DAHL ... Stranamente l’aspetto più noto di questo settore è Billibotton, un posto semileggendario sul quale sono fioriti innumerevoli racconti. Oggi esiste un intero filone letterario in cui eroi, avventurieri e vittime devono sfidare i pericoli dell’attraversamento di Billibotton. Tali storie sono talmente stilizzate che l’unica ben nota e (presumibilmente) autentica, quella dell’attraversamento di Billibotton da parte di Hari Seldon e Dors Venabili, appare fantastica semplicemente per associazione...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

66

Quando Hari Seldon e Dors Venabili furono soli, lei chiese pensierosa: «Intendi davvero vedere questa “Mamma”?».

«Ci sto pensando, Dors.»

«Sei un tipo strano, Hari, e a quanto pare tendi a peggiorare. A Streeling sei andato sulla Faccia superiore, cosa apparentemente innocua, per uno scopo razionale. A Micogeno hai fatto irruzione nella guglia degli Anziani, impresa molto più pericolosa, per uno scopo abbastanza assurdo. A Dahl vuoi andare incontro a una specie di suicidio, almeno stando a quello che ha detto il giovanotto, per qualcosa di completamente insensato.»

«Mi incuriosisce questo riferimento alla Terra, devo scoprire se c’è sotto qualcosa di utile.»

«È una leggenda, e nemmeno tanto interessante. Routine. Cambia il nome, a seconda del pianeta, ma il contenuto è lo stesso. C’è sempre questa storia di un mondo d’origine e di un’epoca aurea. Ci si strugge per un passato ritenuto semplice e virtuoso, è una tendenza universale fra gli individui appartenenti a una società complessa e corrotta. In un modo o nell’altro è una regola che vale per tutte le società, dato che tutti pensano di vivere in un mondo troppo complesso e corrotto, anche se non è affatto vero. Segnati quest’appunto per la psicostoria.»

«Comunque, devo prendere in considerazione la possibilità che una volta esistesse un unico mondo. Aurora o Terra, il nome non ha importanza. Infatti...»

Seldon si interruppe e infine Dors disse: «Allora?».

Lui scosse il capo. «Ricordi la storia della mano sulla coscia che mi hai raccontato a Micogeno? Subito dopo aver avuto il Libro da Gocciadipioggia Quarantatré. Be’, mi è tornata in mente una delle sere scorse mentre parlavamo con i Tisalver. Ho detto qualcosa che per un attimo mi ha fatto pensare...»

«A cosa?»

«Non ricordo, mi è entrato in testa ed è uscito subito. Ogni volta che penso all’idea del mondo unico mi sembra di avere sulla punta delle dita qualcosa che poi mi sfugge.»

Lei lo guardò sorpresa. «Non vedo cosa potrebbe essere. La storia della mano sulla coscia non c’entra nulla con la Terra o Aurora.»

«Lo so, ma la cosa che galleggia appena oltre la mia mente sembra avere un legame con il mondo unico. Ho la sensazione di dover scoprire più informazioni su quel pianeta, a ogni costo. Sul pianeta... e i robot.»

«Anche i robot? Credevo che dopo essere stati nella guglia degli Anziani il discorso fosse chiuso.»

«Non del tutto. Ho pensato ai robot.» Per alcuni istanti Seldon fissò Dors con un’espressione turbata, poi disse: «Ma non sono sicuro».

«Sicuro di cosa, Hari?»

Lui si limitò a scuotere la testa e non aggiunse altro.

Dors corrugò la fronte. «Hari, lascia che ti dica una cosa. Nella storia seria, quella vera, non c’è il minimo accenno a un unico mondo d’origine. È una credenza popolare, d’accordo. Non solo tra i seguaci meno colti del folclore, come i micogenesi o i cistermisti dahliti: no, ci sono anche dei biologi i quali sostengono che dev’esserci stato un unico mondo d’origine per ragioni che esulano parecchio dal mio campo, e gli storici più inclini allo spiritualismo tendono a prendere in esame questa ipotesi. E tra gli intellettuali sfaccendati, a quanto mi risulta, simili congetture stanno diventando di moda. Ma la storia seria non ne sa nulla.»

«Un motivo in più, forse, per andare al di là della storia seria. Io voglio un artificio che mi semplifichi la psicostoria, e il tipo di artificio non mi interessa. Può essere matematico, può essere storico, o qualcosa di completamente immaginario. Se il giovanotto con cui abbiamo appena parlato avesse avuto una preparazione un po’ più ortodossa, avrei assegnato a lui il problema. Ha un modo di pensare molto ingegnoso e originale.»

«E lo aiuterai davvero?»

«Certo. Non appena potrò.»

«Ma ti sembra giusto fare una promessa che non sei sicuro di riuscire a mantenere?»

«Io voglio mantenerla. Se sei così pignola sulle promesse impossibili, tieni presente che Hummin ha detto a Caposole Quattordici che avrei usato la psicostoria per restituire ai micogenesi il loro mondo. In un caso del genere le probabilità sono praticamente zero. Anche se elaborerò la psicostoria, chissà se potrà essere impiegata per uno scopo tanto specifico? Quella sì che è una promessa azzardata!»

Ma Dors ribatté infervorandosi: «Chetter Hummin stava cercando di salvarci la vita, di impedire che finissimo in mano a Demerzel e all’imperatore. Non dimenticarlo. E sono convinta che vorrebbe aiutare davvero i micogenesi».

«E io vorrei aiutare Yugo Amaryl. È molto più probabile che possa riuscirci con lui e non con i micogenesi, quindi se giustifichi la seconda cosa, per favore non criticare la prima. E poi, Dors...» gli occhi di Seldon sprizzarono lampi «vorrei proprio trovare Mamma Rittah, al punto che sono pronto ad andare da solo.»

