VENABILI, DORS ... La vita di Hari Seldon è piena di incertezze e di leggende, al punto che rimangono poche speranze di poter un giorno ottenere una biografia totalmente oggettiva. Forse l’aspetto più sorprendente della sua vita riguarda la consorte, Dors Venabili. Non esistono informazioni che la riguardino prima del suo arrivo all’Università di Streeling per diventare un membro della facoltà di Storia. Poco dopo incontrò Seldon e ne divenne l’inseparabile compagna per ventotto anni. Volendo aggiungere qualcosa sulla sua persona, bisognerà notare che la vita di Dors è ancora più costellata di leggende di quanto lo sia quella di Seldon. Esiste un numero incredibile di storie sulla sua forza fisica o sulla sua velocità, e di lei si parlava (o più probabilmente sussurrava) come della “Donna Tigre”. Comunque, ancora più sconcertante della sua comparsa fu la sparizione. Infatti, dopo un certo periodo non si sente più parlare di lei, né vi è alcun indizio sull’accaduto.

Il suo ruolo come storica è ampiamente testimoniato dalle opere su...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

1

Ormai Wanda aveva quasi otto anni, secondo il tempo galattico standard al quale adesso tutti facevano riferimento. Era già una piccola signorina: seria, con lisci capelli castano chiaro. I suoi occhi erano azzurri ma si stavano già scurendo, ed era possibile che finissero col diventare castani come quelli del padre.

Ora se ne stava seduta, immersa nei suoi pensieri... Sessanta. Quello era il numero che la preoccupava. Il nonno stava per festeggiare il suo compleanno e sarebbe stato il sessantesimo, e sessanta era un grosso numero. La preoccupava perché il giorno prima aveva avuto un incubo.

Andò a cercare sua madre. Doveva chiederglielo.

Trovare sua madre non fu difficile. Stava parlando col nonno... di sicuro del compleanno. Wanda esitò. Non sarebbe stato carino domandarglielo davanti a lui.

Sua madre non ebbe alcun problema a percepire l’ansia di Wanda. «Un istante, Hari, sentiamo cosa preoccupa la nostra Wanda. Cosa c’è, cara?»

Wanda tirò un poco la mano della madre. «Non qui, mamma. In privato.»

Manella si rivolse a Hari Seldon. «Vedi come sono precoci? Hanno già vite private e problemi privati. Certo, Wanda, andiamo nella tua stanza?»

«Sì, mamma.» Wanda si sentiva chiaramente sollevata.

Mano nella mano si incamminarono, poi sua madre le chiese: «Allora, qual è il tuo problema, Wanda?».

«È per via del nonno, mamma.»

«Il nonno? Non riesco a immaginare come possa averti dato fastidio.»

«Be’, è proprio così.» Gli occhi di Wanda si riempirono all’improvviso di lacrime. «Sta per morire?»

«Il nonno? Cosa te lo fa pensare, Wanda?»

«Ha quasi sessant’anni. È così vecchio.»

«Non è vero. Non è giovane, ma non è neppure vecchio. Le persone vivono sino a ottanta, novanta, e anche fino a cento anni, e tuo nonno è forte e robusto. Vivrà a lungo.»

«Ne sei sicura?» Adesso stava solo tirando su col naso.

Manella prese Wanda per le spalle e, guardandola dritto negli occhi, le disse: «Ognuno di noi deve morire un giorno o l’altro. Te l’avevo già spiegato. Tuttavia, noi non ce ne preoccupiamo se non quando quel giorno è molto vicino». Delicatamente le asciugò gli occhi. «Il nonno rimarrà vivo fino a quando non sarai cresciuta e avrai dei figli. Vedrai. Ora vieni con me, voglio che parli col nonno.»

Wanda tirò su col naso ancora una volta.

Quando la bambina fu di ritorno, Seldon la guardò con aria comprensiva e le chiese: «Cosa ti succede, Wanda? Perché sei triste?».

Wanda scosse il capo.

Seldon spostò lo sguardo sulla madre della bambina. «Allora, Manella, che succede?»

Manella, scuotendo il capo, rispose: «Te lo dovrà dire lei stessa».

Seldon si sedette e batté una mano sulle ginocchia. «Coraggio, Wanda, vieni a sederti qui e raccontami i tuoi problemi.»

Lei obbedì e, dopo essersi sistemata, disse: «Sono spaventata».

Seldon la circondò con un braccio. «Non hai nulla da temere dal tuo vecchio nonno.»

Manella fece una smorfia. «Parola sbagliata.»

Seldon sollevò lo sguardo. «Nonno?»

«No. Vecchio.»

Quello sembrò rompere la diga. Wanda scoppiò in lacrime. «Sei vecchio, nonno.»

«Lo credo, ho sessant’anni.» Si chinò leggermente e sussurrò all’orecchio di Wanda: «Non piace nemmeno a me, Wanda, ed è per questo che sono felice che tu abbia solo sette anni, otto fra poco».

«Nonno, i tuoi capelli sono bianchi.»

«Non sono sempre stati così. Lo sono appena diventati.»

«Se hai i capelli bianchi vuol dire che stai per morire, nonno.»

Seldon parve scosso. Si rivolse a Manella. «Cosa significa?»

«Non lo so, Hari. È tutta una sua idea.»

«Ho avuto un brutto sogno» disse Wanda.

Seldon si schiarì la voce. «Wanda, tutti abbiamo degli incubi ogni tanto. Ed è un bene. Gli incubi ci liberano dai cattivi pensieri e dopo stiamo meglio.»

«Tu morivi, nonno.»

«Lo so. Lo so. Può capitare di sognare la morte di qualcuno, ma questo non rende importanti i sogni. Guardami. Non vedi come sono vivo... allegro... e felice? Ti sembra che io stia per morire? Dimmelo.»

«N... no.»

«Ecco. Adesso vai fuori a giocare e dimentica tutto. Tra poco festeggerò il compleanno e tutti si divertiranno. Vai, cara.»

Wanda se ne andò passabilmente rallegrata, ma Seldon fece segno a Manella di restare.

2

«Dove credi che Wanda possa aver trovato una simile idea?» le chiese Seldon.

«Oh, andiamo, Hari. Aveva un geco salvaniano che è morto, il padre di uno dei suoi amici è morto in un incidente e continua a vedere scene di morte in olovisione tutti i giorni. È impossibile che un bambino sia protetto a tal punto da non venire a contatto con la morte. Anzi, non vorrei proprio che lei fosse protetta fino a questo punto. La morte è una parte essenziale della vita: lo deve imparare.»

«Non intendevo la morte come concetto generale, Manella. Intendevo la mia morte in particolare. Cosa può averle messo in mente una tale idea?»

Manella esitò. Hari Seldon le era molto caro e pensò che lo fosse a tutti, quindi come poteva dirgli la verità?

Ma, d’altro canto, come poteva fare a meno di dirgliela? Così rispose: «Hari, tu stesso gliel’hai messa in mente».

«Io?»

«Certo, visto che da mesi continui a lamentarti del fatto che stai invecchiando e che stai per compiere sessant’anni. Il vero scopo di questa festa è appunto quello di consolarti.»

«Non è per nulla divertente avere la bellezza di sessant’anni» disse Seldon indignato. «Aspetta! Aspetta di averne sessanta anche tu e vedrai!»

«Lo scoprirò anch’io, se sarò fortunata. Alcuni non ci arrivano nemmeno. Comunque sia, se l’unica cosa di cui riesci a parlare è il fatto di avere quasi sessant’anni e di essere vecchio, è logico che tu finisca con lo spaventare una bambina impressionabile.»

Seldon assunse un’espressione angustiata e sospirò. «Mi dispiace, ma è difficile. Guarda le mie mani. Si stanno già macchiando e fra un po’ diventeranno tutte nodose. Non riesco quasi più a fare i miei esercizi di Torsione. Probabilmente un bambino mi saprebbe mettere in ginocchio.»

«E in cosa sei diverso da tutti gli altri sessantenni? Almeno il tuo cervello funziona come prima. Quante volte hai detto che la mente è tutto ciò che conta?»

«Lo so, però mi manca il mio corpo.»

Manella, con un pizzico di malizia, aggiunse: «Soprattutto considerando che Dors non sembra invecchiare minimamente».

Seldon, a disagio, disse: «Be’, credo di sì...». Distolse lo sguardo, chiaramente cercando di evitare l’argomento.

Manella osservò seriamente il suocero. Il problema era che Hari non sapeva niente riguardo ai bambini... o riguardo alla gente comune. Era difficile pensare che avesse trascorso dieci anni come primo ministro sotto il vecchio imperatore e tuttavia avesse concluso la sua carriera sapendo così poco delle persone.

Naturalmente, lui si era dedicato anima e corpo a quella sua psicostoria, dove si parlava di innumerevoli miliardi di persone... cosa che alla fine voleva dire non interessarsi per nulla alla gente sotto l’aspetto individuale. E che ne poteva sapere dei bambini, proprio lui che non aveva avuto contatti con ragazzini eccetto che con Raych, il quale era comparso nella sua vita a dodici anni? Adesso aveva Wanda... che per lui era, e probabilmente sarebbe rimasta, un mistero insondabile.

Manella formulò questi pensieri piena di affetto. Aveva l’incredibile desiderio di proteggere Hari Seldon da un mondo che lui non riusciva a capire. Quello era l’unico punto di convergenza fra lei e sua suocera, Dors Venabili: il desiderio di proteggere Hari Seldon.

Manella gli aveva salvato la vita dieci anni prima. Dors, nella sua strana ottica, aveva considerato ciò una violazione delle sue prerogative e non era mai riuscita a perdonarla completamente.

Seldon, a sua volta, aveva poi salvato la vita a Manella. Lei chiuse gli occhi per un istante e immediatamente rivide in tutti i particolari la scena, proprio come se stesse accadendo in quel momento.

3

Era passata solo una settimana dall’uccisione di Cleon ed erano stati sette giorni orribili. Trantor era precipitato nel caos totale.

Hari Seldon conservava ancora l’incarico di primo ministro, ma era chiaro che non aveva più alcun potere. Convocò Manella Dubanqua.

«Volevo ringraziarla per aver salvato la vita a Raych e anche a me. Fino a oggi non ne ho avuto l’occasione.» Poi, dopo un sospiro, aggiunse: «In quest’ultima settimana non ho avuto l’occasione di fare niente».

«Che ne è stato del giardiniere impazzito?» gli chiese Manella.

«Giustiziato! Immediatamente! Senza processo! Ho cercato di salvarlo facendo notare che era un folle. Ma non c’è stato niente da fare. Se avesse commesso un altro crimine, se avesse fatto qualsiasi altra cosa, la sua pazzia sarebbe stata un motivo sufficiente per risparmiarlo. L’avrebbero arrestato, rinchiuso e poi curato, comunque sarebbe stato risparmiato. Ma uccidere l’imperatore...» Seldon scosse il capo, rassegnato.

«E ora cosa succederà, primo ministro?»

«Le dirò ciò che penso. La dinastia Entun è ormai finita. Nessuno dei figli di Cleon gli succederà, non credo che lo vogliano. A loro volta hanno paura di un attentato e non li biasimo. Ritengo che sarebbe molto più vantaggioso se si ritirassero in uno dei loro possedimenti su qualche Mondo esterno a condurre un’esistenza tranquilla. Proprio perché sono membri della casata imperiale gli sarà senza dubbio concesso di farlo. Noi due potremmo essere meno fortunati.»

Aggrottando la fronte, Manella chiese: «In che senso, signore?».

Seldon si schiarì la gola. «Si potrebbe sempre sostenere che, siccome lei ha ucciso Gleb Andorin, lui ha lasciato cadere il suo fulminatore di cui si è rapidamente impossessato Mandell Gruber che lo ha usato a sua volta per uccidere Cleon. Di conseguenza lei sarebbe in gran parte responsabile del crimine, e si potrebbe addirittura pensare che si sia trattato di un piano accuratamente premeditato.»

«Ma tutto ciò è ridicolo. Sono un membro dei servizi di sicurezza che ha eseguito il proprio dovere, facendo quello che gli era stato ordinato.»

Seldon sorrise con amarezza. «Lei mi risponde razionalmente, ma la ragione per un po’ di tempo non sarà di moda. Quello che sta per accadere, in assenza di un successore legittimo al trono imperiale, è che sarà instaurato un governo militare.»

(Negli anni seguenti, quando Manella riuscì a comprendere i meccanismi della psicostoria, si chiese se per caso Seldon avesse usato quella tecnica per scoprire cosa sarebbe accaduto dopo il governo militare, perché è un tipo di regime che non può durare a lungo. All’epoca, comunque, Hari non disse nulla in merito alla sua poco nota teoria.)

«Se avremo un governo militare,» continuò Seldon «i nuovi governanti dovranno esercitare immediatamente un ferreo controllo sulla situazione, soffocare ogni sintomo di scissione, agire con notevole vigore e crudeltà, anche allontanandosi dalla ragione e dalla giustizia. Se l’accuseranno, signorina Dubanqua, di aver fatto parte di un complotto per assassinare l’imperatore, verrà massacrata, non per giustizia, ma per insinuare il terrore nella popolazione di Trantor.

«Per quello che mi riguarda, potrebbero anche dire che io stesso facevo parte del complotto. Dopotutto ero andato a salutare i nuovi giardinieri quando non era compito mio. Se non l’avessi fatto non ci sarebbe stato alcun attentato alla mia vita, lei non sarebbe intervenuta e l’imperatore sarebbe ancora vivo... Vede come tutti i pezzi si incastrano?»

«Non riesco a credere che agiranno in questo modo.»

«Probabilmente non sarà così. Farò loro un’offerta che forse – ripeto, forse – non vorranno rifiutare.»

«Che cosa proporrà?»

«Offrirò le mie dimissioni dalla carica di primo ministro. Non mi vogliono, e non mi avranno. Ma la verità è che ho degli amici a corte e, ancora più importante, nei Mondi esterni, che mi trovano più che accettabile come primo ministro. Questo vuol dire che, se i membri della guardia imperiale mi costringono a dimettermi, anche se non mi uccidono avranno dei problemi. Mentre, d’altro canto, se mi dimetto e annuncio che a mio parere un governo militare è proprio ciò di cui Trantor e l’impero hanno bisogno, allora li aiuterei, capisce?»

Seldon rifletté per qualche istante, poi aggiunse: «Inoltre, c’è anche la piccola faccenda della psicostoria».

(Quella fu la prima volta che lei la sentì nominare.)

«Che cos’è?»

«È un piccolo progetto al quale sto lavorando. Cleon aveva riposto molta fiducia nel suo valore, più di quanta ne avessi io a quei tempi, e a corte circola la diffusa sensazione che la psicostoria sia, o potrebbe diventare, uno strumento molto potente e molto utile per un governo di qualunque tipo.

«Non ha grande importanza il fatto che non conoscano i dettagli della scienza. Preferirei anzi che non ne venissero a conoscenza. Una mancanza di informazioni potrebbe aumentare ciò che si può definire l’aspetto superstizioso di tutta la situazione. Nel qual caso, mi permetteranno di continuare le mie ricerche come un semplice cittadino. Almeno è ciò che spero, e questo ci porta a lei.»

«Cosa mi succederà?»

«Chiederò come parte del compromesso che le sia permesso di dare le dimissioni dai servizi di sicurezza e che non venga intrapresa alcuna azione contro di lei, per ciò che riguarda gli eventi collegati all’assassinio. Credo di riuscire a ottenere anche questo.»

«Ma sta parlando di porre fine alla mia carriera.»

«La sua carriera, in ogni caso, è finita. Anche se non riusciranno a far emettere un ordine di esecuzione nei suoi confronti, crede che le permetteranno di continuare a lavorare per loro?»

«Ma cosa farò? Come mi potrò guadagnare da vivere?»

«Mi occuperò io di questo, signorina Dubanqua. Con ogni probabilità ritornerò all’Università di Streeling con una generosa sovvenzione per le mie ricerche sulla psicostoria e credo di poterle trovare un’occupazione.»

Manella, gli occhi spalancati, disse: «Ma perché dovrebbe...».

«Non posso credere che me lo chieda davvero. Lei ha salvato la vita a Raych e anche a me: è possibile che non mi senta in debito nei suoi confronti?»

E accadde proprio come lui aveva detto. Seldon presentò le dimissioni dall’incarico occupato per dieci anni. Per i suoi servizi ricevette una stucchevole lettera di apprezzamento da parte del governo militare appena formatosi. Ritornò all’Università di Streeling e Manella Dubanqua, lasciato il suo incarico, seguì Seldon e la sua famiglia.

4

Raych entrò alitandosi sulle mani. «Sono sempre stato favorevole a un tempo variabile. Non voglio certo che in una cupola vi siano sempre le stesse condizioni climatiche. Oggi, però, hanno abbassato un po’ troppo la temperatura e, come se non bastasse, hanno fatto tirare un tale vento... Credo sia ora che qualcuno si lamenti con il controllo meteo.»

«Non so se sia colpa del controllo meteo» disse Seldon. «La manutenzione di qualsiasi impianto diventa sempre più difficile.»

«Lo so. Deterioramento.» Raych si passò il dorso della mano sui folti baffi neri. Lo faceva spesso, come se non si fosse mai ripreso da quei pochi mesi passati senza baffi a Wye. Era anche un po’ ingrassato e in generale aveva l’aria del benestante soddisfatto. Anche il suo accento di dahlita si era attenuato leggermente.

Si tolse la tuta leggera e chiese: «Come sta il giovane neo-sessantenne?».

«Irritato. Aspetta, aspetta il tuo turno, figliolo. Celebrerai il tuo quarantesimo anno solo tra due mesi. Vedremo quanto ti sembrerà divertente.»

«Mai come compierne sessanta.»

«Smettila di scherzare» disse Manella mentre sfregava le mani di Raych, cercando di riscaldarle.

Seldon allargò le braccia. «Raych, stiamo facendo la cosa sbagliata. Tua moglie sostiene che tutto questo parlare dei miei sessant’anni abbia depresso la piccola Wanda, che non fa che pensare alla mia morte.»

«Davvero?» fece Raych. «Questo spiega tutto. Sono entrato da lei per vedere come stava e mi ha detto subito, prima che avessi il tempo di pronunciare una parola, che aveva avuto un incubo. Riguardava forse il tuo decesso?»

«A quanto pare, sì» rispose Seldon.

«Be’, le passerà. Non è possibile evitare gli incubi.»

«Non la prenderei tanto alla leggera» disse Manella. «Continua a pensarci e non voglio che lo faccia.»

«Come vuoi, Manella» disse affabilmente Raych. «Sei la mia adorata mogliettina e tutto ciò che dici, a proposito di Wanda, mi va bene.» E si strofinò ancora i baffi.

La sua adorata mogliettina! Non era stato così facile permetterle di assumere quel ruolo. Raych rammentò l’atteggiamento di sua madre di fronte a quella possibilità. E poi parlavano di incubi! Era lui quello che aveva degli incubi periodici in cui doveva fronteggiare ancora una volta una furibonda Dors Venabili.

5

Il primo ricordo di Raych, dopo che si fu ripreso dalla confusione causata dalla Disperanza, era di qualcuno che lo stava radendo.

Riusciva a sentire il vibrorasoio che veniva spostato lungo le sue guance. Disse debolmente: «Non tagli vicino al labbro superiore, barbiere. Voglio riavere i miei baffi».

Il barbiere, che aveva già ricevuto precise istruzioni da Seldon, per rassicurarlo alzò uno specchio.

Dors Venabili, seduta a fianco del letto, disse: «Lascialo lavorare in pace, Raych. Non devi agitarti».

Raych la fissò per un istante e rimase zitto. Quando il barbiere lasciò la stanza, lei chiese: «Come ti senti, Raych?».

«Malissimo» bofonchiò. «Sono così depresso, non riesco a sopportarlo.»

«Sono i postumi della Disperanza che ti è stata somministrata. Passeranno.»

«Non riesco a crederci. Quanto tempo è trascorso?»

«Non pensarci. Ci vorrà del tempo. Ti avevano imbottito di quella droga.»

Lui continuava a guardarsi intorno senza sosta. «È venuta a visitarmi Manella?»

«Quella donna?» (Raych si sarebbe abituato a sentire sua madre parlare di Manella con quelle due parole e con quel tono.) «No, non sei ancora abbastanza in forze per ricevere visite.»

Decifrando l’espressione sul volto del figlio, Dors aggiunse rapidamente: «Per me hanno fatto un’eccezione solo perché sono tua madre, Raych. Ma per quale motivo vorresti che quella donna ti facesse visita? Non sei certo nelle tue condizioni migliori».

«Una ragione in più per vederla» mormorò Raych. «Voglio che mi veda quando sono nelle condizioni peggiori.» Poi si girò scoraggiato su un fianco. «Adesso voglio dormire.»

Dors scosse il capo e, più tardi quello stesso giorno, disse a Seldon: «Non so come faremo con Raych, Hari. Non vuole ragionare».

«Non sta molto bene, Dors. Dagli un po’ di tempo.»

«Continua a parlare di quella donna. Qualunque sia il suo nome.»

«Manella Dubanqua. Non è un nome difficile da ricordare.»

«Credo che voglia mettere su casa con lei. Vivere con lei. Sposarla.»

Seldon fece spallucce. «Raych ha già trent’anni... È abbastanza maturo per prendere da solo le sue decisioni.»

«Tuttavia, in quanto genitori, potremo dire la nostra... spero.»

Hari sospirò. «Sono certo che hai già detto la tua, Dors. E una volta che gli avrai reso nota la tua disapprovazione, sono sicuro che farà lo stesso ciò che vuole.»

«È tutto quello che hai da dire? Non hai intenzione di fare niente mentre Raych pianifica già il matrimonio con una donna di quel genere?»

«Cosa vuoi che faccia, Dors? Manella ha salvato la vita a Raych. Vuoi forse che lo dimentichi? Ha anche salvato la mia a me, per quello che può valere.»

Le ultime parole di Seldon sembrarono attizzare la collera di Dors. «E tu hai salvato la sua. Hai pagato il tuo debito.»

«Non le ho esattamente...»

«Certo che l’hai salvata. Quei furfanti che ora sono al comando dell’impero l’avrebbero massacrata, se tu non fossi intervenuto per salvarla offrendo loro le tue dimissioni e la tua collaborazione.»

«Anche supponendo che io abbia estinto il mio debito, cosa che non ritengo sia avvenuta, Raych non l’ha fatto. Inoltre, mia cara Dors, farei molta attenzione a usare certi termini poco felici per descrivere il nostro governo. Questi non saranno i tempi felici di Cleon e ci saranno sempre degli informatori pronti a ripetere tutto ciò che sentono dire.»

«Non ti preoccupare. Comunque, quella donna non mi piace. Ritengo che, almeno questo, sia ammissibile.»

«Certo, è ammissibile, ma inutile.»

Hari abbassò lo sguardo, perso nei propri pensieri. Gli occhi di Dors, solitamente insondabili, lampeggiavano pieni d’ira. Hari sollevò lo sguardo.

