Voci postume

Dalle parole di Paolo, il mio testimone sul posto, traspare l’incredulità di quei momenti.

“Mi chiedevo – dice – ma che sta succedendo? Com’è possibile che l’ultimo arrivato e il più grande, il magico Senna, hanno cessato di vivere proprio qui a Imola, in questo stramaledetto fine settimana? Perché è successo e di chi è la colpa?”

Forse di nessuno, ma c’è un nemico da sconfiggere in F1: l’effetto suolo del retrotreno che provoca un forte sottosterzo, ovvero la tendenza della vettura ad andare dritta in curva. Un fenomeno tale da far sì che per tenere la macchina in strada si penalizzi la sterzata e la possibilità di correzione. Ma anche se il sottosterzo è 1’effetto più evidente non è la causa prima di tanti incidenti, quanto l’effetto secondario di un problema aerodinamico delle monoposto, del 1994. Si trattava di vetture che in condizioni normali “soffrivano” di questo inconveniente, che oggi è diventato quasi fisiologico.

Per poter sfruttare al massimo l’aderenza offerta dagli scivoli estrattori posti dopo il fondo piatto, sotto la vettura, i tecnici progettavano delle monoposto dagli assetti molto critici. Gli scivoli posteriori servivano a sigillare il retrotreno a terra, creando una sorta di tubo Venturi per cui la velocità dell’aria incanalata crea un risucchio aerodinamico, come quando s’applica una ventosa su di una parete. Maggiore era il risucchio, più il posteriore era incollato a terra: la miglior tenuta di strada era ottenuta quando la macchina viaggiava col retrotreno quasi a contatto con il terreno. Per garantire il giusto effetto sigillante la monoposto doveva avere il retrotreno a pochi millimetri dal suolo, in pratica si cerca un assetto cabrato con il muso all’insù. In rettilineo ciò favoriva la velocità massima, in curva garantiva la miglior tenuta delle ruote posteriori. In questo modo si andava più forte in curva, ma diventava difficile sterzare la monoposto. Per far girare la macchina occorreva aumentare il carico aerodinamico anteriore, compensare quello posteriore e ottenere con gli alettoni un bilanciamento fra avantreno e retrotreno. Se non si trova il giusto equilibrio compare il sottosterzo.

Chi più chi meno tutte le monoposto soffrivano di questo problema con cui i tecnici della Formula 1 combattono da sempre. Le vetture di produzione, quelle su cui ognuno di noi viaggia quotidianamente, hanno quasi tutte un sottosterzo “di serie” che rende più facilmente controllabile la direzionalità della macchina per il pilota; per il guidatore cittadino è senz’altro più facile guidare un mezzo che in condizioni di emergenza tenda ad allargare l’avantreno piuttosto che sbandare con il retrotreno. In corsa è diverso, il controllo del pilota rende possibile utilizzare soluzioni estreme ma vantaggiose: alla ricerca della prestazione tutto è concesso. Nel 1995 è stato introdotto uno scalino sotto alle monoposto e si è cercato di ridurre le superfici alari. In questi ultimi anni le vetture sono state sempre rallentate con cambi regolamentari ma, ciononostante, nessuna monoposto è a tutt’oggi esente dal sottosterzo cosiddetto “cronico”.

Ma torniamo ad allora. A Imola si è visto drammaticamente che, quando cede qualcosa nelle ali o l’assetto si scompone perché si passa sopra un cordolo o un avvallamento della pista, viene meno l’equilibrio “particolare” delle Formula 1. A Ratzenberger la perdita dell’alettone ha fatto venir meno il carico sull’anteriore e la sua Simtek è andata dritta perché le ruote anteriori non avevano più presa sul terreno. A Barrichello è accaduto qualcosa di simile, anche se in maniera diversa: la sbandata della sua Jordan ha scombussolato l’assetto aerodinamico, il treno anteriore non aveva più tenuta perché aveva preso il sopravvento il carico aerodinamico posteriore e la sua macchina è finita sul cordolo, decollando.

