SELDON, HARI ... Di solito Hari Seldon viene associato unicamente alla psicostoria ed è visto come la personificazione della matematica e del cambiamento sociale. Senza dubbio Seldon stesso incoraggiò questa concezione, tanto che nelle sue opere ufficiali non fornisce alcun accenno sul modo in cui riuscì a risolvere i problemi psicostorici. Per quanto ne sappiamo, potrebbe aver carpito le sue grandi intuizioni dall’aria. Non parla dei vicoli ciechi in cui si è imbattuto, né delle strade sbagliate che può avere imboccato.

... Della sua vita privata, possiamo solo dire che è una pagina bianca. Per quanto riguarda i suoi genitori e fratelli, disponiamo di pochissimi dati. Sappiamo che il suo unico figlio, Raych Seldon, era adottivo ma ignoriamo come sia avvenuta l’adozione. Quanto a sua moglie, sappiamo solo che è esistita. È evidente che Seldon aspirava a essere una persona invisibile tranne in campo psicostorico. Sembra che considerasse la propria esistenza (o voleva che gli altri la considerassero) non alla stregua di una vita vissuta, ma di pura psicostoricizzazione.

ENCICLOPEDIA GALATTICA

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Hummin restò impassibile, non mosse un muscolo ma continuò a guardare Seldon. E l’altro attese: adesso, pensò, toccava al suo amico parlare.

Hummin disse semplicemente: «Un robot? Io? Presumo si riferisca a un essere artificiale come l’oggetto che avete visto nel Sacratorium di Micogeno».

«Non proprio.»

«Non un essere di metallo brunito? Non un simulacro senza vita?» Nel tono di Hummin non c’era traccia di ironia.

«No, un organismo artificiale non deve essere per forza di metallo. Io parlo di un robot indistinguibile da un essere umano, almeno nell’aspetto esteriore.»

«Se è indistinguibile, Hari, come fa a stabilire in che cosa differisce?»

«Non basandomi sull’aspetto.»

«Si spieghi.»

«Come le ho detto, durante la mia fuga per sottrarmi a Demerzel, cioè a lei, ho sentito parlare di due antichi mondi: Aurora e la Terra. Entrambi venivano presentati come il primo o l’unico pianeta e in ambedue i casi si parlava di robot, ma con una differenza.»

Seldon fissava pensieroso l’uomo di fronte a sé. Chissà se avrebbe ammesso che era qualcosa di inferiore a un uomo... o di superiore?

«Nel caso di Aurora» continuò «si parlava di un robot come di un rinnegato, un traditore, qualcuno che aveva sconfessato la causa. Nel caso della Terra, il robot veniva dipinto come un eroe e un salvatore. Era troppo azzardato supporre che si trattasse dello stesso individuo?»

«Me lo dica lei» mormorò Hummin.

«Ecco cos’ho pensato. Aurora e la Terra erano due mondi diversi, coesistenti nel tempo. Non so quale dei due abbia preceduto l’altro. Dall’arroganza e dal senso di superiorità dei micogenesi si potrebbe dedurre che Aurora fosse il mondo d’origine e che i micogenesi disprezzassero per questo i terrestri loro discendenti, come una sorta di stirpe degenere.

«Tuttavia Mamma Rittah, che mi ha parlato della Terra, era convinta che fosse quest’ultima il mondo d’origine dell’umanità. E considerando la posizione isolata e trascurabile dei micogenesi in una galassia di trilioni di individui che non condividono le loro strane usanze, può darsi benissimo che la Terra fosse il mondo d’origine e Aurora il ramo aberrante. Non sono in grado di stabilirlo, ma le dico tutto questo perché comprenda le mie conclusioni.»

Hummin annuì. «Certo. Continui pure.»

«I mondi erano nemici, Mamma Rittah è stata chiara su questo punto. Confrontando i micogenesi che rappresentano Aurora e i dahliti che rappresentano la Terra, penso che Aurora, primo o secondo non ha importanza, fosse comunque il mondo più avanzato, quello in grado di produrre i robot più perfetti ed esternamente indistinguibili dagli esseri umani. Ergo, quel robot è stato progettato e costruito su Aurora. Ma era un rinnegato, così ha abbandonato il pianeta; per i terrestri era un eroe, quindi deve essersi unito alla Terra. Perché l’abbia fatto, quali fossero i suoi motivi, non sono in grado di dirlo.»

