UNIVERSITÀ DI STREELING ... Centro culturale di livello superiore nel settore di Streeling dell’antico Trantor. Nonostante i suoi meriti e l’indubbia importanza nel campo delle dottrine umanistico-scientifiche, non è per questo che l’università occupa un ruolo di spicco nella consapevolezza attuale. Probabilmente generazioni di studiosi si sarebbero stupite nell’apprendere che Streeling sarebbe stata ricordata soprattutto perché ospitò per qualche tempo un ricercatore di nome Hari Seldon, durante il periodo della Fuga...
ENCICLOPEDIA GALATTICA
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Dopo le parole pacate di Hummin, Seldon rimase in silenzio e a disagio per un po’. Chiuso in se stesso, riconosceva di colpo le proprie lacune.
Aveva inventato una nuova scienza, la psicostoria. Aveva esteso le leggi della probabilità in modo molto ingegnoso per tener conto di nuove complessità e indeterminazioni, ed era approdato a equazioni armoniose con innumerevoli incognite, forse infinite; non era in grado di dirlo.
Ma era un gioco matematico, nient’altro.
Aveva la psicostoria, o almeno le basi della psicostoria, ma solo come curiosità statistica. Dov’erano le conoscenze storiche che avrebbero potuto dare significato alle sterili equazioni?
Gli mancavano. La storia non gli era mai interessata. Conosceva il profilo di Helicon, ovvio, perché lo studio di quel minuscolo frammento di storia umana era obbligatorio nelle scuole heliconiane. Ma a parte quello? Senza dubbio quel che aveva imparato in seguito erano soltanto dati sommari che tutti conoscevano, un misto di leggende e informazioni distorte.
Eppure, com’era possibile che l’impero galattico stesse morendo? Esisteva da diecimila anni come entità riconosciuta, e anche prima di allora Trantor, in qualità di capitale del regno principale, era stato in pratica il fulcro di un impero per duemila anni. L’impero era sopravvissuto ai secoli iniziali, quando ogni tanto vasti settori della galassia avevano rifiutato di accettare la fine della propria indipendenza locale. Era sopravvissuto alle vicissitudini delle rivolte, alle guerre dinastiche, ad alcuni gravi periodi di crisi. La maggior parte dei mondi non erano quasi stati toccati da simili eventi, e lo stesso Trantor era cresciuto costantemente fino a diventare l’agglomerato umano sterminato che ora si fregiava del titolo di Mondo eterno.
Sì, negli ultimi quattro secoli i disordini erano leggermente aumentati e c’era stata un’ondata di assassinii d’imperatori e di prese del potere. Ma la situazione andava normalizzandosi e adesso la galassia era calma come un tempo. Sotto Cleon I, e prima di lui sotto suo padre Stanel VI, i mondi prosperavano e lo stesso Cleon non era considerato un tiranno. Persino quelli che non sopportavano l’impero come istituzione, avevano raramente motivo di dire qualcosa contro Cleon. Di solito inveivano contro Eto Demerzel.
Allora, perché Hummin aveva affermato con tanta convinzione che l’impero galattico stava morendo?
Hummin era un giornalista: probabilmente conosceva la storia galattica in modo abbastanza approfondito e doveva capire molto bene la situazione attuale. Era grazie a quelle conoscenze che poteva permettersi un’affermazione del genere? E in tal caso, cosa sapeva?
Parecchie volte Seldon fu sul punto di chiederglielo, di esigere una risposta, ma nel volto solenne di Hummin c’era qualcosa che lo bloccava. E c’era un’altra cosa che gli impediva di chiedere: per Seldon l’impero galattico era un principio generale, un assioma, la prima pietra su cui poggiava tutto. Era una convinzione innata per lui, e se era sbagliata preferiva non saperlo.
No, impossibile che sbagliasse! L’impero galattico non poteva finire, proprio come l’universo. Meglio, sarebbe scomparso solo se l’universo avesse smesso di esistere.
Seldon chiuse gli occhi, cercando di dormire, ma naturalmente non ci riuscì. Avrebbe dovuto studiare la storia dell’universo per perfezionare la teoria psicostorica?
