VENABILI, DORS ... Studiosa di storia nata su Cinna... Probabilmente la sua vita sarebbe continuata senza eventi di rilievo se, dopo aver trascorso due anni nel corpo docente dell’Università di Streeling, Dors Venabili non avesse incontrato il giovane Hari Seldon durante la Fuga...
ENCICLOPEDIA GALATTICA
16
La stanza in cui Hari Seldon si trovava era più spaziosa di quella di Hummin nel settore imperiale. Era una camera da letto con un angolo che fungeva da bagno e non c’era traccia di attrezzature da cucina. Non c’erano nemmeno finestre: sul soffitto, dietro una griglia, un ventilatore produceva un sibilo continuo.
Seldon si guardò intorno, l’espressione un po’ mesta.
Hummin interpretò il suo sguardo con la solita sicurezza. «È solo per stanotte, Seldon. Domattina verrà qualcuno e la sistemerà presso l’università, dove starà più comodo.»
«Scusi, Hummin, ma come fa a saperlo?»
«Organizzerò tutto io. Conosco un paio di persone qui» Hummin abbozzò un sorrisetto freddo «che mi devono dei favori. Ora esaminiamo qualche particolare.» Fissò Seldon e proseguì: «Quello che è rimasto nella sua stanza d’albergo non si può recuperare. C’era qualcosa di insostituibile?».
«No, non proprio. Qualche oggetto personale che aveva più che altro un valore affettivo. Se devo rinunciarci, pazienza. Naturalmente c’erano degli appunti sui miei studi, dei calcoli. La relazione stessa.»
«Che è di dominio pubblico finché non verrà tolta dalla circolazione per la sua pericolosità. Cosa che avverrà, probabilmente. Sono sicuro di potermene procurare una copia. Ma in ogni caso è in grado di ricostruirla, vero?»
«Certo, infatti ho detto che non c’era nulla di insostituibile. Inoltre ho perso circa mille crediti, dei libri, vestiti e i miei biglietti di ritorno per Helicon. Cose del genere.»
«Tutte rimpiazzabili. Le farò avere una tessera di credito addebitata a me per le spese giornaliere.»
«Molto generoso da parte sua, ma non posso accettare.»
«Non è affatto generoso, dato che spero di salvare l’impero in questo modo. Deve accettare.»
«Ma quanto può permettersi di spendere, Hummin? Nel migliore dei casi, usando quella tessera non mi sentirò la coscienza tranquilla.»
«Posso permettermi tutte le spese necessarie a garantire la sua sopravvivenza a un livello ragionevole di benessere, Seldon. Certo, non deve cercare di comprare la palestra dell’università, né sperperare un milione di crediti in un eccesso di prodigalità.»
«Non si preoccupi, ma con il mio nome registrato...»
«Nessun problema. Il governo imperiale non può esercitare alcun controllo di sicurezza sull’università e i suoi membri. C’è la massima libertà. Qui si può discutere di tutto, si può dire tutto.»
«E i reati?»
«Se ne occupano le autorità universitarie, in modo ragionevole e accurato. In pratica la criminalità non esiste, qui. Gli studenti e il corpo docente apprezzano la loro libertà e sanno che ci sono delle regole da rispettare. Troppa turbolenza, un inizio di disordini e di spargimento di sangue, e il governo potrebbe sentirsi in diritto di rompere il tacito accordo e di inviare le truppe. Nessuno vuole che succeda, neanche il governo stesso, quindi si cerca di mantenere un delicato equilibrio. In altre parole, Demerzel non può prelevarla dall’università a meno di non avere un motivo molto più valido di quelli forniti al governo dai membri dell’istituto in almeno un secolo e mezzo. D’altra parte, se uno studente-agente l’attirasse fuori zona...»
«Ci sono studenti-agenti?»
«Chissà, può darsi. Un individuo può essere minacciato, manovrato o semplicemente “comprato” per restare al servizio di Demerzel o di qualcun altro. Quindi mi preme sottolineare questo: qui lei è ragionevolmente al sicuro, ma nessuno è completamente al sicuro. Dovrà essere prudente, il che non significa che debba vivere nella paura: tutto sommato, qui sarà più al sicuro che su Helicon o qualsiasi altro mondo della galassia.»
«Lo spero» fece Seldon, l’espressione cupa.
«È così, lo so» replicò Hummin. «O non sarei tanto imprudente da lasciarla.»
«Lasciarmi?» Seldon sollevò lo sguardo di scatto. «Non può farlo. Lei conosce questo mondo, io no.»
«Sarà con altre persone che conoscono questo mondo e il settore meglio di me. Io devo proprio andare. Siamo assieme da parecchie ore e a questo punto mi conviene riprendere la mia esistenza abituale. Non devo attirare troppo l’attenzione su di me: ricordi, lei non è l’unico a rischiare.»
Seldon arrossì. «Ha ragione, non posso pretendere che continui a esporsi per me. Spero che non si sia già compromesso.»
Hummin disse calmo: «Chi può dirlo? Viviamo in tempi pericolosi. Ma, ricordi, se c’è qualcuno in grado di aggiustare le cose per coloro che verranno dopo, se non per la nostra generazione, quello è lei, Seldon. Un pensiero che le servirà da stimolo e guida».
17
Seldon non riuscì a dormire. Si agitò e rigirò al buio, continuando a rimuginare. Dopo che Hummin l’aveva salutato con un cenno e se n’era andato, stringendogli brevemente la mano, lui si era sentito solo e indifeso come non mai. Si trovava su un mondo straniero, in una parte sconosciuta di quel mondo. Era senza l’unica persona che potesse considerare amica (un’amicizia che durava da nemmeno un giorno) e non aveva idea di dove sarebbe andato o di cosa avrebbe fatto, né l’indomani né in futuro.
