MICOGENO ... Un settore dell’antico Trantor. Sepolto nel passato delle sue leggende, Micogeno esercitò scarso influsso a livello planetario. Estremamente compiaciuto del proprio stato, era fiero del relativo isolamento...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

31

Quando si svegliò, Seldon vide un volto nuovo che lo guardava con aria solenne. Per un attimo strizzò le palpebre, poi disse: «Hummin?».

Questi abbozzò un sorriso. «Si ricorda di me, allora?»

«Ci conoscevamo appena da un giorno e sono passati quasi due mesi, comunque ricordo. Significa che non l’hanno arrestata né...»

«Come vede sono sano e salvo, ma...» Hummin lanciò un’occhiata a Dors che si teneva in disparte «... non è stato facile venire qui.»

«Sono contento di vederla. Permette un istante?» disse Seldon. E con il pollice indicò il bagno.

«Si prenda tutto il tempo che le serve. E faccia colazione.»

Hummin e Dors non gli tennero compagnia a colazione. Rimasero entrambi in silenzio e Hummin diede una scorsa a un videolibro, assumendo con disinvoltura un’espressione concentrata. Dors si studiò attentamente le unghie, poi estrasse un microcomputer e cominciò a prendere appunti con uno stilo.

Seldon li osservò pensieroso e non cercò di intavolare una conversazione. Forse il silenzio e il riserbo erano un comportamento consueto, su Trantor, in presenza di un ammalato. A dire il vero Seldon si sentiva perfettamente normale, ma forse gli altri non se ne rendevano conto.

Solo quando ebbe finito l’ultimo boccone di cibo e l’ultima goccia di latte (a cui evidentemente si stava abituando, perché non aveva più un gusto strano), Hummin si decise a parlare.

«Come sta, Seldon?»

«Benissimo, Hummin. Abbastanza bene da alzarmi.»

«Mi fa piacere sentirlo» disse Hummin impassibile. «Se questo è accaduto, gran parte della responsabilità è di Dors Venabili.»

Seldon corrugò la fronte. «No. Sono io che ho insistito a voler andare sulla Faccia superiore.»

«Certo, ma lei avrebbe dovuto seguirla a ogni costo.»

«Le ho detto che non la volevo con me.»

Dors intervenne: «Non è vero, Hari. Non difendermi con delle nobili bugie».

«Ma non dimentichi che Dors» sbottò Seldon rabbioso «è anche venuta a cercarmi lassù, vincendo resistenze notevoli, e mi ha salvato la vita. Questa è una verità sacrosanta, Hummin. Ne ha tenuto conto nella sua valutazione?»

Dors intervenne di nuovo, visibilmente imbarazzata. «Per favore, Hari. Chetter Hummin ha ragione. Avrei dovuto impedirti di salire o avrei dovuto seguirti. Le mie azioni successive, le ha lodate.»

«Comunque, ormai l’episodio appartiene al passato e possiamo lasciar perdere» disse Hummin. «Parliamo invece di quel che è successo sulla Faccia superiore, Seldon.»

Lui si guardò intorno e chiese circospetto: «È prudente?».

Hummin sorrise. «Dors ha avviluppato la stanza in un campo di distorsione. Nessun agente imperiale all’università, ammesso che ce ne siano, è in grado di penetrarlo, posso garantirglielo. È un tipo sospettoso, Seldon.»

«Non di natura. Ma ascoltandola al parco e in seguito... lei è un tipo persuasivo, Hummin. Quando ha finito coi suoi discorsi, ero pronto a temere che Eto Demerzel fosse in agguato ovunque, nascosto nell’ombra.»

«Può darsi che sia sempre in agguato. A volte lo penso» commentò Hummin serissimo.

«Se fosse così, non lo riconoscerei. Che aspetto ha?»

«Questo non ha importanza. Non lo vedrebbe, a meno che lui non volesse farsi vedere da lei. Allora sarebbe tutto finito, immagino, e noi dobbiamo impedire che accada. Parliamo del verti-jet che ha visto.»

«Come ho detto, Hummin, grazie a lei ho una paura folle di Demerzel. Non appena ho visto il verti-jet ho pensato che Demerzel mi stesse dando la caccia, che avessi commesso una sciocchezza ad abbandonare il rifugio dell’università salendo sulla Faccia superiore, che fossi stato attirato lassù proprio per essere catturato senza difficoltà.»

«D’altra parte, Leggen...» disse Dors.

Seldon la interruppe. «Era qui ieri sera?»

«Sì, non ricordi?»

«Vagamente. Ero stanco morto. Ho la memoria annebbiata.»

«Be’, quand’era qui ieri sera, Leggen ha detto che il verti-jet era soltanto un velivolo meteorologico di un’altra stazione. Perfettamente normale. Perfettamente innocuo.»

«Cosa?» sbottò Seldon sorpreso. «Non ci credo.»

Hummin intervenne: «Il punto quindi è: perché non ci crede? Perché lo considerava pericoloso? Cosa aveva di particolare, a parte i sospetti che le ho messo in testa io?».

Seldon ci pensò su mordendosi il labbro inferiore. «Il suo comportamento. Sembrava che spingesse il muso sotto lo strato di nubi, come se stesse cercando qualcosa, poi sbucava in un altro punto allo stesso modo, poi in un altro ancora. Pareva che esplorasse metodicamente la superficie, pezzo per pezzo, puntando verso di me.»

«Magari lo stava personificando, Seldon» osservò Hummin. «Forse ha visto in quel verti-jet una specie di strano animale intento a cercarla. Non lo era, naturalmente. Era solo un verti-jet e, se era un velivolo meteorologico, il suo comportamento era perfettamente normale. E innocuo.»