Impossibile! C’erano venticinque milioni di mondi, ognuno con una propria storia incredibilmente complessa. Uno studio impossibile!
Sapeva che c’erano dei videotesti in molti volumi sulla storia galattica. Una volta, per qualche ragione che non ricordava più, ne aveva perfino letto rapidamente uno, ma non era arrivato nemmeno a metà tanto gli era parso noioso.
Il videotesto parlava dei mondi importanti. Di alcuni illustrava tutta o quasi tutta la storia; di altri solo i momenti significativi prima del ritorno nell’anonimato. Ricordava di aver cercato Helicon nell’indice e di aver trovato soltanto una citazione. Aveva battuto il comando di lettura della citazione e aveva trovato Helicon in un elenco di mondi che una volta, per un breve periodo, si erano schierati con un certo pretendente al trono imperiale che poi non era riuscito nel suo intento. Helicon non era stato punito per quel gesto, probabilmente perché non era nemmeno abbastanza importante da meritare una punizione.
A che cosa poteva servire quel tipo di storia? La psicostoria avrebbe dovuto tener conto delle azioni, reazioni e interazioni di ogni mondo, di tutti i mondi. E chi sarebbe stato in grado di studiare la storia di venticinque milioni di mondi considerando tutte le interazioni possibili? No, era un compito assurdo, l’ennesima conferma che la psicostoria possedeva sicuramente un interesse teorico, ma non aveva alcuna utilità pratica.
Seldon avvertì una lieve spinta in avanti. L’aerotaxi stava decelerando, rifletté.
«Che succede?» chiese Seldon.
«Abbiamo percorso un tratto sufficiente, credo. Possiamo correre il rischio e fare una breve sosta per mangiare un boccone, bere qualcosa e concederci una visitina al bagno.»
Dopo una quindicina di minuti, durante i quali l’aerotaxi continuò a rallentare, raggiunsero un’area illuminata. Abbandonarono il tunnel e individuarono un posto per parcheggiare fra cinque o sei veicoli.
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L’occhio esperto di Hummin sembrò cogliere con un solo sguardo il recesso, gli altri taxi, il ristorante, i passaggi e gli uomini e le donne presenti. Seldon, sforzandosi di non farsi notare e continuando a non sapere come comportarsi, osservò Hummin con discrezione.
Quando sedettero a un tavolo e batterono l’ordinazione, Seldon, ostentando un tono indifferente, chiese: «Tutto bene?».
«Pare di sì» rispose Hummin.
«Come fa a dirlo?»
Gli occhi scuri del giornalista si posarono un istante sul matematico. «Istinto. Anni passati a caccia di notizie. Ti guardi intorno e capisci subito: “Qui non succede nulla”.»
Seldon annuì e provò un senso di sollievo. Forse Hummin aveva fatto dell’ironia, ma le sue parole dovevano contenere una percentuale di verità.
La soddisfazione di Seldon svanì al primo morso del panino. Guardò Hummin con la bocca piena e un’espressione sgradevolmente sorpresa.
«Questo è un ristorante per viaggiatori, amico mio» gli disse Hummin. «Economico, rapido e non un granché. Gli alimenti sono prodotti localmente e contengono lieviti dal gusto piuttosto aspro. I palati trantoriani ci sono abituati.»
Seldon deglutì a fatica. «Ma in albergo...»
«Era nel settore imperiale, Seldon. Là gli alimenti sono importati e i microalimenti usati sono di ottima qualità. E anche parecchio costosi.»
Seldon si chiese se fosse il caso di continuare a mangiare. «Intende dire che finché resterò su Trantor...»
Hummin lo invitò a tacere sporgendo le labbra. «Non dia a nessuno l’impressione di essere abituato a cibo migliore. In certe parti di Trantor un aristocratico è guardato peggio di uno straniero. Il cibo non sarà così cattivo dappertutto, gliel’assicuro. I ristoranti lungo la strada sono famosi per la loro qualità scadente. Se riuscirà a mandar giù quel panino, riuscirà a mangiare in qualsiasi zona del pianeta. E non le farà male. Non è guasto, tossico o qualcosa del genere; ha solo un gusto forte, aspro. Francamente, può anche darsi che ci si abitui. Ho conosciuto dei trantoriani che sputano il cibo decente sostenendo che gli manca quel sapore piccante e casereccio.»