Erano considerazioni che non conciliavano il sonno e, quando Seldon si rese conto, rassegnato, che quella notte non avrebbe chiuso occhio (solo quella notte?), ecco che la stanchezza ebbe il sopravvento.
Quando si svegliò era ancora buio, anche se non completamente. All’estremità opposta della stanza scorse una luce rossa che lampeggiava rapida, accompagnata da un ronzio intermittente. Indubbiamente, era stato quel ronzio a svegliarlo.
Mentre cercava di ricordare dove fosse e di decifrare i messaggi limitati che i suoi sensi captavano, il lampeggiamento e il ronzio cessarono e Seldon sentì un battito deciso.
Probabilmente bussavano alla porta, ma lui non ricordava dove fosse. Probabilmente c’era un contatto che avrebbe inondato la stanza di luce, eppure non sapeva dove si trovasse.
Si drizzò a sedere e tastò la parete a sinistra, gridando: «Un attimo, per favore».
Trovò il contatto e nella stanza si diffuse una luce tenue.
Scese dal letto sbattendo le palpebre e continuò a cercare la porta. La individuò, fece per aprirla, ma all’ultimo istante ricordò che doveva essere prudente. Con tono severo e perentorio chiese: «Chi è?».
Una voce femminile rispose con garbo: «Sono Dors Venabili e vorrei vedere il dottor Seldon».
Mentre risuonavano quelle parole, una donna apparve davanti alla porta senza che fosse stata aperta.
Per un attimo Seldon la fissò sorpreso, poi si rese conto di avere addosso solo un monopezzo intimo. Con un gemito strozzato si precipitò verso il letto e finalmente capì che si trattava di un ologramma. L’immagine non possedeva i contorni netti della realtà e la donna non guardava Seldon: si limitava a mostrarsi per essere identificata.
Seldon si fermò ansimando, poi alzò la voce per farsi sentire all’esterno e disse: «Se vuole aspettare, tra poco sarò da lei. Mi dia una mezz’oretta».
La donna o l’ologramma rispose: «Aspetterò» e scomparve.
Non c’era doccia, così Seldon si lavò con una spugna, bagnando tutto il pavimento nell’angolo-bagno. C’era il dentifricio ma niente spazzolino e Seldon dovette usare un dito. Aveva solo gli abiti indossati il giorno prima, quindi non gli restò che mettere quelli. Finalmente aprì la porta.
In quel momento rifletté che la donna non si era davvero fatta riconoscere. Gli aveva solamente fornito un nome e Hummin non aveva detto chi sarebbe andato da lui, se dovesse aspettare una certa Dors Taldeitali oppure qualcun altro. Seldon si era sentito sicuro perché aveva visto l’ologramma di una giovane di bell’aspetto, ma, per quanto ne sapeva, insieme a lei avrebbe potuto esserci uno stuolo di giovanotti ostili.
Sbirciò fuori circospetto, vide che la donna era sola, aprì uno spiraglio sufficiente a farla entrare e richiuse subito.
«Scusi. Che ore sono?»
«Le nove. La giornata è iniziata da un pezzo.»
Come ora ufficiale Trantor adottava l’ora galattica standard, dal momento che era l’unico modo per evitare complicazioni enormi nel commercio interstellare e negli affari governativi. Tuttavia ogni mondo aveva anche un sistema orario locale e Seldon, essendo nuovo del posto, non si sentiva a proprio agio quando un trantoriano accennava all’ora senza specificare.
«Metà mattina?»
«Certo.»
«Non ci sono finestre in questa stanza» disse Seldon in atteggiamento difensivo.
Dors si accostò al letto, allungò una mano e toccò un punto scuro sulla parete. Sul soffitto, sopra il cuscino, apparvero dei numeri rossi: 09.03.
La donna sorrise senza la minima aria di superiorità. «Mi spiace, pensavo che Chetter Hummin le avesse detto che sarei venuta alle nove. Il guaio è che uno talmente abituato a sapere tutto a volte dimentica che gli altri non sono onniscienti. E non avrei dovuto usare l’identificazione radio-olografica. Su Helicon non l’avete, immagino, temo di averla spaventata.»
Seldon si rilassò. La donna sembrava un tipo spontaneo e cordiale, e quel breve accenno a Hummin lo rassicurò. «Si sbaglia a proposito di Helicon, signorina.»
«La prego, mi chiami Dors.»
«D’accordo, Dors. Si sbaglia su Helicon. Abbiamo la radio-olografia, ma io non mi sono mai potuto permettere l’acquisto di un’apparecchiatura del genere. Né io, né quelli che conosco, quindi è stata un’esperienza nuova. Ma ho capito quasi subito di che si trattava.»
Seldon la studiò. Non era molto alta, statura media per una donna. Aveva capelli color rosso-oro, non particolarmente lucenti, acconciati intorno alla testa in modo da formare tanti riccioli corti. (Seldon aveva visto parecchie trantoriane con un’acconciatura identica. Evidentemente era una moda locale che su Helicon avrebbe fatto ridere.) Non era bellissima ma aveva un aspetto decisamente piacevole, grazie anche alle labbra carnose dalla piega allegra. Era snella, ben fatta e sembrava molto giovane. Troppo giovane, forse, per essergli utile, rifletté turbato Seldon.
«Ho superato l’esame?» chiese Dors. Sembrava in grado di indovinare i suoi pensieri come Hummin, si disse Seldon. O forse era lui incapace di nasconderli.
«Scusi se l’ho fissata, ma stavo solo cercando di farmi un’idea. Sono in un posto che non conosco. Non conosco nessuno e non ho amici.»
«La prego, dottor Seldon, mi consideri un’amica. Il signor Hummin mi ha chiesto di occuparmi di lei.»
