Un libro
Quando Ayrton Senna è arrivato in Formula 1, preceduto dagli echi della sua incredibile stagione nella Formula 3 inglese – già ai tempi vera fucina di talenti – seguivo i Gran Premi da appena qualche anno. Ero un ragazzino che sfiniva la mamma affinché comprasse “Autosprint”. Tifavo per Gilles Villeneuve, che ebbi modo di incontrare nei Box di Imola nel 1982. Ricordo che lo avvicinai per mettergli sotto al naso una cartolina dello sponsor al lambrusco che ritraeva il suo casco arancione. Gilles firmò e mi diede una scombussolata ai capelli. Dopo pochi giorni mio padre entrò in camera per dirmi che era morto. Mi ritirai sul tetto con una tromba di plastica, a tentare di suonare come faceva Gilles. Il fenomeno con il volto da bambino, il pilota che amavo prima di Ayrton.
Certo, al di là del fatto che viveva in Inghilterra e soffriva la saudade, non è che si sapesse poi tanto dell’Ayrton Senna dei primi anni in Formula 1; i brasiliani ai tempi erano soggetti un po’ misteriosi, e lui è stato tra i primi ad aprire la via per i circuiti tortuosi e fradici di pioggia e fango delle contee inglesi, poi battuta da una folta schiera di professionisti del volante. “Autosprint” scriveva che aveva vinto qualcosa come più della metà delle gare di F3 disputate, distruggendo l’astro britannico Martin Brundle e che già in Formula Ford – categoria la cui difficoltà ho avuto modo di provare personalmente – aveva corso due campionati contemporaneamente e demolito ogni record. Insomma se ne parlava come di un fenomeno. In effetti, di lì a poco lo vidi in azione a Montecarlo, in quella famosa gara che assegnò metà punti, interrotta dal belga Jacky Ickx per il diluvio e vinta dal francese Prost su McLaren. Quella gara del sospetto complotto francofono che Ayrton poteva vincere, con la Toleman. Tanto per chiarire, la Toleman di allora era una sorta di Marussia di oggi, condannata nelle ultime file. Ebbene in quella gara Ayrton Senna guidò in una maniera talmente più veloce degli altri da essere visibile a occhio nudo, anche in televisione. Intendo dire che era realmente evidente che andava più forte, impossibile non notarlo anche a prescindere dal monitor dei tempi!
John Watson ha detto che in frenata e ingresso curva la differenza tra Senna e gli altri piloti è sempre stata drammaticamente evidente, come se lui avesse più gambe e mani e braccia per frenare, scalare marcia, sterzare e riaccelerare; Ayrton Senna raggruppava queste fasi in un unico, ridotto spazio-tempo particolarmente compresso e accelerato: gli altri potevi seguirli in tutte le fasi: eccolo che arriva, stacca per frenare, sterza per inserire, ridà gas dal punto di corda e apre tutto sul cordolo in uscita. Quando arrivava Ayrton Senna, invece, toccava stare bene attenti per seguire una sola fase, talmente rapida da richiedere un attenzione particolare per poterne distinguere tutte le sotto fasi. Arriva, stacca-frena-sterza-riapre, bum-bum-bum: tutto insieme. Tutto velocemente. Molto velocemente. Ho cominciato ad amare Ayrton Senna da quella gara, forse perché mi sono sempre piaciuti di più quelli che faticano, che combattono, che non mollano anche se sono Davide contro Golia. Come Ayrton contro Prost, appunto, in un’era sportiva in cui il presidente della Federazione Mondiale dell’automobile era anch’esso francese e la Renault contava ancora qualcosa.