«Producono molti alimenti, su Trantor?» chiese Seldon. Si guardò intorno rapidamente, vide che non c’era nessuno seduto accanto a loro e parlò sottovoce. «Ho sempre sentito dire che ci vogliono venti mondi per rifornire le centinaia di mercantili necessari per soddisfare ogni giorno i bisogni alimentari di Trantor.»
«Lo so. E centinaia per portare via il carico di rifiuti. E se si vuole concludere la storia nel modo migliore, si dice che le stesse astronavi arrivino col cibo e ripartano coi rifiuti. È vero che importiamo quantità considerevoli di alimenti, ma si tratta per lo più di generi di lusso. Ed esportiamo moltissimi rifiuti, trattati e innocui, come importante fertilizzante organico. Importante per gli altri mondi quanto il cibo lo è per noi. Ma questa è solo una piccola parte del tutto.»
«Davvero?»
«Sì. Oltre ai pesci marini, ci sono coltivazioni di ortaggi ovunque. E alberi da frutta e pollame e conigli e vaste colture di microrganismi chiamate di solito “centri del lievito”, anche se il lievito rappresenta solo una percentuale minore della produzione. E i nostri rifiuti vengono per lo più utilizzati qui a Trantor, nel grande ciclo produttivo. Per molti versi, Trantor è una specie di enorme insediamento spaziale. Ne ha mai visitato uno?»
«Certo.»
«Gli insediamenti spaziali sono fondamentalmente delle città chiuse, dove tutto ha un ciclo artificiale: aerazione artificiale, fase diurna e notturna artificiale e così via. Trantor è diverso solo perché il più grande insediamento spaziale ha al massimo una popolazione di dieci milioni di abitanti, mentre la popolazione di Trantor è quattromila volte superiore. Naturalmente, noi abbiamo una gravità vera. E nessun insediamento spaziale è in grado di eguagliare i nostri microalimenti. Le colture di lieviti, funghi e alghe sono sterminate. E siamo molto abili con gli aromi naturali, che aggiungiamo senza risparmio. Ecco cosa dà il sapore a quello che sta mangiando.»
Seldon aveva finito quasi tutto il panino e, nonostante il primo boccone, non l’aveva trovato così disgustoso. «Non avrà effetti indesiderati?»
«A dire il vero, la flora intestinale ne risente e di tanto in tanto qualche straniero sfortunato viene colpito dalla diarrea, ma è raro ed è un disturbo che scompare in fretta. Comunque, beva il suo frullato che probabilmente non le piacerà. Contiene un antidiarroico che dovrebbe scongiurare il pericolo, anche se dovesse essere particolarmente sensibile a certe cose.»
Seldon disse piagnucoloso: «Non ne parli, Hummin. Uno può anche essere suggestionabile».
«Finisca il frullato e dimentichi la suggestione.»
Consumarono il pasto in silenzio e poco dopo ripresero il viaggio.
13
Stavano percorrendo di nuovo il tunnel, velocemente. Seldon decise di fare la domanda che lo tormentava ormai da un’ora.
«Perché afferma che l’impero galattico sta morendo?»
Hummin si voltò ancora a guardarlo. «Come giornalista, sono bombardato di statistiche da ogni lato, tanto che mi escono dalle orecchie. E posso divulgarne solo una minima parte. La popolazione di Trantor diminuisce. Venticinque anni fa raggiungeva quasi i quarantacinque miliardi di abitanti. In parte, questo calo è dovuto a un abbassamento dell’indice di natalità. È vero, Trantor non ha mai avuto un indice molto alto. Se si guarda intorno, non vedrà tanti bambini, considerata la sua enorme popolazione. In ogni caso, questo indice è in ribasso. Poi c’è l’emigrazione. Quelli che lasciano Trantor sono più numerosi di quelli che vengono a stabilirsi qui.»
«Considerato il numero di abitanti, non è sorprendente.»