Seldon sorrise mesto. «Forse è un po’ troppo giovane per questo compito.»
«Vedrà che non lo sono.»
«Be’, cercherò di importunarla il meno possibile. Potrebbe ripetermi il suo nome?»
«Dors Venabili» disse lei sillabando il cognome e accentando la seconda sillaba. «Ma, la prego, mi chiami Dors e se non ha nulla in contrario io la chiamerò Hari. Qui all’università non siamo molto formali e cerchiamo di evitare qualsiasi titolo, professionale e non.»
«D’accordo, mi chiami pure Hari.»
«Bene, niente cerimonie, allora. Per esempio, l’attitudine alle formalità, ammesso che esista, mi suggerirebbe di chiedere il permesso prima di sedermi. Invece, dal momento che abbiamo accantonato le cerimonie, mi siederò e basta.» E Dors si accomodò sull’unica sedia della stanza.
Seldon si schiarì la voce. «È evidente che non sono in possesso delle mie normali facoltà. Avrei dovuto farti accomodare io.» Si sedette sul bordo del letto, rimpiangendo di non averlo sistemato e lisciato un po’, ma era stato colto alla sprovvista.
«Ora ti spiego cosa faremo, Hari. Innanzitutto, andremo a fare colazione in uno dei ristoranti dell’università. Poi ti procurerò una stanza in una residenza, una stanza migliore di questa. Avrai una finestra. Hummin mi ha detto di procurarti una tessera di credito a suo nome, ma avrò bisogno di un paio di giorni per ottenerne una dall’apparato burocratico universitario. Fino a quel momento, provvederò io alle tue spese. Mi rimborserai dopo, e intanto c’è del lavoro per te: Chetter Hummin mi ha detto che sei un matematico e per chissà quale motivo all’università i bravi matematici scarseggiano.»
«Hummin ti ha detto che sono un bravo matematico?»
«Sì. Ha detto che sei un tipo eccezionale.»
«Be’...» Seldon si guardò le unghie. «Mi piacerebbe essere considerato tale, ma Hummin mi conosce sì e no da un giorno e anche se ha ascoltato una mia relazione non ha i mezzi per giudicarla. Secondo me, l’ha detto solo per cortesia.»
«Non credo. Hummin stesso è una persona eccezionale e ha parecchia esperienza in fatto di gente. Mi baserò sul suo giudizio. Comunque, avrai modo di dimostrare quel che vali. Immagino che tu sappia programmare i computer.»
«Naturalmente.»
«Parlo di computer didattici, ovvio, e voglio sapere se sei in grado di preparare dei programmi per insegnare varie fasi della matematica contemporanea.»
«Sì, fa parte della mia professione. Sono assistente di Matematica all’Università di Helicon.»
«Certo, Hummin me l’ha detto. Naturalmente, questo significa che tutti sapranno che non sei trantoriano, ma nessun problema. Qui all’università la maggior parte è trantoriana, anche se c’è una minoranza abbastanza numerosa di stranieri provenienti dai mondi più disparati, ed è un fatto accettato. Non dico che non sentirai mai qualche frase pesante e offensiva, ma è più probabile che siano gli stranieri a rivolgertela, non i trantoriani. A proposito, pure io sono straniera.»
«Oh!» Seldon esitò, poi decise che l’educazione gli imponeva di chiederglielo. «Di dove sei?»
«Di Cinna. Mai sentito nominare?»
Se fosse stato così cortese da mentire, avrebbe finito col tradirsi, pensò Seldon, quindi rispose: «No».
«Non mi sorprende. Probabilmente è un mondo ancora meno importante di Helicon. Comunque, tornando alla programmazione dei computer didattici, immagino si possa programmarli con competenza o in modo scadente.»
«Certo.»
«E tu farai una programmazione come si deve.»
«Me lo auguro.»
«Benissimo, allora. Lavorerai e l’università ti pagherà. E adesso andiamo a mangiare. A proposito, hai dormito bene?»
«Malgrado tutto, sì.»
«E hai fame?»
«Sì, ma...» Seldon esitò.
Dors disse allegra: «Ti preoccupa la qualità del cibo, vero? Be’, non darti pensiero. Visto che anch’io sono straniera, posso capire cosa pensi delle dosi massicce di microalimenti che mettono in tutto, ma i menu dell’università non sono malvagi. Almeno, alla mensa del corpo docente. Gli studenti soffrono un po’, ma serve a temprarli».
Si alzò e si avviò alla porta, ma si fermò quando Seldon non poté fare a meno di chiedere: «Fai parte del corpo docente?».
Dors si girò e gli rivolse un sorriso birichino. «Non ti sembro abbastanza vecchia? Mi sono laureata due anni fa su Cinna, e da allora sono qui. Tra due settimane compirò trent’anni.»
«Scusa» disse Seldon sorridendo a sua volta. «Ma dimostrandone ventiquattro non puoi pretendere di non far sorgere dei dubbi sulla tua posizione accademica.»
«Oh, gentile e simpatico» fece Dors. Seldon fu pervaso da una certa sensazione di piacere. “Dopotutto” pensò “chi scambia battute civili con una donna attraente, non può sentirsi un perfetto estraneo.”
18
Dors aveva ragione, la colazione non fu affatto malvagia. C’era qualcosa che aveva un gusto inconfondibile di uovo e il sapore affumicato della carne era piacevole. La bibita al cioccolato (su Trantor si usava molto il cioccolato, e a Seldon non dispiaceva) probabilmente era sintetica, ma era buona come i panini.
Seldon si sentì in dovere di dirlo. «È stata una colazione gradevolissima. Cibo, ambiente, tutto quanto.»
«Mi fa piacere» disse Dors.