«Nemmeno per sogno!» scattò Dors. «Se vai tu, vengo anch’io.»

67

La signora Tisalver tornò con la figlia un’ora dopo che Amaryl era andato al lavoro. Non disse nulla né a Seldon né a Dors, ma rispose al loro saluto con un cenno secco del capo e si guardò intorno, quasi per assicurarsi che il cistermista non avesse lasciato tracce. Poi annusò l’aria e lanciò a Seldon un’occhiata accusatrice prima di attraversare la sala comune ed entrare nella camera da letto.

Tisalver arrivò a casa più tardi e, quando Seldon e Dors andarono a tavola, approfittò dell’assenza della moglie, che stava ancora sbrigando alcune faccende dell’ultimo minuto in cucina, per chiedere sottovoce: «Quella persona è stata qui?».

«E se n’è andata» rispose Seldon austero. «Sua moglie era fuori, allora.»

Tisalver annuì.

«Dovrà farlo ancora?»

«Non credo.»

«Bene.»

Il pasto si svolse in gran parte in silenzio. Più tardi, quando la bambina se ne andò in camera sua per esercitarsi al computer (e forse anche divertirsi), Seldon si rilassò e chiese: «Parlatemi di Billibotton».

Tisalver parve stupito e mosse la bocca senza pronunciare una parola. Casilia, invece, non ammutoliva tanto facilmente.

«È là che vive il suo nuovo amico? Vuole ricambiare la visita?» domandò la signora Tisalver.

«Per ora ho soltanto chiesto qualche informazione su Billibotton» replicò Seldon pacato.

«È una zona squallida, malfamata» ribatté brusca la donna. «Ci vive la feccia e nessuno vuole andarci, a parte i rifiuti umani che si stabiliscono in quei bassifondi.»

«A quanto mi risulta, ci abita una certa Mamma Rittah.»

«Mai sentita nominare» disse Casilia chiudendo la bocca di scatto. Era chiaro che si rifiutava perfino di conoscere il nome delle persone che vivevano a Billibotton.

Intervenne Tisalver, lanciando un’occhiata ansiosa alla moglie. «Io ne ho sentito parlare. È una vecchia pazza, pare che sia un’indovina.»

«E vive a Billibotton?»

«Non saprei, signor Seldon, non l’ho mai vista. A volte parlano di lei negli olonotiziari quando fa le predizioni.»

«E si avverano?»

Tisalver sbuffò. «Si avverano mai le predizioni? Le sue non hanno nemmeno senso.»

«Parla mai della Terra?»

«Non lo so. Non mi sorprenderebbe.»

«Il nome non la lascia perplesso. Ne ha già sentito parlare?»

Ora Tisalver parve sorpreso. «Certo, signor Seldon. Si presume che sia il mondo da cui tutti gli esseri umani provengono...»

«Si presume? Lei non ci crede?»

«Io sono istruito, ma molte persone ignoranti ci credono.»

«Ci sono videolibri sulla Terra?»

«A volte ne parlano le storie per bambini. Ricordo che da piccolo la mia favola preferita cominciava così: “Una volta, tanto tempo fa, quando la Terra era l’unico pianeta...”. Ricordi, Casilia? Piaceva anche a te.»

Casilia fece spallucce, ancora restia a cedere.

«Mi piacerebbe vederla, qualche volta...» disse Seldon «no, io mi riferivo a videolibri veri, eruditi. O a film e tabulati.»

«Non mi risulta che ce ne siano, sebbene la biblioteca...»

«Proverò in biblioteca. C’è qualche tabù che proibisce di parlare della Terra?»

«Tabù? Cosa sarebbe?»

«Intendo dire: esiste una forte tradizione secondo cui la gente non dovrebbe parlare della Terra o gli stranieri non dovrebbero fare domande in proposito?»

Tisalver assunse un’espressione di stupore così intenso e sincero che a Seldon sembrò inutile aspettare una risposta.

Dors a quel punto intervenne: «C’è qualche divieto che impedisce agli stranieri di andare a Billibotton?».

Ora Tisalver pareva estremamente serio. «Non c’è alcun divieto ma non è consigliabile, per nessuno. Io non lo farei.»

«Perché?» chiese Dors.

«È una zona pericolosa. Violenta! Tutti sono armati. Sì, insomma, Dahl è un posto pieno di armi, d’accordo, ma a Billibotton le usano. State in questa zona, qui si è al sicuro.»

«Finora» commentò Casilia cupa. «Sarebbe meglio trasferirci. I cistermisti vanno dappertutto, oggigiorno.» E lanciò un’altra occhiataccia in direzione di Seldon.

«Come, Dahl è un settore armato?» chiese Seldon. «Ci sono rigorose norme imperiali contro le armi.»

«Lo so» disse Tisalver. «Infatti qui non ci sono storditori o percussivi o sonde psichiche. Niente del genere. Ma ci sono coltelli.» Sembrava imbarazzato.

«Lei ha con sé un coltello, Tisalver?» chiese Dors.

«Io?» Il dahlita assunse un’espressione inorridita. «Io sono un uomo pacifico e questa è una zona sicura.»

«Abbiamo un paio di coltelli in casa» disse Casilia sbuffando ancora. «Non siamo poi così convinti che questa sia una zona sicura.»

«E tutti hanno con sé dei coltelli?» domandò Dors.

«Quasi tutti, signora Venabili» rispose Tisalver. «È una consuetudine. Ma questo non significa che tutti lo usino.»

«Ma a Billibotton sì, immagino.»

«A volte. Quando si scaldano e si azzuffano.»

«E il governo lo permette? Il governo imperiale, voglio dire.»

