DAVAN ... Nella fase di instabilità che caratterizza i secoli finali del Primo impero galattico, fermenti e turbolenza derivavano soprattutto dal fatto che i capi politici e militari si battevano e tramavano per il potere “supremo” (un primato che di decade in decade divenne sempre più inutile). Solo raramente ci fu qualcosa di paragonabile a un movimento popolare prima dell’avvento della psicostoria. A questo proposito, un esempio interessante ebbe come protagonista Davan, un personaggio di cui in realtà si sa poco, ma che forse incontrò Hari Seldon quando...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

72

Hari Seldon e Dors Venabili si erano concessi un lungo bagno, usufruendo dei servizi piuttosto primitivi di cui disponeva l’abitazione dei Tisalver. Si erano cambiati e si trovavano nella stanza di Seldon, quando Jirad Tisalver tornò quella sera. Il suo segnale alla porta era (o sembrò) un po’ esitante. Il ronzio fu di breve durata.

Seldon aprì la porta e disse affabile: «Buonasera, signor Tisalver. Signora...».

Casilia era alle spalle del marito, la fronte corrugata in un’espressione perplessa.

Tisalver esordì incerto: «State bene, lei e la signora Venabili?». E annuì, come a voler provocare una risposta affermativa col proprio gesto.

«Benissimo. Siamo andati e venuti da Billibotton senza problemi, ci siamo lavati e cambiati. Non c’è più alcun odore.» Seldon sollevò il mento, sorridendo, rivolgendo la frase alla signora Tisalver.

Casilia aspirò forte, come se volesse fare una verifica.

Sempre esitante, Tisalver disse: «Ho sentito che c’è stato uno scontro armato».

Seldon aggrottò le sopracciglia. «È questo che raccontano?»

«Lei e la signora Venabili contro cento delinquenti, hanno detto, e li avete uccisi tutti. È vero?» Nel tono di Tisalver si coglieva una riluttante sfumatura di rispetto.

«No, assolutamente» intervenne Dors seccata. «È assurdo. Credete che siamo sterminatori di folle? Secondo voi cento delinquenti sarebbero rimasti lì con le mani in mano, in attesa di farsi uccidere da me... o da noi? Perché per farne fuori tanti ci vuole parecchio tempo. Voglio dire, riflettete.»

«In giro assicurano che è andata così» gracchiò Casilia Tisalver caparbia. «E in questa casa non possiamo permettere cose del genere.»

«Primo,» precisò Seldon «non è successo nella vostra casa. Secondo, non erano cento ma dieci. Terzo, nessuno è stato ucciso. C’è stato qualche litigio, un po’ di tira e molla, dopo di che se ne sono andati e ci hanno lasciati passare.»

«Vi hanno lasciati passare? Pretendete che vi creda, stranieri?» sbottò la signora Tisalver aggressiva.

Seldon sospirò. Alla minima tensione, gli esseri umani sembravano dividersi in gruppi antagonisti. «Be’, in effetti ammetto che uno di quegli uomini è rimasto leggermente ferito.»

«E voi non siete stati feriti?» chiese Tisalver ammirato.

«Nemmeno un graffio» rispose Seldon. «La signora Venabili è abilissima a maneggiare due coltelli.»

«Già.» Casilia fissò la cintura di Dors. «Ed è proprio quello che qui non deve succedere.»

Dors replicò arcigna: «Infatti qui non succederà, se nessuno ci aggredirà».

«Ma a causa sua» insistette la signora Tisalver «adesso abbiamo della sudicia feccia davanti alla nostra porta.»

Il marito cercò di calmarla. «Tesoro, non facciamola arrabbiare.»

«Perché?» sibilò Casilia. «Hai paura dei suoi coltelli? Mi piacerebbe vederla all’opera.»

«Non ho alcuna intenzione di usarli qui da voi» disse Dors con uno sbuffo rumoroso quanto quelli della dahlita. «Cos’è la “sudicia feccia” di cui parla?»

«Mia moglie intende dire» spiegò Tisalver «che un monello di Billibotton – a giudicare dal suo aspetto – vuole vedervi e in questa zona non siamo abituati a certe cose. È dannoso per la nostra reputazione.» Aveva un tono contrito.

«Allora, signor Tisalver,» disse Seldon «andremo fuori, sentiremo cosa vuole e lo spediremo via il più presto possibile.»

«No, un momento» intervenne Dors, irritata. «Queste sono le nostre stanze, paghiamo l’affitto. Decidiamo noi chi ricevere o meno. Se fuori c’è un ragazzino di Billibotton, è pur sempre un dahlita. Anzi, un trantoriano. Anzi, un cittadino dell’impero e un essere umano. E soprattutto, chiedendo di noi, diventa nostro ospite, quindi lo facciamo entrare.»