«Quello che mi piacerebbe sapere, Dors, è perché? Perché odi a tal punto Manella? Ci ha salvato la vita. Se non fosse stato per la sua rapida azione, sia Raych sia io saremmo morti.»

«È vero, Hari» ribatté Dors stizzita. «Lo so meglio di chiunque altro. Se lei non si fosse trovata lì, io non sarei stata in grado in alcun modo di impedire la vostra uccisione. Secondo te dovrei esserle grata. Ma ogni volta che guardo quella donna ricordo il mio fallimento. So che i miei sentimenti non sono razionali... È qualcosa che non riesco a spiegarmi. Per questo non chiedermi di accettarla. Non posso.»

Ma il giorno dopo anche Dors dovette cedere quando il dottore le disse: «Suo figlio vuole vedere una donna di nome Manella».

«Non è in condizione di ricevere visitatori.»

«Al contrario, ne è perfettamente in grado. Si sta riprendendo in fretta. Inoltre, insiste con molta convinzione. Non credo sarebbe saggio contraddirlo.»

Così fecero entrare Manella e Raych la salutò con notevole calore mostrando i primi fievoli segni di felicità da quando era stato portato all’ospedale.

Fece un inconfondibile gesto di commiato a Dors senza farsi troppo notare. Stringendo le labbra, Dors uscì.

E arrivò il giorno in cui Raych disse: «Mi sposerà, mamma».

«Razza di stupido, credi forse che ciò mi sorprenda? Certo che ti vuole sposare. Per lei rappresenti la sicurezza e la rispettabilità, ora che è caduta in disgrazia e i servizi di sicurezza l’hanno espulsa.»

«Mamma, se stai cercando di perdermi, sei sulla buona strada. Non devi dire queste cose.»

«Mi sto solo preoccupando del tuo benessere.»

«Al mio benessere posso pensarci da solo, grazie. Non rappresento sicuramente un gran mezzo per acquistare rispettabilità, se ci rifletti un istante. Non sono certo bello. Sono basso. Papà non è più primo ministro e il mio linguaggio è di ceto inferiore. Che cosa potrebbe cercare di ottenere da me? Potrebbe trovare qualcuno molto migliore, ma lei vuole me. E lascia che te lo dica: anch’io voglio lei.»

«Ma tu sai quello che lei è.»

«Certo che lo so. È una donna che mi ama. È la donna che io amo. Ecco cos’è.»

«E prima che ti innamorassi di lei, cos’era? Lo sai cosa ha dovuto fare quando era un agente segreto a Wye?... Tu stesso eri uno dei suoi “incarichi”. Quanti altri ce ne sono stati? Sarai in grado di vivere col suo passato? Con ciò che ha fatto in nome del suo dovere? Ora ti puoi permettere di essere un idealista. Ma la prima volta che litigherete, forse la seconda, o la diciannovesima volta, ti infurierai e dirai: “Sei una put...”.»

Raych urlò infuriato: «Non dirlo! Quando litigheremo la definirò sconsiderata, irrazionale, assillante, pesante, avventata, un milione di aggettivi che saranno adatti alla situazione. E anche lei mi assalirà a parole. Ma saranno tutte parole ragionevoli, che possono essere ritirate una volta che l’ira si spegne.»

«Adesso credi che sia possibile, ma aspetta che succeda.»

Raych era diventato pallido. «Mamma, ormai vivi con papà da quasi vent’anni. Lui è un uomo dal quale è molto difficile dissentire, ma ci sono stati dei momenti in cui avete litigato. Vi ho sentiti. In tutti questi anni ti ha mai insultata con una sola parola che avrebbe potuto compromettere il tuo ruolo di essere umano? Sai benissimo cosa voglio dire. Per quello che mi riguarda, ho forse fatto diversamente? Puoi pensare che lo farei adesso, anche se fossi veramente furioso?»

Dors era combattuta. Il suo volto non esprimeva le emozioni come quello di Raych, o come avrebbe potuto esprimerle il viso di Seldon, ma era chiaro che al momento non riusciva a parlare.

«In realtà» continuò Raych utilizzando il suo vantaggio (e sentendosi malissimo nel farlo) «ciò che ti crea dei problemi è che sei gelosa del fatto che Manella ha salvato la vita a papà. Non vuoi che nessuno all’infuori di te lo faccia. Be’, in quel caso non ne avevi la possibilità. Avresti preferito che Manella fosse rimasta con le mani in mano e che papà fosse morto? E io con lui?»

Dors si era un po’ ripresa e poteva di nuovo parlare. Disse con voce strozzata: «Aveva insistito per uscire a incontrare i giardinieri da solo. Non mi aveva permesso di andare con lui».

«Ma questo non puoi imputarlo a lei.»

«È per questo che la vuoi sposare? Per gratitudine?»

«No. Per amore.»

E così avvenne, ma dopo la cerimonia Manella disse a Raych: «Probabilmente tua madre era presente al matrimonio perché hai insistito, ma sembrava uno di quei nuvoloni da temporale che a volte lasciano entrare sotto la cupola».

Raych rise. «Non aveva per niente l’aspetto di un nuvolone. Te lo sei immaginato.»

«Oh, no. Come facciamo per convincerla a darci un’opportunità?»

«Dobbiamo solo pazientare. Vedrai che le passerà.»

Ma a Dors Venabili non passò.

Due anni dopo il matrimonio nacque Wanda. L’atteggiamento di Dors nei confronti della bimba era proprio quello che Raych e Manella avevano sperato, ma per la madre di Raych la mamma di Wanda rimaneva sempre “quella donna”.

6

Hari Seldon stava cercando di scacciare la depressione che gli era piombata addosso. Gli erano state fatte prediche da Dors, Raych, Yugo e Manella. Tutti d’accordo nel dirgli che un sessantenne non era un vecchio.

Non riuscivano proprio a capire. A trent’anni aveva concepito le prime nozioni della psicostoria, a trentadue aveva letto la sua famosa relazione al Convegno decennale di matematica, dopo di che tutto era sembrato cadergli addosso all’improvviso. Fuggendo, aveva percorso Trantor in lungo e in largo incontrando Demerzel, Cleon, Dors, Yugo e Raych, per non parlare della gente di Micogeno, Dahl e Wye.

A quarant’anni era diventato primo ministro e a cinquanta aveva abbandonato l’incarico. Adesso ne aveva sessanta.

Aveva dedicato trent’anni di vita alla psicostoria. Quanti altri gliene sarebbero serviti? Per quanto ancora sarebbe vissuto? Doveva forse morire lasciando il progetto incompleto?

Non era il fatto di morire che lo preoccupava, si disse. Era il fatto di dover lasciare incompiuto il progetto.

Decise di far visita a Yugo Amaryl. Negli ultimi anni avevano in qualche modo ridotto i contatti, man mano che il progetto aumentava di dimensione. Nei primi anni all’Università di Streeling erano stati solo loro due, Seldon e Amaryl, e nessun altro, a lavorare insieme spalla a spalla. Ora, però...

Amaryl aveva quasi cinquant’anni, non proprio un giovanotto, e aveva fatto del suo lavoro una mania. In tutti quegli anni non si era interessato a nulla oltre alla psicostoria. Nessuna donna era mai entrata nella sua vita, nessun compagno, nessun passatempo, nessuna attività secondaria.

Amaryl lo guardò entrare sbattendo le palpebre, e Seldon non poté fare a meno di notare i vari cambiamenti intervenuti nel suo aspetto. Forse ciò dipendeva dal fatto che i suoi occhi erano stati ricostruiti. Ora ci vedeva benissimo, ma aveva uno sguardo innaturale e tendeva a sbattere molto lentamente le palpebre. Tutto ciò lo faceva sembrare sempre insonnolito.

«Che ne pensi, Yugo? Si vede qualche luce alla fine del tunnel?»

«Luce? Sì, certo. C’è questo nuovo ricercatore, Tamwile Elar. Naturalmente lo conosci già.»

«Oh, sì. Sono stato io ad assumerlo. Molto energico e aggressivo. Come se la cava?»

«Non posso dire di trovarmi a mio agio con lui, Hari. La sua risata sguaiata mi dà sui nervi. Ma è brillante. Il nuovo sistema di equazioni si adatta perfettamente al radiante primario, e sembra che le nuove equazioni ci possano aiutare ad aggirare il problema del caos.»

«Sembra o di certo ci aiuteranno?»

«È troppo presto per dirlo, però nutro grandi speranze. Le ho messe alla prova con un paio di situazioni che le avrebbero demolite se fossero state inutili, ma le nuove equazioni ne sono uscite indenni. Poiché dovrebbero annullare l’effetto del caos, sto iniziando a definirle “equazioni acaotiche”.»

«Non credo che noi possediamo già delle rigorose dimostrazioni al riguardo.»

«No, hai ragione, anche se ho messo una mezza dozzina dei nostri a lavorarci, incluso Elar, naturalmente.» Amaryl accese il suo radiante primario, un modello non meno aggiornato di quello di Seldon, e osservò le linee curve formate da equazioni luminose raggomitolate a mezz’aria, troppo piccole, troppo sottili per essere lette senza un ingrandimento. «Aggiungi le nuove equazioni e potremo iniziare a fare delle previsioni.»

«Adesso, ogni volta che studio il radiante primario» disse Seldon pensieroso «mi meraviglio per l’elettrochiarificatore e di come riesca a comprimere il materiale nelle linee e nelle curve del futuro. Non era anche quello un prodotto di Elar?»

«Sì. Con l’aiuto di Cinda Monay.»

«È un bene che delle persone nuove e intelligenti siano coinvolte nel progetto. Mi rimette in pace col futuro.»

«Credi che qualcuno come Elar potrebbe trovarsi un giorno alla guida del progetto?» chiese Amaryl continuando a studiare il radiante primario.

«Forse. Dopo che noi due ci saremo ritirati, o saremo morti.»

Amaryl sembrò rilassarsi e spense lo strumento. «Mi piacerebbe completare l’opera, prima di ritirarmi o di morire.»

«Anche a me, Yugo. Anche a me.»

«La psicostoria ci ha guidati piuttosto bene negli ultimi dieci anni.»

Era abbastanza vero, ma Seldon sapeva che era troppo presto per cantare vittoria. Le cose erano filate lisce e senza grosse sorprese.

La psicostoria aveva predetto che il centro dell’impero sarebbe rimasto abbastanza stabile dopo la morte di Cleon – l’aveva predetto in modo molto vago e impreciso – e il centro aveva tenuto. Trantor era rimasto ragionevolmente tranquillo. Anche con l’assassinio di un imperatore e con la fine di una dinastia, il centro aveva retto.

C’era riuscito sotto le inevitabili tensioni di un governo militare... Dors non aveva avuto torto nel definire i membri della Giunta “quei furfanti”. Avrebbe anche potuto spingersi oltre senza esagerare. Non di meno, riuscivano a tenere insieme l’impero e avrebbero continuato a farlo per un certo periodo di tempo. Forse abbastanza a lungo da permettere alla psicostoria di giocare un ruolo attivo negli eventi che sarebbero accaduti.

Ultimamente Yugo aveva accennato alla possibilità di istituire due Fondazioni: entità distinte, isolate, indipendenti dall’impero stesso, che sarebbero servite come semi per la rinascita attraverso le imminenti ere oscure fino alla nascita di un nuovo e migliore impero. Anche Seldon aveva lavorato sulle possibili conseguenze di una simile eventualità.

Ma il tempo non gli bastava e, con una certa commiserazione, sentiva che gli mancava anche la giovinezza. Il suo intelletto, per quanto saldo e vigoroso, era privo della resistenza e della creatività che possedeva quando era appena trentenne, e sapeva, inoltre, che col passare del tempo la situazione sarebbe peggiorata.

Forse avrebbe dovuto assegnare quel lavoro al giovane e brillante Elar, liberandolo dai suoi altri compiti. Però Seldon doveva ammettere, con vergogna, che quell’idea non lo attirava. Non voleva che, dopo aver inventato la psicostoria, tutti i vantaggi della fama e della gloria andassero a un nuovo membro del progetto. In realtà, per dire la verità nuda e cruda, Seldon era geloso di Elar e ne era cosciente quanto bastava per vergognarsene.

Tuttavia, nonostante i suoi sentimenti meno razionali, avrebbe dovuto dipendere in modo sempre maggiore da persone più giovani, per quanto gli dispiacesse. La psicostoria non era più la riserva privata di Amaryl, di qualche assistente e sua. Il decennio passato come primo ministro l’aveva trasformata in una grande impresa sancita e finanziata dal governo e, con sua sorpresa, dopo il suo ritorno all’università, era diventata ancora più grande.

Sembrava che la Giunta militare considerasse il progetto come possibile arma politica e, fino a quando lo avesse giudicato tale, i fondi non sarebbero stati un problema. Ne arrivavano a palate. In cambio, bisognava redigere dei rapporti annuali che comunque risultavano piuttosto oscuri. Si faceva menzione solo di sviluppi secondari e, anche così, comprendere la matematica contenuta nei rapporti non rientrava quasi sicuramente nelle capacità dei membri della Giunta.

Mentre si accingeva a lasciare il suo vecchio assistente, a Seldon apparve chiaro che almeno Amaryl fosse più che soddisfatto di come proseguivano le ricerche sulla psicostoria, ma nonostante questo sentì ricadere su di sé il manto della depressione.

Decise che era l’ormai prossimo compleanno a deprimerlo. Nelle intenzioni di chi stava organizzando, i festeggiamenti dovevano essere una consolazione e un momento di gioia, ma servivano solo a sottolineare la sua età.

Inoltre, stava anche scombussolando le proprie abitudini quotidiane. Il suo ufficio e un paio di quelli vicini erano stati svuotati, e da giorni interi lui non riusciva a lavorare normalmente. I suoi vecchi uffici sarebbero stati convertiti in sale della gloria e ci sarebbero voluti parecchi giorni prima che lui potesse ritornare al suo lavoro. Soltanto Amaryl si era categoricamente rifiutato di spostarsi, evitando così di perdere l’ufficio.

Seldon si era chiesto, piuttosto irritato, a chi fosse venuta quella brillante idea. Di certo non era stata Dors. Lei lo conosceva fin troppo bene. Neppure Amaryl o Raych, che non riuscivano nemmeno a ricordarsi i loro compleanni. Aveva sospettato di Manella e l’aveva anche interrogata personalmente.

Lei aveva ammesso di essere del tutto favorevole all’idea e di aver anche dato precise disposizioni perché venissero eseguiti certi preparativi, ma aveva precisato che l’idea le era stata suggerita da Tamwile Elar.

“Il giovanotto brillante” pensò Seldon. Brillante in tutto.

Sospirò. Se solo il suo compleanno fosse già passato...

7

Dors fece capolino dalla porta. «Posso entrare?»

«Certo. Perché non dovresti?»

«Di solito non lavori qui.»

«Lo so» sospirò Seldon. «Mi hanno sfrattato dal mio solito ufficio per quella stupida festa di compleanno. Come vorrei che fosse già finita...»

«Siamo alle solite. Quando quella donna si ficca un’idea in testa, si ingigantisce e si espande come il big bang.»

Seldon voltò subito gabbana. «Oh, andiamo, Dors. Lo fa con le migliori intenzioni.»

«Meglio stare alla larga dai benintenzionati. Comunque, sono venuta qui per parlarti di un’altra cosa. Qualcosa che potrebbe rivelarsi importante.»

«Avanti. Di cosa si tratta?»

«Ho parlato con Wanda a proposito del suo sogno...» Esitò.

Seldon emise un suono strozzato, poi disse: «Non ci posso credere. Lascia perdere».

«No. Ti sei preso la briga di farti spiegare i dettagli del sogno?»

«Perché avrei dovuto costringere la piccolina a farlo?»

«Neppure Raych ci ha pensato e Manella meno ancora. L’ho dovuto fare io.»

«Ma perché hai voluto torturarla con quelle domande?»

«Perché sentivo di doverlo fare» rispose Dors cupamente. «In primo luogo, non ha sognato a letto.»

«E dove, allora?»

«Nel tuo ufficio.»

«Cos’era andata a fare nel mio ufficio?»

«Voleva vedere dove avrebbe avuto luogo la festa, così è entrata nell’ufficio in cui, naturalmente, non c’era niente da vedere, perché tutto era stato portato via durante i preparativi. Ma la tua poltrona c’era ancora: quella grossa, con lo schienale alto, i braccioli alti, sfasciata. Quella che non vuoi farmi sostituire.»

Hari emise un profondo sospiro, ricordando una disputa che ormai durava da parecchio.

«Non è sfasciata e non ne voglio una nuova. Continua.»

«Wanda si è raggomitolata sulla tua poltrona e ha cominciato a rimuginare che forse non avresti avuto davvero una festa, il che la rendeva triste. Poi ha detto che deve essersi addormentata, perché non ricorda più niente in modo chiaro, tranne che nel suo sogno c’erano due uomini. Non donne, ne era sicura: due uomini che parlavano.»

«E di cosa?»

«Non lo sa esattamente. Sai com’è difficile ricordarsi i particolari in simili circostanze. Dice che parlavano di morte e pensava che si trattasse di te, visto che sei così vecchio. Ricorda solo alcune parole: “Morte alla limonata”.»

«Eh?»

«Morte alla limonata.»

«Ma cosa vuol dire?»

«Non lo so proprio. Comunque gli uomini poi hanno smesso di parlare e sono usciti, lei invece è rimasta sulla poltrona terrorizzata e infreddolita. Da allora è preoccupata.»

Seldon passò qualche istante a riflettere sulle parole di Dors. Poi disse: «Ascolta, cara, che importanza possiamo attribuire ai sogni di una bambina?».

«Hari, per prima cosa dobbiamo chiederci se è stato un sogno.»

«Che vuoi dire?»

«Wanda non dice esattamente che ha sognato. Dice: “Devo essermi addormentata”. Queste sono le sue esatte parole. Non dice che si è addormentata, ma che deve essersi addormentata.»

«Che cosa ne deduci?»

«Potrebbe essersi appisolata e, in quello stato, aver sentito parlare due uomini, due uomini veri, non in sogno.»

«Uomini veri? Che parlavano di uccidermi con la morte alla limonata?»

«Sì, qualcosa del genere.»

«Senti, Dors,» disse Seldon con decisione «lo so che continui a prevedere pericoli lungo la mia strada, ma qui ti sei spinta troppo oltre. Perché qualcuno vorrebbe uccidermi?»

«Ci hanno già provato due volte.»

«È vero, ma considera le circostanze. Il primo attentato si è verificato subito dopo la mia nomina a primo ministro da parte di Cleon. Naturalmente, quella fu un’offesa alla gerarchia di corte e mi rese malvisto. Qualcuno ritenne di poter mettere a posto la situazione sbarazzandosi di me. La seconda volta fu quando i seguaci di Joranum tentarono di prendere il potere e pensarono che io rappresentassi un ostacolo... per non parlare del distorto desiderio di vendetta di Namarti.

«Per mia fortuna nessun attentato riuscì, ma perché dovrebbe essercene un terzo? Non sono più primo ministro e ho lasciato la carica da dieci anni. Sono un anziano matematico in pensione e di sicuro nessuno ha qualche motivo per aver paura di me. I joranumiti sono stati smascherati e annientati fino all’ultimo e anche Namarti è stato giustiziato molto tempo fa. Non c’è nessun motivo per volermi vedere morto.

«Quindi ti prego, Dors, rilassati. Quando ti preoccupi per me diventi irrequieta e in questo modo ti innervosisci ancora di più, e io non voglio che ciò accada.»

Dors si alzò dalla sedia e si sporse sul tavolo di Seldon. «È facile per te dire che non c’è alcun motivo per ucciderti, ma non c’è bisogno di averne uno. Ormai il nostro governo è diventato completamente irresponsabile e se vogliono...»

«Basta!» ordinò Seldon ad alta voce. Poi, a bassa voce, aggiunse: «Non una parola di più, Dors. Non una parola contro il governo. Quello che dici potrebbe ficcarci appunto nella situazione che credi di intravedere».

«Sto solo parlando con te, Hari.»

«Adesso sì, ma se prendi il vezzo di dire cose insensate, potrebbe succedere che tu lo faccia in presenza di altri, di qualcuno che sarebbe ben lieto di denunciarti. Devi imparare, per necessità, a evitare i commenti di natura politica.»

«Ci proverò, Hari» disse Dors, ma non riuscì a soffocare tutta la sua indignazione. Si girò di scatto e uscì.

Lui la osservò mentre usciva. Dors invecchiava dolcemente. Anche se era di due anni più giovane di Seldon, il suo aspetto non era cambiato come quello di Hari durante i ventotto anni che avevano trascorso insieme. E questo era naturale.

I capelli di Dors si erano ingrigiti, ma la lucentezza giovanile splendeva ancora sotto le ciocche grigie. La sua carnagione era diventata più pallida, la voce leggermente più cavernosa e, naturalmente, indossava vestiti adatti alla mezza età. Comunque, i suoi movimenti erano ancora agili e scattanti. Era come se niente potesse interferire con la sua abilità di proteggere Seldon in caso di emergenza.

Lui sospirò. Essere protetto a ogni istante, più o meno contro la propria volontà, a volte era un pesante fardello.

8

Poco dopo da Seldon entrò Manella.

«Scusa, Hari, di cosa parlava Dors?»

Seldon alzò ancora gli occhi al cielo. Sempre interruzioni.

«Non era niente d’importante. Il sogno di Wanda.»

Manella increspò le labbra. «Lo sapevo. Wanda ha detto che Dors le ha fatto delle domande. Ma perché non la lascia in pace? Si direbbe che avere un incubo sia quasi un reato.»

«In realtà,» disse Seldon cercando di calmarla «si tratta di una parte del sogno. Non so se Wanda te l’ha detto, ma pare che abbia sentito parlare di “morte alla limonata”.»

«Mmh!» Manella rimase in silenzio per qualche istante. Poi disse: «Questo non ha molta importanza. Wanda va pazza per la limonata e si aspetta di berne litri alla festa. Le ho anche promesso che ci avrei aggiunto qualche estratto micogenese e lei non vede l’ora.»

«Così, se avesse sentito una parola simile a limonata, nella sua mente l’avrebbe tradotta come limonata.»

«Sì. Cosa c’è di male?»

«In questo caso, però, cosa credi che abbiano detto veramente? Deve aver sentito sul serio qualcosa per poterlo interpretare male.»

«Non credo sia andata necessariamente così. Ma perché diamo tanta importanza al sogno di una bambina? Per piacere, non voglio che qualcuno le parli più del suo incubo. La agita troppo.»

«Sono d’accordo. Farò in modo che Dors eviti l’argomento, almeno in presenza di Wanda.»

«Va bene, Hari, perché non mi interessa se è la nonna di Wanda. Dopotutto, la madre sono io e i miei desideri hanno la precedenza.»

«Senza dubbio» disse Seldon pacato e la seguì con lo sguardo mentre se ne andava. Ecco un altro fardello, l’interminabile e irragionevole competizione fra le due donne.