«Io ho avuto un’impressione diversa» disse Seldon.

«D’accordo, eppure non sappiamo nulla. Era convinto di essere in pericolo, ma la cosa è tutta da dimostrare. Leggen ha detto che era un velivolo meteorologico e anche quella è soltanto un’ipotesi.»

Seldon insistette ostinato: «Non posso credere che sia stato del tutto casuale».

«Allora partiamo dalla peggiore delle ipotesi. Supponiamo che il verti-jet la cercasse davvero. Chi ha inviato il velivolo come faceva a sapere che lei si sarebbe trovato in superficie?»

Dors intervenne: «Ho chiesto a Leggen se, nel suo annuncio dei prossimi rilevamenti meteorologici, avesse aggiunto che nel gruppo ci sarebbe stato anche Hari. La prassi normale non prevede che si specifichino i componenti del gruppo, e Leggen ha negato di averlo fatto, mostrandosi molto sorpreso della mia domanda. Gli ho creduto».

«Non deve credergli con tanta facilità» disse Hummin pensieroso. «Avrebbe negato in ogni caso, no? Ora si chieda come mai ha permesso a Seldon di seguirlo. Sappiamo che all’inizio era contrario, ma poi ha ceduto senza tante proteste. Mi sembra un comportamento insolito per Leggen.»

Dors corrugò la fronte. «In effetti, considerando questo elemento, le probabilità che sia stato lui a organizzare tutto quanto aumentano leggermente. Forse ha permesso a Hari di andare lassù solo per favorire la sua cattura. Può darsi che abbia ricevuto ordini precisi. Può darsi che abbia incoraggiato la giovane tirocinante, Clowzia, ad attirare l’attenzione di Hari e ad allontanarlo dal gruppo, isolandolo. Questo spiegherebbe perché Leggen non fosse preoccupato – cosa in effetti strana – per l’assenza di Hari quando è giunto il momento di scendere. Tutto calcolato, tutto predisposto con cura. Leggen aveva spiegato a Hari come fare per scendere da solo, quindi Hari era sceso prima degli altri senza dubbio. Questo spiegherebbe anche la sua riluttanza a tornare su a cercarlo. Perché perdere tempo a farlo, dato che Leggen era convinto che non lo avremmo trovato?»

Hummin, che aveva ascoltato attentamente, osservò: «Una tesi interessante che schiaccia Leggen, ma non sottoscriviamola con troppa fretta. In fin dei conti, Leggen poi è salito con lei sulla Faccia superiore».

«Perché erano stati rilevati dei passi. L’aveva attestato il capo sismologo.»

«Be’, quando è stato trovato Seldon, Leggen ha avuto una reazione di paura o di sorpresa? A parte lo stupore per il ritrovamento di qualcuno che aveva rischiato la vita a causa della negligenza dello stesso Leggen, voglio dire. Si è comportato come se Seldon non avrebbe dovuto esserci? Come se si stesse domandando: “Perché non l’hanno catturato?”.»

Dors ci pensò su. «È rimasto scioccato alla vista di Hari, sì. Ma non ho potuto stabilire se provasse qualche emozione particolare, a parte l’orrore, perfettamente normale date le circostanze.»

«Già, impossibile stabilirlo, immagino.»

Seldon, che aveva seguito la discussione spostando lo sguardo fra i due, disse: «Secondo me, non è stato Leggen».

Hummin gli rivolse subito la propria attenzione. «Perché questa convinzione?»

«Innanzitutto, come ha osservato, Leggen era evidentemente restio a lasciarmi salire. C’è voluto un giorno intero di discussioni, e a mio avviso alla fine ha acconsentito solo perché ha avuto l’impressione che fossi un bravo matematico in grado di dargli una mano nei suoi studi meteorologici. Io ero ansioso di salire lassù. Se aveva ricevuto l’ordine di portarmi sulla Faccia superiore, non vedo il motivo di tanta riluttanza da parte sua.»

«Così, avrebbe accettato solo perché lei è un matematico. È credibile? Ha parlato di matematica con lei? Ha cercato di spiegarle le sue teorie?»

«No. Ha detto che ne avremmo parlato in seguito, comunque. Era troppo preso dai suoi strumenti, allora. Ho saputo che aveva previsto un periodo di sole che invece non c’è stato, quindi sperava che dipendesse da un errore delle apparecchiature, ma a quanto pare gli strumenti funzionavano alla perfezione, una scoperta frustrante per lui. Secondo me, è stato questo sviluppo inatteso a inasprirlo e a distogliere la sua attenzione da me. Per quanto riguarda Clowzia, la ragazza che è stata con me per qualche minuto: a ripensarci, non mi pare che mi abbia fatto allontanare volutamente dal gruppo. L’iniziativa è stata mia. Mi incuriosiva la vegetazione della Faccia superiore e semmai sono stato io a trascinare Clowzia lontano dalla stazione. Leggen non l’ha affatto incoraggiata, anzi l’ha chiamata perché tornasse mentre ero ancora in vista. Poi ho continuato a camminare e mi sono dileguato.»

«Eppure,» disse Hummin che sembrava deciso a obiettare in continuazione «se quel velivolo la stava cercando, a bordo dovevano sapere che sarebbe stato là. Chi poteva averli informati, se non Leggen?»

«Io sospetto di un giovane psicologo» disse Seldon. «Si chiama Lisung Randa.»

«Randa?» fece Dors. «No, assurdo. Lo conosco. Non lavorerebbe mai per l’imperatore. È un anti-imperialista accanito.»