“Qui il problema è molto semplice – ha detto Alesi nel giugno del ’94 – quando si scompone la macchina, la parte posteriore, progettata per creare deportanza e tenere attaccata al terreno la monoposto, imbarca aria. Questo la fa decollare e quando una macchina è in volo non c’è barriera che tenga. Al Mugello mi sono girato alla curva dell’Arrabbiata, ho pensato che c’era tutto lo spazio possibile e invece no: sono salito sul cordolo e volato direttamente contro il muro.” Ovvero: tutto funziona bene fin tanto che il senso di marcia è quello previsto dal progettista, ma appena una vettura va in testacoda o subentra una variabile (un cordolo o un avvallamento dell’asfalto) questo delicatissimo equilibrio viene meno.

Fino al 1993 l’assetto aerodinamico era condizionato dalle sospensioni attive: a seconda che si fosse in curva o in rettilineo, cambiava l’altezza da terra della macchina. Nel 1994 ciò non era più possibile e quando si regolavano le sospensioni si cercava solo un compromesso per permettere alle parti aerodinamiche di funzionare bene, cercando dei palliativi per diminuire il sottosterzo che ne derivava. Ma i margini di regolazioni erano infinitesimali: “Siamo nell’ordine di pochi millimetri – disse l’ingegner Costa della Minardi – basta davvero una minima variazione per cambiare completamente il comportamento della monoposto: beccheggio e rollio (ovvero la tendenza a movimenti longitudinali o laterali della macchina, N.d.A.) sono veramente difficili da regolare e l’assetto è diventato molto più critico.”

Si arrivava, cioè, al punto di non ritorno: una variazione minima e non c’era più scampo, controllare la vettura diventava impossibile. Come accaduto a Senna e Raztemberger. Problemi meccanici a parte.

La tragedia di quei giorni ha un protagonista rimasto nell’ombra. Un protagonista competente: Michele Alboreto. Doppio interprete di quei momenti Michele: ai box, quando una ruota della sua monoposto si è staccata investendo quattro meccanici, e in una riunione che nella giornata di sabato aveva svolto assieme a Berger, Schumacher e allo stesso Ayrton Senna. I meccanici sono stati fortunati. Si trattava di Maurizio “Titti” Barbieri (frattura composta della spina tibiale e del condilo femorale del ginocchio sinistro), Daniele Volpi (che ha riportato una contusione all’ipocondrio sinistro e una alla rachide cervicale) e Claudio Bisi (contusioni alla gamba e piede sinistro). Tutti e tre della Ferrari. L’altro ferito è Baldry, della Lotus, che ha subito un forte trauma cranico e toracico. Per fortuna nessuno di questi è stato in pericolo di vita.

È ancora Paolo che racconta: “Sul podio Larini stava ritirando il trofeo per il secondo posto ma tutti quanti, compreso Osamu Goto della Ferrari, avevano gli occhi arrossati dal pianto.”

Il giapponese di Maranello dice: “A Imola c’è stata una serie di coincidenze negative che proprio non so spiegarmi: in tanti anni non era mai successo nulla, adesso abbiamo pareggiato i conti con la paura.”

Coincidenze negative, a Michele Alboreto non bastano.

A pensarci oggi, dopo che anche il milanese è scomparso in un incidente automobilisitico, mi si gela il cuore.

“C’eravamo riuniti proprio dopo i due incidenti – dice – quello di Barrichello e quello mortale di Ratzenberger. Ayrton era decisamente scosso. Avevamo deciso che non si poteva andare avanti cosi. Proprio Senna doveva preparare un rapporto, senza polemiche, preciso che riguardasse un po’ tutto.”