«Ma è ugualmente insolito, perché prima non succedeva. Continuiamo: in tutta la galassia il commercio ristagna. Dato che al momento non ci sono ribellioni e la situazione è tranquilla, la gente pensa che tutto vada bene e le difficoltà degli ultimi secoli siano superate. Ma le lotte politiche, le rivolte e i fermenti sociali sono anche segni di una certa vitalità, mentre adesso c’è una stanchezza generale. La situazione è calma non perché la gente sia soddisfatta, ma perché è stanca e ha rinunciato.»
«Be’, non saprei» fece Seldon dubbioso.
«Lo so io. E il fenomeno dell’antigravità di cui abbiamo parlato è un altro esempio significativo. Abbiamo alcuni ascensori gravitazionali in funzione, ma non se ne stanno costruendo altri. È un’impresa antieconomica e pare che nessuno voglia cercare di renderla fruttuosa. Sono secoli che il ritmo del progresso tecnologico rallenta, adesso è quasi fermo. In alcuni casi si è arrestato del tutto. Non l’ha notato? In fin dei conti, lei è un matematico.»
«Non mi sono mai soffermato a riflettere sul problema, a dire il vero.»
«Già, nessuno ci pensa. Oggi gli scienziati sono molto bravi a dire che le cose sono impossibili, poco pratiche, inutili. Condannano subito qualsiasi processo speculativo. Lei, per esempio... che cosa pensa della psicostoria? Teoricamente è interessante, ma è inutile all’atto pratico. Ho ragione?»
«Sì e no» rispose Seldon seccato. «Certo, è inutile all’atto pratico, ma non perché il mio spirito d’avventura sia venuto meno, gliel’assicuro. È proprio inutile.»
«Questa almeno è la sua impressione, nell’atmosfera di decadenza in cui l’impero vive» disse Hummin con una punta di sarcasmo.
«L’atmosfera di decadenza è una sua impressione» replicò Seldon, piccato. «Potrebbe sbagliarsi, no?»
Hummin esitò un istante, ci pensò e disse: «Sì, potrei sbagliarmi. Parlo solo basandomi sull’intuizione, su delle ipotesi. Mi occorre una tecnica psicostorica che funzioni».
Seldon alzò spalle e non abboccò. «Non ho nessuna tecnica del genere da offrirle, ma supponiamo che abbia ragione, che l’impero sia veramente in declino e che l’attendano la paralisi e la disgregazione. Il genere umano continuerà comunque a esistere.»
«In che situazione, Seldon? Da circa dodicimila anni Trantor, grazie a sovrani risoluti, mantiene e tutela la pace. Ci sono state interruzioni, certo: rivolte, guerre civili locali, episodi tragici, ma complessivamente c’è stata pace in vasti settori. Perché Helicon è così favorevole all’autorità imperiale? Perché il suo è un mondo piccolo e sarebbe divorato dai vicini se non ci fosse l’impero a garantirne la sicurezza.»
«Sta predicendo che se l’impero verrà a mancare avremo guerra universale e anarchia?»
«Certo. Non mi piace l’imperatore, né le istituzioni imperiali in genere, ma non ho nulla che possa sostituire tutto questo e mantenere la pace. E non sono disposto a rinunciarvi, finché non avrò in mano qualcos’altro.»
«Parla come se fosse il padrone della galassia. Lei non è disposto a rinunciare, lei deve avere in mano qualcos’altro! Chi è, per parlare così?»
«Parlo in generale, in senso figurato. Non mi preoccupo per Chetter Hummin personalmente. L’impero vivrà più a lungo di me, probabilmente mostrerà addirittura segni di miglioramento durante la mia vita. Il declino non ha un andamento rettilineo. Può anche darsi che debbano passare mille anni prima del crollo definitivo, e allora io sarò già morto e sicuramente non avrò discendenti. Per quanto riguarda le donne, ho solo qualche relazione occasionale e passeggera, non ho figli e non intendo averne. Niente persone care che possano condizionarmi l’esistenza. Dopo la conferenza mi sono informato, Seldon. Nemmeno lei ha figli.»
«Ho i genitori e due fratelli, ma non sono padre.» Seldon abbozzò un sorriso fiacco. «Un tempo ero molto legato a una donna, ma secondo lei ero più attaccato alla matematica.»