«Forse finge di esserlo» ribatté Seldon. «La miglior copertura per un agente imperiale è un atteggiamento di anti-imperialismo aperto, violento ed estremistico.»

«L’opposto di quel che è Randa» insistette Dors. «Non è violento, né estremista in nulla. È un tipo tranquillo e pacifico. Le sue opinioni le esprime sempre con moderazione, con timidezza quasi, e io sono convinta che sia sincero.»

«Eppure, Dors, è stato lui il primo a parlarmi del progetto meteorologico» incalzò Seldon. «È stato lui a spingermi ad andare sulla Faccia superiore, a convincere Leggen a prendermi nel gruppo, esagerando la mia bravura di matematico. Perché era così ansioso di mandarmi lassù? Perché si è dato tanto da fare? È inevitabile chiederselo.»

«Per il tuo bene, forse. Gli interessavi, Hari. Avrà pensato che la meteorologia potesse esserti utile per la psicostoria. Non è possibile?»

«Esaminiamo un altro punto» disse Hummin pacato. «C’è stato un intervallo di tempo considerevole fra il momento in cui Randa le ha parlato del progetto meteorologico e il momento in cui è salito sulla Faccia superiore. Se Randa non è coinvolto in nessuna operazione clandestina, non aveva motivo di tenere segreta la cosa. Se è un tipo cordiale e socievole...»

«Lo è» insistette Dors.

«... può darsi benissimo che ne abbia parlato con diversi amici. In tal caso, sarebbe impossibile stabilire l’identità dell’informatore. Ma andiamo avanti. Supponiamo che Randa sia in effetti un anti-imperialista. Potrebbe essere ugualmente un agente, no? Quindi dovremmo chiederci: “È un agente di chi? Per chi lavora?”.»

Seldon rimase stupefatto. «Per chi si può lavorare se non per l’impero, se non per Demerzel?»

Hummin alzò la mano. «Lei non afferra minimamente la complessità della politica trantoriana, Seldon.» E si rivolse a Dors. «Quali erano i quattro settori che Leggen ha citato come probabili basi di partenza di un velivolo meteorologico?»

«Hestelonia, Wye, Ziggoreth e Nord Damiano.»

«E lei non ha posto la domanda in modo tendenzioso? Non ha chiesto se un particolare settore potesse essere il luogo di provenienza del verti-jet?»

«No. A Leggen ho chiesto semplicemente se avesse qualche idea circa la sua provenienza.»

«E lei» Hummin si rivolse a Seldon «non ha notato per caso una sigla, delle insegne, sul velivolo?»

Seldon avrebbe voluto replicare secco che il velivolo si intravedeva appena tra le nubi, che sbucava fuori solo per pochi attimi, che lui non aveva in mente nessuna sigla, solo la fuga e la salvezza, ma si trattenne. Erano cose che Hummin senza dubbio sapeva.

Si limitò a rispondere: «Purtroppo, no».

«Se il verti-jet era impegnato in una missione di rapimento,» osservò Dors «forse le insegne erano state mascherate, no?»

«Può darsi» convenne Hummin. «Stando alla logica dovrebbe essere così, ma in questa galassia non sempre la razionalità trionfa. Comunque, dato che Seldon non ha notato alcun particolare del velivolo, non ci resta che fare delle congetture. Io sto pensando a Wye.»

«Cosa?» fece Seldon.

«W-y-e. È il nome di un settore di Trantor. Un settore molto particolare. Da circa tremila anni è governato da una stirpe di sindaci, una stirpe ininterrotta che appartiene a un’unica dinastia. Cinquecento anni fa due imperatori e un’imperatrice della Casa di Wye hanno occupato il trono imperiale. È stato un periodo relativamente breve e nessuno dei sovrani di Wye si è distinto o si è rivelato particolarmente brillante, ma i sindaci di Wye non hanno mai dimenticato questo passato imperiale.

«Non sono stati apertamente ostili nei confronti dei casati imperiali che si sono succeduti in seguito, ma neppure hanno mostrato un atteggiamento di aperta collaborazione. Nei periodi di guerra civile sono rimasti più o meno neutrali, compiendo mosse che sembravano fatte apposta per prolungare la guerra. In questo modo, pensavano, il ricorso a Wye per cercare un compromesso sarebbe stato inevitabile. In realtà è un sistema che non ha mai funzionato, eppure non hanno smesso di tentare.

«L’attuale sindaco di Wye è molto in gamba. Ormai è vecchio, ma la sua ambizione è sempre grande. Se succederà qualcosa a Cleon, anche in caso di morte naturale, il sindaco potrà farsi avanti e puntare alla successione prevalendo sul figlio troppo giovane dell’imperatore. Il pubblico della galassia sarà sempre leggermente parziale verso un pretendente con un passato imperiale.

«Dunque, se il sindaco di Wye ha sentito parlare di lei, potrebbe volerla usare come profeta scientifico e favorire il suo casato. Rientrerebbe nella politica di Wye cercare di provocare la scomparsa opportuna di Cleon e poi servirsi di lei per predire la successione inevitabile di Wye e l’avvento di secoli e secoli di pace e prosperità. Naturalmente, quando il sindaco di Wye sarà sul trono e lei non gli sarà più utile, potrebbe benissimo raggiungere Cleon nella tomba.»

Seldon ruppe il silenzio sinistro che seguì dicendo: «Ma noi non sappiamo se sia questo sindaco di Wye a darmi la caccia».