«Ogni tanto cercano di ripulire Billibotton, ma è facilissimo nascondere un coltello e la tradizione è troppo radicata. E poi, sono quasi sempre i dahliti a rimanere uccisi, e non credo che il governo imperiale si agiti molto per questo.»

«Ma se rimane ucciso qualcuno proveniente da fuori?»

«Se l’episodio viene denunciato, può capitare che gli imperiali si muovano. Ma in tal caso nessuno ha visto nulla, nessuno sa nulla. A volte gli imperiali fermano della gente più o meno sospetta, ma in genere non riescono a dimostrare nulla. Probabilmente alla fine decidono che la colpa è degli stranieri, perché non avrebbero dovuto trovarsi in un posto simile. Quindi non vada a Billibotton, nemmeno se ha un coltello.»

Seldon scrollò la testa, piuttosto stizzito. «Non porterei con me alcun coltello. Non so usarlo con un minimo di abilità.»

«Allora è semplice, signor Seldon. Stia alla larga da quel posto. Stia alla larga e basta.»

«Forse non potrò farlo.»

Dors gli lanciò un’occhiataccia e disse a Tisalver: «Dove si compra un coltello? O possiamo averne uno dei vostri?».

Casilia si affrettò a rispondere: «Nessuno prende il coltello di un altro. Dovrete comprarlo».

«Ci sono negozi di coltelli dappertutto» spiegò Tisalver. Non dovrebbero esserci, in teoria è illegale. Comunque, tutti i negozi di apparecchi domestici li vendono. Se vedete esposta una lavatrice, entrate a colpo sicuro.»

«E come si arriva a Billibotton?» si informò Seldon.

«Con l’Espressovia.» Tisalver appariva dubbioso mentre notava lo sguardo accigliato di Dors.

«E una volta raggiunta l’Espressovia?» chiese Seldon.

«Vada verso est e guardi le indicazioni. Ma se proprio deve andare, signor Seldon...» Tisalver esitò. «Non porti la signora Venabili. A volte le donne sono trattate anche peggio.»

«Lei non verrà» disse Seldon.

«Temo proprio che verrà, invece» replicò Dors con fermezza.

68

I baffi del negoziante erano folti come in gioventù, ma adesso erano brizzolati, anche se i capelli erano ancora neri. Mentre fissava Dors, l’uomo si toccò i baffi per abitudine inveterata e li lisciò su entrambi i lati.

«Lei non è dahlita.»

«No, ma voglio ugualmente un coltello.»

«È contro la legge vendere coltelli.»

«Non sono una donna poliziotto, né un agente governativo. Vado a Billibotton.»

L’uomo la fissò pensieroso. «Da sola?»

«Insieme al mio amico.» Col pollice Dors indicò alle proprie spalle, in direzione di Seldon che aspettava fuori imbronciato.

«Lo compra per lui?» Il negoziante studiò Seldon e non impiegò molto a decidere. «Forestiero anche lui. Venga a comprarselo da solo.»

«Neppure lui è un agente governativo. E poi, lo compro per me.»

Il negoziante scosse il capo. «I forestieri sono pazzi. Ma se vuole spendere un po’ di crediti, io li accetto.» Allungò una mano sotto il bancone, prese un oggetto, lo girò con un lieve movimento fluido e la lama spuntò.

«È il più grosso che ha?»

«Il miglior coltello da donna che ci sia.»

«Mi mostri un coltello da uomo.»

«Uno troppo pesante non le serve. Ma lo sa usare uno di questi aggeggi?»

«Imparerò, e il peso non è un problema. Mi mostri un coltello da uomo.»

Il commerciante sorrise. «Be’, se vuole vederlo.» Si spostò lungo il bancone e tirò fuori un oggetto molto più voluminoso. Una torsione, e si ritrovò a impugnare quello che sembrava un coltello da macellaio.

Lo porse a Dors, dalla parte del manico, continuando a sorridere.

«Mi mostri il movimento rotatorio che fa» gli chiese Dors.

Il negoziante le diede una dimostrazione con un secondo coltello: fece una rotazione lenta in un senso per far apparire la lama, nell’altro per farla scomparire. «Giri e schiacci» spiegò.

«Ripeta, signore.»

L’uomo l’accontentò.

«Va bene» disse Dors. «Lo chiuda e mi lanci il manico.»

Il dahlita glielo lanciò, lentamente, lungo una traiettoria a parabola.

Lei lo prese e glielo restituì. «Più veloce.»

L’uomo inarcò le sopracciglia, poi all’improvviso glielo tirò sulla sinistra. Dors non provò a prenderlo con la destra; lo afferrò con la sinistra e la lama si mostrò subito nel suo turgido fulgore, per poi scomparire. L’uomo rimase a bocca aperta.

«E questo è il più grosso che ha?» domandò Dors.

«Sì. Se lo userà, si stancherà e basta.»

«Respirerò bene. Ne prendo anche un altro uguale.»

«Per il suo amico?»

«Per me.»

«Intende usare due coltelli?»

«Ho due mani.»

Il negoziante sospirò. «Signora, mi dia retta, non vada a Billibotton. Non sa cosa fanno alle donne.»

«Posso immaginarlo. E per mettere i coltelli alla cintura?»

«La sua non va bene, non è una cintura da coltello. Ma posso vendergliene una.»

«Per due coltelli?»

«Dovrei averne una doppia da qualche parte. Non sono molto richieste.»

«Io la richiedo.»

«Può darsi che non sia della sua misura.»

«Be’, la taglieremo, la sistemeremo in qualche modo.»

«Le costerà parecchi crediti.»

«La mia carta coprirà la spesa.»

Quando Dors finalmente uscì, Seldon osservò acido: «Sei davvero ridicola con quel cinturone».