9

Tamwile Elar aveva trentasei anni ed era entrato a far parte del progetto di Seldon quattro anni prima come Matematico anziano. Era alto, con un perenne guizzo divertito negli occhi e qualcosa in più di un tocco di fiducia in se stesso.

I suoi capelli erano castani e lievemente ondulati, cosa evidente perché li portava abbastanza lunghi. Scoppiava a ridere forte all’improvviso, ma era impossibile trovare lacune nella sua preparazione di matematico.

Elar era stato reclutato nell’Università di Mandanov Ovest e Seldon non poteva fare a meno di sorridere tutte le volte che ripensava a come Yugo Amaryl si fosse mostrato sospettoso nei suoi confronti. Ma, in fondo, Amaryl sospettava di tutti. Nel profondo del suo cuore (Seldon ne era sicuro), Amaryl riteneva che la psicostoria sarebbe dovuta rimanere una loro provincia personale.

Anche Amaryl però adesso era pronto ad ammettere che la presenza di Elar nel gruppo gli aveva reso le cose molto più facili. Una volta aveva detto: «Le sue tecniche per evitare il caos sono uniche e affascinanti. Nessuno nel progetto avrebbe potuto svilupparle così come ha fatto lui. Di sicuro, niente del genere mi era mai venuto in mente. Neppure a te, Hari».

«Be’,» aveva replicato Seldon in tono burbero «sto invecchiando.»

«Se solo» aveva aggiunto Amaryl «non ridesse in quel modo così sguaiato.»

«È una cosa che non si può controllare, Yugo.»

Eppure, la verità era che lo stesso Seldon trovava difficile accettare Elar. Era piuttosto umiliante il fatto che lui non si fosse mai neppure avvicinato alle “equazioni acaotiche”, come adesso venivano chiamate. Non gli importava di non aver mai pensato al principio dell’elettrochiarificatore, non era il suo campo. Tuttavia, avrebbe dovuto pensare alle equazioni acaotiche, o almeno avrebbe dovuto intuirne il concetto.

Provò a ragionare fra sé. Seldon aveva elaborato le basi della psicostoria e le equazioni acaotiche erano un prodotto spontaneo di tale lavoro. Elar sarebbe stato in grado di fare i ragionamenti di Seldon trent’anni prima? Seldon era convinto che non ne sarebbe stato capace. Era davvero così importante scoprire il principio dell’anticaos, una volta poste le basi?

Tutto questo era vero, eppure, quando era insieme a Elar, Seldon si sentiva ancora a disagio. Appena appena, certo. La stanca vecchiaia a confronto con la vivace giovinezza.

Tuttavia Elar non gli aveva mai dato apertamente motivo di avvertire la differenza d’età. Non gli aveva mai mancato di rispetto o, in qualsiasi modo, non aveva mai dato l’impressione di sottintendere che l’uomo più anziano avesse già superato il fiore degli anni.

Naturalmente, Elar era interessato agli ormai prossimi festeggiamenti ed era stato anzi il primo, come aveva scoperto Seldon, a suggerire di organizzare una festa per il suo compleanno. (Voleva forse sottolineare la sua età? Seldon scacciò il pensiero. Se lo avesse creduto, avrebbe finito con l’assomigliare all’ipersospettosa Dors.)

Elar avanzò a passi rapidi verso Seldon e disse: «Maestro». Come al solito Seldon sussultò. Preferiva che i membri anziani del progetto lo chiamassero Hari, ma gli pareva inutile imbastire un discorso per una simile sciocchezza.

«Maestro, circola voce che lei sia stato convocato per un incontro con il generale Tennar.»

«Sì. È il nuovo capo della Giunta e credo che voglia incontrarmi per sapere qualcosa a proposito della psicostoria. È dai tempi di Cleon e Demerzel che continuano a chiedermelo.» (Il nuovo capo della Giunta! La Giunta era come un caleidoscopio, alcuni dei suoi membri periodicamente cadevano in disgrazia, mentre altri scaturivano dal nulla.)

«Ma da quello che ho capito vuole vederla fra poco... proprio nel bel mezzo della festa di compleanno.»

«Oh, poco importa. Potete festeggiare anche senza di me.»

«Non è possibile, maestro. Spero che non le dispiaccia, ma alcuni di noi si sono incontrati per discuterne e abbiamo inoltrato una richiesta al palazzo e rinviato l’incontro di una settimana.»

«Cosa?» fece Seldon infastidito. «È stato un gesto presuntuoso da parte vostra e anche pericoloso.»

«È andato tutto bene. Hanno rimandato l’incontro e questa dilazione le servirà.»

«Perché dovrei aver bisogno di una settimana?»

Elar esitò. «Posso parlare francamente, maestro?»

«Certo, quando mai ho chiesto a qualcuno di non parlarmi francamente?»

Elar arrossì un poco – la sua pelle chiara mostrava i rossori in modo inequivocabile –, ma la sua voce rimase ferma. «Non è così facile dirlo, maestro. Lei è un genio della matematica. Nessuno del progetto ne dubita. Nessuno in tutto l’impero, se tutti potessero conoscerla e capire la sua matematica, ne dubiterebbe. Ma non è dato a tutti essere un genio universale.»

«Questo lo so anch’io, Elar.»

«Ne sono sicuro. Volendo essere più chiari: lei non ha l’abilità necessaria per trattare con la gente comune. Con la gente stupida, diciamo pure. Le manca una certa malizia, una certa capacità di aggirare gli ostacoli e, avendo a che fare con persone al governo che sono al tempo stesso potenti e piuttosto stupide, potrebbe rischiare di mettere in pericolo il progetto e anche la sua stessa vita, semplicemente perché è troppo franco.»

«Cos’è questa storia? Di colpo sono diventato un bambino? Ho avuto a che fare con politici per molto tempo. Sono stato primo ministro per dieci anni, come forse ricorderà.»

«Mi perdoni, maestro, ma in quell’ambito lei non è stato particolarmente efficace. Ha avuto a che fare solo con il vecchio primo ministro, Demerzel, che era molto intelligente, sotto tutti gli aspetti, e con l’imperatore Cleon, che era molto amichevole. Ora incontrerà dei militari che non sono né intelligenti né amichevoli... tutto un altro tipo di persone.»

«Ho anche avuto a che fare con militari e sono sopravvissuto.»

«Non con il generale Dugal Tennar. È un genere di persona completamente diverso. Lo conosco.»

«Lo conosce? L’ha incontrato?»

«Non lo conosco di persona, ma viene da Mandanov che, come sapete, è il mio settore, e già in quel posto era uno che contava anche prima di unirsi alla Giunta e di salire di rango.»

«E cosa sa di lui?»

«Ignorante, superstizioso, violento. Non è quel tipo di persona che si può affrontare facilmente, o con sicurezza. Può usare questa settimana per capire come trattare con lui.»

Seldon si morse un labbro. C’era qualcosa di vero in quello che diceva Elar e Seldon comprese il fatto che, per quanto avesse dei piani per il futuro, sarebbe stato difficile manipolare una persona stupida, egocentrica, iraconda e per di più con mezzi strapotenti a sua disposizione.

A disagio disse: «In qualche modo ci riuscirò. L’intera faccenda di una Giunta militare è, in ogni caso, una situazione instabile nella Trantor odierna. È già durata più a lungo di quanto sembrasse probabile».

«Abbiamo già eseguito delle analisi in proposito? Non ero a conoscenza del fatto che stessimo conducendo test sulla stabilità della Giunta.»

«Solo qualche calcolo di Amaryl utilizzando le sue equazioni acaotiche.» Seldon fece una pausa. «A proposito, ho saputo che qualcuno le definisce “equazioni Elar”.»

«Non sono di certo io, maestro.»

«Spero non le dispiaccia, ma non voglio che ciò accada. Gli elementi psicostorici devono essere descritti secondo la loro funzione e non sulla base di chi li ha elaborati. Appena intervengono elementi personali, nascono dei risentimenti.»

«Capisco e sono d’accordo, maestro.»

«Io stesso, per la verità,» disse Seldon con un pizzico di rimorso «mi sento sempre a disagio quando si parla del mio lavoro di base come delle equazioni Seldon sulla psicostoria. Il guaio è che questa definizione è ormai in uso da troppi anni e non sarebbe pratico cambiarla.»

«Se mi permette di dirlo, maestro, lei è un caso eccezionale. Nessuno, credo, le contesterebbe il diritto di ricevere tutti gli elogi per aver inventato la scienza della psicostoria... Ma, se posso, vorrei ritornare al suo incontro con il generale Tennar.»

«Che altro c’è da dire?»

«Non posso non chiedermi se sarebbe meglio evitare di incontrarlo, di parlargli, di avere a che fare con lui.»

«Come posso evitarlo se mi convoca per un incontro?»

«Forse potrebbe dire di essere malato e mandare qualcuno al suo posto.»

«Chi?»

Elar rimase in silenzio per un istante, ma il suo silenzio era eloquente.

«Lei, immagino» disse Seldon.

«Non sarebbe la cosa migliore? Io e il generale siamo originari dello stesso settore e questo potrebbe avere il suo peso. Lei è un uomo occupato, avanti negli anni, e sarebbe facile credere che non è in piena salute. E se toccasse a me incontrarlo, mi scusi, maestro, potrei depistarlo e manovrarlo più facilmente di lei.»

«Mentirgli, intende dire.»

«Se necessario.»

«Sarebbe un grosso rischio.»

«Non troppo. Dubito che ordinerebbe di giustiziarmi. Se si dovesse arrabbiare con me, cosa che potrebbe accadere, allora potrei, o potrebbe farlo lei per me, addurre come scusante la giovane età e l’inesperienza. In ogni caso, se dovessi cacciarmi nei guai sarebbe molto meno rischioso che per lei. Mi sto preoccupando per il progetto, che senza di me potrebbe continuare benissimo mentre subirebbe un duro colpo con la sua scomparsa.»

Seldon, aggrottando la fronte, disse: «Non ho intenzione di nascondermi dietro di lei, Elar. Se il generale mi vuole incontrare, mi incontrerà. Mi rifiuto di farmi intimorire, di perdere la testa e anche di chiederle di prendere il mio posto. Cosa crede che sia?».

«Un uomo franco e tranquillo, quando sarebbe necessario un uomo subdolo.»

«Se ci sarò costretto, riuscirò a mostrarmi tale. La pregherei, Elar, di non sottovalutarmi.»

Elar alzò le spalle disperato. «Va bene. Con lei posso discutere solo fino a un certo punto.»

«In realtà, Elar, vorrei che non aveste ritardato l’incontro. Avrei preferito evitare la festa e vedere il generale, piuttosto che il contrario. Questa festa di compleanno non è stata una mia idea.» La sua voce si spense in un borbottio.

«Mi spiace.»

«Va bene» disse Seldon rassegnato. «Vedremo che cosa succederà.»

Si girò e se ne andò. A volte desiderava ardentemente poter guidare una squadra piccola e affiatata, formata da persone dedite solo al proprio lavoro, e potersi assicurare che tutto funzionasse così come lui voleva, lasciando poco o nessuno spazio per le iniziative fra i suoi subordinati. Però, riuscire a fare questo avrebbe richiesto molto tempo e uno sforzo gigantesco, e ciò gli avrebbe precluso la possibilità di lavorare di persona sulla psicostoria. Senza contare, oltre tutto, che non ne aveva il temperamento.

Sospirò. Avrebbe dovuto parlare con Yugo.

10

Seldon irruppe nell’ufficio di Amaryl senza farsi annunciare.

«Yugo,» disse bruscamente «l’incontro con il generale Tennar è stato rinviato.» Si sedette in modo piuttosto stizzito.

A Amaryl fu necessario qualche istante per distogliere il suo cervello dal lavoro. Sollevando lo sguardo, finalmente, disse: «Che scusa ha addotto?».

«Non è stato lui. Alcuni dei nostri matematici hanno ottenuto il rinvio di una settimana perché l’incontro non interferisse con i festeggiamenti. Non ci voleva proprio.»

«Perché glielo hai permesso?»

«Non sono stato io. Si sono mossi per conto loro e hanno sistemato tutto quanto.» Seldon alzò le spalle. «In qualche modo è anche colpa mia. Mi sono lamentato a tal punto di compiere sessant’anni che adesso tutti si sentono in dovere di rallegrarmi con dei festeggiamenti.»

«Naturalmente, possiamo fare buon uso di questa settimana.»

Seldon si sporse in avanti preoccupato: «C’è qualcosa che non va?».

«No. Non che io sappia, ma non sarebbe male esaminare meglio la faccenda. Senti, Hari, questa è la prima volta in trent’anni che la psicostoria è arrivata al punto di poter fornire una previsione. Non è niente di spettacolare, solo un pizzichino nel vasto continente dell’umanità, ma è il meglio che siamo riusciti a fare finora. E sta bene: vogliamo trarne dei vantaggi, vedere come funziona, dimostrare anche a noi stessi che la psicostoria è davvero ciò che crediamo, una scienza in grado di prevedere il futuro. Quindi, non sarà male assicurarci di non aver trascurato alcun dato. Anche questo minuscolo frammento di previsione è complesso, e sono felice di avere a disposizione un’altra settimana di studio.»

«D’accordo. Mi consulterò con te prima di incontrarmi con il generale, per sapere se occorre apportare qualche modifica dell’ultimo minuto. Nel frattempo, Yugo, non riferire nulla di tutto questo agli altri, a nessuno. Nel caso in cui non dovesse funzionare, non voglio che i membri del progetto si demoralizzino. Tu e io assorbiremo il fallimento e continueremo con i nostri tentativi.»

Un raro sorriso nostalgico comparve sul viso di Amaryl. «Tu e io. Ricordi quando eravamo veramente tu e io? Soltanto noi due?»

«Lo ricordo benissimo, e non credere che non rimpianga quei giorni. Non avevamo molto con cui lavorare.»

«Nemmeno il radiante primario, per non parlare dell’elettrochiarificatore.»

«Ma erano giorni felici.»

«Felici» disse Amaryl annuendo.

11

L’università era stata trasformata e Hari Seldon non poteva fare a meno di sentirsi compiaciuto.

Le stanze centrali del complesso di edifici dedicato al progetto avevano all’improvviso dato vita a colori e luci, mentre l’aria era piena di ologrammi che cambiavano continuamente, rappresentando Seldon in vari luoghi e in differenti età. C’era anche Dors Venabili, sorridente e con un aspetto più giovane. C’era Raych da ragazzo, ancora un po’ grossolano. Per un istante si videro Seldon e Amaryl, incredibilmente giovani, piegati sopra i loro computer. Ci fu anche una fuggevole visione di Demerzel, che riempì il cuore di Seldon di rimpianto per il suo vecchio amico e per il senso di sicurezza che provava prima della sua partenza.

L’imperatore Cleon non compariva in alcun ologramma. Questa mancanza non era dovuta al fatto che non esistevano sue immagini, ma non era una buona idea, sotto il governo della Giunta, ricordare alla gente l’impero appena passato.

Gli ologrammi continuavano a sgorgare, debordanti, riempiendo stanza dopo stanza, edificio dopo edificio. In qualche modo era stato trovato il tempo per convertire l’intera università in una mostra che non assomigliava a nulla che Seldon avesse mai visto o immaginato. Anche le luci della cupola erano state oscurate per produrre una notte artificiale sullo sfondo della quale l’università sarebbe rimasta illuminata per tre giorni.

«Tre giorni!» esclamò Seldon a metà fra l’impressionato e l’impaurito.

«Tre giorni» ripeté Dors Venabili annuendo col capo. «L’università non ha voluto saperne di un periodo più breve.»

«Ma i costi! Tutto questo lavoro!» disse Seldon aggrottando la fronte.

«Le spese non sono un problema» disse Dors. «Ciò che hai fatto per l’università vale molto più di quanto potrebbe costare questa piccola dimostrazione. E tutto il lavoro è stato svolto da volontari. Gli studenti si sono fatti avanti e si sono presi cura di ogni cosa.»

Ora comparve una vista aerea dell’università, in panoramica, e Seldon la fissò, mentre un sorriso si faceva strada sul suo volto.

«Sei contento. Quest’ultimo mese non hai fatto altro che lamentarti su come non volevi che si festeggiasse la tua vecchiaia, e ora guardati.»

«Be’, è lusinghiero. Non avevo idea che avrebbero organizzato una cosa di questo genere.»

«Perché no? Sei un simbolo, Hari. Tutto il mondo, tutto l’impero ti conosce.»

«Non è vero» disse Seldon scuotendo vigorosamente il capo. «Nemmeno una persona su un miliardo sa qualcosa di me o della psicostoria. Nessuno al di fuori del progetto ha la più vaga idea di come funzioni la psicostoria, e nemmeno i suoi stessi membri.»

«Questo non importa, Hari. La gente conosce te. Anche i miliardi di esseri umani che non sanno niente di te o del tuo lavoro sanno che sei il più grande matematico dell’impero.»

«Be’,» disse Seldon guardandosi intorno «non c’è dubbio che vogliano darmi questa sensazione. Ma tre giorni e tre notti! Andrà in pezzi tutto.»

«Non è vero, tutti i dati sono stati messi al sicuro. I computer e gli altri strumenti sono stati imballati. Gli studenti hanno istituito un vero e proprio corpo di polizia che impedirà che qualsiasi cosa venga danneggiata.»

«Te ne sei occupata tu, vero, Dors?» domandò Seldon sorridendole teneramente.

«Alcuni di noi, non è tutto merito mio. Il tuo collega Tamwile Elar ha lavorato con incredibile alacrità.»

Seldon fece una smorfia.

«Perché? Cosa c’è che non va in Elar?» chiese Dors.

«Continua a chiamarmi “maestro”.»

Dors scosse il capo. «Ecco un grave crimine.»

Seldon la ignorò e continuò: «E poi è giovane».

«Di male in peggio. Insomma, Hari, dovrai imparare a invecchiare con eleganza e per cominciare dovrai mostrare che ti stai divertendo. Farà piacere agli altri e aumenterà la loro fiducia, senza contare il fatto che anche tu vorrai divertirti. Forza. Vai in giro. Non stare qui nascosto con me. Saluta tutti. Sorridi. Informati sulla loro salute. E ricordati che, dopo il banchetto, dovrai tenere un discorso.»

«Odio i banchetti e odio doppiamente i discorsi.»

«Dovrai farlo comunque. Adesso vai!»

Seldon sospirò con aria melodrammatica ed eseguì quello che gli era stato consigliato. Era una figura piuttosto imponente mentre stava sotto l’arcata che conduceva nel salone principale. Le voluminose toghe da primo ministro degli anni passati avevano fatto ormai il loro tempo, così come i vestiti heliconiani che aveva preferito nella sua giovinezza. Adesso Seldon indossava un completo che si addiceva al suo status elevato: pantaloni lunghi, fittamente pieghettati, e una tunica lavorata. Sopra il cuore, ricamato con filo d’argento, c’era lo stemma con la scritta PROGETTO PSICOSTORIA SELDON DELL’UNIVERSITÀ DI STREELING. Risaltava come un faro sul colore grigio-titanio dei suoi vestiti. Gli occhi di Seldon luccicavano in un volto ora segnato dall’età e i suoi sessant’anni venivano traditi sia dalle rughe sia dai capelli bianchi.

Entrò nella stanza dove i bambini stavano festeggiando. Il locale era stato completamente liberato eccetto qualche tavolino su cui era stato posato del cibo. I bambini gli corsero incontro non appena lo videro – sapevano che era lui il festeggiato – e Seldon cercò di evitare le manine che volevano afferrarlo.

«Aspettate, aspettate, bambini» disse Seldon. «Ora state indietro.»

Tirò fuori da una tasca un piccolo robot computerizzato e lo mise sul pavimento. In un impero senza robot, sapeva che ai bambini quell’oggetto sarebbe apparso una vera e propria meraviglia. Aveva l’aspetto di un piccolo animale peloso, ma anche la capacità di cambiare forma senza preavviso (provocando ogni volta scoppi di risatine) e, quando lo faceva, cambiavano pure i suoni e i movimenti.

«Guardatelo» disse Seldon «e giocateci, e cercate di non romperlo. Più tardi, ce ne sarà uno per ciascuno di voi.»

Scivolò fuori e, mentre sgattaiolava via, si accorse che Wanda lo stava seguendo.

«Nonno» disse la bimba.

Be’, naturalmente per Wanda era diverso. Si chinò verso di lei e la sollevò in alto, la fece girare e la rimise a terra.

«Ti stai divertendo, Wanda?»

«Sì, ma non entrare in quella stanza.»

«Perché no, Wanda? È la mia stanza. È l’ufficio dove lavoro.»

«È dove ho avuto il brutto sogno.»

«Lo so, Wanda, ma è tutto finito, non è vero?» Esitò, poi condusse Wanda a una delle sedie allineate lungo il corridoio. Sedette e se la mise sulle ginocchia.

«Wanda, sei sicura che fosse un sogno?»

«Credo che lo fosse.»

«Eri veramente addormentata?»

«Credo di sì.»

Sembrava a disagio mentre ne parlava e Seldon dovette lasciar perdere. Non c’era motivo per forzarla oltre.

«Be’, sogno o no, c’erano due uomini e parlavano di morte alla limonata, vero?» le chiese Seldon.

Wanda annuì con riluttanza.

«Sei sicura che abbiano detto limonata?»

Wanda annuì ancora.

«Non potrebbero aver detto qualcos’altro e tu hai creduto di sentire limonata?»

«Hanno detto limonata.»

Seldon dovette accontentarsi di questa risposta. «D’accordo, adesso corri a divertirti, Wanda. Dimentica il sogno.»

«Va bene, nonno.» La bambina si rallegrò non appena l’argomento del sogno fu accantonato. Scese dalle sue ginocchia e se ne andò.

Seldon andò a cercare Manella. Ci volle molto tempo per trovarla perché, a ogni passo, veniva fermato, salutato e bloccato con una conversazione.

Finalmente la vide in lontananza. Bofonchiando: «Scusate, scusate, c’è una persona che devo... Scusate» riuscì a farsi strada fino a lei con una certa fatica.

«Manella» chiamò, poi la tirò da parte sorridendo meccanicamente in tutte le direzioni.

«Sì, Hari? Qualcosa non va?»

«È il sogno di Wanda.»

«Non dirmi che ne sta ancora parlando.»

«Be’, senz’altro continua a preoccuparla. Abbiamo della limonata alla festa, non è vero?»

«Certo, i bambini l’adorano. Ho messo quasi trenta diversi boccioli-sapore micogenesi in piccoli bicchieri di forme differenti e i bambini li assaggiano uno dopo l’altro per sentire qual è il più buono. La bevono anche gli adulti, pure io. Perché non l’assaggi, Hari? È ottima.»

«Pensavo che se non fosse stato un sogno, se la bambina avesse sentito parlare davvero di morte alla limonata...» Fece una pausa, come se si vergognasse di continuare.

«Non starai pensando che qualcuno abbia avvelenato la limonata? È ridicolo. Altrimenti ogni bambino qui intorno sarebbe morto o agonizzante.»