«Era vero?»
«A me sembrava di no, ma lei la pensava diversamente e se n’è andata.»
«E da allora non ha avuto altri legami?»
«No. Il ricordo della sofferenza è ancora troppo vivo.»
«A quanto pare potremmo aspettare tranquilli che tutto si compia e lasciare che siano gli altri a soffrire in futuro. Forse un tempo l’avrei anche accettato, ora no. Perché ho uno strumento e posso intervenire.»
«Quale sarebbe questo strumento?» chiese Seldon, conoscendo già la risposta.
«Lei!»
Sapendo cosa avrebbe detto Hummin, Seldon non perse tempo a mostrarsi sorpreso o sconvolto. Si limitò a scuotere la testa. «Si sbaglia. Non sono uno strumento utilizzabile.»
«Perché?»
Seldon sospirò. «Quante volte devo ripeterlo? La psicostoria non è una scienza pratica. Presenta difficoltà di base enormi. Nemmeno disponendo di tutto il tempo e lo spazio dell’universo si riuscirebbe a risolverne i problemi essenziali.»
«Ne è sicuro?»
«Purtroppo, sì.»
«Nessuno le chiede di calcolare il futuro dell’impero galattico nel suo complesso. Non deve tracciare dettagliatamente le azioni di ogni essere umano o di ogni mondo. Deve solo rispondere ad alcune domande: l’impero galattico crollerà e se sì, quando? Quali saranno le condizioni dell’umanità in seguito? Si può fare qualcosa per impedire il crollo o per migliorare la situazione più avanti? Sono domande relativamente semplici, mi pare.»
Seldon scosse il capo e sorrise mesto. «La storia della matematica è piena di domande semplici che hanno solo risposte complicatissime o nessuna.»
«Non si può fare nulla? So che l’impero sta crollando ma non posso dimostrarlo. Le mie conclusioni sono soggettive e non posso mostrare con certezza assoluta che ho ragione. Dato che si tratta di un’idea sconvolgente, è ovvio che la gente preferirà non credere alle mie conclusioni soggettive e non si farà nulla per impedire la caduta o per cercare di attutirla e renderla meno rovinosa. Lei, invece, potrebbe dimostrare che la caduta è imminente o confutarla.»
«Ma è proprio quello che non posso fare: trovare delle prove se non ce ne sono, applicare un sistema matematico inapplicabile. Non posso trovare due numeri pari che diano come somma un numero dispari... per quanto lei o tutta la galassia possiate averne bisogno.»
«Be’, allora fa parte della decadenza. È disposto ad accettare il fallimento.»
«Che scelta ho?»
«Tentare. Forse le sembrerà uno sforzo inutile, ma nella vita non ha di meglio da fare. Non esistono mete più degne, scopi più nobili, nemmeno a suo giudizio.»
Seldon sbatté le palpebre. «Milioni di mondi. Miliardi di culture e di persone. Trilioni di interrelazioni... E lei vuole che ordini sistematicamente tutto questo.»
«No, voglio che tenti. Per il bene di quei milioni di mondi, di quei miliardi di culture e di persone. Non per l’imperatore, non per Demerzel. Per l’umanità.»
«Fallirò.»
«In tal caso le cose resteranno come sono, non peggioreranno certo. Ci proverà?»
E contro la propria volontà, senza sapere perché, Seldon si scoprì a rispondere: «Proverò». E il corso della sua vita fu segnato.
14
Il viaggio terminò e l’aerotaxi si immise in un’area molto più ampia rispetto a quella in cui si erano fermati a mangiare. (Seldon ricordava ancora il sapore del panino e fece una smorfia.)
Hummin consegnò il taxi e tornò, mettendo la tessera di credito in un taschino interno della camicia. «Qui sarà al sicuro da qualsiasi azione palese. Siamo nel settore di Streeling.»
«Cosa vuol dire?»
«È il nome di chi aprì per primo quest’area all’insediamento, credo. La maggior parte dei settori prendono il nome da qualcuno, il che significa che molti sono nomi assurdi e altri difficili da pronunciare. Comunque, se cercasse di costringere gli abitanti a cambiare il nome di Streeling in “Dolceprofumo” o qualcosa del genere, scatenerebbe una rivolta.»