Il pilota milanese, in quegli istanti successivi agli incidenti, parla a ruota libera: “In quanti hanno scritto delle critiche che ho fatto su questo circuito quando abbiamo provato? Dissi che era da pazzi correre qui. Dissi che parte dell’asfalto andava rifatto, che quel muro a dieci metri da dove si curva a 300 all’ora è pericoloso, che qui ad Imola a quelle velocità ci si frantuma, la macchina non si rompe, si apre con le sollecitazioni e le alte velocità! Lo sapete che ho detto chiaramente al team che io su questo circuito non avrei più provato? Io che ormai penso di aver terminato il blocchetto dei miracoli, con gli incidenti a Silverstone e proprio qui a Imola! Ma perché, per la miseria, nessuno ha voluto ascoltare chi ormai ha fatto i capelli bianchi dentro le macchine di F1? Non parlo solo di questo circuito. Ce ne sono altri due altrettanto pericolosi, Silverstone e Spa, che hanno dei punti di pista folli. C’è anche Montreal. In posti come Imola ti spappoli quando vai fuori, io l’ho provato l’impatto contro il cemento di Imola. Vogliono che andiamo a 300 all’ora? Non c’è problema: mettano giù 300 metri di sabbia, almeno ti frenano prima dell’impatto! Lì, adesso, ci sono venti metri di sabbia... e la prossima settimana saremo a Montecarlo. Qualcuno ha detto che hanno tolto le sospensioni attive per la sicurezza. Ma non mi facciano ridere, i motivi sono ben altri e chi vuol capire, capisca! Sono incazzato, sono incazzato nero. Ma lo sapete che la prossima settimana qui a Imola ci saranno delle prove? Sai quante volte ho parlato della sicurezza con gli organizzatori di questo sport?! Quanti mi hanno ascoltato? a Montecarlo io entrerò ai box a 50 all’ora, gli altri facciano quello che vogliono.”

Paolo prosegue la sua intervista:

“Cosa vi siete detti, tra piloti, per la morte di Ratzenberger?”

“Niente, abbiamo fatto un minuto di silenzio, come quello che faremo la prossima volta!”

Attimi di commozione e d’isteria che fanno venir fuori tante piccole verità tenute nascoste da un ambiente sempre intento a mostrare la sua faccia migliore.

I giorni della gara, di quella gara, insegnano molto. E più dei fatti accaduti in pista insegna quello che è successo dopo, lontano dal circuito, nella celebrazione collettiva di un evento tramutato in fenomeno massmediologico.

Il 1° maggio non si lavora e il giorno dopo i giornali non sono in vendita, ma questa volta ci saranno in edicola ben cinque edizioni speciali di altrettanti quotidiani, sportivi e non. La gara di Imola passa in secondo piano. Tutto si ferma, anche i servizi essenziali vengono ridotti. Normalmente il 1° maggio apre la bella stagione ed è usanza passare la giornata fuori casa, solo in caso di grandi eventi, di calamità, i siN.d.Acati permettono alle maestranze di tornare al giornale. Ebbene, con la morte di Senna questo è successo!

Domenica 1° maggio a farla da padrona è stata la televisione, la RAI ha cancellato vari programmi per dare spazio a una diretta continua da Imola, una maratona seguita da milioni di persone, sino alla mezzanotte inoltrata. Chiunque capitava a tiro di un microfono veniva intervistato, non importa se poi di macchine e di F1 ne capiva pochino. Commentava Candido Cannavò, il direttore della “Gazzetta dello Sport”, il più importante quotidiano sportivo italiano:

“È avvenuto un fatto mostruoso, tipico dell’era televisiva: la più grande celebrazione in diretta della morte e del suo fascino irresistibile. Il 64% dei televisori si è sintonizzato su quella scena, quasi dieci milioni di italiani l’hanno eletta a crudele spettacolo del loro giorno di festa.”

Il mistero della morte ha un fascino irresistibile, specie se scompare un personaggio che nell’immaginario collettivo è diventato un compagno quotidiano in grado di realizzare sogni ed emozioni. Da Kennedy a Lennon, da Jim Morrison a Villeneuve, da Selassié a Lady Diana, la scomparsa dei miti ha significato la sottrazione di una parte delle proiezioni di milioni di persone, abituate ad avere dei riferimenti sicuri, patinati, invincibili sui quali scaricare le proprie fantasie e aspettative. Il possesso è un desiderio umano e impossessarsi di miti rassicuranti costa poco, basta accendere il televisore o comprare una rivista. Quando il mito scompare il punto di riferimento sparisce e si scatena l’isteria collettiva.