«Lo so» borbottò Seldon. «Lo so.»

Cominciò a gironzolare e quasi non vide Dors mentre le passava vicino. Lei lo prese per il gomito.

«Perché quella faccia?» gli chiese. «Sembri preoccupato.»

«Stavo pensando a Wanda, alla sua morte alla limonata.»

«Anch’io, ma finora non sono riuscita a capirci niente.»

«Non posso fare a meno di pensare a un possibile avvelenamento.»

«Non preoccuparti. Ti assicuro che ogni grammo di cibo introdotto a questa festa è stato controllato a livello molecolare. Sono sicura che starai pensando al mio tipico atteggiamento da paranoica, ma il mio dovere è proteggerti ed è quello che farò.»

«E tutto è...»

«Nessun veleno, te lo assicuro.»

Seldon sorrise. «Bene, è un sollievo. Non stavo pensando davvero a...»

«Speriamo di no» troncò bruscamente Dors. «Ciò che mi preoccupa ben più di certe fantasie al veleno è che fra qualche giorno incontrerai quel mostro di Tennar.»

«Non definirlo così, Dors. Stai attenta. Siamo circondati da orecchie e bocche.»

Dors abbassò immediatamente la voce. «Suppongo che tu abbia ragione. Guardati intorno, tanti volti sorridenti e chi sa quali dei nostri “amici” faranno rapporto al capo della Giunta e ai suoi scagnozzi quando la notte sarà finita? Ah, gli esseri umani! Anche dopo tanti millenni, pensare che la propensione al tradimento sia più viva che mai... mi sembra così inutile. Tuttavia so che esiste e conosco i danni che può provocare. Ed è per questo che devo venire con te, Hari.»

«Impossibile, Dors. Servirebbe soltanto a complicarmi le cose. Andrò da solo e non ci saranno problemi.»

«Non sapresti come trattare il generale.»

Seldon parve preoccupato. «Perché tu lo sapresti? Hai appena ammesso di non comprendere la natura umana. Sembra di sentire Elar. Anche lui è convinto che io sia un sempliciotto indifeso. Anche lui vorrebbe venire con me, o addirittura andare al mio posto...» e aggiunse con evidente sarcasmo: «Mi chiedo quante persone su Trantor vorrebbero prendere il mio posto... Decine? Milioni?».

12

Da dieci anni l’impero galattico non aveva un imperatore, ma a giudicare dall’aspetto dei giardini del palazzo imperiale era difficile crederlo. Millenni di consuetudine avevano reso insignificante l’assenza di un sovrano.

Naturalmente ciò comportava che non ci fosse alcuna figura in manto imperiale a occuparsi delle più svariate formalità. Nessuna voce imperiale impartiva ordini; i desideri imperiali non venivano resi noti; compiacimenti o insoddisfazioni imperiali non si facevano sentire; nessun divertimento rallegrava i due palazzi; nessuna indisposizione imperiale li rattristava. Le stanze dell’imperatore nel Piccolo Palazzo erano vuote e la sua famiglia non esisteva.

E nonostante ciò l’esercito di giardinieri manteneva i terreni in perfetto stato. Una schiera di lavoratori si assicurava che gli edifici fossero in splendide condizioni. Il letto dell’imperatore, mai occupato, veniva rifatto ogni giorno con lenzuola nuove; le stanze venivano pulite; tutto continuava a funzionare come prima; e l’intero personale di palazzo da cima a fondo, eccettuati l’imperatore e la sua famiglia, continuava a lavorare come sempre. I più importanti impartivano ordini come avrebbero fatto se l’imperatore fosse stato vivo, ordini che a loro avviso anche l’imperatore avrebbe impartito. In molti casi, specialmente nelle sfere più alte, il personale era lo stesso che aveva lavorato l’ultimo giorno della vita di Cleon. Il nuovo personale che era stato assunto veniva attentamente istruito e preparato in vista delle tradizioni che avrebbe dovuto seguire.

Era come se l’impero, abituato al controllo di un imperatore, esigesse quel governo-fantasma in grado di tenere unito l’impero.

I membri della Giunta lo sapevano; oppure, se non ne erano chiaramente a conoscenza, lo intuivano vagamente. Per dieci anni nessuno di quei militari che ora comandavano l’impero si era mai trasferito nelle stanze private dell’imperatore. Qualunque cosa fossero, non erano imperatori e non avevano alcun diritto in quel campo. Una popolazione che sopportava la mancanza di libertà non avrebbe sopportato un qualsiasi segno di irriverenza nei confronti dell’imperatore, vivo o morto che fosse.

Anche il generale Tennar non aveva compiuto alcun tentativo di avvicinarsi agli eleganti edifici che per tanto tempo avevano ospitato gli imperatori di innumerevoli dinastie. Aveva scelto come alloggio e ufficio uno degli edifici costruiti ai bordi dei terreni imperiali, struttura orribile ma situata lungo una linea di fortificazioni abbastanza robusta da sostenere un assedio e dotata di edifici adiacenti dove era alloggiato un poderoso contingente di guardie.

Tennar era un uomo tarchiato, con i baffi. Non vigorosi e folti come quelli dei dahliti, ma ben curati, seguivano perfettamente il labbro superiore lasciando solo una strisciolina di pelle fra peli e labbro. Il loro colore tendeva al rosso, mentre gli occhi erano di un gelido azzurro. Probabilmente da giovane era stato un bell’uomo, ma ora la sua faccia era gonfia e gli occhi erano diventati fessure che mostravano rabbia più spesso di qualunque altra emozione.

Irosamente, con il tono di chi, pur essendo un generale e sentendosi l’assoluto signore di milioni di mondi, non osava tuttavia farsi chiamare imperatore, Tennar disse a Hender Linn: «Posso fondare una mia dinastia». Si guardò intorno con la fronte aggrottata. «Questo non è un posto adatto al padrone dell’impero.»

Linn ribatté pacatamente: «Ciò che importa è essere il padrone. Meglio padrone in uno stanzino che fantoccio in un palazzo».

«Meglio ancora padrone in un palazzo. Perché no?»

Linn aveva il grado di colonnello, ma era accertato che non aveva mai partecipato a una sola azione di guerra. La sua funzione era quella di dire a Tennar ciò che lui voleva sentirsi dire... e di riferire i suoi ordini, senza modifiche, ad altri. In certe occasioni, se gli sembrava poco rischioso, poteva provare a far cambiare idea al generale, a dirottarlo verso una scelta più prudente.

Linn era noto a tutti come il “lacchè di Tennar”, e lui ne era a conoscenza. Ma non gli importava: come lacchè era al sicuro, mentre aveva assistito alla caduta di quelli che erano stati troppo orgogliosi per diventarlo.

Ovviamente, era possibile che più avanti Tennar stesso venisse cancellato dal panorama in continuo cambiamento della Giunta, ma Linn sentiva, con una certa dose di filosofia, che se ne sarebbe accorto in tempo e si sarebbe salvato. O forse non ci sarebbe riuscito. C’era un prezzo per qualunque cosa.

«Non c’è motivo per cui lei non possa fondare una dinastia, generale. Molti altri l’hanno fatto nel lungo corso della storia imperiale. Tuttavia, ci vuole tempo. La gente è lenta a adattarsi. Solitamente è solo il secondo o anche il terzo regnante della dinastia che viene accettato completamente come imperatore.»

«Non ci credo. Devo solamente annunciare pubblicamente di essere il nuovo imperatore. Chi oserà sfidarmi? Ho il controllo quasi assoluto.»

«È vero, generale. Il suo potere su Trantor e su molti dei Mondi interni è indubbio, tuttavia è possibile che alcuni dei più lontani Mondi esterni non vogliano accettare – non ancora, almeno – una nuova dinastia imperiale.»

«Mondi interni o Mondi esterni, il potere militare comanda tutto. È una vecchia massima imperiale.»

«Ed è anche una buona massima, ma molte province hanno ormai armato eserciti propri che, probabilmente, potrebbero far scendere in campo non a suo favore. Questi sono tempi difficili.»

«Mi consigli cautela, allora.»

«Consiglio sempre cautela, generale.»

«E un giorno potresti consigliarla una volta di troppo.»

Linn piegò il capo. «Posso solo suggerire ciò che mi sembra utile e vantaggioso per lei, generale.»

«Proprio come fai continuando a mettermi in guardia da questo Hari Seldon.»

«È il peggiore pericolo per lei, generale.»

«Continui a ripeterlo, ma non capisco. È solamente un professore universitario.»

«Questo è vero, ma una volta era primo ministro.»

«Lo so, all’epoca di Cleon, però. Ha fatto qualcosa da allora? In questo periodo di difficoltà e con i governatori delle province divisi, perché un professore dovrebbe costituire per me una grande minaccia?»

«A volte è un errore» disse Linn cautamente (perché bisognava essere cauti quando si istruiva il generale) «supporre che una persona tranquilla, apparentemente comune, sia innocua. Seldon è stato di tutto fuorché innocuo nei confronti di coloro che gli sono stati nemici. Diciotto anni fa sorse il movimento joranumita che per poco non distrusse il potente primo ministro di Cleon, Demerzel.»

Tennar annuì, ma il leggero cipiglio sul suo viso tradì lo sforzo di richiamare alla memoria quell’incidente storico.

«Fu Seldon» proseguì Linn «che distrusse Joranum e prese il posto di Demerzel come primo ministro. Comunque, il movimento joranumita sopravvisse e Seldon architettò anche la loro distruzione, ma questo non prima che riuscissero a portare a termine l’assassinio di Cleon.»

«Ma Seldon è riuscito a sopravvivere, non è vero?»

«Ha perfettamente ragione. Seldon rimase in vita.»

«È strano. L’aver permesso l’assassinio di un imperatore sarebbe dovuto costare la vita al primo ministro.»

«Sarebbe dovuto. Eppure, la Giunta gli ha permesso di vivere. All’epoca sembrò il modo più saggio di agire.»

«Perché?»

Linn sospirò fra sé. «C’è una cosa chiamata psicostoria, generale.»

«Non ne so niente» disse chiaro e tondo Tennar.

In realtà aveva un vago ricordo di Linn che cercava di parlargli, in svariate occasioni, di quello strano insieme di sillabe. Non aveva mai voluto ascoltare e Linn, saggiamente, non aveva insistito. Neppure adesso Tennar aveva voglia di ascoltarlo, però sembrava esserci una certa urgenza nascosta nelle parole del colonnello. Forse, pensò Tennar, sarebbe stato meglio sentire cosa aveva da dirgli.

«Quasi nessuno sa cosa sia,» disse Linn «però ci sono certi... uh... intellettuali, che la trovano interessante.»

«E che cos’è?»

«È un complesso sistema di formule matematiche.»

Tennar scosse il capo. «Lasciami fuori da tutto questo, per favore. Posso contare le divisioni del mio esercito. È tutta la matematica che mi serve.»

«A quanto sembra la psicostoria permette di prevedere il futuro.»

Il generale spalancò gli occhi. «Vuoi dire che questo Seldon è forse un chiaroveggente?»

«Non con i soliti metodi. Si tratta di un sistema scientifico.»

«Non ci credo.»

«È difficile da accettare, ma Seldon è diventato ormai un personaggio famoso qui su Trantor e anche in alcuni Mondi esterni. La psicostoria – possa essere utilizzata effettivamente per prevedere il futuro, o anche solo per influenzare la gente in modo da farle credere che ci riesca – potrebbe rivelarsi uno strumento importante per sostenere il regime. Sono sicuro che avrà già capito, generale. Basterebbe semplicemente prevedere che il nostro regime durerà e porterà pace e prosperità all’impero. La gente, credendoci, collaborerà a renderla una profezia veritiera. D’altro canto, se Seldon desiderasse il contrario, potrebbe prevedere guerra civile e distruzione. La gente gli crederebbe e ciò finirebbe col rendere instabile il regime.»

«In questo caso, Linn, ci assicureremo che le previsioni della psicostoria siano come le vogliamo noi.»

«Dovrebbe essere Seldon a farle, e lui non è un amico del regime. È importante, generale, che sia ben chiara la differenza tra i membri del progetto che stanno lavorando all’Università di Streeling per perfezionare la psicostoria e Hari Seldon. La psicostoria può esserci estremamente utile, ma soltanto se sarà affidata a qualcuno che non sia Seldon.»

«Ci sono dei probabili candidati?»

«Oh, sì. Ci dobbiamo solamente sbarazzare di Seldon.»

«E cosa c’è di difficile? Basta farlo giustiziare... ed è fatta.»

«Sarebbe meglio, generale, che il governo non apparisse direttamente coinvolto in un tale affare.»

«Spiegati!»

«L’ho convocato davanti a lei, in modo che possa avvalersi del suo intuito per analizzarne la personalità. Sarà così in grado di giudicare se valga la pena o meno di mettere in atto certi suggerimenti che ho in mente.»

«Quando avrà luogo l’incontro?»

«Dovevate incontrarvi molto presto, ma i suoi rappresentanti in seno al progetto hanno chiesto un rinvio di qualche giorno perché erano in procinto di festeggiare il suo compleanno, a quanto pare il sessantesimo. Mi è sembrato saggio accettare il ritardo di una settimana.»

«Per quale motivo? Non sopporto segni di debolezza.»

«Ha ragione, generale. Senz’altro. Il suo istinto ha come sempre ragione. Comunque, mi è sembrato che per il bene dello stato ci dovessimo informare su cosa i festeggiamenti di compleanno, che stanno avendo luogo proprio in questo stesso istante, potessero coinvolgere e in che modo.»

«Perché?»

«Ogni informazione è utile. Le interesserebbe vedere qualche spezzone dei festeggiamenti?»

La faccia del generale Tennar rimase imbronciata. «È proprio necessario?»

«Credo che lo troverà interessante, generale.»

La riproduzione, quanto a qualità audio e video, era davvero eccellente, e per un po’ di tempo l’ilarità dei festeggiamenti riempì la stanza spartana in cui il generale sedeva.

La voce di Linn forniva il commento. «La maggior parte di ciò che vede, generale, sta avendo luogo nella comunità del progetto, ma anche il resto dell’università è coinvolto. Tra qualche istante avremo una vista aerea e potrete notare come la celebrazione copra un’ampia area. Infatti, anche se non ho sottomano le prove, ci sono alcuni posti sul pianeta, per lo più in varie università e fondazioni, dove stanno avendo luogo delle celebrazioni analoghe. I festeggiamenti continuano e dureranno almeno un altro giorno.»

«Mi stai dicendo che questi festeggiamenti coinvolgono tutto Trantor?»

«In un certo senso. Coinvolgono per lo più le classi intellettuali, ma sono sorprendentemente diffusi. È perfino possibile che ve ne siano anche su altri pianeti oltre che su Trantor.»

«E, dimmi, dove hai ottenuto questa riproduzione?»

Linn sorrise. «I nostri sistemi di sorveglianza all’interno dell’area sono abbastanza efficienti. Abbiamo delle fidate fonti di informazione, quindi ben poco di tutto ciò che accade là dentro non viene subito portato alla nostra attenzione.»

«Bene, Linn, quali sono le tue conclusioni a questo proposito?»

«A me sembra, generale, e sono sicuro che anche lei ormai ne sarà del tutto convinto, che Hari Seldon sia il perno di un culto della personalità. Si è identificato a tal punto con la psicostoria che, se ci dovessimo sbarazzare di lui in maniera troppo scoperta, finiremmo col distruggere la credibilità stessa della scienza. Non sarebbe più di alcuna utilità.

«D’altro canto, generale, Seldon sta invecchiando e non è difficile immaginarlo sostituito da qualcuno... qualcuno che noi potremmo scegliere e che sarebbe favorevole ai nostri scopi e ai nostri desideri per l’impero. Tutto ciò che ci serve è che Seldon sia rimosso in un modo che sembri naturale.»

Il generale rifletté. «E credi che dovrei incontrarlo.»

«Sì, certo, per riuscire a soppesarne la validità e decidere quindi il da farsi. Ma dobbiamo essere molto cauti, perché è una persona popolare.»

«Ho già avuto a che fare con persone popolari» concluse cupo Tennar.

13

«Sì,» disse Hari Seldon «è stato un vero e proprio trionfo. Mi sono divertito molto. Non credo che riuscirò ad aspettare fino ai miei settant’anni per ripeterlo. Ma il punto è che sono esausto.»

«Fatti una bella dormita, papà» disse Raych sorridendo. «È un facile rimedio.»

«Non so come potrò riposarmi visto che dovrò incontrare il nostro grande capo fra qualche giorno.»

«No, da solo non lo incontrerai» disse Dors Venabili arcigna.

Seldon si incupì. «Non ricominciare, Dors. È importante che lo incontri da solo.»

«Per te non sarà sicuro incontrarlo da solo. Ricordi cos’è successo dieci anni fa, quando mi hai impedito di venire con te a salutare i giardinieri?»

«Non c’è rischio che lo dimentichi, visto che me lo ricordi due volte alla settimana, Dors. Tuttavia, in questo caso, ho intenzione di andarci da solo. Che cosa può farmi se vado da lui nelle vesti di un povero vecchio, totalmente inerme, per sapere quello che vuole da me?»

«Cosa credi che voglia da te?» chiese Raych mordicchiandosi una nocca.

«Credo che voglia ciò che Cleon ha sempre voluto. Avrà scoperto che la psicostoria può, in qualche modo, prevedere il futuro, e vorrà utilizzarla per i propri scopi. Quasi trent’anni fa ho detto a Cleon che la scienza non poteva ancora riuscirci, poi ho continuato a ripeterglielo durante il periodo in cui fui primo ministro... e adesso dovrò dire le stesse cose anche al generale Tennar.»

«Come puoi essere sicuro che ti crederà?» chiese Raych.

«Troverò il modo di essere convincente.»

«Non voglio che tu vada da lui da solo» disse Dors.

A quel punto Tamwile Elar interruppe il dibattito. «Sono l’unico estraneo qui. Non so se un mio commento sia bene accetto.»

«Forza» disse Seldon. «Se parla uno, possono parlare tutti.»

«Vorrei suggerire un compromesso. Perché alcuni di noi non vanno con il maestro? Un certo numero. Potremmo formare la sua scorta trionfale, uno strascico dei festeggiamenti... Un attimo, non sto suggerendo di ammassarci nell’ufficio del generale. Non intendevo neanche dire che dovremmo entrare nei terreni del palazzo imperiale. Potremmo piuttosto affittare delle camere nel settore imperiale confinante con i terreni. L’albergo Ai Confini della Cupola sarebbe perfetto e potremmo trascorrere una giornata in allegria.»

«È proprio ciò di cui ho bisogno» sbuffò Seldon. «Una giornata in allegria.»

«Non lei, maestro» disse immediatamente Elar. «Lei potrebbe riposarsi. Tutti gli altri, però, daranno alla gente del settore imperiale un assaggio della sua popolarità e forse anche il generale lo noterà. Inoltre, il sapere che tutti noi saremo in attesa del suo ritorno potrebbe impedirgli di mostrarsi incivile.»

A quella proposta seguì un significativo silenzio. Finalmente Raych disse: «Mi sembra esagerato. Non quadra con l’immagine che il mondo ha di papà».

«Non m’interessa la sua immagine» ribatté Dors. «A me interessa la sicurezza di Hari e, se non possiamo invadere l’ufficio del generale o i terreni imperiali, allora l’ammassarci, per così dire, il più vicino possibile al generale, potrebbe anche andare bene. Grazie, dottor Elar, per l’ottimo suggerimento.»

«Non voglio assolutamente nulla del genere» ribatté Seldon.

«Ma io sì,» disse Dors «e se questo è tutto ciò che io posso fare per offrirti sicurezza a livello personale, insisto che sia fatto.»

Manella, che aveva ascoltato tutto astenendosi da qualsiasi commento, a quel punto intervenne: «Visitare l’albergo Ai Confini della Cupola potrebbe essere divertente».

«Io non sto pensando per nulla al divertimento,» disse Dors «comunque accetterò il suo voto a favore.»

E così si fece come era stato proposto. Il giorno successivo circa venti dei membri più importanti del Progetto Psicostoria arrivarono all’albergo Ai Confini della Cupola, occupando stanze con vista sugli appezzamenti all’aria aperta del palazzo imperiale.

La sera dopo Hari Seldon fu preso in custodia da alcune guardie armate e scortato nel luogo del suo incontro.

Quasi contemporaneamente Dors Venabili scomparve, ma la sua assenza non fu notata per molto tempo. E, quando se ne accorsero, nessuno poté indovinare che cosa le fosse capitato, e l’umore festaiolo si tramutò rapidamente in apprensione.

14

Dors Venabili aveva vissuto nell’area del palazzo imperiale per dieci anni. Come moglie del primo ministro, aveva goduto di libero accesso ovunque ed era stata in grado di passare liberamente dalla cupola all’aperto, utilizzando le sue impronte digitali come lasciapassare.

Nella confusione che era seguita all’assassinio di Cleon il suo lasciapassare elettronico non era mai stato rimosso e ora che, per la prima volta da quel fatidico giorno, voleva passare dalla cupola alla zona aperta dei terreni imperiali, poteva farlo.

Aveva sempre saputo che avrebbe potuto approfittarne una volta sola perché, alla scoperta dell’accaduto, il suo lasciapassare sarebbe stato cancellato, ma questa era l’occasione giusta.

Ci fu un improvviso rabbuiarsi del cielo mentre avanzava all’aperto e anche un deciso calo della temperatura. Nel mondo sotto la cupola la notte era sempre più chiara e il giorno un po’ più scuro di quanto fosse in realtà. E naturalmente la temperatura sotto la cupola era sempre più mite che all’esterno.

La maggior parte dei trantoriani non ne era a conoscenza perché trascorreva tutta la vita sotto la cupola. Dors se lo aspettava e non se ne curò.

Prese il sentiero centrale, sul quale la cupola si apriva in corrispondenza dell’albergo Ai Confini della Cupola. Naturalmente la strada era molto illuminata, per non far risaltare in modo eccessivo l’oscurità notturna.

Dors sapeva di non poter avanzare per più di cento metri lungo la strada senza essere fermata; forse anche meno stando ai tempi paranoici della Giunta. La sua presenza anomala sarebbe stata notata immediatamente.

Non rimase delusa. Una piccola terramobile le si avvicinò e la guardia urlò dal finestrino: «Dove sta andando?».

Lei ignorò la domanda e continuò a camminare.

La guardia gridò: «Ferma!», poi pigiò sui freni e smontò dal veicolo, il che era proprio ciò che Dors attendeva.

La guardia impugnava un fulminatore nella mano che teneva lungo il fianco, senza minacciare nessuno, semplicemente con l’intenzione di mostrarne l’esistenza. «Il suo numero d’identificazione.»

«Voglio la tua vettura» ribatté Dors.

«Cosa?» La guardia parve offesa. «Il suo numero d’identificazione. Immediatamente!» E a quel punto il fulminatore si alzò.

«Non hai bisogno del mio numero d’identificazione» disse Dors con calma e avanzò verso la guardia.