«No. Come non sappiamo se qualcuno le stia dando veramente la caccia, in questo momento. In fin dei conti, forse il verti-jet era solo un normale velivolo per rilevamenti meteorologici, proprio come ha detto Leggen. Tuttavia, man mano che le voci riguardo alla psicostoria e al suo potenziale si diffonderanno, il che è inevitabile, un numero sempre maggiore di personaggi più o meno potenti di Trantor e altri luoghi vorrà sfruttare le sue doti.»

«Allora, che cosa dobbiamo fare?» chiese Dors.

«Già, questo è il problema.» Hummin meditò per un po’, poi disse: «Forse è stato un errore venire qui. Trattandosi di un professore, è fin troppo probabile che il nascondiglio scelto sia una università. Quella di Streeling è una delle tante, ma è fra le più importanti e più libere, quindi non passerà molto tempo prima che da diversi punti comincino ad allungarsi fin qui dei sensori a tastare il terreno con discrezione. Secondo me, dovremmo trasferire Seldon in un nascondiglio migliore, il più presto possibile. Anche oggi. Ma...».

«Ma?» ripeté Seldon.

«Non so dove.»

«Faccia comparire un dizionario geografico sullo schermo del computer e scelga un posto a caso» suggerì Seldon.

«Nemmeno per sogno. Forse troveremmo un posto più sicuro della media, ma avremmo pari probabilità di trovarne uno meno sicuro. No, dev’essere una scelta ragionata. Bisogna arrivarci con la logica. In qualche modo.»

32

Rimasero chiusi nell’alloggio di Seldon fino a dopo pranzo. Hari e Dors di tanto in tanto parlarono sottovoce di argomenti banali, Hummin invece restò quasi sempre in silenzio. Mangiò poco, sedendo ben eretto, e sul suo volto serio (che secondo Seldon lo faceva apparire più vecchio) aleggiava un’espressione calma e assorta.

Seldon immaginò che fosse impegnato a esaminare mentalmente l’enorme geografia di Trantor, in cerca di una località adatta. Non doveva essere un compito facile.

Helicon, il pianeta di Seldon, era leggermente più grande di Trantor e aveva un oceano più piccolo. La superficie heliconiana calpestabile superava forse del dieci per cento quella trantoriana, ma Helicon era scarsamente popolato, ospitando soltanto qualche città sparsa qua e là; Trantor invece era un’unica città. Mentre Helicon era diviso in venti settori amministrativi, Trantor ne aveva più di ottocento e ognuno di essi era a sua volta un complesso di sottosezioni.

Alla fine, in preda allo sconforto, Seldon disse: «Hummin, forse converrebbe scegliere, tra i personaggi che aspirano a servirsi delle mie presunte doti, quello meno malvagio, consegnarmi a lui e fare assegnamento sulle sue forze perché mi difenda dagli altri».

Hummin sollevò lo sguardo e ribatté serissimo: «Non è necessario. Conosco il personaggio meno malvagio e lei è già in mano sua».

Seldon sorrise. «Si colloca sullo stesso piano del sindaco di Wye e dell’imperatore della galassia?»

«Come posizione, no. In quanto a desiderio di controllarla, certamente. Loro, tuttavia, loro e qualsiasi altro concorrente, la vogliono per rafforzare la ricchezza e il potere personali. Io invece non ho ambizioni, a me preme soltanto il bene della galassia.»

Seldon osservò sarcastico: «Ho l’impressione che ognuno dei suoi rivali, se glielo chiedesse, giurerebbe di avere in mente soltanto il bene della galassia».

«Senza dubbio. Finora, comunque, l’unico mio rivale che lei abbia incontrato è l’imperatore, al quale interessavano predizioni false per stabilizzare la dinastia. Io non le chiedo nulla del genere. Voglio solo che perfezioni la tecnica psicostorica in maniera tale che sia possibile fare delle previsioni matematicamente valide, anche solo di tipo statistico.»

«È vero. Finora, almeno» disse Seldon con un mezzo sorriso.

«E a questo punto, tanto vale che glielo chieda. Come procede il lavoro? Qualche progresso?»

Seldon non sapeva se ridere o infuriarsi. Attese un istante, dopo di che riuscì a parlare con calma. «Progressi? In meno di due mesi? Hummin, è un’impresa che potrebbe tranquillamente impegnare me per tutta la vita e per chissà quanto tempo i prossimi dieci successori. Nonostante gli sforzi, tutto potrebbe concludersi in un insuccesso.»

«Non parlo di qualcosa di definitivo come una soluzione e nemmeno di qualcosa di promettente come l’inizio di una soluzione. Ha detto chiaro e tondo, diverse volte, che una psicostoria applicata è possibile ma inattuabile. Le chiedo solo se adesso le sembra di intravedere qualche speranza circa l’attuabilità della sua disciplina.»

«Francamente, no.»

«Scusate» intervenne Dors. «Non sono un’esperta di matematica, quindi spero che la mia non sia una domanda sciocca. Come fai a sapere che una cosa è nel medesimo tempo possibile e inattuabile? Ti ho sentito dire che, in teoria, potresti incontrare di persona e salutare tutti gli abitanti dell’impero, ma che non è un’impresa attuabile perché non potresti vivere abbastanza a lungo da completarla. Ma come fai a stabilire che questo vale anche per la psicostoria?»

Seldon guardò Dors piuttosto incredulo. «Vuoi che te lo spieghi?»

«Sì.» Dors annuì energicamente scuotendo i riccioli.

«Anch’io lo vorrei» disse Hummin.

«Senza matematica?» chiese Seldon abbozzando un sorrisetto.