«Davvero, Hari? Troppo ridicola per venire con te a Billibotton? Allora torniamo tutti e due all’appartamento.»

«No, andrò da solo. Sarò più al sicuro.»

«Inutile discuterne. O torniamo tutti e due, o andiamo avanti tutti e due. Non ci separeremo in alcun caso.»

E dalla fermezza del suo sguardo, dalla piega decisa delle labbra, da come aveva portato le mani alle impugnature sulla cintura, Seldon capì che non scherzava affatto.

«Benissimo. Ma se sopravviverai e un giorno o l’altro rivedrò Hummin, porrò una condizione: se vuole che continui a lavorare alla psicostoria, chiederò il tuo allontanamento, capito? Anche se mi sono affezionato a te.»

E all’improvviso Dors sorrise. «Scordatelo e non fare il cavaliere con me. Nulla mi allontanerà da te, hai capito?»

69

Scesero dall’Espressovia nel punto in cui l’insegna, tremolando nell’aria, indicava: BILLIBOTTON. Forse per annunciare quello che ci si poteva aspettare, la seconda “i” era imbrattata, una semplice chiazza di luce più debole.

Smontarono dalla vettura e si avviarono lungo il passaggio sottostante. Era primo pomeriggio e, all’apparenza, Billibotton sembrava abbastanza simile alla parte di Dahl che avevano lasciato.

Nell’aria aleggiava un odore acre e la strada era disseminata di immondizia. In quella zona non passavano spazzatrici, era facile capirlo.

Anche se la strada sembrava normale, l’atmosfera era sgradevole, tesa come una molla troppo carica.

Forse erano le persone. A prima vista c’era il solito numero di pedoni, ma Seldon constatò che erano diversi da quelli che si vedevano altrove. Normalmente, presi dal ritmo della vita e degli affari, i pedoni erano assorti nei propri pensieri: nelle folle smisurate delle interminabili vie di Trantor le persone potevano sopravvivere psicologicamente solo ignorandosi a vicenda. Gli occhi non si posavano mai su qualcosa. Le menti si chiudevano, c’era un’intimità artificiale, ognuno era avvolto da una cortina di nebbia alzata volutamente. In alternativa, nelle zone che coltivavano certe usanze, si sfoggiava la rituale cordialità di una passeggiata serale

Ma a Billibotton non c’era né cordialità né un atteggiamento neutro di chiusura in se stessi. Almeno, non nei confronti degli estranei. I passanti si giravano immancabilmente a osservare Seldon e Dors. Quegli occhi li seguivano ostili, quasi fossero attaccati ai due forestieri da corde invisibili.

I vestiti dei billibottesi erano tendenzialmente sporchi, vecchi, a volte laceri. Ovunque si notava una patina di povertà e trascuratezza, tanto che Seldon si sentì a disagio per i suoi abiti nuovi. «Secondo te, dove abita Mamma Rittah?»

«Non lo so. Sei stato tu a voler venire, quindi fai tu le supposizioni. Io mi occuperò della protezione e, non so perché, ma ho la sensazione che sarà un compito fin troppo impegnativo.»

«Pensavo che sarebbe bastato chiedere a qualche passante, ma non mi sento incoraggiato.»

«Ti capisco. Non troverai nessuno ansioso di aiutarti, temo.»

«D’altra parte, ci sono anche dei ragazzini.» Seldon ne indicò uno con un gesto discreto della mano. Un ragazzino che dimostrava circa dodici anni, comunque abbastanza giovane da non sfoggiare i tipici baffi dei dahliti, si era fermato e li fissava.

«Secondo te,» chiese Dors «a quell’età non si è sviluppata del tutto l’antipatia che i billibottesi nutrono verso gli stranieri?»

«Vista la sua taglia, mi basterebbe che non si fosse sviluppata l’inclinazione alla violenza dei suoi concittadini. Magari, se ci avviciniamo, scapperà e urlerà qualche insulto, ma dubito che possa aggredirci.» Seldon alzò la voce. «Ehi, giovanotto!»

Il ragazzino arretrò di un passo e continuò a fissarli.

«Vieni qui.» Seldon lo invitò con un cenno.

«A far che?»

«Devo chiederti qualche indicazione. Avvicinati, così non dovrò urlare.»

Il ragazzino fece due passi avanti. Aveva la faccia sporca, ma un paio di occhi luminosi e svegli. Portava due sandali diversi e aveva una grossa toppa su una gamba dei calzoni. «Che genere di indicazioni?»

«Stiamo cercando Mamma Rittah.»

Gli occhi del ragazzino ebbero un guizzo. «Perché?»

«Sono uno studioso. Sai cos’è?»

«Sei andato a scuola?»

«Sì, tu no?»

Il ragazzino espresse il proprio disprezzo sputando a terra. «Naa!»

«Voglio qualche consiglio da Mamma Rittah, se mi porti da lei.»

«Vuoi sapere il futuro? Se vieni a Billibotton così in ghingheri, posso dirtelo io il tuo futuro. Bruttissimo.»

«Come ti chiami, giovanotto?»

«Che te ne importa?»

«Così parleremo più amichevolmente e magari potrai portarmi da Mamma Rittah. Sai dove abita?»

«Mah, può darsi. Mi chiamo Raych. Che ci guadagno se ti porto?»

«Cosa ti piacerebbe, Raych?»

Il ragazzino posò lo sguardo sulla cintura di Dors. «La signora ha un paio di coltelli. Dammene uno e io ti porto da Mamma Rittah.»

«Sono coltelli per gente adulta, Raych. Sei troppo giovane.»

«Allora forse sono troppo giovane per sapere dove abita Mamma Rittah.» Gli occhi di Raych brillarono scaltri dietro i capelli arruffati che gli scendevano sulla fronte.