«Certo che questo non è esattamente un “dolce profumo”» disse Seldon aspirando col naso.
«In pratica è così su tutto Trantor, ma ci si abituerà.»
«Sono contento che siamo qui. Non che il posto mi piaccia, ma ero stanco di star seduto in taxi. Spostarsi su Trantor dev’essere orribile. Su Helicon possiamo andare da un posto all’altro con l’aereo, e in molto meno tempo di quello che abbiamo impiegato noi a percorrere duemila chilometri scarsi.»
«Abbiamo gli aviogetto anche qui.»
«Ma allora perché...?»
«Il viaggio in aerotaxi ho potuto organizzarlo conservando più o meno l’anonimato. Con un aviogetto sarebbe stato molto più difficile. E anche se questo posto è sicuro, preferisco che Demerzel non sappia di preciso dov’è. Del resto non abbiamo ancora finito, prenderemo l’Espressovia per l’ultimo tratto.»
Seldon conosceva il termine. «Una di quelle monorotaie aperte che si muovono su un campo elettromagnetico?»
«Sì.»
«Non le abbiamo, su Helicon. Non ne abbiamo bisogno. Ho preso un’Espressovia il mio primo giorno su Trantor, mi ha portato dall’aeroporto all’albergo. È stata una novità per me, ma se dovessi usarla sempre, credo che il rumore e la ressa diventerebbero insopportabili.»
Hummin sembrava divertito. «Si è perso?»
«No, c’erano le indicazioni necessarie. Il problema era salire e scendere, ma mi hanno aiutato. Ora mi rendo conto che tutti capivano che ero uno straniero dai miei vestiti. Comunque sembravano ansiosi di aiutarmi, senza dubbio perché doveva essere divertente guardarmi mentre esitavo e incespicavo.»
«Adesso che è un esperto di viaggi in Espressovia, non esiterà né incespicherà più» disse Hummin in tono abbastanza cordiale, anche se aveva piegato leggermente gli angoli della bocca. «Su, andiamo.»
Si incamminarono senza fretta lungo il passaggio, che era illuminato in maniera tale da dare l’impressione di una giornata di cielo coperto e che di tanto in tanto si rischiarava come se il sole avesse fatto capolino tra le nubi. Istintivamente Seldon alzò lo sguardo per vedere se fosse davvero così, ma lassù il “cielo” era di una luminosità diffusa.
Hummin notò il suo gesto. «Pare che questo cambiamento di luminosità si addica alla psiche umana. In certi giorni la strada sembra in pieno sole, mentre altre volte c’è più buio di adesso.»
«Ma niente pioggia o neve?»
«No, e neppure grandine o nevischio. Né forte umidità, né freddo intenso. Trantor ha i suoi vantaggi, Seldon, perfino adesso.»
C’erano persone che camminavano in entrambe le direzioni, parecchi giovani e insieme agli adulti alcuni bambini, nonostante quel che aveva detto Hummin sull’indice di natalità. Tutti avevano un’aria rispettabile e prospera. I due sessi erano rappresentati in pari percentuale e gli abiti erano nettamente più sobri rispetto al settore imperiale. L’abbigliamento di Seldon, scelto da Hummin, era perfetto: pochissimi portavano il cappello e per il matematico fu un vero sollievo togliersi il proprio e tenerlo lungo un fianco.
Non c’erano abissi ai due lati del passaggio: lì, come aveva predetto Hummin nel settore imperiale, si camminava apparentemente a livello del suolo. Non c’erano nemmeno veicoli e Seldon lo fece notare al compagno.
«Nel settore imperiale ce ne sono parecchi» disse Hummin «perché vengono usati dai funzionari. Negli altri settori i veicoli privati sono rari e hanno tunnel riservati. In realtà non sono indispensabili, dato che abbiamo l’Espressovia e i corridoi mobili per le distanze più brevi. Per gli spostamenti ancora più brevi abbiamo i passaggi e possiamo usare le gambe.»
Ogni tanto si sentivano dei sibili e cigolii attutiti, e a un certo punto Seldon vide, non molto lontano, lo scorrere interminabile delle vetture dell’Espressovia.