Hummin intervenne: «Ne parla come se fosse una persona anziché una macchina».

«Diciamo che, con lei di fronte a me, mi riesce difficile usare il pronome neutro. Secondo Mamma Rittah il robot-eroe esisteva ancora e sarebbe tornato quando fosse stato necessario il suo aiuto. L’idea di un automa immortale non mi è sembrata impossibile, o almeno l’idea di un automa che dura finché si provvede alla sostituzione delle parti usurate.»

«Anche il cervello?»

«Certo. Non so nulla di robot, ma immagino che il cervello vecchio si possa riversare su uno nuovo; e Mamma Rittah ha accennato a strani poteri mentali. Ho pensato: “Deve essere così. Sarò anche un ingenuo, ma non sono tanto romantico da credere che un solo robot, cambiando fazione, possa alterare il corso della storia. Un robot non può essere stato l’elemento decisivo della vittoria della Terra e della sconfitta di Aurora. A meno che non possedesse qualche strana particolarità”.»

«Hari, si rende conto che sono leggende e che forse sono state distorte per secoli, anzi millenni, modificandosi al punto da stendere un velo soprannaturale su avvenimenti del tutto normali? Un robot che, oltre ad avere un aspetto umano, vive in eterno e ha poteri mentali... Ci crede davvero? Non starà cominciando a prestar fede all’esistenza di una sfera sovrumana?»

«So benissimo cosa sono le leggende e non mi lascio ingannare dalle favole. Tuttavia, quando sono avvalorate dagli avvenimenti cui ho assistito o di cui sono stato protagonista di persona...»

«Per esempio?»

«Appena l’ho incontrata mi sono fidato di lei. Mi ha aiutato contro i due teppisti anche se non era strettamente necessario, e in questo modo si è conquistato la mia simpatia: allora non sapevo che fossero pagati da lei ed eseguissero i suoi ordini. Ma lasciamo perdere i dettagli.»

«D’accordo.» Nella voce di Hummin si coglieva una sfumatura divertita.

«Mi sono fidato di lei. Mi sono lasciato convincere facilmente a non tornare su Helicon e a vagare senza meta su Trantor. Ho creduto a tutto quello che mi ha detto senza discutere, mi sono messo nelle sue mani. Ripensandoci ora, mi rendo conto che quello non ero io. Non sono un tipo che si lascia influenzare tanto facilmente, eppure è successo senza che giudicassi strano un comportamento così insolito per me.»

«Lei si conosce meglio di chiunque altro, Hari.»

«Non si tratta solo di me. Come mai Dors Venabili, una bella donna con una carriera a cui pensare, ha abbandonato il lavoro per unirsi alla mia fuga? Perché ha messo a repentaglio la sua vita per salvarmi, dedicandosi alla mia protezione come se fosse un dovere supremo, da eseguire con devozione assoluta? Soltanto perché lei glielo ha chiesto?»

«Gliel’ho chiesto, in effetti.»

«Dors non sembra il tipo disposto a cambiare in modo radicale la propria esistenza solo perché qualcuno glielo domanda. E non potevo credere che si fosse innamorata di me a prima vista. Mi piacerebbe che fosse così, ma Dors sembra molto padrona dei suoi sentimenti, mentre io, parlando con franchezza, non lo sono altrettanto nei suoi confronti.»

«È una donna meravigliosa, la capisco» osservò Hummin.

Seldon proseguì: «Inoltre, come mai Caposole Quattordici, un mostro di arroganza, capo di un popolo altezzoso e intransigente, ha accettato di accogliere dei tribali come Dors e me, e di trattarci umanamente... almeno nei limiti consentiti dal modo di vivere micogenese? E quando abbiamo violato ogni norma, commesso tutti i sacrilegi possibili, com’è riuscito a convincerlo a lasciarci andare?

«Mi piacerebbe sapere come ha convinto i Tisalver, pieni di meschini pregiudizi, a tenerci in casa loro. Lei è un individuo che si trova a proprio agio dappertutto, è amico di tutti e influenza le persone indipendentemente dalle loro particolarità individuali: in che modo? Come riesce a manipolare Cleon? Ammettendo pure che sia un tipo malleabile e cedevole, come ha manipolato suo padre, che a detta di tutti era un tiranno duro e lunatico?