Seldon cominciò a innervosirsi, perché avrebbero potuto attirare una folla di curiosi. Parecchi uomini si erano già fermati, ma quando si erano resi conto che non succedeva nulla di interessante, avevano tirato dritto. Se il ragazzino si fosse arrabbiato e avesse avuto una reazione violenta, verbale o fisica, indubbiamente si sarebbe formato un capannello.

Seldon sorrise. «Sai leggere, Raych?»

«Naa!» Raych sputò di nuovo. «A che cosa serve?»

«Sai usare un computer?»

«Un computer parlante? Certo. Tutti sono capaci.»

«Allora, ascolta. Portami al negozio di computer più vicino e te ne comprerò uno piccolo tutto tuo, più un programma di lettura. In poche settimane saprai leggere.»

Seldon ebbe l’impresione di scorgere una scintilla negli occhi del ragazzino, ma in ogni caso tornarono subito ostili. «Naa! Il coltello o niente.»

«Appunto, Raych. Se impari a leggere e non lo dici a nessuno, sorprenderai tutti. Dopo un po’ potrai scommettere che sai leggere, scommettere cinque crediti ogni volta. E con i crediti vinti potrai comprarti il coltello che vuoi.»

Il ragazzino esitò. «Naa! Nessuno scommetterà. Nessuno ha i crediti.»

«Se saprai leggere, potrai trovare un lavoro in un negozio di coltelli, risparmiare la paga e comprare un coltello a prezzo ridotto. Che te ne pare?»

«Quando me lo compri il computer parlante?»

«Subito. Te lo darò quando vedrò Mamma Rittah.»

«Hai dei crediti?»

«Ho una carta di credito.»

«Compra il computer, allora.»

Fecero l’acquisto, ma quando Raych tese la mano verso il computer, Seldon scosse il capo e lo mise via. «Prima devi portarmi da Mamma Rittah. Sicuro di sapere dove abita?»

Raych lo fissò sprezzante. «Sicuro che lo so. Ti porto là e, quando ci siamo, ti conviene darmi il computer, altrimenti chiamo certi tipi che conosco e gli dico di dare la caccia a te e alla signora. Quindi, attento.»

«Non c’è bisogno che ci minacci» disse Seldon. «Rispetteremo i patti.»

Raych li guidò svelto lungo la strada, fra mille occhiate curiose.

Seldon rimase in silenzio durante il tragitto, e anche Dors. Lei era tutt’altro che immersa nei propri pensieri, perché teneva d’occhio la gente intorno. Continuava a fissare minacciosa i passanti che si giravano a guardarli e, di tanto in tanto, quando sentiva dei passi alle loro spalle, si voltava con espressione truce.

Poi Raych si fermò e annunciò: «Qui dentro. Sapete, Mamma Rittah mica abita in strada».

Lo seguirono in un complesso di appartamenti e Seldon, che intendeva imprimersi nella mente il percorso per seguirlo in senso contrario, ben presto si ritrovò smarrito.

«Come fai a orientarti in mezzo a queste viuzze, Raych?» chiese Seldon.

Il ragazzino fece spallucce. «Ci giro da quand’ero piccolo, e poi gli appartamenti sono numerati, quando il numero non è rotto. Ci sono frecce e roba simile, impossibile perdersi se conosci i trucchi giusti.»

Evidentemente Raych li conosceva, e i tre si addentrarono nel complesso. Su ogni angolo aleggiava un’aria di rovina totale: rifiuti e rottami abbandonati, abitanti che sgattaiolavano furtivi, irritati da quell’intrusione di estranei. Nelle stradine, ragazzini indisciplinati che correvano e giocavano. Alcuni di loro gridarono: «Ehi, fuori dai piedi!» quando la loro palla levitante sfiorò Dors.

Infine, Raych si fermò di fronte a una porta scura piena di graffi su cui baluginava debolmente il numero 2782.

«È qui» disse tendendo la mano.

«Prima vediamo chi c’è qui dentro.» Seldon premette il pulsante di segnalazione e non accadde nulla.

«Non funziona» spiegò Raych. «Bisogna picchiare. Forte. Non ci sente tanto bene.»

Seldon batté il pugno sulla porta e all’interno si udirono dei movimenti. Poi una voce stridula chiese: «Chi è che vuole Mamma Rittah?».

«Due studiosi» gridò Seldon.

Lanciò computer e programmi a Raych, che, con un ampio sorriso, si allontanò di corsa. Poi Seldon si voltò verso la porta che si apriva.

70

Mamma Rittah doveva aver superato da un pezzo i settant’anni, ma aveva uno di quei volti che, a prima vista, mascheravano l’età. Guance paffute, bocca piccola, mento rotondo con un accenno di pappagorgia. Era molto bassa, non arrivava nemmeno al metro e mezzo e aveva una corporatura massiccia.

Ma intorno ai suoi occhi c’erano piccole grinze e quando sorrideva, come adesso ai due visitatori, anche il resto del volto si riempiva di rughe. Riusciva a muoversi solo con difficoltà.

«Entrate, entrate» disse con voce bassa e acuta. Li fissò strizzando gli occhi, come se la vista non fosse più quella di un tempo. «Gente di fuori. Stranieri, addirittura, giusto? Non mi sembra che abbiate addosso l’odore di Trantor.»

Doveva proprio parlare di “odore”?, pensò Seldon con disappunto. Nell’appartamento, ingombro fino all’inverosimile di oggetti opachi e polverosi, ristagnava un odore di cibo, un tanfo quasi rancido. L’aria ne era talmente impregnata che lui sarebbe uscito sicuramente con gli abiti impestati.