Seldon si guardò intorno. Su una parete si susseguiva una serie di finestre e, anche se la luce del sole, quella vera, non entrava (chissà se avrebbe imparato ad accontentarsi di quella luce diurna diffusa smettendo di cercare chiazze di sole in una stanza?), la sala era abbastanza luminosa. Anzi, molto luminosa, perché evidentemente il computer meteorologico aveva deciso che quella giornata doveva essere limpida e serena.
I tavoli erano apparecchiati per quattro e per lo più erano pieni, ma Dors e Seldon sedevano da soli. Dors aveva salutato alcune persone e aveva fatto le presentazioni. Tutti erano stati cortesi, ma nessuno si era unito a loro due. Indubbiamente Dors intendeva restare sola con lui e Seldon non capiva come ci fosse riuscita.
«Non mi hai presentato nessun matematico, Dors.»
«Non ne ho visto nemmeno uno. La maggior parte dei matematici inizia presto la giornata ed è già in aula per le lezioni alle otto. Secondo me, gli studenti che sono così temerari da scegliere la tua materia vogliono finire il corso il più presto possibile.»
«Mi pare di capire che tu non sia una matematica.»
«Oh, no, tutto tranne i numeri» rise Dors. «Il mio campo è la storia. Ho già pubblicato alcuni studi sulle origini di Trantor: il regno primitivo, non il mondo attuale. Immagino che finirò con lo specializzarmi in questo settore, il periodo reale di Trantor.»
«Fantastico.»
«Davvero?» Dors fissò Seldon perplessa. «Interessa anche a te il periodo reale?»
«In un certo senso, sì. Quel periodo e altre cose del genere. Non ho mai studiato seriamente la storia, mentre avrei dovuto farlo.»
«Credi? Se l’avessi studiata non avresti avuto il tempo di dedicarti alla matematica, e i matematici sono molto richiesti, soprattutto in questa università. Siamo pieni fino a qui di storici» disse Dors portando la mano alla fronte «e di economisti e politologi, ma gli scienziati duri e puri scarseggiano. Chetter Hummin me l’ha fatto notare, una volta. L’ha chiamato il declino della scienza, che secondo lui era un fenomeno generale.»
«Dicendo che avrei dovuto studiare storia non intendo dire che mi si sarei dovuto dedicare a tempo pieno. Solo studiarla quel tanto che basta perché mi aiutasse nel mio campo; sono specializzato in analisi matematica della struttura sociale.»
«Orribile, si direbbe.»
«In un certo senso, sì. È molto complicata e se non avrò molti più dati sull’evoluzione delle società non approderò a nulla. Capisci, il mio quadro è troppo statico.»
«Non capisco perché non ne so nulla. Stando a Chetter, staresti sviluppando una cosa chiamata psicostoria, una branca importante. Ho afferrato bene? Psicostoria?»
«Esatto. Avrei dovuto chiamarla “psicosociologia”, ma mi sembrava un termine bruttissimo. O forse sapevo istintivamente che le conoscenze storiche sono indispensabili e non ci ho pensato due volte.»
«“Psicostoria” suona meglio, sì, ma non so cosa sia.»
«Io stesso lo so a malapena.» Seldon rifletté per qualche minuto, guardando la donna sul lato opposto del tavolo. Forse grazie a lei il suo esilio sarebbe stato meno penoso. Pensò all’altra donna che aveva conosciuto alcuni anni addietro, ma escluse quel ricordo con decisione. Se un giorno avesse trovato un’altra compagna, avrebbe dovuto trattarsi di una donna in grado di capire cosa volesse dire “sapere scientifico” e quanto fosse impegnativa la vita di uno studioso.
Per pensare ad altro, disse: «Chetter Hummin mi ha detto che l’università viene sempre lasciata in pace dal governo».
«È vero.»
Seldon scosse il capo. «Mi sembra fin troppo indulgente, da parte del governo imperiale. Su Helicon le istituzioni didattiche non sono affatto così indipendenti dalle pressioni governative.»
«Nemmeno su Cinna, né su qualsiasi altro mondo, a parte forse un paio dei più grandi. Trantor è un altro discorso.»
«Perché?»
«Perché è il centro dell’impero. Qui le università godono di un prestigio enorme. Tutte le università della galassia sfornano professionisti ma gli amministratori dell’impero, gli alti funzionari, i milioni di persone che incarnano i tentacoli amministrativi protesi in ogni angolo dello spazio, vengono educati su Trantor.»
«Non ho mai visto le statistiche...» cominciò Seldon.
«Fidati di quel che dico. È importante che i funzionari dell’impero abbiano una base comune, un atteggiamento particolare. E non possono essere tutti trantoriani, altrimenti gli altri mondi si agiterebbero. Per questo motivo Trantor attira milioni di stranieri che completino qui la loro formazione. Non importano il luogo d’origine, l’accento o la cultura indigena, basta che assorbano la patina trantoriana e si identifichino col retroterra educativo della capitale. Ecco cosa tiene insieme l’impero: quando un numero considerevole degli amministratori che rappresentano il governo centrale sono persone del posto, nate e cresciute sui rispettivi pianeti, questi ultimi sono meno recalcitranti e inquieti.»
Seldon provò un nuovo imbarazzo. Non aveva mai pensato a un fatto del genere e si chiese se fosse possibile essere davvero un grande matematico conoscendo solo la propria disciplina. «E questa è una cosa che tutti sanno?»
«No, non credo» rispose Dors dopo aver riflettuto qualche istante. «Lo scibile è talmente vasto che gli specialisti si aggrappano alle loro specialità come a uno scudo, per non dover conoscere nulla degli altri campi ed evitare di essere sommersi.»
«Eppure tu la sai.»
«Ma è la mia materia. Sono una storica che studia il periodo reale di Trantor e questa tecnica amministrativa è stata uno dei sistemi grazie ai quali il pianeta ha esteso la sua influenza e ha compiuto la transizione dal periodo monarchico a quello imperiale.»