«E soprattutto, come mai Mannix IV di Wye ha impiegato anni per allestire un esercito senza pari, un’armata efficientissima e addestrata alla perfezione, per vederla disgregarsi in un attimo quando la figlia ha cercato di utilizzarla? Come ha convinto quegli uomini a rinnegare in blocco i loro capi?».

«Forse significa semplicemente che sono una persona accorta abituata ad avere a che vedere con individui di ogni tipo, che la mia posizione mi ha permesso di fare dei favori a figure importanti e mi permetterà di farne altri in futuro. Non basta, come spiegazione? Nessuna delle cose che ho fatto richiede doti soprannaturali, mi pare.»

«Nessuna? E la neutralizzazione dell’esercito di Wye?»

«Soldati che non volevano servire una donna.»

«Senza dubbio sapevano che quando Mannix avesse lasciato la carica, o fosse morto, Rashelle sarebbe diventata il nuovo sindaco, eppure fino a quando lei non l’ha deciso, non hanno dato segni di malcontento. Una volta Dors l’ha descritta come un uomo estremamente persuasivo, e lo è. Più persuasivo di qualsiasi essere umano. Ebbene, Hummin? Lei non è un robot immortale dagli strani poteri mentali?»

«Cosa si aspetta, che ammetta di essere un automa? Che ho soltanto un aspetto umano? Che sono immortale e ho eccezionali poteri mentali?»

Seldon si avvicinò a Hummin. «Voglio che mi dica la verità, e secondo me quello cui ha appena accennato lo è. Lei è il robot di cui Mamma Rittah mi ha parlato. Da-Nee, l’amico di Ba-Lee. Lo ammetta, non ha scelta.»

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Era come se fossero seduti in un piccolo universo privato. Nel cuore di Wye, mentre l’esercito ribelle veniva disarmato dalle forze imperiali, i due uomini erano seduti in silenzio. Fuori si svolgevano gli avvenimenti che tutto Trantor, forse tutta la galassia, seguiva con trepidazione, ma in una piccola bolla di isolamento Seldon e Hummin erano impegnati nel loro gioco di attacco e difesa. Il matematico cercava di imporre una nuova realtà, Hummin non faceva nulla per accettarla.

Seldon non temeva alcuna interruzione. Era sicuro che la bolla in cui si trovavano rappresentasse una barriera impenetrabile, che i poteri di Hummin, anzi del robot, avrebbero tenuto a distanza qualsiasi cosa finché la partita non fosse definitivamente conclusa.

«È un tipo ingegnoso, Hari,» disse infine Hummin «ma non capisco per quale motivo dovrei ammettere di essere un robot, per quale motivo non avrei scelta. Può darsi che tutto quello che ha detto sia vero: il suo comportamento, quello di Dors, di Caposole e dei Tisalver, la resa dei generali wyesi. Può darsi che sia andata come dice, ma questo non significa che la sua interpretazione dei fatti sia giusta. Tutto quello che è accaduto può avere una spiegazione naturale. Si è fidato di me perché ha accettato quel che ho detto; Dors si è resa conto che la sua sicurezza era importante perché ha capito l’importanza della psicostoria, dal momento che lei stessa è una storica; Caposole e Tisalver mi dovevano dei favori di cui lei non sa nulla; i generali wyesi erano contrari all’idea di essere comandati da una donna. Tutto qui. Perché dobbiamo tirare in ballo il soprannaturale?»

«Hummin, crede davvero che l’impero stia crollando? Per lei è importante cercare di intervenire in qualche modo per salvarlo o attenuare almeno la caduta?»

«Certo.» Seldon capì, chissà come, che era un’affermazione sincera.

«E vuole davvero che io sviluppi la psicostoria, perché è convinto di non poterlo fare personalmente?»

«Non ne ho la capacità.»

«Pensa che io solo sia in grado di farlo... per quanto a volte ne dubiti.»

«Appunto.»

«Quindi, se può aiutarmi in qualunque modo deve farlo. Lo pensa, vero?»

«Certo.»

«I sentimenti personali, le considerazioni egoistiche, non potrebbero influire?»

Un breve, debole sorriso comparve sul volto serio di Hummin e per un attimo Seldon percepì vasti e aridi deserti di stanchezza dietro quell’atteggiamento tranquillo. «Se ho all’attivo una lunga carriera è perché ho ignorato i sentimenti personali e le considerazioni egoistiche.»