«Giusto, Mamma Rittah. Io sono Hari Seldon, di Helicon. La mia amica è Dors Venabili, di Cinna.»

«Dunque.» La vecchia si guardò intorno, cercando uno spazio libero sul pavimento per invitare gli ospiti a sedere, ma inutilmente.

«Possiamo stare in piedi?» chiese Dors.

«Come?» La vecchia la fissò. «Deve parlare più forte, ragazza mia. Le mie orecchie non funzionano più come quando avevo la vostra età.»

«Perché non usa un apparecchio acustico?» le domandò Seldon alzando la voce.

«Non servirebbe, signor Seldon. Ho qualcosa che non va al nervo e non ho i soldi per la ricostruzione. È venuto per conoscere il futuro dalla vecchia Mamma Rittah?»

«Non proprio. Sono venuto per conoscere il passato.»

«Benissimo. È una tale fatica decidere quello che la gente vuole sentire...»

«Dev’essere un’arte» disse Dors sorridendo.

«Sembra facile, ma bisogna essere molto convincenti. Io li guadagno fino in fondo, i miei compensi.»

«Se ha un terminale di credito,» disse Seldon «le pagheremo qualsiasi compenso ragionevole, purché ci parli della Terra. E non alteri il racconto in base a quello che vorremmo sentire noi. Ci interessa la verità.»

La vecchia, che si aggirava nella stanza sistemando le cose qui e là, come se volesse renderla più accogliente e adatta a dei visitatori importanti, si fermò di colpo. «Cosa volete sapere della Terra?»

«Cos’è, tanto per cominciare.»

La vecchia si voltò e parve fissare nel vuoto. Quando parlò, la sua voce era sommessa e ferma.

«È un mondo, un pianeta vecchissimo. Dimenticato e perduto.»

«Non fa parte della storia, lo sappiamo» osservò Dors.

«Viene prima della storia, figliola» intonò solenne Mamma Rittah. «Esisteva agli albori della galassia e prima degli albori. Era l’unico mondo del genere umano.» Annuì decisa.

«La Terra era chiamata anche Aurora?» chiese Seldon.

Al che Mamma Rittah si accigliò. «Questo dove l’ha sentito?»

«Viaggiando. Ho sentito parlare di un vecchio mondo dimenticato, Aurora, sul quale l’umanità viveva in pace.»

«È una menzogna!» La vecchia si passò una mano sulla bocca, come se quello che aveva appena udito le avesse lasciato un gusto cattivo. «Non bisogna mai pronunciare quel nome, se non per indicare il luogo del Male. Fu l’inizio del Male. La Terra era sola, poi venne il Male con i suoi altri mondi gemelli. Il Male per poco non distrusse la Terra, ma la Terra si riprese e distrusse il Male con l’aiuto degli eroi.»

«E la Terra esisteva prima di questo Male? Ne è sicura?»

«Molto prima. La Terra è rimasta sola nella galassia per migliaia, milioni di anni.»

«Milioni? Il genere umano ha vissuto sulla Terra per milioni di anni, senza nessun altro su nessun altro mondo?»

«È così. È così!»

«Ma lei come fa a sapere queste cose? Sono in qualche programma di computer o su un tabulato? Non ha nulla che io possa leggere?»

Mamma Rittah scosse il capo. «Ho sentito le vecchie storie da mia madre, che le aveva sentite da sua madre, e così via, indietro nel tempo. Non ho figli, quindi racconto le vecchie storie ad altra gente. Ma può darsi che un giorno tutto finisca. Viviamo in un’epoca in cui la gente non crede.»

«Non proprio, Mamma» disse Dors. «Ci sono persone che si interessano alle epoche preistoriche e studiano le storie dei mondi perduti.»

Mamma Rittah agitò un braccio in un gesto di rifiuto. «Persone che lo fanno in modo freddo. Scientifico. Che cercano di far combaciare il passato con le proprie idee. Potrei raccontarvi storie del grande eroe Ba-Lee per un anno intero, ma voi non avreste tempo di ascoltare e io non ho più la forza necessaria per raccontare.»

«Ha mai sentito parlare dei robot?» chiese Seldon.

La vecchia tremò e la sua voce divenne quasi un grido. «Perché mi domanda cose simili? Erano esseri umani artificiali, malvagi, opera dei mondi del Male. Furono distrutti e non dovrebbero mai essere nominati.»

«C’era un robot particolare che i mondi del Male odiavano, è vero?»

La vecchia si trascinò malferma verso Seldon e lo fissò negli occhi, alitandogli in faccia. «Mi sta prendendo in giro? Conosce queste cose eppure me le chiede. Perché?»

«Perché voglio sapere.»

«C’era un essere umano artificiale che aiutò la Terra. Era Da-Nee, amico di Ba-Lee. Non è mai morto, è ancora vivo da qualche parte, aspetta il suo momento per tornare. Nessuno sa quando arriverà quel momento, ma un giorno Da-Nee verrà e farà rinascere il grande passato, eliminerà la crudeltà, l’ingiustizia, la miseria e la sofferenza. È una promessa.» E Mamma Rittah chiuse gli occhi e sorrise, come se ricordasse.

Seldon attese per un po’ in silenzio, poi sospirò. «Grazie, Mamma Rittah. Ci è stata molto utile. Qual è il suo compenso?»

«È così bello incontrare degli stranieri. Dieci crediti. Posso offrirvi qualcosa?»

«No, grazie» rispose Seldon prontamente. «Eccone venti. Ci spieghi solo come arrivare all’Espressovia da qui. E, Mamma Rittah, se può registrare qualche sua storia della Terra su un disco per computer, la pagherò bene.»

«Sarebbe uno sforzo davvero notevole. Bene, quanto?»

