono stati proprio bravi – mi dice – non se n’è accorto nessuno.”

A fine serata mi rinchiudo nel loculo, voglio scrivere della mia prima udienza, lunga, pesante, importante per capire molte cose della ricostruzione dei fatti.

Adrian Newey, genio e sregolatezza della Formula 1, i cui difensori cominciano a interrogare l’ispettore Stefanini:

“Ha controllato gli organigrammi Williams e la loro veridicità?”

“No, non l’abbiamo fatto.”

“Come ha individuato la figura di Newey?”

“Se ne parlava in un articolo del Resto del Carlino.”

“Un articolo precedente o successivo alla morte di Senna?”

“Successivo.”

In quest’articolo che cosa si dice di Newey?

“È un articolo del 6 agosto del 1994 che fa riferimento ai quotidiani francesi ‘L’Equipe’ e ‘L’Information’, in cui il tecnico Newey conferma la modifica del piantone.”

“Le risultava solo dai giornali che fosse un tecnico?”

“Sì, ci siamo rivolti anche al responsabile per la Formula 1 della rivista “Autosprint”, Diego Forti, e ci fu detto che Newey era un tecnico Williams, senza specificarne il ruolo.”

“Senza specificarne il ruolo?”

“Sì, appunto.”

È importante sapere che ruolo ufficiale aveva Newey in squadra per poterne dedurre le mansioni e le responsabilità a queste collegate: un’impresa difficile.

“Come lo contattaste?”

“Provammo in Williams il 10 agosto e non lo trovammo, poi gli inviati di ‘Autosprint’ ci fornirono dei numeri telefonici ma anche presso questi recapiti non lo trovammo. Ci fu dato il numero di un motorhome ma rispondevano in ungherese dicendo che forse il numero era sbagliato. Provammo anche alla stanza n. 757 dell’hotel Kandinsky di Budapest, dove avrebbe dovuto alloggiare nei giorni del Gran Premio, ma non lo trovammo neanche lì.”

“Come lo trovaste, infine?”

“Tramite un fax mandato alla sede inglese della sua squadra, ci accordammo per incontrarlo a Monza.”

“Chi rispose ai fax?”

“Penso la segreteria.”

“Ha svolto indagini sull’ufficio tecnico Williams?”

“No, più tardi venimmo a sapere che il signor Gavin Fisher si occupava di questo ufficio.”

“Come venne a sapere di Fisher?”

“Da Newey stesso, nel nostro colloquio a Monza.”

Newey, Fisher, l’ufficio tecnico: regna una grande confusione. Ma non si capisce se si tratti di sola confusione all’interno della ripartizione dei ruoli in Williams o di smarrimento degli investigatori. Più avanti, comunque, si scoprirà che l’avvocato Causo – su richiesta della procura – aveva già reso noto un organigramma della squadra.

L’avvocato Priccolo, che affianca Stortoni nella difesa Newey, insiste su Fisher:

“Cosa ha accertato riguardo la qualifica di Fisher?”

“Nulla, se non quello che ha dichiarato Newey... era responsabile dell’ufficio tecnico.”

Newey parla di Fisher, Fisher non è parte del processo.

Il pubblico ministero fa notare che Newey sarà sentito in aula, Priccolo procede senza esitazioni.

“Ha sentito parlare di Alan Young?”

“Sì.”

“Ha svolto indagini al riguardo?”

“... no.”

“Ignora se facesse parte della Williams?”

“Sì...”

Risposte a monosillabi, su Gavin Fisher e Alan Young c’è ben poco da dire. Di Young non si sa nulla, purtroppo.

Ribadisco: appuntate i loro nomi.

Gli avvocati studiano le carte, c’è un elemento importante pronto a emergere nel corso del processo: la centralina elettronica della macchina di Senna, quella scatola nera che racchiude tutti i dati relativi al comportamento della vettura. L’argomento è introdotto dall’avvocato Landi, della difesa SAGIS, che fa notare come la centralina fu prelevata dalla macchina prima dell’intervento della polizia, quando le monoposto sono nel parco chiuso dove si svolgono le verifiche tecniche. Lo stesso Landi sfiora anche l’argomento camera car, la telecamera di bordo del pilota brasiliano:

“Stefanini, cosa può dirci del mistero della camera car?”