«Sì, grazie» disse Hummin.

«Bene.» Seldon si concentrò per scegliere un metodo d’esposizione. Poi iniziò: «Se si vuole capire un aspetto dell’universo, è utile semplificarlo il più possibile e occuparsi solo delle proprietà e delle caratteristiche essenziali alla comprensione. Se si vuole studiare la caduta di un oggetto, non si sta a guardare se è nuovo o vecchio, rosso o verde, se ha odore o è inodore. Si eliminano questi elementi, e così non si complica inutilmente il problema. La semplificazione, chiamata anche modello o simulazione, può essere rappresentata in modo reale sullo schermo di un computer oppure come relazione matematica. Se prendiamo la teoria primitiva della gravitazione non-relativistica...».

Dors lo interruppe subito. «Avevi promesso di lasciar stare la matematica. Non cercare di infilarla nel discorso chiamandola “primitiva”.»

«No, no. “Primitiva” nel senso che è conosciuta da tempo immemorabile, che la sua scoperta si perde nelle nebbie dell’antichità come quella del fuoco o della ruota. Comunque, le equazioni di questa teoria gravitazionale contengono una descrizione dei movimenti di un sistema planetario, di una stella doppia, delle maree e di molte altre cose. Utilizzando queste equazioni, possiamo perfino allestire una simulazione visiva e osservare su uno schermo bidimensionale un pianeta che orbita intorno a una stella o due stelle in orbita reciproca, oppure possiamo ricreare sistemi più complessi con un ologramma tridimensionale. È molto più facile capire un fenomeno mediante tali simulazioni semplificate che studiando il fenomeno stesso. Infatti, senza le equazioni gravitazionali la nostra conoscenza del moto planetario e della meccanica celeste in generale sarebbe davvero scarsa.

«Ora, via via che si vuole conoscere sempre più a fondo un fenomeno o via via che la complessità di un fenomeno aumenta si ha bisogno di un numero sempre più grande di equazioni elaborate, di una programmazione sempre più minuziosa, e alla fine ci si ritrova con una simulazione computerizzata sempre più difficile da comprendere.»

«Non si può ricorrere a una simulazione della simulazione?» chiese Hummin. «Si scenderebbe di un livello.»

«In questo caso bisognerebbe eliminare alcune caratteristiche basilari del fenomeno, e la simulazione diventerebbe inutile. La MSP, cioè la “minima simulazione possibile”, acquista complessità più velocemente dell’oggetto simulato e alla fine arriva allo stesso livello del fenomeno. Così, migliaia di anni fa è stato dimostrato che l’universo inteso globalmente, cioè nella sua totale complessità, non può essere rappresentato da una simulazione più piccola dell’universo stesso.

«In altre parole, non si può avere un quadro dell’universo considerato nel suo insieme se non studiando l’universo intero. È stato dimostrato inoltre che, se in sostituzione si cerca di usare delle simulazioni di una piccola parte dell’universo, poi di un’altra piccola parte e così via, per metterle assieme alla fine e formare un quadro globale, ci si accorge che esiste un numero infinito di queste simulazioni parziali. Quindi occorrerebbe un periodo di tempo infinito per capire pienamente l’universo, il che equivale a dire che è impossibile acquisire tutta la conoscenza che c’è.»

«Finora ho capito» disse Dors in tono leggermente sorpreso.

«Bene, allora. Sappiamo che alcune cose relativamente semplici sono facili da simulare, che man mano che le cose si complicano diventa sempre più difficile simularle e che a un certo punto qualsiasi simulazione è impossibile. Ma a quale livello di complessità la simulazione diventa impossibile? Be’, con una tecnica matematica inventata in quest’ultimo secolo e utilizzabile a malapena anche disponendo di un computer molto grande e velocissimo, io ho dimostrato che la nostra società galattica non arriva a quel livello critico di complessità. Può essere rappresentata da una simulazione più semplice della società galattica stessa. E ho dimostrato che di conseguenza è possibile predire gli eventi futuri statisticamente, cioè determinando la probabilità di varie serie di eventi e non predicendo con certezza assoluta che una certa serie si verificherà.»

«Quindi,» disse Hummin «dal momento che può simulare in modo efficace la società galattica, si tratta solo di farlo. Perché sarebbe inattuabile?»

«Io ho dimostrato soltanto che per capire la società galattica non è necessario un periodo di tempo infinito, ma, se è necessario un miliardo di anni, ecco che resta comunque un’impresa inattuabile. Per noi un miliardo di anni e l’eternità sono la stessa cosa.»

«Un miliardo di anni? Ci vorrebbe così tanto?»

«Non sono stato in grado di calcolare quanto tempo ci vorrebbe, ma sono convinto che ci vorrebbe almeno un miliardo di anni. Ecco perché ho parlato di questa cifra.»

«Ma non lo sa con sicurezza.»

«Ho provato a calcolarlo.»

«Senza successo?»

«Senza successo.»

«La biblioteca dell’università non le è di alcun aiuto?» domandò Hummin lanciando un’occhiata a Dors.

Seldon scosse il capo lentamente. «No, nessuno.»

«Dors non può aiutarla?»

Dors sospirò. «È una materia di cui non so nulla, Chetter. Posso solo suggerire dei metodi di ricerca. Se Hari cerca e non trova, non so proprio cosa fare.»

Hummin si alzò. «In tal caso, non ha molto senso rimanere qui all’università, e devo pensare a un altro posto dove nasconderla.»

Seldon si sporse e gli toccò la manica. «Avrei un’idea, comunque.»