«Allora le chiedo di aiutarmi. Posso sviluppare la psicostoria basandomi solamente su Trantor, ma incontrerò delle difficoltà. Difficoltà superabili, probabilmente, ma sarebbe tutto più semplice se conoscessi alcuni fatti chiave. Per esempio, è stata la Terra o Aurora il primo mondo dell’umanità, o invece qualche altro mondo? Che rapporto c’era fra la Terra e Aurora? La galassia è stata colonizzata da uno di quei due mondi o da entrambi? Se è stata colonizzata da un mondo, perché non dall’altro? Se da entrambi, come si è risolta la questione? Esistono mondi che discendono da entrambi i pianeti o da uno solo? Come mai i robot sono stati abbandonati? Come mai Trantor è diventato il mondo imperiale e non un pianeta come tanti? Cos’è successo nel frattempo alla Terra e ad Aurora? Potrei fare mille domande adesso e potrebbero saltarne fuori centomila procedendo con il lavoro. Se avesse le informazioni necessarie e potesse contribuire alla riuscita dell’impresa, mi lascerebbe ugualmente nell’ignoranza, compromettendo magari il successo finale?»

«Se fossi un robot, nel mio cervello ci sarebbe spazio sufficiente per ventimila anni di storia di milioni di mondi diversi?»

«Non conosco la capienza dei cervelli robotici, non conosco neppure la capienza del suo. Ma se non è sufficiente, senza dubbio i dati che non può contenere saranno registrati da qualche parte in maniera tale da essere accessibili all’occorrenza. E se ha questi dati e io ne ho bisogno, come può negarmeli e tenermeli nascosti? E se non può negarmeli, come nascondermi di essere un robot, quel robot, cioè il Rinnegato?» Seldon si appoggiò allo schienale della sedia, respirando a fondo. «Quindi le chiedo ancora: è un robot? Se vuole la psicostoria, deve ammetterlo. Se continuerà a negare di esserlo e se mi convincerà che non lo è, le mie probabilità di sviluppare con successo la psicostoria si ridurranno moltissimo. Dipende da lei. Lei è un robot? Lei è Da-Nee?»

Hummin, imperturbabile come sempre, disse: «Le sue argomentazioni sono irrefutabili. Sono R. Daneel Olivaw. La “R” sta per “robot”».

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R. Daneel Olivaw continuò a parlare con tono sommesso, ma a Seldon parve di cogliere un lieve cambiamento nel tono di voce, come se ora che non doveva più recitare una parte parlasse più liberamente.

«In ventimila anni» disse Daneel «nessuno ha capito che ero un robot, se non quando sono stato io a volere che si sapesse. In parte perché gli esseri umani hanno abbandonato i robot da tanto tempo che pochissimi ricordano la loro esistenza; in parte perché in effetti ho la capacità di individuare e influenzare emozioni e sentimenti umani. L’individuazione non rappresenta un problema, ma pur potendolo fare quando voglio, non mi è facile influenzare i sentimenti: i motivi sono legati alla mia natura robotica. Ne possiedo la facoltà ma devo fare i conti con la mia volontà di usarla. Cerco di non interferire, se non quando non ho alternativa. E quando intervengo, quasi sempre mi limito a rafforzare, il meno possibile, qualcosa che è già presente. Se posso raggiungere lo scopo evitando anche questo minimo intervento, bene, preferisco così.

«Non è stato necessario influenzare Caposole Quattordici per convincerlo ad accogliervi, e la chiamo influenza perché non è una cosa piacevole. Non ho dovuto manomettere la sua mente, perché Caposole mi doveva dei favori ed è un uomo onorevole nonostante le stranezze che ha notato in lui. Invece ho dovuto influenzarlo la seconda volta, dopo che avevate commesso quella che per lui era un’azione sacrilega, ma si è trattato di un intervento di lievissima entità. Non era ansioso di consegnarvi alle autorità imperiali, per le quali non nutre una grande simpatia. Mi sono limitato a rafforzare un po’ quell’antipatia e lui vi ha affidati a me, accettando le mie argomentazioni che altrimenti forse gli sarebbero sembrate speciose.