«Dipende dalla lunghezza del racconto, e dalla qualità. Potrei arrivare a mille crediti.»

La vecchia si leccò le labbra. «Mille crediti? Ma come farò a trovarla quando avrò terminato di raccontare?»

«Le darò il codice computerizzato per mettersi in contatto con me.»

Dopo aver comunicato il codice a Mamma Rittah, Seldon e Dors uscirono, grati per l’aria relativamente più respirabile del vicolo all’esterno, e si avviarono svelti nella direzione indicata dalla vecchia.

71

«Un colloquio non molto lungo, Hari» disse Dors.

«Lo so. L’ambiente era sgradevolissimo, e poi mi sembrava di aver sentito abbastanza. È sorprendente come questi racconti popolari tendano a ingigantire.»

«In che senso “ingigantire”?»

«I micogenesi popolano il loro mondo, Aurora, di esseri umani che vivevano per secoli; i dahliti popolano la loro Terra di un genere umano con una longevità di milioni di anni. Ed entrambi parlano di un robot eterno. Comunque, sono elementi che fanno riflettere.»

«Se parliamo di milioni di anni non c’è... Ma dove stiamo andando?»

«Mamma Rittah ha detto di procedere in questa direzione fino a un’area di sosta, di seguire l’indicazione VIALE CENTRALE, girando a sinistra, e di continuare seguendo l’indicazione. Siamo passati in un’area di sosta, venendo qui?»

«Può darsi che ci stiamo allontanando seguendo un percorso diverso rispetto all’andata. Io non ricordo alcuna area di sosta, del resto non guardavo il percorso. Tenevo d’occhio la gente che...»

Dors si interruppe. Più avanti, il vicolo si allargava su ambedue i lati.

Seldon ricordò. Sì, erano passati di lì. C’erano un paio di giacigli sudici e sbrindellati sulla pavimentazione.

Adesso, in ogni caso, non c’era bisogno che Dors tenesse d’occhio i passanti come in precedenza perché non ce n’erano. Solo più avanti, nell’area di sosta, scorsero un gruppo di uomini, piuttosto grossi per essere dahliti, i baffi ispidi, le braccia nude e muscolose che luccicavano nella luce giallognola del vialetto.

Chiaro, aspettavano gli stranieri e quasi automaticamente Seldon e Dors si arrestarono. Un attimo di immobilità assoluta, poi Seldon si guardò frettolosamente alle spalle. Altri due o tre uomini erano usciti allo scoperto.

Seldon disse fra i denti: «Siamo in trappola. Non avrei dovuto lasciarti venire, Dors».

«Al contrario. Sono qui proprio per questo, ma valeva la pena di vedere Mamma Rittah?»

«Certo, se usciremo di qui.» Poi Seldon alzò la voce e disse deciso: «Possiamo passare?».

Uno degli uomini si fece avanti. Era alto quanto Seldon, un metro e settanta abbondante, ma aveva le spalle più ampie ed era molto più muscoloso. Un po’ flaccido in vita, comunque, notò Seldon.

«Sono Marron» si presentò compiaciuto, come se quel nome dovesse significare qualcosa. «Sono qui per dirvi che non ci piacciono i forestieri nel nostro distretto. Volete entrare, bene, ma per uscire bisogna pagare.»

«D’accordo. Quanto?»

«Tutto quello che avete. Voi forestieri ricchi avete le tessere di credito, giusto? Datecele.»

«No.»

«Inutile dire di no. Ce le prenderemo e basta.»

«Dovreste uccidermi o ferirmi per prenderle, e le tessere non funzioneranno senza la mia impronta vocale. La mia impronta vocale normale.»

«No, signore... Visto? Sono educato. Possiamo prenderle senza farti molto male.»

«E quanti uomini grandi e grossi ci vogliono? Nove? No...» Seldon contò rapidamente. «Dieci.»

«Basta uno. Io.»

«Senza aiuto?»

«Solo io.»

«Se gli altri si fanno da parte e ci lasciano spazio, mi piacerebbe vederti provare, Marron.»

«Non hai un coltello, signore. Ne vuoi uno?»

«Usa pure il tuo, così saremo in condizioni di parità. Io mi batterò senza.»

Marron guardò i compagni. «Ehi, questo mingherlino ha del fegato. Non sembra nemmeno spaventato. Divertente, sarebbe un peccato fargli male. Senti, signore. Prenderò la ragazza. Se vuoi che mi fermi, passatemi le vostre tessere di credito e poi attivatele con la voce giusta. Se la risposta è no, dopo che avrò finito con la ragazza... e ci vorrà un po’ di tempo...» Marron rise «... dovrò proprio farti male.»

«Lascia stare la donna» disse Seldon. «Ho sfidato te, uno contro uno, tu col coltello e io senza. Se vuoi un vantaggio maggiore, mi batterò contro due di voi, ma lascia stare la donna.»

«Basta, Hari!» gridò Dors. «Se mi vuole, venga a prendermi. Tu resta dove sei, Hari. Non muoverti.»

«Sentito?» Marron sogghignò. «Tu resta dove sei, Hari, non muoverti. Credo proprio che la signorina mi voglia. Voi due, tenetelo fermo.»

Seldon si sentì bloccare le braccia da una morsa d’acciaio, mentre la punta acuminata di un coltello gli pungeva la schiena.

«Stai fermo» gli sussurrò all’orecchio una voce aspra. «Così puoi guardare. Alla signora probabilmente piacerà. Marron è molto in gamba.»

Dors gridò ancora: «Non muoverti, Hari!». Poi si girò a fissare Marron, serrando parzialmente le mani e accostandole alla cintura.

Marron avanzò baldanzoso. Lei attese che fosse abbastanza vicino, poi le sue braccia scattarono, e il dahlita si ritrovò a fissare due grossi coltelli.