Hummin lo fissò socchiudendo gli occhi: un’espressione che avrebbe potuto esprimere sorpresa o sospetto. «Quando le è venuta questa idea? Adesso?»

«No. Mi ronzava in testa da qualche giorno, prima che andassi sulla Faccia superiore. Quell’episodio me l’ha fatta dimenticare per un po’, ma quando ha parlato della biblioteca il ricordo è riaffiorato.»

Hummin tornò a sedere. «Mi dica la sua idea, sempre che non sia una cosa completamente infarcita di matematica.»

«No, niente matematica. Ecco, leggendo un po’ di storia nella biblioteca mi è venuto in mente che in passato la società galattica era meno complessa. Dodicimila anni fa, quando l’impero si stava costituendo, la galassia conteneva solo una decina di milioni di mondi abitati. Ventimila anni fa, i regni pre-imperiali comprendevano solo una decina di migliaia di mondi complessivamente. Spingendosi ancora di più nel passato, chissà fino a che punto si restringe la società? Può darsi che si arrivi a un unico mondo, Hummin, come nelle leggende di cui mi ha parlato una volta.»

«Secondo lei,» disse Hummin «potrebbe riuscire a perfezionare la psicostoria occupandosi di una società galattica molto più semplice?»

«Sì, può darsi.»

«Già. Pensa!» esclamò Dors assalita da un improvviso entusiasmo. «Supponiamo che tu elabori la psicostoria di una società passata più piccola e che tu possa fare delle predizioni basandoti su uno studio della situazione pre-imperiale indicando cosa potrebbe accadere mille anni dopo la formazione dell’impero. Be’, in seguito potresti controllare la situazione reale di quel periodo e verificare l’esattezza delle tue predizioni.»

Hummin commentò con freddezza: «Dal momento che conoscerebbe in anticipo la situazione dell’anno 1000 dell’Era galattica, non sarebbe un test molto attendibile. Inconsciamente, sarebbe condizionato dalle sue conoscenze precedenti, e alle sue equazioni assegnerebbe valori ben precisi, così da pervenire alla soluzione già nota».

«Non credo» lo contraddisse Dors. «Non conosciamo molto bene la situazione del 1000 E.G. e dovremmo scavare a fondo. Dopotutto, sono passati undici millenni.»

Il volto di Seldon si trasformò in una maschera di costernazione. «Cosa vorresti dire? Non conosciamo molto bene la situazione del 1000 E.G.? C’erano i computer allora, vero, Dors?»

«Certo.»

«E banche dati e registrazioni audio e video, no? Dovremmo avere tutti i documenti del 1000 E.G., come abbiamo quelli di quest’anno, il 12.020 E.G.»

«In teoria sì, ma in pratica è come continui a dire tu, Hari. È possibile avere tutti i documenti e i dati del 1000 E.G., ma essere qualcosa di praticamente irrealizzabile.»

«Già, ma quello che io continuo a ripetere, Dors, si riferisce a dimostrazioni matematiche. Non vedo come possa valere per dei documenti storici.»

In atteggiamento difensivo, Dors spiegò: «I documenti non durano in eterno, Hari. Le banche dati possono essere distrutte o cancellate in seguito a qualche conflitto, o possono semplicemente deteriorarsi col tempo. Ogni bit di memoria, ogni registrazione che non viene utilizzata per molto tempo, alla fine svanisce nel rumore puro. Dicono che un terzo dei documenti della biblioteca imperiale sia assolutamente incomprensibile, ma naturalmente la tradizione non permette che vengano tolti. Altre biblioteche sono meno legate alla tradizione. Nella biblioteca dell’Università di Streeling, ogni dieci anni scartiamo il materiale inutile.

«Certo, i documenti consultati spesso ed esistenti in più copie su vari mondi e in varie biblioteche, governative e private, rimangono abbastanza chiari per migliaia di anni, così molti punti essenziali della storia galattica sono tuttora noti anche se si tratta di eventi che risalgono all’epoca pre-imperiale. A ogni modo, più si va indietro, più diminuisce il materiale conservato».

«Non riesco a crederci» disse Seldon. «Non bisognerebbe fare copie del materiale che rischia di deteriorarsi? Come avete potuto permettere che la conoscenza scomparisse così?»

«La conoscenza indesiderata è conoscenza inutile» rispose Dors. «Prova a pensare al tempo, agli sforzi e all’energia che si sprecherebbero per risistemare in continuazione i dati inutilizzati. E lo spreco aumenterebbe sempre più col passare del tempo.»

«Ma qualcuno un giorno o l’altro potrebbe aver bisogno dei dati eliminati con tanta disinvoltura, no?»

«Magari una volta sola in mille anni. Salvare tutto quanto in previsione di un’esigenza del genere non è economico. Nemmeno in campo scientifico. Hai parlato della teoria gravitazionale primitiva e hai detto che è primitiva perché la sua scoperta si perde nelle nebbie dell’antichità. Come mai? Voi scienziati, voi matematici, non avete conservato tutti i dati, tutte le informazioni, arrivando fino al periodo nebuloso e remoto della scoperta di tale teoria?»

Seldon emise un gemito e non tentò neppure di ribattere. Disse invece: «Be’, Hummin, la mia idea è già da buttare. Basandoci sul passato, e quindi su una società più piccola, avremmo maggiori probabilità di impiego della psicostoria. Ma le conoscenze storiche necessarie diminuiscono ancora più in fretta delle dimensioni della società, quindi diminuiscono anche le probabilità di impiego della psicostoria. Non si riesce a trovare il giusto equilibrio».

«A dire il vero, ci sarebbe il settore di Micogeno» fece Dors meditabonda.