Rivolto quasi a se stesso, Seldon commentò: «Com’è dannosa la specializzazione eccessiva. Recide la conoscenza in mille punti e lascia aperte le ferite».
Dors fece spallucce. «Che vuoi farci? Comunque, per attirare gli stranieri nelle proprie università Trantor deve dare loro qualcosa in cambio, visto che li strappa dai mondi originari e li porta in una realtà che non conoscono, con una struttura incredibilmente artificiale e consuetudini strane. Io sono qui da due anni e devo ancora abituarmi, forse non ci riuscirò mai. Del resto, non intendo dedicarmi all’amministrazione e quindi non mi sforzo di diventare trantoriana.
«In cambio Trantor non offre solo la prospettiva di una posizione importante, con un potere notevole e parecchio denaro. Offre anche la libertà. Mentre completano la loro istruzione, gli studenti sono liberi di denunciare il governo, dimostrare pacificamente contro il potere, elaborare teorie proprie, punti di vista autonomi. A loro queste cose piacciono e molti vengono qui proprio per provare questa sensazione di libertà.»
«Immagino che serva ad alleviare la pressione» osservò Seldon. «Gli studenti danno sfogo ai loro rancori, gongolano compiaciuti come tutti i giovani rivoluzionari e quando entrano a far parte della gerarchia imperiale sono pronti a iniziare il lavoro docili e obbedienti.»
Dors annuì. «Forse hai ragione. In ogni caso, per tutti questi motivi il governo tutela con cura la libertà delle università. Quella del governo non è affatto indulgenza, è solo astuzia.»
«Se non vuoi dedicarti all’amministrazione, Dors, cosa farai?»
«La studiosa di storia. Insegnerò, inserirò dei videolibri nei miei programmi.»
«Una posizione non molto prestigiosa, forse.»
«E soprattutto non molto redditizia, Hari. Per quanto riguarda la posizione, è il tipo di lotta che preferisco evitare. Ho visto molte persone con una posizione importante, ma devo ancora trovarne una che sia felice. La posizione non è qualcosa di stabile che si possa godere tranquillamente; bisogna battersi di continuo per mantenerla e non affondare. Perfino gli imperatori molto spesso fanno una brutta fine. Forse un giorno tornerò semplicemente su Cinna e farò la professoressa.»
«E con il tuo passato trantoriano sarai un personaggio importante.»
Dors rise. «Credo di sì, ma su Cinna a chi vuoi che interessi? È un mondo scialbo, pieno di fattorie e con tanto bestiame, a due e a quattro zampe.»
«Non lo troverai monotono, dopo Trantor?»
«Sì, e va benissimo. Se diventerà troppo noioso, posso sempre strappare una sovvenzione e andare un po’ in giro a compiere qualche ricerca storica. È questo il vantaggio della mia materia.»
«Un matematico, invece,» disse Seldon, provando una lieve amarezza per qualcosa che fino a quel momento non l’aveva mai infastidito «deve starsene seduto al computer e pensare. A proposito di computer.» Esitò, la colazione era terminata e probabilmente Dors aveva altri impegni.
Ma lei, apparentemente, non aveva alcuna fretta di andarsene. «Sì? A proposito di computer?»
«Sarà possibile avere il permesso di usare la biblioteca di storia?»
Ora fu Dors a esitare. «Credo di sì. Lavorando ai programmi di matematica, presumibilmente verrai considerato un membro o quasi del corpo docente, e dovrei riuscire a farti avere il permesso. Solo...»
«Solo?»
«Non voglio offenderti, ma dici di non sapere nulla di storia. Sarai capace di usare la nostra biblioteca?»
Seldon sorrise. «Usate computer molto simili a quelli di una biblioteca matematica, immagino.»
«Certo, ma per i programmi di ogni materia ci sono trucchi particolari. Tu non conosci i videolibri di consultazione standard, i metodi rapidi per selezionare e saltare le informazioni. Sarai anche capace di trovare un integrato iperbolico a occhi chiusi...»
«Integrale iperbolico, vuoi dire» la interruppe Seldon.
Dors lo ignorò. «Ma probabilmente impiegheresti un giorno e mezzo per trovare le clausole del Trattato di Poldark.»
«Posso imparare, no?»
«Se vuoi...» Dors sembrava un po’ turbata. «Avrei un suggerimento. Tengo un corso della durata di una settimana – un’ora al giorno – sull’uso della biblioteca. È per studenti. Ti sembrerebbe poco dignitoso partecipare in mezzo a loro? Comincia fra tre settimane.»
«Potresti darmi delle lezioni private.» Seldon rimase un po’ sorpreso dal tono allusivo della propria voce.
A Dors la cosa non sfuggì. «Certo, Hari, ma secondo me un insegnamento formale sarebbe molto più proficuo. Useremo la biblioteca e alla fine della settimana dovrai localizzare informazioni su vari argomenti di interesse storico. Sarai in gara con gli altri studenti e questo ti aiuterà a imparare. Le lezioni private rendono molto meno, te lo assicuro. Comunque, mi rendo conto della difficoltà di competere con dei giovani universitari. Se ottenessi risultati peggiori dei loro potresti sentirti umiliato, ma ricorda che hanno già studiato storia elementare e tu forse no.»
«Puoi togliere il “forse”, non l’ho proprio studiata. Comunque la competizione non mi spaventa e se sarò umiliato non ne farò un problema. L’importante è imparare i trucchi della consultazione storica.»
Seldon non aveva dubbi: quella giovane donna cominciava a piacergli ed era ben felice di cogliere l’occasione al volo e avere Dors come insegnante. Inoltre, si rendeva conto di essere giunto a una svolta decisiva nel proprio intimo.