«E non ho influenzato molto nemmeno lei. Già diffidava degli imperiali, come oggigiorno la maggior parte degli esseri umani, il che è un fattore importante nel decadimento e deterioramento dell’impero. Inoltre, era fiero del concetto di psicostoria, era orgoglioso di aver partorito quell’idea; non le sarebbe dispiaciuto dimostrare la sua applicabilità pratica. La cosa l’avrebbe resa ancora più fiero.»

Seldon corrugò la fronte. «Scusi, signor robot, ma non mi sembra di essere un mostro d’orgoglio.»

«Non lo è» disse Daneel pacato. «Sa benissimo che non è né ammirevole né utile lasciarsi guidare da sentimenti del genere, così cerca di frenarne la spinta... ma è come se non volesse considerare il battito cardiaco quale elemento base del suo funzionamento. Sono due cose inevitabili. Anche se minimizza il suo orgoglio per stare in pace con se stesso, a me non può nasconderlo. C’è, per quanto lo mascheri con cura. Mi è bastato rafforzarlo un po’ ed è stato pronto a prendere dei provvedimenti per sottrarsi a Demerzel, provvedimenti ai quali un attimo prima si sarebbe opposto. È diventato ansioso di sviluppare la psicostoria, mentre un desiderio tanto intenso le sarebbe sembrato assurdo poco prima.

«Non ho ritenuto necessario intervenire su altre cose, così ha dedotto la mia natura robotica. Se avessi previsto questa possibilità, forse avrei impedito che accadesse, ma la mia previdenza e le mie capacità non sono illimitate. E non mi dispiace di aver trascurato questa possibilità, perché le sue argomentazioni sono valide ed è importante che lei sappia chi sono e che io sfrutti le mie doti per aiutarla.

«Le emozioni, caro Seldon, influenzano moltissimo il comportamento umano, ben più di quanto si immagini. Non ha idea di quanto si possa ottenere con un piccolissimo tocco e di quanto io sia riluttante a intervenire.»

Seldon respirava con affanno; cercava di vedersi come un uomo spinto dall’orgoglio e la cosa non gli piaceva. «Perché riluttante?»

«Perché è facilissimo eccedere. Dovevo impedire a Rashelle di trasformare l’impero in un’anarchia feudale. Avrei potuto alterare le menti rapidamente e, come conseguenza, avremmo potuto avere benissimo una ribellione sanguinosa. Gli uomini sono uomini e i generali wyesi sono quasi tutti maschi. In realtà è abbastanza facile risvegliare il risentimento e la paura latente delle donne. Può darsi si tratti di un fatto biologico che io, in quanto robot, non sono in grado di capire appieno.

«Ho dovuto solo rafforzare questo sentimento per far crollare i piani di Rashelle. Se avessi esagerato di un millimetro, non avrei ottenuto quel che volevo, un rovesciamento incruento. A me bastava fare in modo che i wyesi non opponessero resistenza all’arrivo dei miei soldati.»

Daneel fece una pausa, come se cercasse di scegliere bene le parole, quindi proseguì: «Non intendo approfondire gli aspetti matematici del mio cervello positronico. Sono cose che non sono in grado di capire, anche se lei potrebbe riuscirci, se avesse il tempo di esaminarle. Comunque, sono governato dalle tre Leggi della Robotica che di solito vengono espresse, o meglio venivano espresse tanto tempo fa, nel modo seguente:

«Prima Legge. Un robot non può fare del male a un essere umano o, a causa del proprio mancato intervento, permettere che un essere umano riceva danno.

«Seconda Legge. Un robot deve obbedire agli ordini ricevuti dagli esseri umani, a meno che tali ordini non contrastino con la Prima Legge.

«Terza legge. Un robot deve proteggere la propria esistenza, a meno che tale protezione non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

«Ma avevo un amico, ventimila anni fa. Un robot diverso da me, era impossibile scambiarlo per un essere umano, eppure era lui ad avere i poteri mentali ed è stato grazie a lui che ho acquisito i miei.

«Secondo questo amico, doveva esserci una norma ancora più generale delle Tre Leggi. L’ha chiamata Legge Zero, dal momento che lo zero precede l’uno. È questa:

«Legge Zero. Un robot non può fare del male all’umanità o, a causa del proprio mancato intervento, permettere che l’umanità riceva danno.

«Dunque la Prima Legge deve essere completata in questo modo: Un robot non può fare del male a un essere umano o, a causa del proprio mancato intervento, permettere che un essere umano riceva danno, a meno che questo non contrasti con la Legge Zero. Le altre leggi devono essere modificate di conseguenza, sono stato chiaro?».