Tutti scrivono di Senna e della sua morte, tutti hanno “il diritto” di dire qualcosa. Parlano di corse, di macchine, di assetti, di altezze da terra e sospensioni. Il CODACONS (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e del diritto dei consumatori) annuncia la presentazione di una denuncia in cui si ipotizzano i reati di strage e associazione a delinquere nei confronti della società che gestisce il circuito, delle squadre e degli sponsor. I parlamentari Verdi hanno chiesto che queste corse non superino i 200 km orari. Non si conoscono i criteri che hanno portato all’identificazione di questa velocità come velocità “sicura”, quindi verde.

I titoli dei giornali impressionano:

“Hanno ucciso Senna!”, “Corriere della Sera”.

“Chi ha ucciso Senna?”, “Tuttosport”.

“Il sangue di Senna”, “Il Resto del Carlino”.

“Spettacolo di morte. Senna paga con la vita”, “Il Tempo”.

“Con Senna muore la F1”, “L’Unità”.

“Con Senna muore questa F1!”, “La Gazzetta dello Sport”.

“Formula 1, velocità killer!”, “Tuttosport”.

Poi, nei giorni a venire, è cominciato il linciaggio.

“Processo alla F1 assassina!”, “La Stampa”.

“Processo alla corsa della morte”, “Corriere della Sera”.

“E adesso fermate il circo della morte”, “La Repubblica”.

“Mattatoio Imola !”, “La Notte”.

... e non sono mancati sensazionalismi di dubbio gusto: “Perdeva materia cerebrale” e “Aveva il cranio spaccato in due.”

Hanno scritto veramente di tutto, senza vergogna.

Dalla vicina Francia le notizie giungono pressappoco sulla falsariga di quelle italiane. Forse meno esasperate. L’“Equipe”, l’unico quotidiano sportivo francese, a parte un titolo a effetto come “Arrête ça” (Fermatela!), è abbastanza equilibrato. Non ci giungono informazioni di esasperazione della vicenda.

Nel nostro bel Paese, intanto, le romanzate da libri rosa si scatenano. Si elencano le donne di Senna, quasi a voler smentire quelle insinuazioni che a suo tempo lo avevano bollato di essere gay. Insinuazioni fatte da un pilota suo connazionale. Donne e ancora donne, figlie sconosciute le cui fotografie – riporta un quotidiano – saranno esposte negli shopping center di San Paolo.

Le due riviste settimanali specializzate, “Rombo Auto&Sport” e “Autosprint”, fanno ipotesi precise: per il primo l’incidente è da imputare alla rottura della sospensione anteriore destra, per il secondo alla rottura del piantone dello sterzo.

Entrambe contestano le esagerazioni e mentre “Autosprint” continua a tenere una posizione abbastanza distaccata, “Auto&Sport” lascia spazio in ogni numero alla posta dei lettori, facendosi promotore anche di una iniziativa bellissima: intitolare una stella al tricampione brasiliano. Paolo: “In quei giorni ho chiamato Frank Williams, per sentirmi confortato, e mi ha detto: ‘sto ancora malissimo e non starò bene sino al giorno che non sapremo esattamente la causa dell’incidente. Allora Senna non tornerà a vivere, ma forse capiremo meglio il suo sacrificio’. Era sincero.”

Il Brasile è in lacrime, mentre a Bologna il Magistrato ha deciso che sulla morte di Ayrton Senna sarà aperta un’inchiesta che dovrà andare a fondo.

Mi chiedo se esistano inchieste che non vanno a fondo.

Vengono spediti gli ordini di sequestro. Il casco e la Williams Renault FW16 n. 2 saranno trasportati presso la caserma della polizia stradale di Bologna. A notte fonda i carabinieri mettono i sigilli ai cancelli della pista.

Prendo l’agenda di Paolo, voglio avere la ricostruzione precisa dei fatti di quelle ore. Lui è andato a fare la spesa e se il vento non lo scaraventa in mare sarà di ritorno tra un’oretta.

Posso spulciare in pace, davanti a lui ho sempre un po’ di timore, mi sembra di invadere la sua sfera personale.