Aveva promesso a Hummin che avrebbe cercato di realizzare un metodo psicostorico pratico, ma era stata una promessa vuota perché non si era impegnato realmente con se stesso. Ora era deciso ad afferrare la psicostoria per la gola, se necessario, e a trasformarla in una scienza applicabile. Forse c’entrava l’influenza di Dors Venabili.
Hummin ci aveva contato? Sì, era un individuo davvero formidabile, concluse Seldon.
19
Cleon I aveva terminato il pranzo che era stato dato, purtroppo, in occasione di un ricevimento ufficiale. Si era dovuto soffermare a parlare con vari funzionari (che non conosceva o non aveva riconosciuto), usando frasi fatte che servissero a lusingare tutti e a stimolare la fedeltà verso la corona. Il che significava, tra le altre cose, che le portate erano arrivate davanti a Cleon già tiepide e che si erano raffreddate ulteriormente prima che lui potesse mangiare.
Doveva esserci il modo di evitare quell’inconveniente. Mangiando prima, forse, da solo o con un paio di amici intimi con cui rilassarsi, per poi partecipare al pranzo ufficiale dove magari si sarebbe fatto servire soltanto una pera d’importazione. Le pere gli piacevano molto. Ma gli ospiti si sarebbero offesi? Avrebbero interpretato il rifiuto di mangiare insieme come un insulto deliberato?
Naturalmente, sua moglie era inutile in questo caso, perché la sua presenza avrebbe acuito ancora di più l’infelicità di Cleon. L’aveva sposata perché apparteneva a una potente famiglia dissidente, che a rigor di logica sarebbe stata meno ostile in seguito a quell’unione, ma in cuor suo Cleon non aveva mai desiderato da lei un particolare attaccamento. Anzi, il contrario. Gli andava benissimo che vivesse la sua vita negli appartamenti che le avevano assegnato, a parte i contatti necessari a mettere al mondo un erede, perché a Cleon francamente quella donna non piaceva. E adesso che l’erede era arrivato, lui poteva ignorarla completamente.
Mangiò una delle nocciole che si era infilato in tasca lasciando la tavola e chiamò: «Demerzel!».
«Sire?»
Demerzel accorreva subito quando Cleon chiamava. Forse si teneva a portata d’orecchio accanto alla porta, o forse si avvicinava perché il suo istinto servile gli diceva che entro pochi minuti avrebbe potuto essere convocato. In ogni caso arrivava immancabilmente, rifletté ozioso l’imperatore, ed era quello l’importante. A volte Demerzel doveva assentarsi per affari imperiali e Cleon detestava tali assenze. Lo innervosivano.
«Che ne è del matematico? Il suo nome mi sfugge.»
Demerzel, che senza dubbio sapeva di chi stesse parlando ma che forse voleva verificare quanto ricordasse, rispose: «A chi vi riferite, sire?».
Cleon agitò la mano, impaziente. «All’indovino. A quello che è venuto da me.»
«Quello che abbiamo chiamato?»
«D’accordo, quello che abbiamo chiamato ed è venuto da me. Dovevi occuparti tu della faccenda, se ben ricordo. L’hai fatto?»
Demerzel si schiarì la voce. «Ho provato, sire.»
«Ah! Questo significa che hai fallito, vero?» Cleon provò una certa soddisfazione. Tra i suoi ministri, Demerzel era l’unico a riconoscere apertamente i propri insuccessi. Gli altri non ammettevano mai il fallimento, e dato che i fiaschi erano comunque frequenti era difficile far loro perdere il vizio. Forse Demerzel poteva permettersi di essere più onesto perché era rarissimo che fallisse. Se non fosse stato per lui, pensò mesto Cleon, probabilmente non avrebbe mai saputo cosa fosse l’onestà. Forse gli imperatori non lo sapevano mai, e questa era una delle ragioni per cui l’impero...
Accantonò quei pensieri, irritato dal silenzio di Demerzel, e, volendo un’ammissione proprio perché aveva appena ammirato la sua onestà, scattò brusco: «Ebbene hai fallito, vero?».
Demerzel non batté ciglio. «In parte, sire. A mio avviso, la presenza del matematico qui su Trantor, dove le cose sono difficili, avrebbe potuto crearci dei problemi. È stato semplice concludere che il suo pianeta natale sarebbe stato un posto più tranquillo. Il matematico intendeva tornarci il giorno seguente, ma esisteva sempre la possibilità che sorgesse qualche complicazione. Che decidesse di rimanere su Trantor. Così ho dato disposizioni perché due teppisti da strada lo caricassero sulla sua astronave quello stesso giorno.»
«Conosci dei teppisti da strada, Demerzel?» chiese Cleon divertito.
«Sire, è importante avere contatti con vari tipi di persone perché ognuno si presta a diversi impieghi. Anche i teppisti, ma in questo caso quei due hanno fallito.»
«Come mai?»
«Fatto strano, Seldon ha lottato ed è riuscito a respingerli.»
«Un matematico capace di lottare?»
«Evidentemente la matematica e le arti marziali non si escludono a vicenda. Ho scoperto troppo tardi che il suo mondo, Helicon, è famoso proprio per le arti marziali, non per i calcoli. La mia scoperta tardiva è stata davvero una grave mancanza, sire, non posso che implorare il vostro perdono.»
«Be’, il matematico sarà partito per il suo pianeta il giorno dopo. Come intendeva fare, suppongo.»
«Purtroppo c’è stato uno sviluppo inatteso. Sorpreso dall’accaduto, il nostro uomo ha deciso di non tornare su Helicon ed è rimasto su Trantor. Può darsi che sia stato consigliato da un passante che casualmente si trovava sul posto al momento della rissa: anche questa una complicazione imprevista.»
Cleon corrugò la fronte. «Dunque il nostro matematico... Ah, come si chiama?»