Mi sono chiesto spesso se è solo perché è scomparso che Ayrton è rimasto così presente, quasi così “vivo” nel cuore di tutti noi. Ebbene no. Ayrton Senna era diverso. Già da vivo se ne aveva una percezione molto particolare: si trattava di un essere umano che viveva la sua leggenda. Era visto, sentito, partecipato dal pubblico come un predestinato, uno della stirpe dei profeti o di quei geni destinati a bruciare in fretta come la loro fiamma. Probabilmente perché aveva dalla sua una qualità unica, rarissima e al contempo immediatamente percebile ai più: il carisma. Ne è riprova il fatto che era quasi impossibile da odiare malgrado il suo atteggiamento, soprattutto agli inizi, potesse suggerire il contrario, almeno ai suoi avversari in pista. Nonostante fosse duro, scontroso, arrogante, puntiglioso, pignolo, ossessivo al limite del maniacale nel suo lavoro e riservato, riservatissimo nella sua vita privata. Un carisma naturale come il suo talento alla guida, un qualcosa che partiva, anzi sgorgava da dentro e filtrava dai suoi occhi, tramite l’inflessione della voce, il movimento delle labbra, del capo, delle mani. Il suo linguaggio del corpo era diverso dagli altri, era più leggero, armonico, sinuoso. Quando sgusciava di corsa dalla macchina, magari dopo un incidente, sembrava una gazzella, quando camminava sembrava un levriero. Il suono della sua voce era molto musicale, armonico e lo utilizzava parlando con ritmo e pause giuste, esplicitando o rafforzando i concetti, le affermazioni, i dinieghi con gli sguardi, i mezzi sorrisi, i piccoli sbuffi d’aria dalla bocca. In due parole: era attraente. Nel vero senso del termine: attraeva. Quando gli capitavi a tiro, entravi nei pressi del suo campo vitale, riuscivi a sentirlo. Per carità, sarà stata anche la suggestione e l’eco della sua grandezza al volante a generare aspettativa, attesa e trepidazione quando ho avuto modo di incontrarlo, ma era obiettivamente evidente che si era in presenza di una persona in qualche modo speciale. Unica. E poi molti dei milioni di appassionati che lo hanno amato e continuano a farlo, a vent’anni dalla morte, potranno confermarlo. Molti di loro non lo avranno visto da vicino nemmeno una volta, eppure sono certo che quel sentimento di attrazione avrà coinvolto anche loro, li avrà accompagnati per qualche momento.
Quando Ayrton Senna è morto ho deciso di dedicargli un libro che potesse far conoscere a tutti i suoi fan, agli appassionati, a chi gli ha voluto bene che cosa è successo quel maledetto primo maggio del 1994. Ho seguito circa trentaquattro udienze del processo di primo grado in una squallida aula giudiziaria di Imola, facendo su e giù col treno da Roma per lunghi mesi, senza prendere una lira in quanto le riviste o radio o giornali con cui collaboravo pagavano cifre ridicole che non bastavano neanche per il biglietto delle Ferrovie, figuriamoci per l’alberghetto a due stelle che mi ospitava.
Oltre a prendere appunti in presa diretta, ho registrato su nastro tutte le udienze, sbobinato, controllato e riscritto centinaia di pagine e alla fine ho dato tutto a un editore che l’ha pubblicato senza promuoverlo. Ma non importa. Questo libro l’ho fatto per rendere giustizia a un essere umano che mi ha dato tanto. Adesso, finalmente, ci sono gli ebook che possono raggiungere tutti. Ed ecco che il libro dedicato ad Ayrton rivive. Che la sua storia, rivive. Che lui, le sue gesta, i suoi miracoli sportivi e anche le incredibili fatalità e coincidenze che hanno generato la concatenazione di eventi che lo hanno ucciso, rivivono. Trovate tutto come scritto ai tempi, con l’aggiunta di qualche necessario aggiornamento dedicato ai successivi gradi di giudizio. In queste pagine ci sono gli ultimi mesi, gli ultimi giorni e i tanti anni trascorsi da allora in cui le Aule giudiziarie hanno ospitato a più riprese avvocati e periti intenti a dibattere del come e del perché Ayrton Senna è uscito di pista mentre era al comando dell’ennesimo Gran Premio, dopo l’ennesima Pole Position destinata a trasformarsi nell’ennesima vittoria. Perché è morto. Che cosa è successo. Cosa hanno detto e cosa hanno pensato gli uomini della sua squadra, gli altri piloti, i tecnici, i commissari, e i medici presenti quel giorno a Imola. Quel maledetto giorno del 1994. Quella domenica di festa dei lavoratori. Poco dopo le ore 14.00. Quando la Williams numero due sfreccia sulla linea del traguardo, portandosi via la magia di Ayrton che passa con i suoi colori e il suo mito per l’ultima volta.
Nicola Santoro, Roma 14 aprile 2014