“Non molto, abbiamo richiesto il filmato alla FOCA e ottenuto ciò che la FOCA ci ha dato modo di sapere.”

“Ha accertato se il filmato esisteva completo o meno?”

Causo si oppone, il pretore accoglie perché ci saranno testi appositi su questo argomento.

Tocca a Passarini, l’argomento scotta.

“Chi asportò le centraline Williams e Renault dalla vettura n. 2?”

“La prima fu prelevata dalla Williams, la seconda dalla Renault.”

Una domanda secca e via, mai insistere troppo sullo stesso argomento: non capisco la strategia dell’accusa.

Centralina elettronica e camera car: elementi importanti.

I difensori si alternano con le domande, a volte insidiose. Molti di loro fanno notare che gran parte dell’istruttoria sarebbe stata influenzata da voci giornalistiche. Dominioni chiede notizie delle fonti stampa che hanno indirizzato le indagini della polizia stradale alludendo al fatto che nell’elenco delle persone indagate ci sarebbero editori di quelle stesse fonti. Allude a Luciano Conti, pilastro dell’automobilismo emiliano e titolare della casa editrice che pubblica la rivista “Autosprint”, inizialmente citato tra gli indagati poi cancellato e infine prematuramente scomparso.

Scorrono i testi di questa udienza lunga un giorno: dirigenti della stradale, addetti al cronometraggio, commissari di percorso. A bordo pista nessuno ha visto bene cosa è successo, alcuni hanno solo notato che la macchina di Senna andava dritta.

Tocca a Massimo Gambucci, all’epoca dei fatti vice direttore di corsa, oggi direttore di pista. Inizia il PM:

“Com’era il piantone dello sterzo dopo l’incidente?”

“Appoggiato in vettura, con il volante attaccato.”

“Dove ha visto l’auto?”

“In parco chiuso.”

“Le risulta che né per allargare la scocca, né per togliere Senna furono utilizzate apparecchiature?”

“Per quanto ne so, no.”

Dominioni subentra per il controesame:

“Come si presentava il piantone?”

“Tagliato.”

Un piantone tagliato deve essere stato per forza tagliato da qualcuno, uno tranciato può essersi tranciato nell’impatto.

O forse prima. Non mi sbilancio in ipotesi azzardate, ricordo che un collega mi disse: “Ascoltiamo bene tutto, cerchiamo di capire, poi, se non ci sta bene qualcosa, spariamo a zero”. Non ero d’accordo allora e non lo sono neanche oggi: un giornalista informa, non spara.

Dominioni si fa raccontare della conformazione della pista e della via di fuga al Tamburello, poi si ferma al muro di cemento:

“Cosa c’era dietro il muro di cemento?”

“Il fiume”, si tratta del Santerno che scorre silenzioso a bordo pista.

“Perché non arretraste il muro, il problema si pose no?”

“Non lo ricordo...”

Il problema si pose, si tentò di portare in comune varie modifiche, di coprire il fiume con un ponte ma il genio civile fece notare che la strozzatura avrebbe ridotto la portata d’acqua e reso necessari interventi a monte, senza contare che i pilastri di copertura avrebbero potuto intralciare lo scorrere dei detriti e causare intoppi.

I verdi, naturalmente, non erano d’accordo e poi il muro veniva usato anche a Indianapolis, dove si corre con medie di 380 km/h: la questione muro venne archiviata; gli esperti ritengono che in curve superveloci come il Tamburello, dove non si frena e si sterza poco, dove andare in testacoda è praticamente impossibile, avere un muro a bordo pista può servire a far strusciare le vetture e far perdere loro energia cinetica, diminuendo la velocità.