Il soldato fece un passo indietro. «Se non si ferma e presenta il suo numero d’identificazione, dovrò fulminarla.»

«No! Lascia cadere la tua arma.»

Le labbra della guardia si irrigidirono. Il suo dito cominciò ad avanzare verso il contatto, ma prima che potesse raggiungerlo lui fu perduto.

Non fu mai in grado di descrivere dettagliatamente cosa accadde in seguito. Tutto ciò che poté dire fu: «Come potevo sapere che avevo davanti la Donna Tigre?». (Arrivò il momento in cui fu orgoglioso di quell’incontro.) «Si è mossa talmente rapida che non ho visto esattamente cos’ha fatto o cos’è successo. Un istante prima stavo per abbatterla, credevo che fosse una specie di pazza fanatica, e l’istante dopo mi sono ritrovato immobilizzato.»

Dors stringeva saldamente la guardia, tenendo sollevata in alto la mano col fulminatore. «Se non lasci cadere immediatamente il fulminatore, ti spezzo il braccio.»

La guardia avvertì una pressione mortale intorno al petto che gli impediva quasi di respirare. Non aveva scelta e lasciò cadere l’arma.

Dors lo liberò dalla presa, ma prima che la guardia potesse riprendere fiato si trovò puntato contro il suo fulminatore.

«Spero che tu abbia lasciato i rilevatori dell’auto inseriti» gli disse Dors. «Non provare a fare rapporto sull’accaduto troppo presto. Ti conviene aspettare e decidere che cosa riferire ai tuoi superiori. Il fatto di aver perso veicolo e fulminatore a causa di una donna disarmata potrebbe anche porre fine alla tua utilità per la Giunta.»

Dors fece partire la terramobile e iniziò ad accelerare lungo il sentiero centrale. Aver vissuto dieci anni sui terreni imperiali le consentiva di sapere perfettamente dove stava andando. Il veicolo sul quale si trovava, un mezzo da pattuglia del corpo di guardia, non costituiva una presenza estranea nell’area e non sarebbe stata rintracciata così facilmente. Comunque, doveva correre il rischio per la velocità, perché voleva raggiungere la sua destinazione al più presto. Spinse la terramobile fino a raggiungere i duecento chilometri orari.

La velocità, se non altro, finì con l’attirare l’attenzione. Dors ignorò le urla concitate alla radio che chiedevano una spiegazione e, poco dopo, i suoi rilevatori le riferirono che un’altra terramobile le era alle calcagna.

Sapeva che avrebbero trasmesso un messaggio alla base e che all’arrivo ci sarebbero stati altri veicoli in attesa, ma non potevano fare molto, oltre a tentare di disintegrarla... cosa che, apparentemente, nessuno voleva rischiare in attesa di ulteriori accertamenti.

Quando raggiunse l’edificio verso il quale era diretta, due terramobili erano in attesa. Smontò con calma dal veicolo e si avviò verso l’entrata.

Due uomini le bloccarono la strada, chiaramente stupiti dal fatto che il guidatore del veicolo impazzito non fosse una guardia ma una donna vestita con abiti civili.

«Cosa sta facendo qui? Perché aveva tanta fretta?»

«Ho un importante messaggio per il colonnello Hender Linn» rispose Dors con calma.

«Ah, davvero?» fece duramente la guardia. Ora c’erano quattro uomini tra lei e la porta. «Numero d’identificazione, prego.»

«Non fatemi perdere tempo.»

«Numero d’identificazione, ho detto.»

«Mi state facendo perdere tempo.»

Una delle guardie disse di colpo: «Lo sai a chi assomiglia? Alla moglie del vecchio primo ministro, la dottoressa Venabili. La Donna Tigre».

Ci fu uno strano arretramento da parte di tutti e quattro, ma uno di loro disse: «Lei è in arresto».

«Davvero? Se sono la Donna Tigre, dovreste sapere che sono molto più forte di tutti voi e che i miei riflessi sono notevolmente più rapidi. Se posso darvi un suggerimento, accompagnatemi tutti e quattro dentro e vediamo cosa ne dirà il colonnello Linn.»

«Lei è in arresto» ripeté la guardia e quattro fulminatori le furono spianati contro.

«Be’. Se proprio insistete...»

Si mosse come un lampo, e due delle guardie finirono a terra, lamentandosi, mentre Dors ora reggeva un fulminatore in ciascuna mano.

«Ho cercato di non ferirli, ma è probabile che abbiano il polso rotto. Ora rimanete solamente voi due, e io posso sparare più rapidamente di entrambi. Se uno di voi fa la più piccola mossa, anche la più impercettibile, sarò costretta ad abbandonare l’abitudine di un’intera vita e uccidervi. Mi ripugnerebbe profondamente e vi prego di non costringermi a farlo.»

Seguì il silenzio più assoluto; le guardie ancora in piedi rimasero immobili.

«Vi suggerirei» proseguì Dors «di scortarmi innanzitutto dal colonnello e poi di cercare un medico per i vostri compagni.»

Il suggerimento non era necessario. Il colonnello Linn uscì dal suo ufficio. «Che sta succedendo? Cosa...»

Dors si girò verso di lui. «Ah! Permetta che mi presenti. Sono la dottoressa Dors Venabili, moglie del professor Hari Seldon. Sono venuta da lei per concludere un importante accordo. Questi quattro uomini hanno cercato di fermarmi e, come risultato, due si sono malamente feriti. Li mandi tutti a compiere il loro dovere altrove e lasci che le parli. Non ho intenzione di farle del male.»

Linn fissò le quattro guardie, poi Dors, infine disse con calma: «Non vuole farmi del male? Anche se quattro guardie non sono riuscite a fermarla, ne ho quattromila a disposizione».

«Allora le chiami. Per quanto rapidamente possano arrivare, non sarebbero qui in tempo per salvarla se decidessi di ucciderla. Faccia andare via le guardie e parliamo civilmente.»

Linn fece un gesto verso le guardie, poi disse: «Be’, entri e parleremo. Però l’avverto, dottoressa Venabili: ho un’ottima memoria».

«Anch’io» disse Dors. Entrarono insieme nelle stanze di Linn.

15

Linn parlò con estrema cortesia: «Mi dica esattamente perché è venuta qui, dottoressa Venabili».

Dors sorrise: un sorriso da cui non trapelava alcuna minaccia, ma che non era per nulla rassicurante. «Per cominciare, sono venuta per dimostrarle che sono in grado di arrivare fin qui.»

«Ah!»

«Sì. Mio marito è stato condotto a un colloquio con il generale, su una terramobile, sotto scorta ufficiale. Io, da sola, ho lasciato l’albergo alla stessa ora, a piedi e disarmata... Adesso, eccomi qui, e credo di essere arrivata prima di lui. Ho dovuto farmi strada attraverso cinque guardie per raggiungerlo. Ne avrei superate anche cinquanta.»

Linn annuì col capo, pensieroso. «So che a volte la definiscono la Donna Tigre.»

«Un tempo mi chiamavano così... Adesso che sono giunta fino a lei, il mio compito è quello di assicurarmi che a mio marito non succeda nulla di male. Si è avventurato nella tana del generale, se posso usare una frase melodrammatica, e voglio che ne esca del tutto illeso.»

«Per quel che mi riguarda, non so assolutamente nulla di ciò che potrebbe succedere a suo marito come risultato di questo incontro. Quindi, se la cosa la preoccupa tanto, perché è venuta da me? Perché non è andata direttamente dal generale?»

«Perché, fra voi due, il vero cervello è lei.»

Ci fu una breve pausa, poi Linn disse: «Questa sarebbe una frase molto pericolosa, se qualcuno la sentisse».

«Più pericolosa per lei che per me, quindi faccia in modo che nessuno possa sentirla. Comunque, se si illude di potersi liberare di me per il momento con qualche rassicurazione e di poter in seguito fare imprigionare o magari giustiziare mio marito con l’idea che io non sarei davvero capace di impedirglielo in qualche modo, si tolga immediatamente questo genere di pensieri dalla testa.»

Dors indicò i due fulminatori sul tavolo davanti a lei. «Sono partita a mani nude e le sono arrivata vicinissima con due fulminatori. Se non avessi trovato queste armi, avrei potuto avere dei coltelli, con i quali sono un’esperta. E se non avessi né fulminatori né coltelli, resterei sempre un’avversaria temibile... Questo tavolo è di metallo e ha l’aria robusta, non è vero?»

«Sì.»

Dors sollevò un pugno e lo abbatté sul tavolo con uno schianto fragoroso, come di metallo contro metallo. Poi sorrise e sollevò la mano.

«Nemmeno un’ammaccatura. Nessun dolore. Ma si accorgerà che il tavolo è leggermente incurvato dove l’ho colpito. Se lo stesso colpo, applicando la stessa forza, avesse avuto come bersaglio la testa di un uomo, questa sarebbe esplosa. Non ho mai fatto una cosa del genere; anzi non ho mai ucciso, anche se ho ferito qualcuno. Tuttavia, se venisse fatto del male al professor Seldon...»

«Mi sta ancora minacciando.»

«Le sto facendo una promessa, piuttosto. Non farò nulla se il professor Seldon ne uscirà illeso. Altrimenti, colonnello Linn, la mutilerò o la ucciderò e, glielo giuro, riserverò la stessa sorte al generale Tennar.»

«Lei non sarebbe in grado di sconfiggere un esercito, per quanto feroce possa essere. Allora che farebbe?»

«Le storie si diffondono e vengono esagerate. Non ho fatto molto per giustificare il mio appellativo ferino, ma vengono raccontate molte più storie su di me di quante siano accadute. Le sue guardie sono indietreggiate quando mi hanno riconosciuta, e loro stessi le riferiranno il resoconto, un po’ esagerato, di come sia giunta a lei. Perfino un esercito potrebbe esitare prima di attaccarmi, colonnello Linn, ma anche se lo facesse e mi distruggesse, badi all’indignazione del popolo. La Giunta sta mantenendo l’ordine, ma ci riesce a malapena e non vorrà che qualcosa scombussoli la situazione. Rifletta, quindi, su quanto sia semplice l’alternativa. In parole povere: non fate del male al professor Hari Seldon.»

«Non era nelle nostre intenzione fargli del male.»

«Allora perché l’avete convocato?»

«Dov’è il mistero? Il generale è interessato alla psicostoria. Abbiamo libero accesso agli archivi del precedente governo. Il vecchio imperatore Cleon era interessato. Demerzel, quando era primo ministro, era interessato a sua volta. Perché anche noi non dovremmo esserlo? Semmai, lo siamo anche di più.»

«Perché?»

«Semplicemente perché è passato del tempo. Da quello che so, la psicostoria ha avuto inizio come un concetto nel cervello del professor Seldon. Lui ci sta lavorando, con sempre maggiore vigore e con gruppi sempre più numerosi di aiutanti, da quasi trent’anni. Ha potuto farlo solamente grazie all’appoggio governativo, quindi, in un certo senso, le sue scoperte e le tecniche relative appartengono al governo. Abbiamo intenzione di porgli delle domande sulla psicostoria che, ormai, deve essere progredita rispetto ai tempi di Demerzel e Cleon, e ci aspettiamo che le sue risposte siano proprio ciò che vogliamo sentire. Vogliamo qualcosa di più pratico che la visione di equazioni spiraliformi sospese a mezz’aria. Mi capisce?»

«Sì» rispose Dors aggrottando la fronte.

«E c’è un’altra cosa. Non pensi che ogni pericolo per suo marito possa giungere solo dal governo e che ogni infortunio che lo raggiunga debba comportare un suo attacco nei nostri confronti. Rifletta sul fatto che il professor Seldon potrebbe avere dei nemici puramente personali. Non sono a conoscenza di tali particolari, ma sicuramente è possibile.»

«Lo terrò a mente. Ma ora voglio che faccia in modo di farmi incontrare con mio marito durante il suo colloquio con il generale. Voglio essere sicura, oltre ogni ragionevole dubbio, che sta bene.»

«Questo sarà difficile e ci vorrà tempo. Sarebbe impossibile interrompere la conversazione, ma se è disposta ad aspettare fino alla fine...»

«Si prenda il tempo che è necessario e organizzi l’incontro. Non conti d’ingannarmi e di sopravvivere.»

16

Il generale Tennar fissò Hari Seldon con gli occhi leggermente strabuzzati mentre tamburellava con le dita sul tavolo.

«Trent’anni. Trent’anni, e mi sta dicendo che non ha ancora nulla da mostrare?»

«A voler essere precisi, generale, in realtà ventotto.»

Tennar lo ignorò. «E tutto a spese del governo. Professore, sa quanti miliardi di crediti sono stati investiti nel suo progetto?»

«Non ho tenuto il conto esatto, generale, ma abbiamo delle registrazioni che potrebbero fornirmi la risposta a questa domanda in pochi secondi.»

«Anche noi ne abbiamo. Il governo, professore, non è una fonte infinita di denaro. Questi non sono più i tempi di una volta. Non abbiamo nemmeno il vecchio atteggiamento disinvolto di Cleon nei confronti delle finanze. Aumentare le tasse è difficile e abbiamo bisogno di denaro per molte cose. L’ho convocata sperando che potesse darci qualche aiuto con la sua psicostoria. Se non ne è capace, allora la devo avvertire, francamente, che dovremo chiudere il rubinetto. Se può continuare le ricerche senza i fondi del governo, faccia pure, perché fino a quando non mi potrà mostrare qualcosa che giustifichi una tale spesa, dovrà ricorrere ad altre fonti di denaro.»

«Generale, mi sta facendo una richiesta che non posso soddisfare, ma, d’altro canto, se porrà fine ai finanziamenti da parte del governo butterà via il futuro. Mi dia un po’ di tempo e alla fine...»

«Numerosi governi hanno sentito questo “alla fine” da lei per molti decenni. Non è forse vero, professore, che lei va affermando che la sua psicostoria predice l’instabilità della Giunta, che il mio governo è instabile e che tra poco tempo crollerà?»

Seldon corrugò la fronte. «La tecnica non è ancora abbastanza perfezionata perché io possa dire che la psicostoria affermi questo.»

«Io invece credo che la psicostoria lo affermi e che questa sia una previsione nota a tutti membri del progetto.»

«No» replicò cordialmente Seldon. «Per niente. È possibile che alcuni di noi abbiano interpretato alcuni rapporti matematici quale chiara indicazione dell’instabilità della Giunta come forma di governo, ma ce ne sono altri che potrebbero essere facilmente interpretati e portati a dimostrazione della sua stabilità. Ed è proprio per questo che dobbiamo proseguire con il nostro lavoro. Al momento, è troppo facile usare dati incompleti e ragionamenti imperfetti per ottenere una conclusione a noi favorevole.»

«Ma se lei decidesse di presentare la conclusione che il governo è instabile e di dire che la psicostoria lo ha previsto, anche se non fosse vero, questo non aumenterebbe l’instabilità?»

«Potrebbe anche essere possibile, generale. Ma se annunciassimo che il governo è stabile, questo potrebbe viceversa aumentarne la stabilità. Ho avuto delle discussioni su questo argomento con l’imperatore Cleon numerose volte. È possibile utilizzare la psicostoria come uno strumento per manipolare le emozioni della gente e ottenere effetti a breve termine. A lungo andare, però, le previsioni si dimostrerebbero quasi sicuramente parziali, o totalmente sbagliate, e la psicostoria perderebbe tutta la sua credibilità e sarebbe come se non fosse mai esistita.»

«Basta! Me lo dica chiaramente! Cosa pensa che la psicostoria stia indicando riguardo al mio governo?»

«Indica, noi pensiamo, degli elementi di instabilità, ma non sappiamo con certezza, non possiamo ancora saperlo, in quale modo si possa peggiorare, oppure migliorare, la situazione.»

«In altre parole, la psicostoria vi dice cose che sapreste anche senza di essa, ed è in questo che il governo ha investito un’autentica fortuna.»

«Arriverà il momento in cui la psicostoria ci dirà cose che non avremmo potuto sapere altrimenti, e allora l’investimento si rivelerà fruttuoso, ripagando gli investimenti fatti con incredibili interessi.»

«E quanto tempo ci vorrà prima che tutto questo avvenga?»

«Non molto, spero. Abbiamo fatto progressi piuttosto soddisfacenti negli ultimi anni.»

Tennar aveva ricominciato a tamburellare con un dito sul tavolo. «Non basta. Mi dica qualcosa di utile, adesso. Qualcosa di vantaggioso.»

Seldon rifletté, poi disse: «Potrei preparare un rapporto dettagliato, ma ci vorrebbe del tempo».

«Certo. Giorni, mesi, anni, e stranamente non verrebbe mai scritto. Mi crede uno stupido?»

«No, certo che no, generale. Comunque, nemmeno io voglio essere preso per uno stupido. Le posso dire soltanto qualcosa di cui mi assumo la piena responsabilità. L’ho notato nelle mie ricerche psicostoriche, ma potrei anche aver interpretato male ciò che ho visto. Comunque, dato che insiste...»

«Insisto.»

«Lei ha parlato di tasse qualche istante fa. Ha detto che aumentare le tasse è un problema. Sicuro. È sempre stato difficile. Ogni governo deve darsi da fare per ottenere ricchezza, in una forma qualunque. Vi sono solo due modi con cui si possono ottenere crediti: il primo è saccheggiare un vicino e il secondo persuadere i cittadini a offrire i crediti spontaneamente e pacificamente.

«Siccome abbiamo fondato un impero galattico che ormai gestisce la sua economia in un modo ragionevole da migliaia di anni, non vi è la possibilità di derubare un vicino tranne che come risultato di qualche ribellione e della sua repressione. Questo non accade abbastanza spesso da riuscire a sostenere un governo; e, anche se ciò accadesse, il governo sarebbe troppo instabile per poter durare a lungo, in ogni caso.»

Seldon respirò a fondo e proseguì: «Di conseguenza i crediti devono essere ottenuti chiedendo ai cittadini di concedere una parte della loro ricchezza per i fini del governo. Presumibilmente, visto che il governo allora potrà lavorare in modo efficace, i cittadini possono in questo modo investire in modo migliore la loro ricchezza, piuttosto che ammassarla, ognuno per sé, vivendo in una pericolosa e caotica anarchia.

«Tuttavia, anche se la richiesta è ragionevole ed è nell’interesse della cittadinanza pagare le tasse come prezzo per avere un governo stabile ed efficiente, i cittadini sono ugualmente riluttanti a farlo. Per vincere questa riluttanza ogni governo deve dare l’impressione di non esigere troppi crediti e di tenere in debito conto i diritti e i benefici di ogni singolo cittadino. In altre parole, deve ridurre la percentuale richiesta ai redditi più bassi, deve concedere detrazioni di vario genere da effettuarsi prima del prelievo fiscale, e via di questo passo.

«Col passare del tempo la situazione delle tasse si fa sempre più complicata allorché diversi mondi, diversi settori all’interno di ogni mondo e diverse categorie economiche esigono trattamenti fiscali diversi. Il risultato è che l’apparato fiscale del governo cresce a sua volta in complessità e dimensioni, diventando sempre più incontrollabile. Il cittadino medio non riesce più a capire perché o quanto viene tassato, quello che può dedurre e quello che non può. Lo stesso governo e i suoi uffici fiscali brancolano spesso nel buio a loro volta.

«Quel che è peggio, una frazione sempre maggiore dei fondi raccolti deve essere devoluta alla gestione ormai ipertrofica dell’apparato fiscale, allo scopo di gestire l’anagrafe fiscale, o di perseguire gli evasori e così via, al punto che l’ammontare degli introiti disponibili per fini utili e positivi diminuisce malgrado ogni possibile sforzo.

«Alla fine, la situazione delle tasse diventa insopportabile. Ispira scontento e ribellione. I libri di storia tendono ad attribuire simili risultati ad avidi uomini d’affari, a politici corrotti, a guerrieri brutali, a governatori ambiziosi... ma questi sono soltanto gli individui che approfittano dell’ipertrofia fiscale».

Il generale intervenne bruscamente: «Sta dicendo che il nostro sistema fiscale è troppo complicato?».

«Se non lo fosse, sarebbe il primo in tutta la storia, per quanto ne so. Se c’è una cosa che la psicostoria rivela già come inevitabile è l’ipertrofia fiscale.»

«E cosa possiamo fare?»

«Questo non sono in grado di dirglielo. È proprio a questo scopo che vorrei redigere un rapporto che, come lei dice, potrebbe richiedere un certo periodo di tempo per prepararlo.»

«Lasci perdere il rapporto. Il sistema delle tasse è troppo complicato, non è vero? Non è forse quello che mi sta dicendo?»

«È possibile» rispose Seldon cautamente.

«E per correggerlo bisognerebbe rendere il sistema più semplice, il più semplice possibile, anzi.»

«Dovrei studiare...»

«Sciocchezze. L’opposto di una grande complicazione è una grande semplicità. Non ci vuole un rapporto per dirmelo.»

«Come vuole, generale.»

A questo punto il generale sollevò di scatto lo sguardo verso l’alto, come se qualcuno lo avesse chiamato, cosa che in effetti era avvenuta. Strinse i pugni e nella stanza comparvero gli ologrammi del colonnello Linn e di Dors Venabili.

Allibito, Seldon esclamò: «Dors, che cosa fai qui?».

Il generale non disse niente, ma corrugò la fronte.

17

Il generale aveva passato una brutta nottata e lo stesso valeva, a causa della preoccupazione, anche per il colonnello. Erano faccia a faccia, entrambi incerti.

«Ripetimi che cosa è riuscita a fare quella donna» disse il generale.

Linn sembrava appesantito da un grosso fardello sulle spalle. «Lei è la Donna Tigre. È così che la chiamano. In qualche modo, non sembra essere del tutto umana. È una specie di atleta allenata a livelli impossibili, incredibilmente sicura di sé e, generale, in grado di terrorizzare.»

«Ti ha spaventato? Una sola donna?»

«Lasci che le spieghi esattamente quello che ha fatto e permetta che le riferisca anche altre informazioni su di lei. Non so quanto le storie sulle sue capacità siano credibili, ma quello che è successo ieri sera risponde a verità.»

Ripeté la storia ancora una volta e il generale ascoltò sbuffando.

«Male» disse il generale. «Che facciamo?»

«Credo sia chiaro. Vogliamo la psicostoria...»

«Sì, è vero Seldon mi ha detto qualcosa a proposito delle tasse che... Non importa. Non ha a che fare con il problema, per ora. Continua.»

Linn, che nel suo stato d’animo travagliato aveva lasciato trasparire un guizzo d’impazienza sul volto, proseguì: «Come dicevo, vogliamo la psicostoria senza Seldon. In ogni caso, lui è un vecchio stanco. Più lo osservo, più lo vedo come uno studioso che vive delle glorie passate. Ha avuto quasi trent’anni per fare della psicostoria un successo, e ha fallito. Senza di lui, con nuovi uomini al comando, la psicostoria potrebbe progredire più rapidamente».

«Sì, sono d’accordo. E per quella donna?»