Hummin sollevò subito lo sguardo. «È vero, e sarebbe il posto ideale per Seldon. Avrei dovuto pensarci.»

«Il settore di Micogeno» ripeté Hari guardando i due. «Cos’è e dov’è?»

«Per favore, Hari, glielo dirò dopo. Adesso devo occuparmi dei preparativi. Partirà questa notte.»

33

Dors aveva insistito perché Seldon dormisse un po’. Sarebbero partiti verso la metà del periodo compreso tra l’inizio dell’oscuramento e la riaccensione, col favore delle “tenebre notturne”, mentre il resto dell’università dormiva. E Dors voleva che Seldon riposasse ancora un po’.

«Per farti dormire di nuovo sul pavimento?» chiese Seldon.

Lei alzò le spalle. «Questo letto è per una sola persona. Se cercassimo di stringerci per starci in due, difficilmente riusciremmo a dormire.»

Seldon la guardò per un attimo con espressione vogliosa, poi disse: «Allora, questa volta dormo io sul pavimento».

«No. Sei tu quello che è rimasto in coma sotto la neve.»

Alla fine, non dormì nessuno dei due. Anche se oscurarono la stanza, anche se il ronzio perpetuo di Trantor era solo un brusio soporifero nei confini relativamente tranquilli dell’università, Seldon non poté fare a meno di parlare.

«Dors, sono stato una bella seccatura per te, qui all’università. Ti ho perfino distolto dal lavoro ma mi spiace lasciarti.»

«Non mi lascerai. Vengo con te, Hari. Hummin ha richiesto un periodo di aspettativa per me.»

Sgomento, Seldon disse: «Non posso chiederti di fare una cosa simile!».

«Infatti, è Hummin a chiedermelo. Devo sorvegliarti. In fin dei conti, ho fallito nel caso dell’incidente sulla Faccia superiore e ora devo riparare.»

«Te l’ho detto, non devi sentirti in colpa per quella storia. Comunque, ammetto che mi sentirei più tranquillo con te al mio fianco. Se solo potessi essere sicuro di non interferire nella tua vita.»

«Nessuna interferenza, Hari. Per favore, dormi» disse Dors sottovoce.

Seldon restò in silenzio per un po’, poi mormorò: «Sei sicura che Hummin possa davvero provvedere a qualsiasi cosa?».

«È un uomo eccezionale. Ha una certa influenza qui all’università e da qualsiasi altra parte, credo. Se dice che può ottenere un periodo di aspettativa per un periodo di tempo indeterminato, significa che è in grado di farlo. È un tipo molto persuasivo.»

«Lo so. A volte mi chiedo che cosa voglia realmente da me.»

«Quel che dice di volere. È un uomo pieno di grandi ideali e di sogni.»

«Da come parli, si direbbe che tu lo conosca bene, Dors.»

«Oh, sì. Lo conosco bene.»

«Una conoscenza intima?»

Dors emise uno strano brontolio. «Non so di preciso cosa tu stia insinuando, Hari, ma prendiamo pure l’interpretazione più insolente. No, non lo conosco “intimamente”. In ogni caso, sarebbero affari tuoi?»

«Scusa. Solo che non volevo, inavvertitamente, sconfinare nella...»

«Proprietà di un altro? Questo è ancora più offensivo. È meglio che tu dorma, secondo me.»

«Oh, scusa, mi spiace, Dors, non riesco proprio a dormire. Lascia almeno che cambi argomento. Non mi hai spiegato cos’è il settore di Micogeno. Perché è un posto che va bene per me? Com’è?»

«È un piccolo settore, con una popolazione di appena un paio di milioni di abitanti, se ben ricordo. Vedi, i micogenesi sono molto legati a una serie di tradizioni storiche degli albori della storia, e pare che posseggano documenti molto antichi di cui non dispone nessun altro. Nel tuo esame del periodo pre-imperiale, forse loro ti saranno più utili di qualsiasi storico ortodosso. A furia di parlare di storia antica, mi è venuto in mente quel settore.»

«Hai mai visto i loro documenti?»

«No. Non conosco nessuno che li abbia visti.»

«Sei sicura che esistano davvero?»

«No, non sono in grado di dirlo. Per i trantoriani in genere, i micogenesi sono solo un branco di matti, ma forse è un’opinione ingiusta. Quel che è certo è che loro affermano di averli, quindi può darsi che li abbiano. In ogni caso, là saremo ben nascosti. I micogenesi vivono molto isolati. E adesso, per favore, dormi.»

E Seldon, in qualche modo, alla fine si addormentò.

34

Hari Seldon e Dors Venabili lasciarono la zona universitaria alle 3.00. Il ruolo di guida spettava senza dubbio a Dors, si rese conto Seldon. Conosceva Trantor meglio di lui, avendo due anni in più di esperienza. Era evidentemente un’amica intima di Hummin (intima, quanto?, quella domanda continuava ad assillarlo) e capiva le sue istruzioni.

Sia Dors sia Seldon indossavano ampi mantelli leggeri dal cappuccio attillato. Alcuni anni prima quell’abbigliamento era in voga all’università e tra i giovani intellettuali in genere, anche se si trattò di una moda passeggera; adesso avrebbe potuto suscitare delle risate, ma aveva il vantaggio di coprirli bene e di renderli irriconoscibili, almeno a un’occhiata frettolosa.

«Può darsi che l’incidente sulla Faccia superiore» aveva detto Hummin «sia stato fortuito e che non ci siano agenti sulle sue tracce, Seldon, ma è meglio essere preparati al peggio.»