«Ecco, ci siamo» disse indicando con un gesto.
«Lo so, ma raggiungiamo una stazione di imbarco. Ci sono più vetture ed è più facile salire.»
Una volta sistematisi tranquillamente a bordo di una vettura, Seldon si rivolse a Hummin. «Quel che mi sorprende è il silenzio delle Espressovie. D’accordo, sono spinte da un campo elettromagnetico, ma mi sembrano ugualmente molto silenziose» commentò, ascoltando i rari cigolii metallici della carrozza che si muoveva tra quelle vicine.
«Sì, è una rete meravigliosa, ma non la vede nel periodo di massimo splendore. Quand’ero giovane era ancora più silenziosa e alcuni dicono che cinquant’anni fa non si sentiva il minimo rumore... anche se dobbiamo tener conto dell’idealizzazione dei ricordi nostalgici.»
«Perché non è più così, adesso?»
«Perché la manutenzione lascia a desiderare. Le ho parlato della fase di decadenza, no?»
Seldon corrugò la fronte. «Non credo che la gente se ne stia seduta a guardare e dica: “Siamo in declino, lasciamo che l’Espressovia si sfasci”.»
«Non è una cosa intenzionale. Le vetture vecchie vengono rinnovate, i magneti vengono sostituiti, dove è necessario si mette una toppa. Ma lo si fa in modo affrettato, senza molta attenzione, e lasciando trascorrere periodi più lunghi. I crediti non bastano.»
«Dove sono finiti?»
«In altre cose. Abbiamo avuto secoli di fermenti e disordini. La flotta è molto più grande e costosa rispetto a un tempo. Le forze armate sono pagate molto meglio, perché stiano tranquille. Le rivolte, i tumulti, i conflitti civili minori, hanno tutti il loro prezzo.»
«Ma con Cleon è tornata la calma. E la pace dura da cinquant’anni.»
«Sì, ma dei soldati ben pagati si irriterebbero se la paga venisse ridotta solo perché c’è la pace. Gli ammiragli si opporrebbero se le astronavi venissero disarmate e il loro grado diminuisse solo perché le esigenze militari sono minori. Così i crediti continuano ad andare, improduttivamente, alle forze armate, mentre aree vitali dell’apparato sociale vengono abbandonate al deterioramento. Ecco cos’è per me la decadenza. E lei che ne dice? Non pensa di inserire prima o poi questi parametri nella teoria psicostorica?»
Seldon si mosse a disagio, poi chiese: «Ma dove stiamo andando?».
«All’Università di Streeling.»
«Ah, ecco perché il nome del settore mi sembrava familiare. Ho sentito parlare dell’università.»
«Non mi sorprende. Trantor ha circa centomila istituti universitari, e tra i mille più importanti c’è appunto Streeling.»
«Starò là?»
«Per un po’. I campus universitari sono rifugi inviolabili, tutto sommato. Là sarà al sicuro.»
«Ma sarò bene accetto?»
«Perché no? Oggi è difficile trovare un buon matematico. Forse troveranno il modo di utilizzarla e forse anche lei potrà farsi aiutare, così non sarà un semplice nascondiglio.»
«Cioè, sarà un posto dove potrò sviluppare le mie teorie.»
«Me l’ha promesso» gli ricordò Hummin serio.
«Le ho promesso di provarci» disse Seldon. Era come promettere di cercare di costruire una fune con la sabbia, pensò.
15
Dopo di che la conversazione languì e Seldon osservò le strutture del settore di Streeling che scorrevano lateralmente. Alcune erano piuttosto basse, altre sembravano sfiorare il “cielo”. Ampi passaggi trasversali interrompevano la progressione e si vedevano numerosi vicoli.
A un certo punto Seldon fu colpito da un pensiero: oltre a stagliarsi verso l’alto, gli edifici scendevano anche in profondità e forse erano più profondi che alti. Sì, doveva essere proprio così.
Ogni tanto si intravedevano macchie di verde sullo sfondo, lontano dall’Espressovia, e persino piccoli alberi.
Seldon osservò a lungo il paesaggio, poi si accorse che la luce si affievoliva. Si guardò intorno a occhi socchiusi e fissò Hummin, che indovinò la domanda.