«Ecco, è lei il vero problema. Non l’abbiamo presa in considerazione perché è stata molto attenta a rimanere sullo sfondo. Ma sospetto fortemente che ora sarà molto difficile, se non impossibile, eliminare di nascosto Seldon senza far entrare in azione direttamente il governo, finché vive quella donna.»

«Credi che ci farebbe a pezzi veramente, se dovesse sospettare che abbiamo fatto del male al suo uomo?» chiese il generale atteggiando la bocca a una smorfia di disprezzo.

«Ritengo che lo farebbe e che scatenerebbe una ribellione. Farebbe proprio come ha promesso.»

«Stai diventando un codardo.»

«Generale, la prego. Sto solo cercando di essere ragionevole. Non mi sto tirando indietro. Dobbiamo occuparci di questa Venabili.» Fece una pausa, pensieroso. «A dire il vero, le mie fonti mi avevano passato alcune informazioni in merito, ma io non avevo prestato molta attenzione alla cosa.»

«E come pensi che ce ne potremmo liberare?»

«Non lo so.» Poi, più lentamente disse: «Ma qualcun altro potrebbe saperlo».

18

Anche Seldon aveva passato una brutta nottata e la giornata non dava segni di miglioramento. Non erano molte le occasioni in cui si sentiva infastidito da Dors. Questa volta, però, era davvero infastidito.

«Che gesto folle! Non bastava che fossimo tutti all’albergo? Solo quello, agli occhi di un dittatore paranoico, sarebbe stato sufficiente a far sospettare una cospirazione.»

«E come? Eravamo tutti disarmati, Hari. La gita all’albergo riguardava i festeggiamenti, l’ultimo tocco della festa di compleanno. Non costituivamo una minaccia.»

«Sì, ma poi hai invaso i terreni del palazzo. È stato imperdonabile. Sei corsa al palazzo per interferire nella mia seduta con il generale, quando avevo esplicitamente e varie volte messo in chiaro che non ti volevo. Avevo i miei piani, lo sai bene.»

«I tuoi desideri, i tuoi ordini, i tuoi piani e tutto il resto vengono dopo la tua sicurezza. Ero preoccupata per la tua incolumità.»

«Non ero in pericolo.»

«Non potevo esserne sicura. Sei stato vittima di due attentati. Cosa ti fa credere che non ce ne sarà un terzo?»

«Quei due attentati ci sono stati quando ero primo ministro. Allora valeva la pena uccidermi. Chi potrebbe voler uccidere un vecchio matematico?»

«È proprio quello che voglio scoprire, ed è ciò che voglio impedire. Dovrò fare un po’ di domande qui nell’area del progetto.»

«No. Disturberesti i ricercatori. Lasciali in pace.»

«Non posso farlo. Hari, il mio dovere è proteggerti, ed è questo che faccio da ventotto anni. Non puoi fermarmi adesso.»

Qualcosa nei suoi occhi mise in chiaro che, quali che fossero i desideri o gli ordini di Seldon, lei aveva intenzione di fare come voleva.

Prima di tutto veniva la sicurezza di Seldon.

19

«Ti posso disturbare, Yugo?»

«Certo, Dors» disse Yugo Amaryl con un ampio sorriso. «Non sei mai un disturbo. Cosa posso fare per te?»

«Sto cercando di capire un paio di cose, Yugo, e mi chiedevo se avresti potuto aiutarmi.»

«Se posso.»

«Avete qualcosa in seno al progetto che viene chiamato “radiante primario”. Ogni tanto ne sento parlare. Di solito è Hari a farlo, così più o meno immagino che aspetto abbia quando è attivato, ma non l’ho mai visto in funzione. Mi piacerebbe vederlo.»

Amaryl parve a disagio. «In realtà, il radiante primario sarebbe la parte più gelosamente custodita del progetto e tu non sei sulla lista degli utenti.»

«Lo so, ma ormai ci conosciamo da ventotto anni.»

«E sei la moglie di Hari. Credo che si potrebbe fare uno strappo alle regole. Abbiamo solo due radianti primari completi. Uno si trova nell’ufficio di Hari e l’altro si trova qui. Proprio su questo tavolo.»

Dors guardò il cilindro nero e tozzo sul tavolo centrale. Sembrava un oggetto del tutto comune. «È quello?»

«Sì. Racchiude le equazioni che descrivono il futuro.»

«Come si accede a quelle equazioni?»

Amaryl toccò un contatto e immediatamente la stanza piombò nel buio, poi si rischiarò con una luminosità variegata. Tutt’intorno a Dors c’erano simboli, frecce, linee, segni matematici di ogni tipo. Sembravano essere in movimento, spiraleggianti, ma quando si fissava lo sguardo su una porzione ben precisa, quella sembrava rimanere immobile.

«Allora è questo il futuro?» chiese Dors.

«Potrebbe esserlo» rispose Amaryl spegnendo lo strumento. «L’avevo messo alla massima espansione, per consentirti di vedere i simboli. Senza espansione non si vedono altro che schemi di luce e buio.»

«E studiando queste equazioni siete in grado di stabilire che cosa il futuro ha in serbo per noi?»

«In teoria, sì.» La stanza aveva assunto di nuovo il solito aspetto. «Ma ci sono due difficoltà.»

«Davvero? E quali?»

«Tanto per iniziare, nessuna mente umana ha creato direttamente queste equazioni. Abbiamo solamente passato decenni a programmare computer sempre più avanzati che hanno progettato e immagazzinato le equazioni ma, naturalmente, non sappiamo se sono valide e se hanno qualche significato. Tutto dipende in pratica da quanto valida e ragionevole risulta la programmazione, ovviamente.»

«Allora potrebbero essere completamente sbagliate?»

«Potrebbero.» Amaryl si stropicciò gli occhi e Dors non poté fare a meno di pensare a quanto fosse diventato più vecchio e stanco negli ultimi due anni. Era più giovane di Hari di quasi dodici anni, ma sembrava più anziano.

«Naturalmente» proseguì Amaryl con tono piuttosto stanco «speriamo che non siano completamente sbagliate, ma è proprio qui che entra in ballo la seconda difficoltà. Anche se Hari e io continuiamo a metterle alla prova e a modificarle da decenni, non possiamo mai essere sicuri del significato delle equazioni. Il computer le ha costruite, quindi si presume che significhino qualcosa, ma cosa? Ci sono delle parti che riteniamo di aver compreso. Infatti, proprio ora, stavo lavorando a quella che chiamiamo Sezione A-23, un sistema particolarmente spinoso di relazioni. Non siamo ancora riusciti a collegarlo con nulla nell’universo reale. Tuttavia, ogni anno facciamo dei passi in avanti e ormai attendo con speranza il definitivo stabilirsi della psicostoria come legittima e utile tecnica per prevedere il futuro.»

«Quante persone hanno accesso al radiante primario?»

«Ogni matematico nell’ambito del progetto vi ha accesso, ma non a proprio piacimento. Bisogna assegnare tempi e usi, e il radiante deve essere regolato per la porzione delle equazioni a cui il matematico vuole fare riferimento. Diventa un po’ complicato quando tutti vogliono usare il radiante allo stesso tempo. Adesso le cose vanno a rilento, forse perché sono appena finiti i festeggiamenti per il compleanno di Hari.»

«Ci sono piani per la costruzione di altri radianti primari?»

Amaryl sporse le labbra. «Sì e no. Sarebbe utile averne un terzo, ma dovrebbe essere custodito da qualcuno. Non può essere un oggetto di proprietà comune. Ho suggerito a Hari che Tamwile Elar, credo tu lo conosca...»

«Sì, l’ho incontrato.»

«Gli ho suggerito di affidare un terzo radiante primario a Elar. Le sue equazioni acaotiche e l’elettrochiarificatore che ha ideato lo rendono chiaramente il terzo uomo del progetto dopo Hari e me. Tuttavia, Hari esita.»

«Perché? Lo sai?»

«Se Elar ne ottiene uno, verrebbe apertamente riconosciuto come il terzo uomo, scavalcando gli altri matematici che sono più vecchi di lui e da più tempo lavorano al progetto. Ci potrebbero anche essere delle difficoltà di natura politica, per così dire. Non credo che ci si possa permettere di sprecare del tempo preoccupandoci di politica interna, ma Hari... Be’, lo conosci.»

«Sì, lo conosco bene. Supponi che io ti dica che Linn ha visto il radiante primario.»

«Linn?»

«Il colonnello Hender Linn della Giunta. Il lacchè di Tennar.»

«Ne dubiterei fortemente, Dors.»

«Ho sentito che parlava di equazioni a forma di spirale e le ho appena viste produrre dal radiante primario. Non posso fare a meno di pensare che sia stato qui e che l’abbia visto in funzione.»

Amaryl scosse il capo. «Non riesco a immaginare che qualcuno abbia portato un membro della Giunta nell’ufficio di Hari, o nel mio.»

«Dimmi, secondo te chi nell’ambito del progetto potrebbe lavorare per la Giunta in questo modo?»

«Nessuno» rispose subito Amaryl con totale convinzione. «Sarebbe impensabile. Forse Linn non ha mai visto il radiante primario, ma qualcuno gliene ha parlato.»

«Chi potrebbe averlo fatto?»

Amaryl pensò per qualche istante, poi rispose: «Nessuno».

«Be’, andiamo, hai appena parlato di politica interna riguardo alla possibilità di affidare a Elar un radiante primario. Credo che in un progetto come questo, con centinaia di persone, ci siano piccoli scontri in continuazione, attriti e litigi.»

«Oh, sì. Il povero Hari me ne parla di tanto in tanto. Deve continuamente risolverli in un modo o nell’altro, e posso immaginare che grattacapo siano per lui.»

«Questi scontri sono così gravi da interferire con le operazioni del progetto?»

«Non seriamente.»

«C’è qualcuno che si dimostra più litigioso degli altri, o che ti sembra sia più malvisto dai colleghi? In breve, ci sono persone di cui ti potresti liberare con il risultato, magari, di eliminare il novanta per cento dei litigi al costo del cinque o sei per cento del personale?»

Amaryl alzò le sopracciglia. «Sembrerebbe una buona idea, ma non saprei di chi liberarmi. Non è che io partecipi veramente a tutti i particolari della vita politica interna. Non c’è modo di fermarla, così, da parte mia, la evito semplicemente.»

«È strano. Non è che così negate qualsiasi credibilità alla psicostoria?»

«In che modo?»

«Come potete pretendere di riuscire a prevedere e guidare il futuro quando non riuscite ad analizzare correttamente qualcosa di così spontaneo come degli scontri a livello personale nell’ambito del progetto stesso?»

Amaryl rise piano. Era strano, perché non era una persona portata all’umorismo e al riso. «Mi spiace, Dors, ma ti sei appena imbattuta in uno dei problemi che abbiamo risolto, in un certo senso. Hari, proprio lui, ha individuato qualche anno fa le equazioni che rappresentavano le difficoltà degli attriti personali, e io stesso le ho poi riaggiustate l’anno scorso.

«Ho trovato che si potevano modificare le equazioni così da indicare una diminuzione negli attriti. Tuttavia, in ognuno di quei casi, una diminuzione di attriti in un certo punto comportava un aumento di attriti da qualche altra parte. Non c’era mai una riduzione assoluta o, nel caso opposto, un aumento assoluto negli attriti all’interno di un gruppo chiuso, un gruppo cioè dove nessun membro anziano se ne andava o ne entrava uno nuovo. Quello che ho dimostrato, con l’aiuto delle equazioni acaotiche di Elar, era che questo era vero a prescindere da qualsiasi azione immaginabile chiunque avesse potuto compiere. Hari la definisce “la legge della conservazione dei problemi personali”.

«Questo ha fatto sorgere l’idea che la dinamica sociale possieda le stesse leggi della conservazione che sono presenti in fisica e che, in realtà, siano proprio queste leggi a offrirci il miglior mezzo possibile per risolvere gli aspetti veramente problematici della psicostoria.»

«Davvero impressionante, ma cosa accadrebbe se scopriste che niente si può modificare? Che tutto ciò che è male viene conservato e che salvare l’impero dalla distruzione servirebbe solo a far aumentare un altro tipo di distruzione?»

«A dire il vero alcuni lo hanno suggerito, ma non ci credo.»

«Perfetto. Torniamo a noi. C’è qualcosa in questi problemi di incompatibilità in seno al progetto che possa minacciare Hari? Voglio dire, nel senso della sua sicurezza fisica.»

«Minacciare Hari? Certo che no. Come puoi pensare a una cosa simile?»

«Non potrebbe esserci qualcuno che nutre del risentimento nei suoi confronti, per la sua arroganza, per il suo zelo, per il suo ego, perché si prende tutti i meriti? Oppure, se tutto questo non si applicasse a nessuno, solamente perché dirige il progetto da così tanto tempo?»

«Non ho mai sentito nessuno dire cose del genere nei suoi confronti.»

Dors sembrava insoddisfatta. «Dubito che qualcuno direbbe cose del genere davanti a te, ovviamente. Ma ti ringrazio, Yugo, per avermi aiutato e regalato tanto del tuo tempo.»

Amaryl la fissò mentre usciva. Si sentiva vagamente turbato, ma poi ritornò al lavoro e lasciò che tutti gli altri pensieri scivolassero via.

20

Uno dei metodi a disposizione di Seldon per distrarsi dal lavoro (e non ne aveva molti) era fare visita all’appartamento di Raych situato appena fuori dall’area dell’università. Andare a trovarlo lo riempiva sempre d’affetto per lui. Ne aveva ogni motivo. Raych era stato un buon figlio, capace e leale... ma oltre a questo c’era anche quella sua strana qualità di ispirare fiducia e affetto.

Hari l’aveva notata quando Raych era ancora un ragazzo di strada dodicenne, un piccolo mascalzone che chissà come aveva conquistato l’affetto di Dors e il suo.

Ricordava come Raych fosse riuscito a influenzare Rashelle, che un tempo era stata sindaco di Wye. Ricordava come Joranum si fosse fidato di lui, fino a lasciarsi condurre alla sua stessa distruzione. Raych era riuscito perfino a conquistare il cuore della stupenda Manella. Hari non comprendeva perfettamente tutto questo, ma era felice ogni volta che lo incontrava.

Entrò nell’appartamento con il suo solito: «Tutto bene?».

Raych spostò di lato il materiale olografico a cui stava lavorando e si alzò per salutarlo. «Tutto bene, papà.»

«Non sento Wanda.»

«Per ottimi motivi. È andata a fare acquisti con sua madre.»

Seldon si accomodò e guardò bonariamente il cumulo disordinato di schede olografiche. «Come va il libro?»

«Bene. Sono io che potrei non sopravvivere» sospirò. «Ma, per una volta, punteremo l’attenzione su Dahl. Nessuno aveva mai scritto un libro dedicato a quel settore, lo crederesti?»

Seldon aveva sempre notato che, quando Raych parlava del suo settore natale, il suo accento di dahlita si rinforzava.

«E tu come stai, papà? Sei felice che i festeggiamenti siano finiti?»

«Enormemente. Ho odiato ogni secondo di quella festa.»

«Non a tal punto da darlo a vedere agli altri.»

«Ascoltami bene, ho dovuto reggere la parte. Non potevo rovinare la festa a tutti quanti.»

«Devi esserti arrabbiato parecchio quando la mamma ti è corsa dietro nella zona del palazzo. Tutti quelli che conosco continuano a parlarne.»

«Certo che mi sono arrabbiato. Tua madre, Raych, è la persona più fantastica del mondo, ma è molto difficile da trattare. Potrebbe aver rovinato tutti i miei piani.»

«Quali piani, papà?»

Seldon si mise comodo. Era sempre piacevole parlare con qualcuno che godeva della sua totale fiducia e che non sapeva niente della psicostoria. Più di una volta aveva rivelato i suoi pensieri a Raych, che li aveva rielaborati in una forma più sensata di quanto sarebbe mai riuscito a fare lui se avesse continuato a rimuginarci sopra. «Siamo schermati?» chiese al figlio.

«Sempre.»

«Bene. Tutto quello che ho fatto è stato di incanalare l’attenzione del generale Tennar lungo certe linee curiose.»

«Quali linee?»

«Ecco, ho parlato per un po’ di tasse e gli ho fatto notare che il sistema fiscale, nello sforzo di renderlo uguale per tutta la popolazione, è diventato sempre più complesso, scomodo e costoso. L’ovvia implicazione era che il sistema di tassazione doveva essere semplificato.»

«Mi sembra logico.»

«Fino a un certo punto, ma è possibile che, come risultato della nostra piccola discussione, Tennar possa semplificare troppo. Vedi, il sistema fiscale perde efficienza a entrambi gli estremi. Se è troppo complicato, la gente non può capirlo e non vuole pagare un’organizzazione di riscossione vasta e costosa. Se lo si semplifica troppo, la gente lo considererà ingiusto e ne sarà amareggiata. La tassa più semplice sarebbe una tassa pro capite per la quale ogni individuo sarebbe tenuto a pagare la stessa somma, ma l’ingiustizia di trattare ricchi e poveri allo stesso modo è così evidente che non la si può ignorare.»

«E scommetto che questo non l’hai spiegato al generale.»

«In qualche modo non ne ho avuta la possibilità.»

«Credi che il generale proverà una tassazione pro capite?»

«Credo che ne preparerà una e, se lo farà, la notizia trapelerà di sicuro. Già questo potrebbe far scoppiare delle rivolte e probabilmente preoccupare il governo.»

«E l’hai fatto apposta, papà?»

«Certo.»

Raych scosse il capo. «Non ti capisco, papà. Nella tua vita privata sei buono e gentile più di ogni altra persona nell’impero. Tuttavia sei capace di progettare deliberatamente una situazione nella quale ci saranno rivolte, repressioni, morti. Papà, ci saranno un sacco di danni. Ci hai pensato?»

Seldon si appoggiò allo schienale della sedia e rispose: «Continuo a pensarci, Raych. Quando ho iniziato a lavorare alla psicostoria, mi sembrava un argomento di ricerca puramente accademico. Era qualcosa che non sarebbe stato possibile sviscerare fino in fondo, quasi sicuramente, e, se anche ciò fosse stato possibile, non sarebbe stata una cosa dotata di un potenziale uso pratico. Ma i decenni passano e ne sappiamo sempre di più, ed ecco che sopraggiunge il terribile bisogno di applicarla».

«Perché muoia della gente?»

«No, perché ne muoia il meno possibile. Se adesso le nostre analisi psicostoriche sono corrette, allora la Giunta non potrà sopravvivere per più di qualche anno, e ci sono numerosi altri modi grazie ai quali potrebbe crollare. Saranno tutti bagni di sangue e lotte disperate. Questo metodo, il trucco fiscale, dovrebbe risolvere la situazione relativamente con più moderazione e controllo di tutte le altre... se, ripeto, le nostre analisi sono corrette.»

«E se non lo fossero cosa accadrebbe?»

«In questo caso, non sappiamo cosa potrebbe accadere. Però, la psicostoria deve ancora essere perfezionata per poterla utilizzare, e per anni abbiamo cercato una situazione in cui avevamo già elaborato le conseguenze con una certa sicurezza, e in cui potevamo individuare le conseguenze tollerabili rispetto a delle alternative. In qualche modo, questo trucco fiscale è il primo grande esperimento psicostorico.»

«Devo ammettere che a prima vista sembra abbastanza semplice.»

«Non lo è. Non hai idea di come sia complessa la psicostoria. Niente è semplice. La tassa pro capite è stata sperimentata in vari periodi della storia. Non è mai stata popolare e invariabilmente ha fatto nascere resistenze di qualche tipo, ma non ha quasi mai provocato un rovesciamento violento del governo. Dopotutto, le forze della repressione governativa potrebbero essere troppo potenti, o ci potrebbero anche essere metodi con i quali la gente potrebbe mostrare apertamente e pacificamente le proprie rivendicazioni e ottenere una riparazione. Se una tassa pro capite fosse sempre, o anche solo alcune volte, fatale, allora nessun governo la sperimenterebbe. Ed è solo perché non si dimostra sempre fatale che viene sperimentata ripetutamente. Tuttavia, la situazione su Trantor non è del tutto normale. Sono presenti alcuni elementi di instabilità che sembrano lampanti all’analisi psicostorica e che permettono di prevedere un forte risentimento e una repressione particolarmente debole.»

Raych sembrava dubbioso. «Spero che funzioni, papà, ma non credi che il generale possa affermare di operare sotto consiglio psicostorico e così farti cadere in disgrazia insieme a lui?»

«Ritengo che abbia registrato il nostro breve incontro, ma se lo rendesse pubblico mostrerebbe chiaramente che gli avevo chiesto di aspettare fino a quando non avessi potuto analizzare in modo più approfondito la situazione e preparargli un rapporto... e lui ha rifiutato di aspettare.»

«E cosa ne pensa la mamma di tutto questo?»

«Non ne ho ancora discusso con lei. È partita per una tangente completamente diversa.»

«Davvero?»

«Sì. Sta cercando di estirpare qualche cospirazione segreta all’interno del progetto... che cercherebbe di eliminare me! Forse è davvero convinta che ci siano molte persone in seno al progetto che vorrebbero liberarsi della mia presenza.» Seldon sospirò. «Credo di essere una di loro. Vorrei sbarazzarmi dell’incarico di direttore del progetto e lasciare le responsabilità sempre più opprimenti della psicostoria ad altri.»

«Quello che preoccupa la mamma è il sogno di Wanda. Lo sai come la pensa quando sente il dovere di proteggerti. Scommetto che anche un sogno sulla tua morte basterebbe a indurla a sospettare una cospirazione contro la tua vita.»

«Spero vivamente che non ce ne sia una.»

E a quella strana idea entrambi si misero a ridere.

21

Il piccolo laboratorio dell’elettrochiarificazione era mantenuto, per qualche motivo, a una temperatura un po’ più bassa della norma, e Dors si chiese quale ne fosse la ragione. Sedeva tranquilla, in attesa che chi occupava il laboratorio finisse ciò che stava facendo.

Dors osservò la donna con attenzione. Magra, viso lungo. Non proprio attraente con quelle labbra sottili e il mento incassato, ma un luccichio d’intelligenza brillava nei suoi occhi castano scuri. La targa di riconoscimento luminosa sul suo tavolo diceva: CINDA MONAY.

Finalmente si rivolse a Dors e disse: «Le mie scuse, dottoressa Venabili, ma ci sono delle procedure che non possono essere sospese nemmeno per la moglie del direttore».

«Sarei rimasta delusa se avesse ignorato la procedura a causa mia. Ho sentito dire cose eccellenti sul suo conto.»

«Mi fa piacere sentirlo dire. Chi è stato a elogiarmi?»

«Diverse persone. Da quanto ho capito, lei è uno dei più importanti esperti non-matematici del progetto.»

Cinda fece una smorfia. «C’è sempre una certa tendenza a dividere tutti noi dall’aristocrazia dei matematici. A mio modo di vedere, se sono importante significa che sono un membro importante del progetto. Non importa se non sono un matematico.»

«Mi sembra ragionevole. Da quanto tempo fa parte del progetto?»