Daneel si interruppe e Seldon annuì. «Capisco.»

Daneel proseguì: «Il problema, Hari, è che è piuttosto facile identificare un essere umano, lo si può indicare con un dito. È relativamente facile vedere cosa danneggerà o no un singolo vivente, ma cos’è l’umanità? Cosa possiamo indicare quando ne parliamo e in che modo si può definire un danno al genere umano? Quando un’azione farà più bene che male all’umanità presa globalmente, e in che modo si può stabilirlo? Il robot artefice della Legge Zero è morto, o per meglio dire è stato disattivato permanentemente perché costretto a compiere un’azione che a suo giudizio avrebbe salvato l’umanità, ma non poteva averne la certezza. E disattivandosi ha affidato la responsabilità della galassia a me.

«Da allora, io ho provato. Ho interferito il meno possibile, confidando che fossero gli stessi uomini a giudicare cosa fosse il bene. Loro potevano rischiare di mancare i propri obiettivi, io non osavo farlo. Potevano farsi del male involontariamente, ma se io l’avessi fatto mi sarei disattivato. La Legge Zero non tiene conto del “male involontario”.

«Nonostante questo, a volte sono costretto a intervenire. Il fatto che sia ancora in funzione dimostra che le mie azioni sono state moderate e discrete. Comunque, quando l’impero ha cominciato a indebolirsi e a decadere, ho dovuto interferire più spesso e ormai da decenni sono costretto a recitare la parte di Demerzel, cercando di dirigere il governo in maniera tale da tenere lontana la rovina. Pure, come vede, funziono ancora.

«In occasione del suo discorso al Convegno decennale ho capito subito che la psicostoria rappresentava uno strumento grazie al quale forse sarebbe stato possibile identificare cosa fosse bene o meno per l’umanità. Con la psicostoria si sarebbero prese decisioni meno alla cieca: le avrei lasciate addirittura agli esseri umani, riservandomi di intervenire solo in casi di grave emergenza. Così, ho fatto sì che Cleon venisse a sapere del suo discorso e la convocasse. Poi, quando l’ho sentita negare il valore della psicostoria, ho dovuto escogitare il modo di spingerla ugualmente a tentare. Capisce, Hari?»

Piuttosto scosso, Seldon disse: «Capisco».

«Per lei, le rare volte che potrò vederla devo rimanere Hummin. Le darò le informazioni che ho se ne avrà bisogno, e nella mia veste di Demerzel la proteggerò il più possibile. Non dovrà mai riferirsi a me come Daneel.»

«Non lo farei mai» si affrettò a rassicurarlo Seldon. «Dal momento che mi occorre il suo aiuto, ostacolare i suoi piani significherebbe guastare le cose.»

«Sì, so che non lo farebbe.» Daneel sorrise stancamente. «In fin dei conti, lei è abbastanza vanitoso da volere tutto il merito della psicostoria. Guai se si sapesse che ha avuto bisogno dell’aiuto di un robot.»

Seldon arrossì. «Non sono...»

«Lo è, anche se lo nasconde attentamente a se stesso. Ed è importante, perché sto rafforzando in modo leggerissimo questo sentimento, così che non riesca a rivelare il mio segreto ad altri. Non le verrà neppure in mente.»

«Ho il sospetto che Dors sappia.»

«Sa di me e anche lei non può parlarne. Ora che conoscete tutti e due la mia vera natura, potrete discuterne fra di voi liberamente, ma non con nessun altro.»

Daneel si alzò. «Ora devo pensare al mio lavoro. Fra non molto, lei e Dors sarete riportati al settore imperiale.»

«Raych, il ragazzo, deve venire con me. Non posso abbandonarlo, e c’è un giovane dahlita che si chiama Yugo Amaryl...»

«Capisco, verrà anche Raych. Quanto ai suoi amici si comporti come meglio crede, ci prenderemo cura di tutti e lei lavorerà alla psicostoria. Avrà una squadra, il materiale di consultazione e i computer necessari. Io interferirò il meno possibile e, se le sue idee incontreranno resistenze che non arrivino al punto di compromettere la missione, dovrà occuparsene personalmente.»

«Aspetti, Hummin. E se, nonostante il suo aiuto e i miei sforzi, salterà fuori che la psicostoria non può essere trasformata in uno strumento pratico? Se fallirò?»