Per un attimo Marron si piegò all’indietro, poi rise. «La signorina ha due coltelloni da uomini, io uno solo. Ma va bene così.» Ed estrasse rapido la propria arma. «Mi spiace doverti tagliuzzare, signorina. Sarebbe più divertente per tutti e due se non lo facessi. Forse posso levarteli di mano, eh?»

«Non voglio ucciderti» disse Dors. «Farò il possibile per evitarlo. Comunque, tutti sono testimoni che, se ti ucciderò, sarà per proteggere il mio amico, perché mi sono impegnata sul mio onore a proteggerlo.»

Marron si finse atterrito. «Oh, no, non uccidermi, signorina.» Poi scoppiò a ridere, imitato dagli altri dahliti presenti.

Fece un affondo col coltello, senza mirare direttamente al bersaglio. Ripeté la mossa una seconda volta, poi una terza, ma Dors non si spostò di un millimetro, non cercò affatto di parare dei colpi che non erano indirizzati a lei.

Marron si incupì. Voleva suscitare in lei una reazione di panico, invece stava facendo solo la figura dell’incapace. L’affondo successivo non era più dimostrativo, e con un guizzo della lama sinistra Dors colpì quella di Marron, con tanta forza da spostargli il braccio, e con l’altro coltello gli tracciò una fenditura in diagonale sulla maglietta. Una sottile linea insanguinata macchiò la pelle villosa sotto il tessuto.

Marron si guardò, sbalordito, mentre i compagni rimanevano a bocca aperta per lo stupore. Seldon sentì la stretta che lo bloccava allentarsi leggermente; i due che lo tenevano erano distratti da un duello che non andava secondo le loro aspettative. Seldon tese i muscoli.

Marron tornò a scagliarsi in avanti, cercando di bloccare con la sinistra il polso destro dell’avversaria. La lama sinistra di Dors parò di nuovo il colpo e immobilizzò il coltello del dahlita; nel medesimo istante, Dors piegò la destra e l’abbassò. Invece di stringere il polso di Dors, Marron serrò la mano intorno al coltello e, quando la aprì, vide una striscia rossa che gli solcava il palmo.

Dors balzò indietro e Marron, alla vista del sangue che gli imbrattava il petto e la mano, urlò rauco: «Datemi un altro coltello!».

Ci fu un’attimo di esitazione, poi un compagno gli lanciò il proprio. Marron fece per afferrarlo, ma Dors fu più rapida. Con la lama destra lo centrò al volo e lo rispedì indietro, facendolo roteare a mezz’aria.

La stretta che bloccava Seldon si allentò ulteriormente. Alzò di scatto le braccia, spingendo in avanti, e si liberò. I due dahliti incaricati della sua custodia si girarono verso di lui urlando, ma prontissimo colpì il primo con una ginocchiata all’inguine, il secondo con una gomitata al plesso solare, atterrandoli entrambi.

Poi si chinò a recuperare i coltelli e si rialzò, impugnando due armi come Dors. A differenza di lei, Seldon non era affatto capace di maneggiare le lame, ma sapeva che i dahliti senza dubbio non ne erano consapevoli.

«Tienili solo a bada, Hari. Aspetta ad attaccare. Marron, il mio prossimo colpo non sarà un graffio.»

Marron, furioso, lanciò un ruggito bestiale e caricò alla cieca, cercando di travolgere l’avversaria con la forza d’urto della propria massa corporea. Dors, abbassandosi e scostandosi, passò sotto il braccio destro di Marron e gli sferrò un calcio alla caviglia destra. Il teppista rovinò al suolo, perdendo il coltello.

Dors si inginocchiò, gli piazzò una lama dietro il collo e l’altra contro la gola. «Arrenditi!»

Con un nuovo urlo Marron la colpì con un braccio, la spinse da parte e annaspò per rialzarsi.

Ma non fece in tempo a drizzarsi del tutto, perché Dors gli piombò addosso e calò una lama, fulminea, tranciandogli un pezzo di baffo. Questa volta Marron ululò come un animale ferito a morte e si premette una mano sulla faccia. Quando la staccò, grondava sangue.

«Non crescerà più, Marron. È partito anche un pezzo di labbro. Attacca ancora e sei morto stecchito» gridò Dors.

Attese, ma Marron ne aveva avuto abbastanza. Si allontanò, barcollando e lamentandosi, lasciando una scia di sangue.

Dors si girò verso gli altri dahliti. I due che Seldon aveva messo fuori combattimento erano ancora stesi a terra, disarmati e per nulla ansiosi di rialzarsi. Dors si chinò, tagliò loro le cinture e aprì uno squarcio nei calzoni.

«Bene, dovrete reggervi le brache per camminare».

Fissò i sette uomini ancora in piedi, che la osservavano sgomenti e affascinati. «Chi di voi ha lanciato il coltello?»

Silenzio.

«Non importa. Fatevi sotto uno a uno o tutti assieme, ma ogni volta che colpirò, uno di voi ci rimarrà secco.»

I sette dahliti, di comune accordo, si girarono e si affrettarono ad andarsene.

Dors inarcò le sopracciglia e disse a Seldon: «Questa volta, almeno, Hummin non potrà di sicuro lamentarsi della mia protezione».

«Stento ancora a credere a quel che ho visto. Non ti pensavo capace di un’azione del genere. O di un linguaggio simile.»

Lei si limitò a sorridere. «Anche tu hai le tue doti. Formiamo una bella coppia. Su, ritrai le lame dei coltelli e mettili via. Credo che la notizia si spargerà in pochissimo tempo e che potremo uscire da Billibotton senza intoppi.»

Aveva ragione.