«Due anni e mezzo. Prima mi sono laureata in Fisica radiale all’Università di Streeling e, mentre lavoravo in quel campo, ho passato due anni in seno al progetto come assistente di laboratorio.»

«Ha lavorato bene al progetto, credo di capire.»

«Sono stata promossa due volte, dottoressa Venabili.»

«Ha mai incontrato qualche difficoltà, dottoressa Monay? Quello che dirà sarà strettamente confidenziale.»

«Il lavoro è difficile, ovvio, ma se vuole sapere se ho avuto difficoltà di carattere sociale, la risposta è no. Almeno non più di quanto ci si possa aspettare nel contesto di un progetto così ampio e complesso, immagino.»

«A cosa si riferisce?»

«Oh, qualche litigio o incomprensione occasionale. Siamo tutti umani.»

«Ma nulla di serio?»

Cinda scosse il capo. «Nulla di importante.»

«Dalle mie informazioni, dottoressa Monay, lei è la responsabile dello sviluppo di uno strumento fondamentale per l’utilizzo del radiante primario. Quello che rende possibile immagazzinarvi molti altri dati.»

Cinda fece un sorriso luminoso. «Ne è a conoscenza? Sì, l’elettrochiarificatore. Dopo che è stato sviluppato, il direttore Seldon ha fondato questo piccolo laboratorio e mi ha incaricato di proseguire la ricerca in quella direzione.»

«Sono stupita che una scoperta così importante non le abbia permesso di accedere ai livelli più alti del progetto.»

«Oh, ecco,» disse Cinda leggermente imbarazzata «non voglio prendermi tutto il merito. In realtà il mio lavoro è stato solo quello di un tecnico, e mi piace credere sia stato il lavoro di un tecnico molto abile e creativo, ma nulla di più.»

«E con chi ha lavorato?»

«Non lo sa? Ho lavorato con Tamwile Elar. Ha scoperto la teoria che rendeva possibile lo strumento e io ho provveduto a schematizzarlo e a costruire la macchina vera e propria.»

«Vuole forse dire che è stato lui a prendersi tutto il merito, dottoressa Monay?»

«No, no. Non deve crederlo. Il dottor Elar non è quel tipo di persona. Mi ha dato tutto il merito per la mia parte di lavoro. Anzi, lui aveva proposto l’idea di battezzare lo strumento con entrambi i nostri nomi, ma non ha potuto.»

«E per quale motivo?»

«Be’, è la regola del direttore Seldon, sa com’è. Tutti gli strumenti e le equazioni devono avere nomi funzionali e non personali per evitare risentimenti. Così si chiama solamente elettrochiarificatore. Comunque, quando lavoriamo assieme, Elar si riferisce al dispositivo coi nostri nomi e, glielo confesso, dottoressa Venabili, è un nome che suona molto bene. Forse, un giorno, tutti lo useranno. Almeno lo spero.»

«Lo spero anch’io» disse Dors cortesemente. «Lei fa apparire Elar un collega davvero onestissimo.»

«Lo è. Davvero» disse Cinda con fervore. «È un piacere lavorare con lui. Proprio adesso mi sto occupando di una nuova versione del dispositivo, che è molto più potente e che a essere sincera non capisco completamente. Voglio dire, per cosa andrebbe usato. Comunque, lui mi istruisce.»

«State facendo progressi?»

«Molti. Anzi, ho dato al dottor Elar un prototipo che ha intenzione di sperimentare. Se funziona, potremo continuare.»

«Mi sembra giusto» convenne Dors. «Che cosa pensa potrebbe succedere se il professor Seldon dovesse decidere di abbandonare la direzione del progetto? Di ritirarsi?»

Cinda parve sorpresa. «Il direttore ha intenzione di farlo?»

«Non che io sappia. Sto solo ipotizzando. Supponiamo che si ritiri. Chi crede che potrebbe essere il successore naturale? Da quello che ha detto, penso che preferirebbe il professor Elar come nuovo direttore.»

«Sì, è vero» rispose Cinda dopo una breve esitazione. «È senz’altro la mente più brillante fra i nuovi membri, e credo che sarebbe in grado di portare avanti il progetto nel miglior modo possibile. Tuttavia, è ancora piuttosto giovane. C’è un certo numero di vecchi fossili, be’, capirà cosa intendo, che se la potrebbero prendere se fossero superati da un giovane...»

«Qualche vecchio fossile in particolare? Si ricordi che tutto questo è confidenziale.»

«Ce ne sono diversi, ma più che altro c’è il dottor Amaryl. Lui è il principe ereditario. L’erede del progetto.»

«Sì, capisco bene cosa vuol dire.» Dors si alzò. «Bene, la ringrazio molto per il suo aiuto. La lascerò tornare al suo lavoro.»

Se ne andò pensando all’elettrochiarificatore. E anche ad Amaryl.

22

«Eccoti di ritorno, Dors» disse Yugo Amaryl.

«Mi spiace, Yugo. È la seconda volta che ti disturbo questa settimana. A dire il vero non vedi spesso gente, non ti pare?»

«Non incoraggio di sicuro le persone a farmi visita, questo no. Tendono a interrompermi e a spezzare il filo dei miei pensieri... Non tu, Dors. Tu sei davvero speciale, tu e Hari. Non passa giorno che io non ricordi tutto quello che voi due avete fatto per me».

Dors fece un gesto con la mano. «Dimenticalo, Yugo. Hai lavorato duramente per Hari e, qualunque favore ti abbiamo fatto, è stato abbondantemente ripagato. Come va il progetto? Hari non ne parla mai... non a me, almeno.»

Il volto di Amaryl si illuminò e tutto il suo corpo parve riacquistare energia. «Molto bene. Molto bene. È difficile parlarne senza ricorrere alla matematica, ma sono sorprendenti i progressi che abbiamo fatto negli ultimi due anni: più di quelli ottenuti in tutti gli anni precedenti. È come se, dopo aver continuato a martellare, le cose abbiano finalmente iniziato a liberarsi.»

«Ho sentito che le nuove equazioni elaborate dal dottor Elar hanno favorito la situazione.»

«Le equazioni acaotiche? Sì. Enormemente.»

«E anche l’elettrochiarificatore è stato utile. Ho parlato alla donna che lo ha costruito.»

«Cinda Monay?»

«Sì. Proprio lei.»

«Una donna molto intelligente. Siamo fortunati ad averla con noi.»

«Dimmi, Yugo... passi quasi tutto il tuo tempo a lavorare col radiante primario, non è vero?»

«È vero, più o meno sono sempre impegnato a studiarlo. Sì.»

«E lo fai usando quel nuovo aggeggio, l’elettrochiarificatore?»

«Certo.»

«Non pensi mai a una vacanza, Yugo?»

Amaryl la guardò, gli occhi spalancati, sbattendo piano le palpebre. «Una vacanza?»

«Sì. Di sicuro hai già sentito questa parola. Sai bene che cos’è una vacanza.»

«Perché dovrei andare in vacanza?»

«Perché mi sembri terribilmente stanco, è inequivocabile.»

«Un pochino, qualche volta. Ma non voglio abbandonare il lavoro.»

«Ultimamente ti senti più stanco?»

«Un poco. Sto invecchiando, Dors.»

«Hai solo quarantanove anni.»

«Sempre più di quanti ne abbia mai avuti.»

«Be’, lasciamo perdere. Dimmi, Yugo... solo per cambiare argomento. Come va Hari al lavoro? Sei stato così tanto tempo con lui che nessuno potrebbe conoscerlo meglio di te. Nemmeno io. Almeno, per quanto concerne il suo lavoro.»

«Va molto bene, Dors. Non vedo alcun cambiamento. È ancora il cervello più lucido e rapido che abbiamo. L’età non ha effetto su di lui; o almeno, non ancora.»

«Mi fa piacere sentirlo. Però, temo che l’opinione che si è fatto di sé non sia altrettanto positiva. Non accetta la sua età. È stato molto difficile riuscire a fargli festeggiare il suo recente compleanno. A proposito, eri presente ai festeggiamenti? Non ti ho visto.»

«Non mi sono fermato molto. Lo sai, feste di quel genere non mi fanno sentire proprio a mio agio.»

«Tu non pensi che Hari si stia esaurendo? Non sto parlando della sua lucidità mentale. Mi riferisco alle sue capacità fisiche. Secondo te, si sta stancando troppo per poter reggere le sue responsabilità?»

Amaryl assunse un’espressione sbalordita. «Non ci ho mai pensato. Non riesco a immaginarmelo stanco.»

«Ciò nonostante potrebbe esserlo. Credo che abbia l’impulso, ogni tanto, di abbandonare la posizione e di passare l’incarico a una persona più giovane.»

Amaryl si mise comodo sulla sua sedia e appoggiò la penna ottica che aveva continuato a maneggiare da quando Dors era entrata. «Cosa? Ma è assolutamente ridicolo! Impossibile!»

«Ne sei certo?»

«Assolutamente. Non prenderebbe nemmeno in considerazione una tale decisione senza prima avermene parlato. E non mi ha detto niente.»

«Sii ragionevole, Yugo. Hari è sfinito. Cerca di non darlo a vedere, ma lo è. Che cosa accadrebbe se decidesse di ritirarsi? Che ne sarebbe del progetto? Cosa accadrebbe della psicostoria?»

Gli occhi di Amaryl divennero due fessure. «Stai scherzando, Dors?»

«No. Cerco solo di guardare nel futuro.»

«Sicuramente, se Hari si ritirasse, prenderei io il suo posto. Noi due ci siamo occupati del progetto ben prima che qualcun altro si unisse. Noi due. Nessun altro. Oltre a lui, nessuno conosce il progetto come me. Sono stupito che tu non sia sicura della mia successione, Dors.»

«Nella mia mente o in quella di altri non c’è il minimo dubbio che tu non sia il logico successore, ma lo vuoi essere? Potrai anche sapere tutto sulla psicostoria, ma vorresti davvero buttarti nella politica e nelle complessità di un grande progetto e abbandonare la maggior parte del tuo lavoro per ricoprire quell’incarico? Al momento, è proprio il tentativo di far filare tutto liscio che sta spossando Hari. Saresti in grado di assumerti l’onere che comporterebbe quel tipo di lavoro?»

«Sì, potrei farcela, e non intendo parlarne... Ascoltami bene, Dors. Sei venuta qui per dirmi che Hari intende sbattermi fuori?»

«Certo che no! Come puoi pensare questo di Hari? Ha mai tradito un amico?»

«Va bene, allora. Smettiamola di parlarne.» Improvvisamente distolse lo sguardo da lei e si piegò per rimettersi a lavorare. «Ho ancora molte cose da sbrigare.»

«Certo. Non volevo rubarti così tanto tempo.»

Dors uscì incupita.

23

«Entra, mamma. La zona è sgombra. Ho mandato Manella e Wanda a fare un giro» disse Raych.

Dors entrò, si guardò attorno solo per abitudine e si accomodò sulla sedia più vicina.

«Grazie» disse Dors. Per qualche istante rimase seduta, come se tutto il peso dell’impero gravasse sulle sue spalle.

Raych attese, poi disse: «Non ho ancora avuto l’occasione di chiederti informazioni sul tuo viaggio nell’area del palazzo. Non tutti hanno una madre in grado di farlo».

«Non sono qui per parlare di questo.»

«Va bene, dimmi... non sei il tipo di persona che mostra il suo stato d’animo con l’espressione del viso, ma mi sembri un po’ giù. Come mai?»

«Perché mi sento, proprio come dici tu, un po’ giù. In realtà sono di cattivo umore perché ho fra le mani delle faccende terribilmente importanti ed è inutile parlarne con tuo padre. È la persona più fantastica del mondo, ma è molto difficile da trattare. Non c’è possibilità che si interessi agli aspetti drammatici della vita. Li attribuisce tutti ai timori irrazionali che nutro per la sua sicurezza... e ai miei tentativi di proteggerlo.»

«Andiamo, mamma, certe volte hai davvero dei timori irrazionali per quanto riguarda papà. Se hai in mente qualche dramma che lo coinvolge, probabilmente sbagli di grosso.»

«Grazie. Stai dicendo le stesse cose che mi continua a ripetere lui, e mi lasci frustrata. Assolutamente frustrata.»

«Va bene, allora sfogati, mamma. Dimmi che cos’hai in mente. Dal principio.»

«Inizia tutto con il sogno di Wanda.»

«Il sogno di Wanda! Mamma, forse faresti meglio a smetterla subito. Riesco a immaginare papà che rifiuta di ascoltarti se inizi in questo modo. Voglio dire, un po’ di concretezza. Una bambina fa un sogno e tu ne fai una questione di stato. Ma è ridicolo.»

«Non credo che fosse un sogno, Raych. Penso che quello che ha interpretato come un sogno fossero due persone reali, che parlavano a proposito di ciò che lei ha creduto fosse la morte di suo nonno.»

«È un’ipotesi un po’ tirata. Che possibilità ci sono che tutto questo risponda a verità?»

«Supponi per un istante che sia vero. L’unica frase che le è rimasta in mente è “morte alla limonata”. Perché l’avrebbe dovuta sognare? È molto più probabile che abbia male interpretato le parole che ha sentito. In questo caso, quali erano le parole originarie?»

«Non lo so» rispose Raych con una voce che trasudava incredulità.

Dors colse perfettamente il tono. «Credi che sia tutta una mia invenzione malata. Tuttavia, se avessi ragione, potrei essere sul punto di smascherare una cospirazione contro Hari proprio in seno al progetto.»

«Ci sono delle cospirazioni all’interno del progetto? Mi sembra incredibile almeno quanto cercare un significato in un sogno.»

«Ogni grande progetto è pieno di liti, scontri, gelosie di ogni tipo.»

«Certo, certo. Stiamo parlando di paroloni e facce cattive, di pernacchie e nomignoli. Non ha niente a che vedere con una cospirazione. Non si parla certo di uccidere papà.»

«È solo una differenza di proporzioni. Una minuscola differenza, forse.»

«Non riuscirai mai a convincere papà. Per quello che può contare, non riuscirai nemmeno a convincere me.» Raych prese a camminare rapidamente avanti e indietro per la stanza. «Hai cercato di scovare questa cosiddetta cospirazione, non è vero?»

Dors annuì.

«E hai fallito.»

Dors annuì ancora.

«Non ti viene in mente che forse hai fallito perché non esiste alcuna cospirazione, mamma?»

Dors scosse il capo. «Per ora ho fallito, ma sono sicura che ne esista una. Lo sento.»

Raych rise. «Mi sembri molto ordinaria, mamma. Mi aspettavo di più da parte tua di un semplice: “Lo sento”.»

«C’è forse una frase che potrebbe essere distorta in “limonata”. Sarebbe “profano-aiutata”.»1

«Profano-aiutata? Che cosa vuol dire?»

«Aiutata da un profano. In origine, due parole. “Profano” è il termine con il quale i matematici del progetto definiscono tutti quelli che non sono matematici.»

«E allora?»

«Supponi» iniziò Dors con decisione «che qualcuno abbia parlato di “morte aiutata da un profano”, volendo dire che si sarebbe trovato un modo per uccidere Hari in cui uno o più non-matematici avrebbero avuto un ruolo importante. Tutto questo non potrebbe essere sembrato a Wanda “morte alla limonata”, considerando che non aveva mai sentito come te la frase “aiutata da un profano” e che andava pazza per la limonata?»

«Stai cercando di dirmi che c’era qualcuno nell’ufficio privato di papà, il più sicuro di tutti? E quanti erano?»

«Descrivendo il sogno, Wanda dice che erano due. Secondo me, uno dei due non era altri che il colonnello Hender Linn della Giunta, al quale veniva mostrato il radiante primario, e successivamente ci deve essere stata una discussione che riguardava l’eliminazione di Hari.»

«Dici cose sempre più strane, mamma. Il colonnello Linn e un altro uomo nell’ufficio di papà che parlavano di omicidio, senza sapere che c’era una bambina piccola nascosta su una poltrona che li ascoltava? È forse questo che stai tentando di dirmi?»

«Più o meno.»

«In questo caso, se si parla di profani, allora uno dei due – presumendo che non si tratti di Linn – deve essere un matematico.»

«Sembrerebbe di sì.»

«Mi pare impossibile. Ma anche se fosse vero, quale matematico pensi potrebbe essere coinvolto? Ce ne sono cinquanta all’interno del progetto.»

«Non li ho interrogati tutti. Ho parlato con qualcuno di loro e anche con qualche profano, per quello che poteva servire, ma non ho trovato alcun indizio. Naturalmente non posso essere troppo franca nelle mie domande.»

«In breve, nessuno di quelli che hai interrogato ti ha fornito qualche indizio su una pericolosa cospirazione.»

«No.»

«Non ne sono sorpreso. Non hanno potuto dartene, perché...»

«Conosco bene il tuo “perché”, Raych. Credi che le persone possano cedere e confessare cospirazioni sotto un cortese interrogatorio? Non posso far sputare la verità a qualcuno. Riesci a immaginare cosa direbbe tuo padre se allarmassi uno dei suoi preziosi matematici?»

Poi, con un improvviso mutamento nel tono della voce, disse: «Raych, hai parlato con Yugo Amaryl ultimamente?».

«Non di recente. Non è proprio una delle creature più socievoli dell’universo, lo sai. Se gli strappassi la psicostoria, crollerebbe in un piccolo cumulo di pelle avvizzita.»

Dors fece una smorfia a quell’immagine e disse: «Gli ho parlato un paio di volte di recente e mi è sembrato piuttosto schivo. Non solo per la stanchezza. Ma è come se non fosse più cosciente del mondo».

«Sì. È proprio Yugo.»

«È peggiorato, ultimamente?»

Raych ci pensò un po’. «Potrebbe. Sta invecchiando, lo sai; tutti invecchiamo tranne te, mamma.»

«Vorresti dire che Yugo ha passato il limite e sta diventando un po’ instabile, Raych?»

«Chi? Yugo? Non ha niente per cui essere instabile. Oppure a causa di questo, il risultato non cambia. Lascialo con la sua psicostoria e rimuginerà felice con se stesso per il resto della vita.»

«Non credo, c’è qualcosa che lo interessa molto. La successione.»

«Che successione?»

«Gli ho accennato che un giorno tuo padre potrebbe volersi ritirare e ho scoperto che Yugo è determinato, assolutamente deciso, a essere il suo successore.»

«Non ne sono sorpreso. Immagino che tutti siano d’accordo sul fatto che lui sia il naturale successore. Sono certo che anche papà la pensi così.»

«Ma non mi è sembrato molto normale riguardo a questo. Credeva che gli stessi portando la notizia che Hari l’aveva messo da parte in favore di qualcun altro. Riesci a immaginare qualcuno che potrebbe pensare una cosa talmente assurda conoscendo Hari?»

«È sorprendente.» Raych si interruppe, degnò sua madre di un lungo sguardo e disse: «Mamma, ti prepari a dirmi che l’artefice di questa cospirazione potrebbe essere Yugo? Che vorrebbe uccidere papà per prendere il suo posto?».

«È un’ipotesi davvero così assurda?»

«Sì, mamma, totalmente assurda. Se c’è qualcosa di stonato in Yugo, è solo a causa dell’eccessivo lavoro e di nient’altro. Stare a fissare quelle equazioni o ciò che sono per tutto il giorno e per metà della notte farebbe ammattire chiunque.»

Dors si alzò in piedi di scatto. «Hai ragione.»

Raych, sorpreso, disse: «Come?».

«Quello che hai detto è vero. Mi ha fornito un’idea del tutto nuova. Un’idea cruciale, penso.» Voltandosi senza aggiungere una sola parola, uscì.

24

Dors Venabili disse con tono di disapprovazione a Hari Seldon: «Sei rimasto per quattro giorni alla biblioteca galattica. Non mi hai detto nulla e sei riuscito di nuovo a evitare che ti accompagnassi».

Marito e moglie fissavano le reciproche immagini sui loro oloschermi. Hari era appena tornato da un viaggio di ricerca alla biblioteca galattica nel settore imperiale e aveva subito chiamato Dors dall’ufficio presso il progetto per informarla del suo ritorno a Streeling. Anche irritata, pensò Hari, Dors era sempre bellissima. Avrebbe voluto poter allungare una mano e accarezzarle la guancia.

«Dors,» iniziò con tono conciliante «non sono andato da solo. Con me c’erano parecchie altre persone, e la biblioteca galattica, anche in questi tempi burrascosi, è un luogo sicuro per gli studiosi. Credo che in futuro tornerò sempre più spesso alla biblioteca.»

«E conti di farlo senza dirmelo?»

«Dors, non posso vivere rispettando le tue visioni piene di pericoli mortali. E non voglio neppure che tu mi corra dietro e terrorizzi quei poveri bibliotecari. Quelli non sono membri della Giunta. Ho bisogno di loro e non voglio farli irritare. Comunque penso che io... noi... dovremmo prendere un appartamento nelle vicinanze.»

Dors lo fissò cupa, poi scosse il capo e cambiò argomento. «Lo sai che di recente ho avuto due colloqui con Yugo?»

«Bene. Sono contento che tu l’abbia fatto. Ha bisogno di contatti con il mondo esterno.»

«Sì, questo è indubbio, perché in lui c’è qualcosa che non va. Non è più lo stesso Yugo che abbiamo conosciuto in tutti questi anni. È diventato sfuggente, distante e, in modo abbastanza strano, del tutto determinato solamente su una cosa, da quanto ho potuto capire... è deciso a succederti quando ti ritirerai.»

«Sarebbe logico, se dovesse sopravvivermi.»

«Non credi che vivrà più di te?»

«Be’, è più giovane di undici anni, ma le circostanze...»

«Ciò significa che ti sei accorto che Yugo è in cattive condizioni. Sembra e si comporta come se fosse più vecchio di te, benché sia più giovane, e a quanto pare è uno sviluppo piuttosto recente. È malato?»

«Fisicamente? Non credo. Esegue i suoi controlli medici periodici. Riconosco che sembra piuttosto prosciugato. Ho cercato di convincerlo a prendersi una vacanza per qualche mese o anche un anno sabbatico, se vuole. Gli ho suggerito di partire da Trantor, così da tenerlo il più lontano possibile dal progetto. Non ci sarebbero problemi a finanziare la sua permanenza su Getorin, un piacevole mondo turistico distante non troppi anni luce.»

Dors scosse il capo con impazienza. «E lui, naturalmente, non ha voluto sentire ragioni. Gli ho suggerito una vacanza e si è comportato come se non conoscesse il significato della parola. Ha rifiutato categoricamente.»

«Allora cosa possiamo fare?»

«Possiamo provare a riflettere. Yugo ha lavorato per un quarto di secolo al progetto e sembrava mantenere il suo vigore senza problemi, e ora improvvisamente si è indebolito. Non può essere l’età. Non ha ancora cinquant’anni.»

«Hai forse qualche sospetto?»

«Sì. Da quanto tempo tu e Yugo state usando questo elettrochiarificatore insieme al vostro radiante primario?»

«Da circa due anni... forse un po’ più a lungo.»