«Seldon, sire. Hari Seldon.»
«Dunque questo Seldon non è più alla nostra portata.»
«In un certo senso, sire. Abbiamo seguito i suoi spostamenti e adesso si trova all’Università di Streeling. Finché resta là, è intoccabile.»
L’imperatore assunse un’espressione torva e arrossì leggermente. «“Intoccabile” è una parola che mi irrita. Nell’impero non dovrebbe esserci nessun posto dove la mia mano non possa arrivare. E tu mi dici che proprio qui, sul mio mondo, c’è qualcuno che è intoccabile. Inaudito!»
«La vostra mano può arrivare all’università, sire. Potete inviare l’esercito e stanare Seldon quando volete. Ma è un’azione indesiderabile.»
«Perché non dici “inattuabile”? Sembri il matematico quando parla della sua arte precognitiva. È possibile ma è inattuabile. Sono un imperatore che scopre che tutto è possibile, ma che quasi nulla è fattibile. Ricorda, Demerzel, se non posso toccare Seldon, posso toccare te con la massima facilità.»
Eto Demerzel sorvolò sull’ultima frase. L’uomo dietro il trono era consapevole della propria importanza per l’imperatore; non era la prima volta che sentiva minacce del genere. Attese in silenzio, mentre il sovrano lanciava occhiate torve.
Tamburellando con le dita sul bracciolo della sedia, Cleon chiese: «Allora, a che ci serve questo matematico se si trova all’Università di Streeling?».
«Forse è possibile sfruttare a nostro vantaggio la situazione avversa, sire. Può darsi che, all’università, Seldon decida di lavorare alla psicostoria.»
«Anche se insiste che non è una scienza pratica?»
«Può darsi che sbagli e che si accorga del proprio errore. Se scoprirà di avere sbagliato, troveremo il modo di farlo uscire dall’università. Chissà, forse in tal caso si unirà a noi spontaneamente.»
L’imperatore meditò per un po’, quindi disse: «E se qualcuno dovesse portarlo via prima di noi?».
«Chi potrebbe farlo, sire?» chiese Demerzel sottovoce.
«Il sindaco di Wye, per esempio» rispose Cleon mettendosi improvvisamente a urlare. «Sogna ancora di impossessarsi dell’impero!»
«La vecchiaia l’ha reso innocuo, sire.»
«Non crederlo, Demerzel.»
«E poi chi ci dice che gli interessi Seldon? Forse non sa nemmeno che Seldon esiste.»
«Via, Demerzel. Se noi abbiamo sentito parlare di quella relazione al Convegno, perché Wye non dovrebbe esserne al corrente? Se noi ci siamo resi conto della potenziale importanza di Seldon anche Wye potrebbe essersi fatto i suoi conti, no?»
«Se dovesse succedere, o se anche dovessimo ritenere probabile questa evenienza, la situazione giustificherebbe il ricorso a provvedimenti severi.»
«Severi, quanto?»
Demerzel rispose cauto: «Anziché permettere che Seldon finisca nelle mani di Wye, sarebbe meglio intervenire perché nessuno possa servirsi di lui. Dovremmo porre fine alla sua esistenza, sire».
«Cioè, farlo uccidere» precisò Cleon.
«Se preferite usare questa espressione» disse Demerzel.
20
Hari Seldon sedeva nella nicchia che gli era stata assegnata grazie all’intervento di Dors Venabili. Era insoddisfatto.
A dire il vero, anche se era quello l’aggettivo che aveva in mente, Seldon sapeva che la parola esprimeva solo in minima parte quel che provava. Non era solo insoddisfatto, era furioso, soprattutto perché non sapeva di preciso cosa avesse suscitato tanta rabbia. Le storie? Gli autori e i compilatori delle storie? I mondi e le persone alla base delle storie?
Quale fosse l’oggetto della collera di Seldon, si trattava di un particolare trascurabile. Il fatto grave era che i suoi appunti erano inutili, le sue nuove conoscenze erano inutili, tutto era inutile.
Ormai si trovava all’università da quasi sei settimane. Aveva individuato subito un terminale disponibile e si era messo al lavoro, senza guida, usando l’istinto frutto di lunghi anni di ricerca. Era stata un’impresa lenta, incerta, ma si provava un certo piacere nell’individuare, per gradi, i percorsi da seguire per arrivare alle risposte desiderate.
Poi c’era stato il corso settimanale di Dors, che gli aveva insegnato decine di scorciatoie e che aveva mostrato due lati negativi. Primo lato negativo: le occhiate di traverso degli studenti, che avevano un atteggiamento sprezzante nei confronti della sua maggiore età e che tendevano ad assumere un’espressione corrucciata quando Dors si rivolgeva a lui chiamandolo “dottore”.
«Non voglio che ti scambino per uno studente tardo di mente costretto a seguire un corso integrativo» aveva spiegato Dors.
«Mi pare che tu sia stata abbastanza chiara. A questo punto direi che puoi chiamarmi semplicemente “Seldon”.»
«No.» Dors aveva sorriso di colpo. «E poi, mi piace chiamarti “dottor Seldon”. Mi piace la faccia imbarazzata che fai sempre.»
«Hai uno strano senso dell’umorismo. Sadico.»
«Vorresti togliermelo?»
Al che, chissà perché, Seldon aveva riso. La reazione naturale sarebbe stata quella di negare una componente sadica. Comunque, Seldon era contento che lei fosse stata al gioco verbale e gli avesse rilanciato la palla. Quindi era sbocciata una domanda automatica. «Giocate a tennis, qui all’università?»
«Abbiamo dei campi, ma io non gioco.»
«Bene. T’insegnerò io. E ti chiamerò “professoressa Venabili”.»
«Tanto lo fai già durante il corso.»