«Il pomeriggio sta finendo» spiegò. «Scende la notte.»
Seldon inarcò le sopracciglia piegando gli angoli della bocca. «Impressionante. Mi pare di vedere l’intero pianeta che si oscura, per illuminarsi di nuovo dopo qualche ora.»
Hummin fece il solito sorrisetto controllato. «Non è proprio così, Seldon. Il pianeta non viene mai “spento” completamente, né “acceso”. L’ombra del crepuscolo scivola gradatamente, seguita dopo mezza giornata dal lento chiarore dell’alba. Il cambio di luminosità segue quasi alla perfezione il ciclo reale giorno-notte che c’è sopra le cupole, e alle quote maggiori la durata del giorno e della notte varia in base alle stagioni.»
Seldon scosse il capo. «Perché ingabbiare il pianeta per poi imitare i fenomeni che avvengono all’aperto?»
«Perché la gente preferisce così, immagino. Ai trantoriani piacciono i vantaggi di un ambiente chiuso, ma se possibile preferiscono dimenticare di trovarsi sottoterra. Conosce pochissimo la psicologia trantoriana, Seldon.»
Il matematico arrossì leggermente. Era solo un heliconiano e la sua ignoranza non si limitava a Trantor, perché sapeva molto poco di milioni di altri mondi. Come poteva sperare di trovare un’applicazione pratica della psicostoria?
Anche disponendo di un numero illimitato di collaboratori sarebbe stata un’impresa impossibile.
Gli venne in mente un quesito propostogli in gioventù: esiste un pezzo di platino relativamente piccolo, dotato di maniglie, che non possa essere sollevato con la sola forza muscolare da un numero illimitato di persone?
La risposta era sì. Un metro cubo di platino pesava 22.420 chilogrammi in condizioni di gravità standard. Supponendo che ogni persona fosse in grado di alzare da terra 120 chilogrammi, per sollevare il platino sarebbero bastate 188 persone. Ma era impossibile pigiare 188 persone intorno al metro cubo di platino, in modo tale che tutte potessero disporre di un appiglio. Al massimo si poteva impiegare una decina di persone. E non era possibile ricorrere a leve o ad altri congegni del genere. Bisognava usare solo la “forza muscolare”.
Allo stesso modo, forse era impossibile raccogliere un numero di persone sufficiente a occuparsi della mole di conoscenze necessarie per la psicostoria, anche se le informazioni fossero state immagazzinate in memorie di computer e non in cervelli umani. Come nel caso del platino, il numero illimitato di persone teoricamente impiegabili presentava dei limiti pratici.
«Sembra assorto, Seldon.»
«Sto meditando sulla mia ignoranza.»
«Una cosa utile, milioni di persone dovrebbero farlo. Ma è ora di scendere.»
Seldon sollevò lo sguardo. «Come fa a saperlo?»
«Adotto il suo stesso metodo, la prima volta che ha viaggiato in Espressovia su Trantor. Seguo le indicazioni.»
Seldon riuscì a leggerne una: UNIVERSITÀ DI STREELING — 3 MINUTI.
«Scendiamo alla prossima stazione. Attento a dove mette i piedi.»
Seldon seguì Hummin e smontò, notando che adesso il cielo era color porpora scuro e che passaggi, corridoi e edifici si illuminavano, sprigionando un bagliore giallo.
Sembrava una sera heliconiana. Se lo avessero portato lì bendato e poi avessero tolto la benda, Seldon avrebbe avuto l’impressione di trovarsi nella zona centrale, particolarmente densa di bei fabbricati, di una delle maggiori città di Helicon.
«Secondo lei, Hummin, per quanto tempo rimarrò all’Università di Streeling?»
Calmo e tranquillo come sempre, Hummin rispose: «Difficile dirlo, Seldon. Forse per tutta la vita».
«Cosa?»
«Può darsi di no, ma da quando ha presentato la relazione sulla psicostoria la sua vita non le appartiene più. L’imperatore e Demerzel hanno capito subito la sua importanza e io con loro. Anche molti altri, direi. Quindi, non potrà più disporne da solo.»