«Immagino che l’elettrochiarificatore sia utilizzato da chiunque voglia usufruire del radiante primario.»

«Esatto.»

«Il che vuol dire che lo utilizzate per lo più tu e Yugo?»

«Sì.»

«E Yugo molto più di te.»

«Sì. Yugo si concentra accanitamente sul radiante primario e sulle equazioni. Io, sfortunatamente, devo dedicare molto del mio tempo agli incarichi amministrativi.»

«In questo caso, spiegami una cosa, Hari. L’elettrochiarificatore è in uso da più di due anni e in questo periodo sei diventato più stanco, insoddisfatto e un po’... distaccato. Perché?»

«Sto invecchiando, Dors.»

«Sciocchezze. Chi è stato a dirti che a sessant’anni bisogna per forza essere vecchi? Stai usando la tua età come una scusa e una difesa, e voglio che tu adesso la smetta. Yugo, anche se è più giovane, è stato esposto all’elettrochiarificatore molto più a lungo di te e come risultato è più stanco, più insoddisfatto e, secondo me, molto più distaccato di quanto lo sia tu. Ed è interessato in modo piuttosto infantile alla successione. Non trovi niente di significativo in tutto questo?»

«Età e superlavoro. Tutto qui.»

«No, è l’elettrochiarificatore. Sta avendo degli effetti a lungo termine su voi due.»

Dopo una pausa Seldon disse: «Non posso negarlo, Dors, ma non capisco come sia possibile. L’elettrochiarificatore è uno strumento elettromagnetico e, anche se produce un campo anomalo, è pur sempre un tipo di campo a cui gli umani sono costantemente sottoposti. Non può causare danni insoliti... in ogni caso, non possiamo abbandonarne l’uso. Non sarebbe possibile ottenere ulteriori progressi all’interno del progetto».

«Ora, Hari, ti devo chiedere un favore e dovrai collaborare con me. Non uscire dall’area del progetto senza avvertirmi e non fare niente di straordinario senza dirmelo. Mi capisci?»

«Dors, come posso essere d’accordo? Stai cercando di legarmi le mani.»

«Solo per poco tempo. Qualche giorno. Una settimana.»

«Cosa succederà tra qualche giorno o una settimana?»

«Fidati. Risolverò la faccenda.»

25

Hari Seldon bussò gentilmente con un vecchio codice e Yugo Amaryl sollevò lo sguardo. «Hari, che piacere rivederti.»

«Dovrei venire più spesso. Ai vecchi tempi eravamo sempre insieme. Ora bisogna occuparsi di centinaia di persone, un po’ qui, un po’ là, ovunque, e si frappongono tra noi due. Hai sentito l’ultima?»

«Quale?»

«La Giunta sta per introdurre una tassa, una bella, sostanziosa, tassa pro capite. Sarà annunciata per TrantorVisione domani. Per ora sarà applicata solo su Trantor e i Mondi esterni dovranno aspettare. È un po’ deludente. Avevo sperato che sarebbe stata applicata a livello imperiale immediatamente, ma forse non ho avvertito abbastanza il generale di procedere con cautela.»

«Trantor basterà. I Mondi esterni capiranno che il loro momento arriverà fra poco.»

«Ora dovremo vedere cosa accadrà.»

«Vuoi davvero saperlo? Le lamentele inizieranno l’istante stesso dell’annuncio e le rivolte cominceranno prima che la nuova tassa sia resa effettiva.»

«Ne sei sicuro?»

Amaryl mise subito in azione il radiante primario e ingrandì la sezione appropriata. «Guarda tu stesso, Hari. Non vedo in che altro modo potrebbe essere interpretata, e questa è la previsione sotto le particolari circostanze che ora esistono. Se non accade, vuol dire che tutto ciò che abbiamo scoperto sulla psicostoria è sbagliato, e questo mi rifiuto di crederlo.»

«Proverò ad avere fede» disse Seldon sorridendo. Poi: «Come ti senti ultimamente, Yugo?».

«Abbastanza bene, direi. Ragionevolmente bene... e tu, invece, come stai? Ho sentito delle voci secondo le quali stai pensando di ritirarti. Anche Dors ha fatto cenno alla questione.»

«Non prestarle attenzione. In questi giorni dice un mucchio di cose. Ha l’idea fissa che ci sia qualche pericolo all’interno del progetto.»

«Che tipo di pericolo?»

«È meglio non chiederlo. È partita per una delle sue tangenti e, come sempre, questo la rende incontrollabile.»

«Ecco il vantaggio di essere scapolo». Poi sottovoce: «Nel caso ti dovessi ritirare, Hari, quali sarebbero i tuoi piani per il futuro?».

«Prenderesti tu il comando. Che altri piani potrei avere?»

E Amaryl sorrise.

26

Nella piccola sala conferenze dell’edificio principale, Tamwile Elar stava ascoltando Dors Venabili con un’espressione che era un misto di confusione e rabbia. Finalmente, scoppiò: «Impossibile!».

Si grattò il mento, poi continuò cautamente: «Non vorrei offenderla, dottoressa Venabili, ma le sue idee sono ridic... non possono essere esatte. Non è possibile immaginare che in seno al progetto vi siano dei risentimenti così letali da giustificare i suoi sospetti. Se vi fossero ne sarei sicuramente a conoscenza, e le assicuro che non ve ne è traccia. Non lo pensi neppure».

«Io lo penso» ribatté testardamente Dors «e posso trovarne delle tracce.»

«Non saprei come dirglielo senza offenderla, dottoressa Venabili, ma se una persona è abbastanza ingegnosa e decisa a trovare delle prove, può scoprire tutte le prove che vuole... o almeno qualcosa che secondo lei è una prova.»

«Crede forse che io sia paranoica?»

«Penso che nel preoccuparsi per il maestro, cosa nella quale sono d’accordo con lei, si sia, diciamo... infervorata.»

Dors rifletté. «Se non altro, ha ragione nel dire che una persona abbastanza ingegnosa potrebbe trovare indizi ovunque. Potrei montare un’accusa contro di lei, per esempio.»

Elar spalancò gli occhi mentre la fissava sbalordito. «Contro di me? Mi piacerebbe sentire che accusa potrebbe muovermi.»

«Benissimo. Sarà accontentato. La festa di compleanno fu una sua idea, non è vero?»

«Sì, ci ho pensato io, ma sono sicuro che anche altri abbiano avuto la stessa idea. Visto che il maestro continuava a lamentarsi della sua età, ci è sembrata l’iniziativa più naturale per rallegrarlo.»

«Sono certa anch’io che altri avrebbero potuto pensarci, ma è stato lei a portare avanti l’idea, e ha infiammato mia nuora. Manella si è presa cura dei dettagli e lei l’ha persuasa che fosse possibile organizzare una celebrazione molto in grande. Non è forse andata così?»

«Non so se ho avuto questa influenza su di lei, ma anche se l’avessi avuta, che male ci sarebbe?»

«Nessuno di per sé, ma nel preparare una festa così grandiosa, su scala così ampia e prolungata, non avremmo fatto notare ai membri instabili e sospettosi della Giunta che Hari era troppo popolare e che sarebbe potuto diventare un pericolo?»

«Nessuno crederà mai che avessi simili intenzioni.»

«Sto solo mettendo l’accento su una possibilità. Nel preparare i festeggiamenti, lei ha suggerito che gli uffici centrali fossero sgombrati.»

«Temporaneamente. Per ovvie ragioni.»

«E ha insistito che rimanessero così per qualche tempo. Nessun lavoro.»

«Non credevo che al maestro avrebbe fatto male un po’ di riposo in vista della festa. Sicuramente non può lamentarsi di questo.»

«Ma potrebbe voler dire che avevate la possibilità di consultarvi con altre persone negli uffici vuoti in assoluta privacy. Gli uffici, naturalmente, erano ben schermati.»

«Mi sono incontrato in quei luoghi... con sua nuora, con fornitori, negozianti e altri venditori. Era assolutamente necessario, non crede?»

«E se uno di quelli coi quali si è incontrato fosse stato un membro della Giunta?»

Elar rimase allibito come se Dors l’avesse colpito. «Mi spiace, dottoressa Venabili. Che specie di uomo crede io sia?»

Dors non rispose direttamente. Disse invece: «Lei è andato a parlare con il professor Seldon a proposito del suo imminente incontro con il generale e l’ha pregato, piuttosto insistentemente, di permetterle di andare al suo posto e di correre i rischi che sarebbero potuti seguire. Il risultato fu, naturalmente, che il professor Seldon insistette vigorosamente per incontrare il generale lui stesso, cosa che si potrebbe ritenere fosse il suo vero scopo».

Elar fece una breve risata nervosa. «Con tutto il rispetto, dottoressa, ma questa mi sembra pura paranoia.»

Dors continuò: «Poi, dopo la festa, è stato proprio lei a consigliare che un gruppo di noi andasse all’albergo Ai Confini della Cupola».

«Sì, e ricordo che lei approvò l’idea.»

«Non è possibile che l’abbia suggerito per innervosire la Giunta, spacciandolo come un ulteriore esempio della popolarità di Seldon? E non è possibile che tutto sia stato predisposto in modo tale da indurmi a entrare nell’area del palazzo?»

«Come avrei potuto fermarla?» disse Elar, mentre la sua incredulità stava cedendo il passo alla rabbia. «Lei ha deciso da sola cosa fare.»

Dors non gli prestò molta attenzione. «E, naturalmente, sperava che entrando nei terreni del palazzo avrei potuto causare abbastanza problemi da rendere ancora più ostile la Giunta nei confronti di Hari.»

«Ma perché, dottoressa Venabili? Perché avrei dovuto fare tutto questo?»

«Si potrebbe dire che l’ha fatto per liberarsi del professor Seldon e succedergli come direttore del progetto.»

«Come può pensare questo di me? Non riesco a credere che dica sul serio. Sta facendo proprio quello che ha detto all’inizio di questo esercizio: mostrarmi quello che potrebbe ottenere una mente ingegnosa alla ricerca di cosiddetti indizi.»

«Dedichiamoci a qualcos’altro. Ho detto che poteva servirsi degli uffici vuoti per conversazioni private e che avrebbe potuto incontrarsi con un membro della Giunta.»

«Non vale nemmeno la pena negarlo.»

«Ma qualcuno l’ha ascoltata. Una bambina era entrata nella stanza, si era raggomitolata non vista su una poltrona e ha sentito la vostra conversazione.»

Elar si incupì. «Che cosa ha sentito?»

«Ha detto che due uomini stavano parlando di morte. Era solo una bambina e non poteva ripetere tutto nei minimi dettagli, ma due parole l’hanno impressionata ed erano “morte alla limonata”.»

«Ora sembra che stia passando dal fantastico al folle, se mi permette. Cosa può voler dire “morte alla limonata” e in che modo questo potrebbe riguardarmi?»

«Il mio primo pensiero fu di prenderla alla lettera. La bambina in questione adora la limonata e ce n’era molta alla festa, ma nessuno l’aveva avvelenata.»

«Grazie per non avermi fatto apparire un mostro.»

«Poi ho capito che la bambina aveva sentito qualcos’altro, qualcosa che la sua imperfetta conoscenza della lingua e il suo amore per la bevanda al limone le aveva fatto scambiare per “limonata”.»

«Ora si mette anche a inventare distorsioni?» sbuffò Elar.

«Per un certo periodo di tempo mi è sembrato che in realtà quello che aveva sentito fosse “morte profano-aiutata o con l’aiuto di profani”.»

«Cosa significa?»

«Un omicidio portato a termine tramite non-matematici.»

Dors si fermò e corrugò la fronte. Portò una mano al petto.

Elar disse improvvisamente preoccupato: «Qualcosa non va, dottoressa Venabili?».

«No» disse Dors cercando di chiarirsi le idee.

Per qualche istante non aggiunse altro ed Elar si schiarì la voce. Non c’era più alcuna traccia di divertimento sul suo volto mentre diceva: «I suoi commenti, dottoressa Venabili, diventano sempre più ridicoli e non mi interessa se la offendo, sono stufo. Vogliamo farla finita?».

«Siamo quasi alla fine, dottor Elar. Quella dei profani potrebbe essere un’idea ridicola, proprio come dice lei. Anch’io ero giunta a questa conclusione nei miei ragionamenti. Lei è in parte responsabile dello sviluppo dell’elettrochiarificatore, non è così?»

Elar sembrò raddrizzare la schiena mentre affermava con una punta d’orgoglio: «Interamente responsabile».

«Non del tutto. Ho sentito dire che è stato progettato da Cinda Monay.»

«Una progettista. Ha seguito le mie istruzioni.»

«Una profana. L’elettrochiarificatore è uno strumento messo a punto con l’aiuto di profani.»

Con violenza repressa a fatica, Elar disse: «Non credo di voler sentire ancora quella frase. Glielo ripeto, vogliamo farla finita?».

Dors proseguì, come se non avesse sentito la sua richiesta: «Anche se adesso non le attribuisce più alcun merito, lo ha fatto quando eravate insieme. Per farla lavorare volentieri, suppongo. Mi ha detto che le ha riconosciuto la sua parte di merito e gliene era molto grata. Ha aggiunto che lei avrebbe battezzato lo strumento con i vostri nomi, anche se non è la denominazione ufficiale».

«Certo, il nome è elettrochiarificatore.»

«Mi ha detto anche che stava progettando alcuni miglioramenti, intensificatori e altre cose del genere, e che lei aveva il prototipo di una versione avanzata del dispositivo per sperimentarla.»

«Che cosa ha a che fare questa faccenda con il resto?»

«Da quando il professor Seldon e il dottor Amaryl stanno lavorando con l’elettrochiarificatore, la loro salute ha subìto un netto deterioramento. Yugo, che lo utilizza maggiormente, ha sofferto ancora di più.»

«L’elettrochiarificatore non può, in alcun modo, causare quei danni.»

Dors si mise la mano sulla fronte e sussultò leggermente. «Ma ora lei ha un modello di elettrochiarificatore più potente e capace di causare danni maggiori, una versione che potrebbe uccidere rapidamente piuttosto che in modo lento.»

«Sciocchezze.»

«Consideri il nome del dispositivo, un nome che, secondo la donna che lo ha progettato, siete i soli a utilizzare. Presumo l’abbia chiamato chiarificatore Elar-Monay.»

«Non mi ricordo di aver mai adoperato quel nome» ribatté a disagio Elar.

«Certo che l’ha adoperato. E il nuovo Elar-Monay intensificato può essere utilizzato per uccidere senza che nessuno venga incolpato... solo un triste incidente dovuto a un nuovo e non ancora ben sperimentato strumento. Sarebbe la “morte Elar-Monay”2 e la bambina l’ha interpretato come “morte alla limonata”.»

Dors si mise la mano sul fianco, tastandosi.

Elar disse gentilmente: «Lei non sta bene, dottoressa Venabili».

«Sto benissimo. Non ho forse ragione?»

«Senta, non importa cosa possa o voglia farne della limonata. Chi può sapere cosa ha sentito la bambina? Tutto si gioca sulla letalità dell’elettrochiarificatore. Mi porti in tribunale o davanti a un comitato d’investigazione scientifica e lasci che gli esperti, quanti vuole, controllino gli effetti dell’elettrochiarificatore, anche quello intensificato. Non riscontreranno alcun effetto misurabile sugli esseri umani.»

«Non le credo» farfugliò Dors. Ora aveva le mani alla fronte e gli occhi chiusi. Barcollava leggermente.

«È ovvio che non si senta bene, dottoressa Venabili. Forse vuol dire che è il mio momento di parlare. Posso?»

Gli occhi di Dors si aprirono e lo fissarono.

«Prenderò il suo silenzio come un assenso, dottoressa. A cosa mi servirebbe cercare di liberarmi del dottor Seldon e del dottor Amaryl per poter prendere il posto di direttore? Lei impedirebbe ogni tentativo di ucciderli, proprio come crede di fare adesso. Nell’improbabile caso che riuscissi a portare a termine un tale progetto e a liberarmi dei due grandi uomini, mi farebbe a pezzi subito dopo. Lei è una donna molto strana, forte e rapida oltre il possibile, e finché è in vita, il maestro è al sicuro.»

«Sì» disse Dors con aria minacciosa.

«Ho riferito tutto questo ai membri della Giunta. Perché non avrebbero dovuto consultarmi circa i fatti relativi al progetto? Sono molto interessati alla psicostoria, proprio com’è nel loro interesse. È stato difficile far loro accettare quello che ho detto di lei, fino a quando non ha invaso i terreni del palazzo. Questo li ha convinti definitivamente, può starne sicura, e hanno accettato il mio piano.»

«Ah. Ora ci stiamo arrivando» disse Dors debolmente.

«Le ho detto che l’elettrochiarificatore non è in grado di danneggiare gli esseri umani. Non può. Amaryl e il suo amato Hari stanno invecchiando, anche se rifiutano di accettarlo. E allora? Stanno bene perché sono perfettamente umani. I campi elettromagnetici non hanno effetti di alcun rilievo sui materiali organici. Naturalmente, potrebbero avere effetti dannosi su macchinari altamente sensibili ai campi elettromagnetici. E se potessimo concepire un essere umano costruito di metallo e apparecchiature elettroniche, potrebbe risentire di tali effetti. Le leggende ci parlano di questi esseri artificiali; i micogenesi hanno basato la loro religione su di essi e li definiscono “robot”. Se esistesse un robot, lo si potrebbe immaginare più forte e veloce di qualsiasi essere umano normale. Avrebbe doti molto simili alle sue, dottoressa Venabili. E un tale robot potrebbe essere fermato, ferito, anche distrutto da un elettrochiarificatore intensificato, come quello che ho qui, che è rimasto attivo a bassa potenza fin dall’inizio della nostra conversazione. È per questo che si sente male, dottoressa Venabili e, per la prima volta nella sua esistenza, sono sicuro.»

Dors non disse nulla e i due si fissarono in silenzio. Lentamente lei si lasciò cadere su una sedia.

Elar sorrise e proseguì: «Naturalmente, una volta eliminata lei, non ci saranno problemi con il maestro e Amaryl. Anzi, il maestro senza di lei potrebbe semplicemente spegnersi immediatamente e dare le dimissioni, mentre Amaryl è soltanto un bambino. Con ogni probabilità nessuno dovrà essere ucciso. Come ci si sente, dottoressa Venabili, a essere smascherata dopo tutti questi anni? Devo ammettere che ha fatto un buon lavoro nel nascondere la sua vera natura. È sorprendente che nessuno prima d’ora abbia mai scoperto la verità. Ma, in fondo, io sono un brillante matematico capace di osservare, riflettere, dedurre. Anch’io non l’avrei scoperto se non fosse stato per la sua fanatica dedizione al maestro e per le occasionali esibizioni di forza sovrumana che sembrava potesse evocare a comando, tutte le volte in cui lui si trovava in pericolo.

«Dica pure addio al mondo, dottoressa Venabili. Tutto quello che mi rimane da fare è mettere a massima potenza il dispositivo, e per lei sarà finita».

Dors sembrò raccogliere le forze e si alzò lentamente dalla sedia, mormorando con un filo di voce: «Potrei essere schermata meglio di quanto creda». Poi, con un grugnito, si lanciò addosso a Elar.

Elar, spalancando gli occhi, lanciò un urlo acuto e cadde all’indietro.

Poi lei gli fu sopra, una mano guizzante come un lampo. Con un colpo di taglio colpì il collo di Elar, spezzando le vertebre e maciullando il midollo spinale. Elar cadde sul pavimento, morto.

Dors si raddrizzò con uno sforzo e barcollò verso la porta. Doveva trovare Hari. Doveva dirgli quello che era successo.

27

Hari Seldon si alzò dalla poltrona inorridito. Non aveva mai visto Dors in un tale stato, il volto contorto, il corpo piegato, barcollante come se fosse ubriaca.

«Dors, cosa ti è successo? Cos’hai?»

Corse e la prese per la vita, mentre le gambe di lei cedevano e cadeva fra le sue braccia. Seldon la sollevò (pesava più di una donna normale della sua taglia, ma in quel momento Seldon non lo notò neppure) e la distese sul divano.

«Cosa è successo?» le chiese.

Dors glielo disse boccheggiando, con voce rotta, mentre lui le cullava la testa e cercava di crederci.

«Elar è morto. Alla fine ho ucciso un essere umano per la prima volta. Mi fa sentire anche peggio.»

«Fino a che punto sei danneggiata, Dors?»

«In modo grave. Elar ha attivato il dispositivo a piena potenza, quando l’ho assalito.»

«Puoi essere riparata?»

«E come? Nessuno potrebbe aiutarmi, su Trantor. Ho bisogno di Daneel.»

Daneel, Demerzel. In qualche modo, dentro di sé, Hari l’aveva sempre saputo. Il suo amico, un robot, gli aveva fornito un protettore robot per assicurarsi che alla psicostoria e ai semi della Fondazione fosse data la possibilità di attecchire. L’unico problema era che Hari si era innamorato del suo protettore. Hari si era innamorato di un robot. Tutto aveva un senso, adesso; gli atroci dubbi e le domande avevano una risposta. E, stranamente, non gliene importava nulla. Tutto ciò che gli interessava era Dors.

«Non posso assolutamente permettere che questo accada.»

«Deve accadere.» Gli occhi di Dors si aprirono lentamente e fissarono Seldon. «Deve. Ho cercato di salvarti ma ho fallito in un momento vitale. Chi ti proteggerà, adesso?»

Seldon non riusciva a vederla distintamente. C’era qualcosa che non andava nei suoi occhi. «Non pensare a me, Dors. Sei tu, sei tu...»

«No, tu, Hari. Devi dire a Manella che ora la perdono, ha fatto meglio di me. Spiegalo a Wanda. Tu e Raych prendetevi cura l’uno dell’altro.»

«No, no, no» disse Seldon cullandola avanti e indietro. «Non puoi farmi questo. Resisti, Dors. Ti prego, amore mio.»

Dors scosse il capo adagio e sorrise ancora più debolmente. «Addio, Hari, amore mio. Ricorda sempre tutto quello che hai fatto per me.»

«Non ho mai fatto nulla per te.»

«Mi hai amata e il tuo amore mi ha resa umana.»

I suoi occhi erano ancora aperti, ma Dors aveva cessato di funzionare.

Yugo Amaryl entrò bruscamente nell’ufficio di Seldon. «Hari, le rivolte stanno già scoppiando, in anticipo e molto più consistenti di quanto ci aspet...»

Poi fissò Seldon, Dors e sussurrò: «Cos’è successo?».

Seldon lo guardò con occhi colmi di disperazione. «Rivolte! Cosa vuoi che me ne importi delle rivolte? Cosa vuoi che me ne importi di qualcosa, adesso?»

1. Nell’originale esiste un gioco di parole intraducibile basato sulla parziale omofonia fra “lemonade” (limonata) e “layman-aided” (con l’aiuto di un profano). (NdT)

2. Vedi nota precedente: anche il duplice nome “Elar-Monay” viene pronunciato in modo molto simile a “lemonade”. (NdT)