«Sì, ma vedrai come sarà ridicolo sul campo da tennis.»
«Può darsi che finisca per piacermi.»
«In tal caso, cercherò di scoprire cos’altro potrebbe piacerti.»
«Vedo che hai uno strano senso dell’umorismo. Salace.»
Dors l’aveva detto di proposito e Seldon aveva ribattuto: «Vorresti togliermelo?».
Lei aveva sorriso, e in seguito si era dimostrata sorprendentemente in gamba sul campo da tennis. «Sicura di non avere mai giocato?» le aveva chiesto Seldon, ansimando, quando avevano finito.
«Sicurissima.»
L’altro lato negativo del corso era più personale. Seldon aveva appreso le tecniche necessarie di ricerca storica, e in privato aveva affrontato smanioso i primi tentativi di utilizzo della memoria del computer. Era un procedimento completamente diverso da quello utilizzato in matematica. Era altrettanto logico, dato che consentiva di muoversi con coerenza e precisione in qualsiasi direzione, ma era un tipo di logica sostanzialmente diverso da quello a cui Seldon era abituato.
Tuttavia, con o senza istruzioni, avanzando a fatica o procedendo spedito, lui non aveva ottenuto risultati.
La sua irritazione si era manifestata sul campo da tennis. Dati i rapidi progressi di Dors, ben presto non era stato più necessario lanciarle palle alte e facili per darle il tempo di valutare direzione e distanza. Così era stato facile dimenticare che lei era solo una principiante, e Seldon aveva sfogato la propria rabbia scagliandole la palla come se fosse un raggio laser fatto di sostanza solida.
Avvicinandosi alla rete, Dors aveva detto: «Certo, capisco, vuoi uccidermi, dev’essere seccante vedermi sbagliare tanti colpi. Ma com’è che stavolta mi hai mancato la testa di circa tre centimetri? Insomma, non mi hai nemmeno presa di striscio. Se è tutto qui quel che sai fare...».
Inorridendo, Seldon aveva cercato di spiegarle, ma era riuscito solo a farfugliare frasi confuse.
Dors allora aveva detto: «Oggi non voglio più affrontare i tuoi colpi sul campo, quindi facciamo una doccia e poi andiamo a prendere un tè insieme, così potrai dirmi con cos’è che ce l’hai a morte. Se non si tratta della mia povera testa e se non riesci a sfogarti subito, sarai troppo pericoloso al di là della rete, e io non ho intenzione di prestarmi come bersaglio».
Mentre bevevano il tè, Seldon aveva detto: «Dors, ho dato una scorsa alla storia. Solo un’occhiata veloce, non ho ancora avuto tempo per uno studio approfondito. Comunque, una cosa mi pare evidente: tutti i videolibri parlano di pochi avvenimenti e sempre di quelli».
«Avvenimenti cruciali. Avvenimenti che “fanno” la storia.»
«Questa è solo una scusa, in realtà sono ripetizioni sterili. Ci sono venticinque milioni di mondi, nello spazio, e quelli citati in modo significativo saranno sì e no venticinque.»
«Perché ti sei soffermato sulla storia galattica generale. Dai un’occhiata a quella individuale di un mondo minore. Su ogni pianeta, per quanto piccolo, i bambini imparano la storia locale ancora prima di scoprire che all’esterno c’è un’enorme galassia. Prendiamo te, per esempio: sai più cose su Helicon che non sulla nascita di Trantor o sulla Grande guerra interstellare, giusto?»
«Si tratta sempre di conoscenza limitata» aveva risposto cupo Seldon. «Conosco la geografia di Helicon, la storia della sua colonizzazione e degli illeciti e abusi del pianeta Jennisek, che sarebbe il nostro nemico tradizionale, anche se gli insegnanti ci hanno spiegato che bisognerebbe dire “rivale tradizionale”. Ma non so nulla del contributo di Helicon alla storia galattica generale.»
«Forse non c’è stato alcun contributo.»
«Non dire sciocchezze, certo che c’è stato. Helicon non sarà un protagonista di grandi battaglie spaziali, né di rivolte importanti o trattati di pace; non sarà stato scelto come base da qualche pretendente al trono imperiale, ma un’influenza pur lieve deve averla avuta. Gli avvenimenti che si svolgono in un luogo si ripercuotono ovunque, mi pare. Eppure, non riesco a trovare nulla che mi aiuti. Vedi, Dors, in matematica si può trovare tutto nel computer: quello che sappiamo ora e quello che abbiamo scoperto in ventimila anni. Con la storia, il discorso cambia. Gli storici scelgono e selezionano, e qui tutti scelgono e selezionano la stessa cosa.»
«Ma, Hari, la matematica è una costruzione ordinata inventata dall’uomo. Ogni cosa è concatenata. Ci sono definizioni, assiomi, tutti noti. È un complesso omogeneo. La storia è diversa, è il risultato inconscio delle azioni e dei pensieri di trilioni di esseri umani. Gli storici devono per forza scegliere e selezionare.»
«Già, ma se voglio arrivare alle leggi della psicostoria io devo conoscerla tutta.»
«In questo caso, le leggi della psicostoria non le formulerai mai.»
La discussione risaliva al giorno prima. Ora Seldon sedeva nella nicchia dopo un’altra giornata di lavoro infruttuoso e gli sembrava quasi di sentire la voce di Dors che ripeteva: “In questo caso, le leggi della psicostoria non le formulerai mai”.
Era quello che aveva pensato fin dall’inizio e avrebbe continuato a pensarlo se non fosse stato per Hummin, che era convinto del contrario e che chissà come era riuscito a contagiare Seldon, trasmettendogli la propria convinzione.
D’altra parte, non poteva arrendersi così. Possibile che non ci fosse una soluzione?
Non gliene veniva in mente nessuna.