«Non viene con noi?» aveva chiesto Seldon ansioso.

«Mi piacerebbe, ma devo limitare la mia assenza sul lavoro se non voglio diventare anch’io un bersaglio. Capisce?»

Seldon aveva sospirato. Sì, capiva.

Salirono su una vettura dell’Espressovia e si sedettero il più lontano possibile dalle poche persone già a bordo. (“Come mai c’era gente sull’Espressovia alle tre di notte?” si chiese Seldon. Poi concluse che era un bene che ci fosse qualcuno, altrimenti lui e Dors avrebbero dato troppo nell’occhio.)

Seldon cominciò a guardare il panorama che scorreva di lato mentre l’interminabile fila di vetture avanzava lungo l’interminabile monorotaia su un interminabile campo elettromagnetico.

L’Espressovia attraversava file e file di complessi residenziali, di cui pochi erano molto alti, anche se alcuni, per quanto ne sapeva Seldon, parecchio profondi. Comunque, con decine di milioni di chilometri quadrati completamente urbanizzati, nemmeno quaranta miliardi di persone avrebbero avuto bisogno di strutture troppo alte o molto ammassate. Superarono alcune aree aperte nella maggior parte delle quali sembrava che ci fossero delle coltivazioni, ma alcune erano evidentemente dei parchi. E notarono numerose strutture di cui Seldon non era in grado di identificare la funzione. Fabbriche? Uffici? Chissà cos’erano. Un enorme cilindro anonimo gli ricordò un serbatoio idrico: in fin dei conti, Trantor doveva avere le sue riserve d’acqua. Chissà se utilizzavano la pioggia della Faccia superiore, la filtravano, la trattavano e la immagazzinavano? Gli sembrò inevitabile che lo facessero.

Non poté però ammirare il panorama a lungo.

«È quasi ora di scendere» mormorò Dors. Si alzò e gli strinse il braccio.

Poco dopo, smontati dall’Espressovia, erano fermi sul marciapiede mentre Dors studiava le indicazioni.

I cartelli indicatori erano discreti e numerosi. Seldon provò un senso di smarrimento. La maggior parte recava simboli e sigle che indubbiamente erano comprensibili ai trantoriani, ma che per lui rappresentavano un mistero.

«Da questa parte» disse Dors.

«Da che parte? Come lo sai?»

«Vedi, là? Due ali e una freccia.»

«Due ali? Oh.» Seldon le aveva scambiate per una “W” capovolta, larga e schiacciata, ma in effetti potevano essere le ali stilizzate di un uccello.

«Perché non usano le parole?» chiese imbronciato.

«Perché le parole variano da un mondo all’altro. Un aviogetto trantoriano potrebbe chiamarsi “plano” su Cinna o “sfreccio” su qualche altro pianeta. Le due ali e la freccia sono un simbolo galattico che indica un mezzo aereo, e il simbolo viene capito ovunque. Non li usate su Helicon?»

«Non molto. Helicon è un mondo piuttosto omogeneo, culturalmente parlando, e tendiamo a tenerci ben stretto il nostro modo di vivere, le nostre abitudini, perché i nostri vicini ci offuscano.»

«Vedi? Qui potrebbe intervenire la tua psicostoria. Potresti dimostrare che, nonostante i dialetti diversi, l’uso di simboli prestabiliti, a livello galattico, è una forza unificante.»

«Non servirebbe.» Seldon la seguì lungo una serie di vicoli bui e deserti: con una parte della mente si domandò quale potesse essere l’indice di criminalità su Trantor e se quella fosse un’area con un’alta percentuale di crimini. «Puoi fissare un miliardo di regole, una per ogni fenomeno, senza riuscire ugualmente a ricavare una generalizzazione. Ecco cosa intendo dire quando affermo che un sistema può essere interpretato solo mediante un modello complesso quanto il sistema stesso. Dors, siamo diretti a un aviogetto?»

Lei si fermò e si voltò a guardarlo aggrottando le sopracciglia in un’espressione divertita. «Se stiamo seguendo il simbolo dell’aviogetto, pensi che siamo diretti a un campo da golf? Hai paura di volare, come tanti trantoriani?»

«No, no. Su Helicon li usiamo tranquillamente e io lo prendo spesso. Solo che quando mi ha portato all’università, Hummin ha evitato i mezzi aerei commerciali perché pensava che avremmo lasciato una traccia troppo nitida.»

«Perché allora sapevano dov’eri e ti stavano già cercando, Hari. Adesso, invece, potrebbero non sapere dove ti trovi e per di più ci serviremo di uno scalo fuori mano e di un avio privato.»

«Chi lo piloterà?»

«Un amico di Hummin, immagino.»

«Credi che possiamo fidarci di quel tipo?»

«Se è un amico di Hummin, sicuramente.»

«Certo che hai molta stima di Hummin» commentò Seldon provando una fitta di malcontento.

«Stima motivata» ribatté Dors senza esitare minimamente. «È il migliore.»

Il malcontento di Seldon rimase intatto.

«Ecco l’aviogetto» annunciò Dors.

Era piccolo e aveva ali dalla forma strana. Accanto, c’era un ometto che sfoggiava le solite tinte sgargianti trantoriane.

«Noi siamo psico» disse Dors.

«Io sono storia» disse il pilota.

Lo seguirono a bordo, poi Seldon le chiese: «Di chi è stata l’idea della parola d’ordine?».

«Di Hummin.»

Seldon sbuffò. «Non pensavo che Hummin avesse senso dell’umorismo. È così serio.»

Dors sorrise.