D’altro canto fare vie di fuga in grado di rallentare auto lanciate a trecento all’ora è quasi impossibile, ci vorrebbe quasi mezzo chilometro di sabbia, cosa possibile solo su piste nel deserto, vedasi il recente caso del Bahrain. Tutto vero. Il problema sorge solo se la vettura in emergenza impatta il muro frontalmente, come nel caso di un guasto meccanico.

Entra Giuseppe Bezzi, il sesto teste nella lista del PM Passarini, gli chiede che funzioni aveva: era il medico di soccorso in allerta sulla macchina n. 1.

Si torna agli attimi dell’incidente.

“Quando lei arrivò sul luogo dell’incidente c’erano altri?”

“No.”

“Lei fu il primo ad arrivare sull’auto?”

“Sì.”

“Intorno a lei c’erano altre persone?”

“Penso di sì.”

“Lei ha estratto Ayrton Senna dalla macchina? Fu aiutato da altri?”

“Sì, sopraggiunta l’auto n. 0 e gli altri colleghi lo abbiamo sollevato prendendolo in due per lato.”

“Ci furono difficoltà con il volante?”

“No, non mi sembra.”

“Intervenne qualcuno con mezzi meccanici?”

“No.”

“Com’è stato trovato il piantone dello sterzo?”

“Non ricordo... però io non ho eseguito manovre per staccare lo sterzo...”

Si tenta ancora di stabilire se qualcuno può aver tagliato il piantone per estrarre Senna o questo fu trovato già distaccato.

Dopo Bezzi è la volta di Baccarini, l’uomo della macchina di soccorso n. 0, quella giunta subito dopo la numero uno.

“Quando Lei è intervenuto chi c’era sul luogo dell’incidente?”

“Il dottor Bezzi.”

“La sua è stata la seconda fast car ad arrivare sul posto?”

“Sì.”

“Ricorda se il volante ha ostacolato l’estrazione?”

“No.”

“Qualcuno ha sfilato il volante?”

“No.”

“Qualcuno ha tagliato il piantone?”

“No.”

“Chi c’era con Lei?”

“Watkins, Gentile...”

“Ricorda dov’era il volante?”

“No, non lo ricordo.”

“Lei ha tolto il casco di Senna?”

“Sì, io ho tagliato il collarino all’altezza del collo poi Bezzi teneva ferma la testa e io sfilavo...”

Immagino la testa di Ayrton a ciondoloni tra le braccia dei medici, inerte, esanime: sembra un pupazzo con il casco, è terribile veder muovere una testa senza vita.

Quando l’anima spira anche gli uomini sembrano oggetti.

Alle 16.15 è tutto finito. Una doccia, due passi, una pizza in albergo ed è subito il giorno di Martini, il primo pilota a testimoniare.

Pierluigi Martini ha una faccia stanca e tirata, con due solchi profondi a incorniciare occhi mobili e vispi che scrutano tutto e tutti: oltre il bancone degli avvocati, oltre lo spazio per la stampa, oltre lo scarso pubblico che ancora segue un processo troppo tecnico.

Il PM incalza, vuole sapere, vuole conoscere dal marziano come funzionano quelle astronavi che lui ha solo visto in TV: perché saltano, perché strisciano, perché spanciano facendo scintille su quella maledetta curva del Tamburello.

E lui, immobile, perso nel suo maglione a V, parla come un torrente in piena, racconta di “ assetti”, altezze da terra al limite per avere la massima efficienza, di “portanza” e “deportanza”, di grip, carico e incidenze; e tutti tacciono, appassionati dalla cronaca di un mondo che sembra un altro, così lontano, così difficile e affascinante.

L’avvocato Dominioni non c’è, a difendere Frank Williams è rimasta la sua sostituta Edda Gandossi, sola, spaurita tra montagne di carte e riferimenti che le passa l’ingegner Stirano, il suo consulente tecnico di parte. Il PM vuole mostrare il video della Rai che è parte del CD-Rom CINECA contenente tutte le sequenze, digitalizzate e sincronizzate insieme. Lei si oppone: “È un documento che presenta un certo margine di discrezionalità” – dice – e intanto Pierluigi, il furetto scampato a 119 Gran Premi senza poter mai assaporare una meritata vittoria, soffre sulla sua sedia di teste.”