«In questo caso ho un secondo piano. Ci sto lavorando da tempo, in modo diverso e su un altro mondo. Un progetto difficile, per certi aspetti ancora più radicale della psicostoria. Può fallire a sua volta, ma con due strade aperte aumentano le probabilità di successo. Le do un consiglio, Hari: se un giorno riuscirà a mettere a punto lo strumento che forse impedirà che accada il peggio, cerchi di idearne un altro. Se il primo fallirà, ci sarà sempre quello di riserva. L’impero deve essere stabilizzato o ricostruito su nuove fondamenta: dunque, cerchiamo di avere due vie d’uscita. Ora devo riprendere il mio normale lavoro e lei deve dedicarsi al suo.» Con un cenno di saluto Daneel uscì.

Seldon lo seguì con lo sguardo e disse sottovoce: «Prima devo parlare con Dors».

94

«Il palazzo è sgombro» disse Dors. «A Rashelle non verrà fatto alcun male e tu tornerai al settore imperiale.»

«E tu, Dors?» chiese Seldon, la voce bassa e tesa.

«Immagino che tornerò all’università. Sto trascurando il mio lavoro, i miei corsi.»

«No, hai un compito più importante.»

«Cioè?»

«La psicostoria. Non posso affrontare il progetto senza di te.»

«Certo che puoi. Io non so nulla di matematica.»

«E io nulla di storia, mentre sono indispensabili entrambe.»

Dors rise. «Ho l’impressione che come matematico tu sia una cima. Io come storica sono appena discreta, non certo eccezionale. Troverai di sicuro un’infinità di studiosi più adatti di me alle esigenze del progetto.»

«In tal caso, Dors, lascia che ti spieghi che per la psicostoria non bastano un matematico e uno storico. Ci vuole anche la volontà di affrontare un problema che probabilmente richiederà una vita di lavoro. Senza di te mi mancherà la volontà necessaria.»

«Vedrai che non sarà così.»

«Dors, senza di te io non voglio!»

Lei guardò Seldon pensierosa. «È una discussione inutile, Hari, sarà Hummin a decidere. Se mi rimanderà all’università...»

«Non lo farà.»

«Come puoi esserne certo?»

«Perché glielo dirò chiaro e tondo. Se ti rimanda all’università, io torno su Helicon e l’impero può continuare a sgretolarsi.»

«Non parli sul serio.»

«Sì, invece.»

«Ma non ti rendi conto che Hummin può alterare i tuoi sentimenti in modo da indurti a lavorare alla psicostoria... anche senza di me?»

Seldon scosse il capo. «Non prenderà una decisione così arbitraria. Ho parlato con lui, non osa influenzare la mente umana oltre un certo limite perché è vincolato da quelle che chiama Leggi della Robotica. Per influenzarmi in modo tale da farmi rinunciare alla tua compagnia, dovrebbe intervenire a un livello troppo rischioso per lui. D’altra parte, se lascerà in pace me e permetterà che tu ti unisca al progetto, Hummin otterrà quel che vuole: una possibilità concreta di arrivare alla psicostoria applicata. Perché non dovrebbe accettare?»

Dors scosse il capo. «Può darsi che non sia d’accordo per motivi suoi.»

«Perché non dovrebbe esserlo? Hai ricevuto l’incarico di proteggermi, Dors. Hummin te l’ha revocato?»

«No.»

«Allora vuole che tu continui. E io voglio la tua protezione.»

«Da cosa? Adesso hai quella di Hummin, sia nella veste di Demerzel sia in quella di Daneel. Mi pare che non ti occorra altro.»

«Anche se avessi la protezione di tutte le persone e di tutte le forze della galassia, continuerei a volere la tua.»

«Allora non mi vuoi per la psicostoria ma per la protezione.»

Lui assunse un’espressione accigliata. «No, perché travisi le mie parole? Perché mi costringi a dire quello che senza dubbio sai già? Non ti voglio né per la psicostoria né per la protezione. Quelli sono pretesti e ricorrerò a qualsiasi altro pretesto, se sarà necessario. Io voglio te, solo te. E se ti interessa conoscere il motivo vero... be’, perché sei tu.»

«Non mi conosci nemmeno.»

«Non importa. Non mi interessa. Ma ti conosco, in un certo senso. Meglio di quel che pensi.»

«Davvero?»