Lunedì 2 maggio 1994

“È scoppiato il putiferio in Italia. I giornali sono impazziti. Il “Corriere dello Sport” titola: hanno ucciso Senna! Gli altri sono più o meno dello stesso avviso.

Qualcuno eccede: quello stesso quotidiano sportivo che inizierà una campagna violentissima perché questo sport si fermi non si è fatto certo alcuno scrupolo nel mandare gli strilloni a vendere l’edizione speciale davanti all’istituto di Medicina Legale di Bologna. Gli strilloni, forse, erano abusivi ma, in ogni caso, c’è stata tanta demagogia attorno a questa vicenda.

Il magistrato ha spedito avvisi di garanzia al presidente della Sagis, l’organizzazione che gestisce l’autodromo di Imola, al direttore della pista, ai titolari di Williams e Simtek, al costruttore dei caschi. Si attende ancora per effettuare l’autopsia sul cadavere.

Dal Brasile cominciano ad arrivare le dichiarazioni di Piquet e del presidente della Repubblica Brasiliana. Sarà l’aereo presidenziale ad andare a prendere la salma del campione. Qualcuno ancora non crede che Senna sia morto. Un gruppo rumoreggia chiedendo di vedere la salma.

Paolo comincia a scrivere al plurale, forse non era solo.

Andiamo a Imola: la scena è la stessa. Patrick Head ipotizza che si sia trattato di un errore del pilota ma non ci crede nessuno: tutti potevano sbagliare, Magic no.

Ragazzi in lacrime e, in mezzo a loro, Pierluigi Martini, che abita vicinissimo all’autodromo: “Non ci credo ancora, non ci voglio credere. Ayrton per me non era solo un collega, era un eroe dei nostri tempi. Un grande”, dice con una voce strozzata il pilota della Minardi. Intanto da Bologna la notizia del possibile trasferimento della salma in Brasile viene smentita perentoriamente perché deve essere ancora effettuata l’autopsia. C’è una frenetica attività nel cercare di capire cosa sia successo. Ci stanno provando tutti. Giornali e giornalisti impazziscono e la sola struttura che si muove con una certa velocità è la Pretura di Bologna, che chiama a deporre Pierluigi Martini, Michele Alboreto e Gianni Morbidelli. I responsabili dell’autodromo di Imola si sono trincerati dietro la riserva del “no comment”: forse dimenticano che durante le prove private Senna si lamentò delle condizioni generali della pista e che loro, in una conferenza stampa effettuata proprio in quei giorni, si palleggiarono la responsabilità dei costi degli eventuali lavori.

Martedì 3 maggio 1994

Dopo l’autopsia la salma di Senna può partire. La Mercedes nera targata BO E30702 esce dall’ospedale tra due ali di folla. Il presidente della Repubblica Italiana mette a disposizione un DC 9 dell’aeronautica militare per trasportarla all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi.

Si viene a sapere che la magistratura italiana ha inoltrato una richiesta di rogatoria internazionale per ottenere la centralina della macchina di Senna, centralina ormai in Inghilterra. Altro mistero che avvelena i primi due giorni successivi alla tragedia è la notizia che Ayrton fosse già morto pochi minuti dopo l’incidente. Tutto nasce da voci attribuite alla famiglia del pilota, in Brasile, e dovute a una conversazione telefonica di Leonardo Senna in cui lo stesso riferiva che Bernie Ecclestone lo aveva avvisato subito della morte del fratello.

Bemie Ecclestone è categorico: “C’è stata confusione una volta successo l’incidente. Ero stato informato via radio che Ayrton era gravemente ferito alla testa, in inglese “head” ma io ho capito “dead”, cioè morto. Questo è quello che ho detto al fratello. Una volta rettificata l’informazione abbiamo ricominciato a sperare.”

Parte la salma di Senna. All’aeroporto di Bologna il corteo funebre entra da una porta secondaria, da lontano possiamo vedere caricare la bara nella stiva dell’aeroplano militare.

Ciao Ayrton.