Meglio un sedile in poliuretano, vero? Meglio la materia inanimata che prende vita e ti porta oltre il limite, vero?

Sì, i suoi occhi stupiti confermano e, nelle attese, sembra già pensare alla sua prossima macchina, che magari lo porterà a Le Mans.

“Un pilota come Senna o uno dei 26 della Formula 1 – quasi a sottolineare l’orgoglio di categoria – non può sbagliare una curva come quella, se non per un problema”, dice. Ed ecco che tutti si affannano per sapere quale problema, che tipo di problema, che vuol dire problema.

Il PM chiede: “Lei che opinione si è fatto delle cause dell’incidente?”

Cala un velo invisibile carico di attese, come quello che precede sempre i grandi eventi, come quello che precede i Gran Premi.

“Non lo so, non riesco a spiegarmelo, so solo che lì c’erano delle gobbe poi limate con le bocciardature. Andammo con Ayrton a visionare quel punto, durante i precedenti test di marzo, lo dicemmo a Poggi e la pista venne spianata in qualche modo. Per il resto quella curva non presentava problemi tranne che in caso di pioggia, quando bisognava entrare parzializzati.” Parzializzati, cioè con la ghigliottina del gas non spalancata ma parzialmente aperta, una parola che dicono solo quelli delle corse, quelli che passano i loro pomeriggi a bordo pista ad ascoltare un pilota “che entra in pieno” o che “telegrafa” con l’acceleratore, come faceva Senna per compensare gli spostamenti di carico della sua macchina.

Il PM Passarini è deluso, sempre più piccolo nella sua toga lisa, sempre più bianco dietro quegli occhialoni enormi. E allora ecco partire la raffica delle domande sulle gobbe, quel punto sul quale Ayrton è saltato verso la morte.

“In quel punto il bumping faceva saltare la macchina e bisognava tenere lo sterzo ben fermo per quando la macchina avrebbe ripreso grip (aderenza, N.d.A)”, continua Martini.

“Ma lo facevano tutte le macchine?”, Passarini si inerpica sui misteri delle vetture come su di una parete di lavagna.

“Sì, più o meno, dipende da quanto viaggiavano alte da terra.”

“Senna le disse che la sua monoposto viaggiava particolarmente bassa?”, insiste il PM.

“Ne parlammo in Giappone, tre settimane prima, e lui disse che era una vettura nervosa, difficile da guidare e non molto confortevole nella posizione di guida”, e mentre parla mima con le mani le reazioni di una Formula 1, come fanno ai box con i tecnici, quando sono presi dall’adrenalina e il linguaggio migliore è quello della mimica. “Nulla di più, io gli consigliai di pensare a me, alle macchine scomode, brusche e imprevedibili che avevo dovuto guidare per quasi dieci anni.”

È la rivalità e l’invidia che sempre esiste, strisciante, tra chi è arrivato a un gradino dall’Olimpo senza mai salirci e chi è abituato a starvi in pianta stabile. Una rivalità che emerge spontanea, come è giusto che sia, soprattutto perché i vari Martini del volante, bravi e veloci, rimarranno sempre con il dubbio di cosa avrebbero potuto fare con un’altra macchina.

Forse questa è la cattiveria maggiore di uno sport ingiusto e violento, mutilato dal fatto che il gesto sportivo stesso è realizzato tramite elementi esterni che influenzano grandemente la performance. Questa è la cattiveria più grande, grande almeno quanto la paura di Senna di non poter essere ricordato come il migliore il giorno in cui avesse smesso, con i quattro titoli di Prost a nascondere la sua classe e la sua dedizione, non è vero Ayrton?

Ed è stato questo a spingerti a entrare ancora nel tuo guscio di fibre composite per tenere giù il piede, perché sapere intimamente di essere il più bravo può non bastare, anche quando hai la nausea di tutto, non hai più voglia di girare in tondo e saltare da un aereo all’altro e inizi a pensare che, forse, a trentaquattro anni è il caso di cominciare ad avere una vita normale.