«Certo. Esegui gli ordini e rischi la vita per me senza esitare, incurante delle conseguenze. Hai imparato a giocare a tennis in un attimo. Hai imparato a maneggiare i coltelli ancora più in fretta e nello scontro con Marron ti sei comportata in modo perfetto... in modo disumano, se mi consenti il termine. Hai una forza muscolare sorprendente e reazioni di una rapidità incredibile. Riesci a capire quello che ti riferisce qualcuno che origlia in una stanza e a metterti in contatto con Hummin senza usare apparentemente alcuno strumento.»

«E da tutto questo quali conclusioni trai?»

«Be’, ho pensato che Hummin, nel suo ruolo di R. Daneel Olivaw, si trova di fronte a un’impresa impossibile. Come può un solo robot cercare di guidare l’impero? Deve avere degli aiutanti.»

«Questo è ovvio. Milioni di aiutanti, immagino. Io sono un’aiutante. Tu sei un aiutante, il piccolo Raych pure.»

«Tu sei un’aiutante di tipo diverso.»

«In che senso, Hari? Dillo. Se lo sentirai con le tue stesse orecchie, ti renderai conto di quanto sia assurdo.»

Seldon fissò Dors a lungo, poi disse sottovoce: «Non lo dirò... perché non m’importa».

«Davvero? Vuoi prendermi come sono?»

«Ti prenderò come devo. Tu sei Dors, e qualunque altra cosa tu sia, non voglio nient’altro.»

«Hari, io voglio il tuo bene proprio perché sono quel che sono, ma sento che anche se fossi diversa vorrei ugualmente il tuo bene. E non penso di essere adatta a te.»

«Adatta o no, non m’importa.» Seldon abbassò lo sguardo e fece qualche passo, soppesando le sue prossime parole. «Dors, sei mai stata baciata?»

«Certo, Hari. Fa parte della vita sociale e io ho una vita sociale.»

«No, no! Voglio dire: hai mai baciato veramente un uomo? Intendo, appassionatamente?»

«Be’, sì, Hari.»

«Ti è piaciuto?»

Lei esitò. «Quando ho baciato in quel modo, è stato più bello che deludere l’uomo che mi piaceva, l’uomo la cui amicizia significava qualcosa per me.» A quel punto Dors arrossì e distolse lo sguardo. «Per favore, Hari, è difficile spiegare.»

Ma lui, più che mai deciso, insistette. «Dunque hai baciato per la ragione sbagliata. Per evitare di ferire i sentimenti di qualcuno.»

«Forse lo fanno tutti, in un certo senso.»

Seldon rifletté su quelle parole, poi disse all’improvviso: «Tu hai mai chiesto di essere baciata?».

Lei rimase in silenzio per alcuni istanti, come se riesaminasse la propria vita. «No.»

«E dopo essere stata baciata, non hai mai desiderato che ti baciassero di nuovo?»

«No.»

«Hai mai dormito con un uomo?» chiese Seldon sottovoce, disperato.

«Certo, te l’ho detto. Queste cose fanno parte della vita.»

Lui strinse le spalle di Dors, come se volesse scuoterla. «Ma non hai mai provato il desiderio, il bisogno di quel tipo di intimità con una persona in particolare, una persona speciale? Dors, non hai mai sentito in te l’amore?»

Lei alzò la testa piano, tristemente, e lo fissò negli occhi. «No, Hari, mi dispiace.»

Lui la lasciò andare, abbattuto, e abbandonò le braccia lungo i fianchi.

Dors gli posò la mano sul braccio, delicatamente, poi disse: «Lo vedi, Hari. In fondo non sono quello che vuoi».

Seldon abbassò la testa e fissò il pavimento. Esaminò il problema e cercò di pensare con razionalità, poi rinunciò. Era qualcosa che voleva... la voleva, al di là di qualsiasi considerazione razionale. Sollevò la testa. «Dors, cara. Anche così, non m’importa.»

La cinse con le braccia e accostò la testa alla sua, lentamente, come se si aspettasse che potesse ritrarsi, ma continuando ad attirarla a sé.

Dors non si mosse e lui la baciò, un bacio lungo e appassionato. E di colpo le braccia di Dors lo strinsero.

Quando infine Seldon si staccò, lei lo guardò con il sorriso negli occhi e disse: «Baciami ancora, Hari. Ti prego».