Martedì 3 maggio 1994, sera

L’aereo italiano è giunto a Parigi. Per volere del presidente della Repubblica brasiliana la bara con il corpo di Senna non sarà collocata nelle stive dell’aereo ma nella parte anteriore, in prima classe. Viaggiano con lui i familiari e un gruppo di giornalisti brasiliani che da anni lo seguiva per il mondo.

Anche il racconto di Paolo si colora: “Mi viene riferito di un viaggio triste con punte d’isteria collettiva. A un certo punto della notte i colleghi brasiliani hanno cominciato a raccontarsi dei fatti successi assieme ad Ayrton Senna. Alcuni molto personali, alcuni buffi. Si è andato avanti parecchio, e la situazione è diventata così coinvolgente che chiunque partecipasse a quel revival di ricordi si rivolgeva verso la bara come se Ayrton potesse rispondere. Qualcuno ha battuto con un buffetto, con una carezza, il feretro avvolto in una bandiera brasiliana che si avvicinava verso quel suo paese tanto amato.”

Mercoledì 4 maggio, mattina

Paolo comincia a raccontare il funerale: “È stata una processione imponente, nonostante l’ora. Migliaia di persone si sono accostate alle strade dove passava il loro eroe defunto. Scene di pianto e isterismo sono state trasmesse in tutto il mondo. Poi la bara veniva esposta nell’Assemblea Legislativa di San Paolo. Nella stessa giornata hanno cominciato a giungere in Brasile i tanti amici del pilota: Gerhard Berger, Frank Williams, Michele Alboreto, il suo grande rivale Alain Prost, Jackie Stewart, Emerson Fittipaldi, Thierry Boutsen, Damon Hill, Rubens Barrichello e tantissimi altri.

Arriva anche Bernie Ecclestone, che però viene invitato dalla famiglia di Senna a non presenziare al funerale, anzi si mormora che i familiari del campione debbono ancora decidere se denunciare il presidente della Foca. Per l’intera giornata i telegiornali di tutto il mondo ricordano il grande campione che fu Ayrton Senna da Silva.

Vengono allo scoperto aspetti segreti dell’uomo. La direttrice di un orfanotrofio di S. Paolo si sente liberata dalla promessa del segreto fatta ad Ayrton in passato e rivela che lui, ogni anno, praticamente manteneva per intero quell’istituto con un versamento di 100mila dollari.

Giovedì 5 maggio 1994

È una squadra dei cadetti dell’esercito brasiliano a collocare la bara del campione sull’imponente carro dei bombeiros per questo suo ultimo viaggio verso il cimitero Morumbi, scortato da un plotone di cavalleria. Saranno i suoi colleghi, quelli con cui ha battagliato sui circuiti mondiali, a depositarlo sotto un albero secolare.

Frank Williams, in un momento di commozione, sconfessa il suo direttore tecnico e socio, Patrick Head, mentre dice alla famiglia di Ayrton che solo un guasto tecnico può aver causato l’incidente. Non fa altri commenti e ripete che tutto è stato messo a disposizione della Federazione dell’automobile, che quando avrà terminato gli accertamenti farà conoscere cosa esattamente ha originato l’incidente mortale.

“Sto malissimo – dice Williams – Sarà difficile per tutti dimenticare quel maledetto week end di Imola, ma dovete capire che noi siamo i primi a volere che venga chiarito il prima possibile cosa è successo alla monoposto di Senna.”

Il 24 febbraio 1996, dopo ventuno mesi di indagini, l’istruttoria si chiude con il deposito delle 4000 pagine di fascicolo del pubblico ministero, di cui ben 500 dedicate alla perizia sul piantone dello sterzo preparata dal trio Carletti, Lorenzini, Forghieri. Sin da subito, grazie alla ormai famosa foto pubblicata dal settimanale “Autosprint”, è emerso che il piantone è il principale indiziato della causa dell’incidente.Frank Williams, Patrick Head e Adrian Newey della Williams, Bendinelli della Sagis, il direttore di pista Poggi e Roland Bruynserade, direttore di gara della FIA, vengono rinviati a giudizio. Il fittissimo calendario giudiziario imolese e lo spostamento di alcuni uffici fa slittare tutto a marzo, poi a novembre, infine al nuovo anno: il 1997. Quello della verità.