La signora Tisalver non si mosse. Anche suo marito sembrava incerto.

Dors proseguì: «Dal momento che dite che ho ucciso cento teppisti a Billibotton, non penserete che abbia paura di un ragazzino o di voi due, se è per questo». E portò distrattamente la destra alla cintura.

Tisalver disse con improvviso fervore: «Signora Venabili, non intendiamo offendervi. Certo, queste stanze sono vostre e potete ricevere chi volete». Arretrò, trascinando con sé la moglie indignata, in un impeto di risolutezza che probabilmente gli sarebbe costato caro.

Dors li seguì con lo sguardo, minacciosa.

Seldon sorrise ironico. «Non è da te, Dors. Credevo di essere io l’idealista sempre pronto a cacciarsi nei guai e pensavo che la persona calma e pratica pronta a scongiurarli fossi tu.»

Lei scrollò la testa. «Non sopporto che si insulti e disprezzi un essere umano a causa del presunto gruppo di appartenenza, tanto più se a farlo sono altri esseri umani. Sono certe persone rispettabili che creano i delinquenti che pullulano nel mondo.»

«E sono altre persone rispettabili che creano queste persone rispettabili» osservò Seldon. «Le animosità reciproche fanno parte del genere umano.»

«Quindi dovrai occupartene nella tua psicostoria, vero?»

«Certo, se mai ci sarà una psicostoria da applicare a qualcosa. Ecco che arriva il monello in questione. È Raych, il che non mi sorprende.»

73

Raych entrò, guardandosi intorno visibilmente intimidito. Con l’indice destro si toccò il labbro superiore, come se si chiedesse quando avrebbe cominciato a sentire la prima peluria.

Si rivolse a una signora Tisalver offesa e risentita, eseguendo un goffo inchino. «Grazie, signora. Ha un posticino proprio simpatico.»

Poi, mentre la porta sbatteva alle sue spalle, si girò verso Seldon e Dors sfoggiando un’aria da intenditore. «Davvero un bel posto, ragazzi.»

«Sono contento che ti piaccia» annuì Seldon. «Come hai fatto a sapere che abitavamo qui?»

«Vi ho seguiti, no? Ehi, signora, non combatte da donna, lei.»

«Hai visto combattere molte donne?» chiese Dors divertita.

Raych si strofinò il naso. «No, nemmeno una. Quelle non hanno coltelli veri, solo aggeggini piccoli per spaventare i ragazzi. Io non mi sono mai lasciato spaventare.»

«Non ne dubito. Cosa fate per costringere le signore a estrarre il coltello?»

«Niente, si scherza un po’. Si grida: “Ehi, bella, fammi...”.» Raych rifletté per un attimo. «Ma è niente.»

«Be’, con me non provarci» disse Dors.

«Scherza? Dopo quello che ha fatto a Marron? Ehi, signora, dove ha imparato a combattere così?»

«Sul mio mondo.»

«Potrebbe insegnarmi?»

«Sei venuto per questo?»

«Be’, no. Sono venuto a portarle un messaggio.»

«Da parte di qualcuno che vuole battersi con me?»

«Nessuno vuole battersi con lei. No, signora, adesso è diventata famosa e la conoscono tutti. Andate dove volete, a Billibotton si faranno da parte e vi lasceranno passare con un sorriso. Naturalmente, stando attenti a non darvi il minimo fastidio. È eccezionale quello che avete fatto, ecco perché lui vuole vedervi.»

«Chi vuole vederci, Raych?» domandò Seldon.

«Un tipo che si chiama Davan.»

«E chi è?»

«Un tipo. Vive a Billibotton e non ha un coltello.»

«E rimane vivo?»

«Legge un sacco e aiuta quelli che hanno dei guai col governo. Così lo lasciano in pace, non ha bisogno del coltello.»

«Perché non è venuto di persona?» chiese Dors. «Perché ha mandato te?»

«Non gli piace questo posto, dice che gli dà il vomito e la gente che sta qui lecca il governo...» Raych si interruppe guardando dubbioso i due stranieri. «Comunque, qui non viene. Ha detto che mi avrebbero fatto entrare perché sono solo un ragazzino.» Sogghignò. «Invece c’è mancato poco che non mi facessero entrare, giusto? Voglio dire, la signora di là... Sembrava che mi fiutasse, quella.» Di colpo si guardò imbarazzato. «Non è tanto facile lavarsi, nel posto dove sto.»

«Non preoccuparti» rispose Dors sorridendo. «Se quell’uomo non vuole venire qui, dove dovremmo incontrarlo? In fin dei conti, se non ti dispiace, non è che poi abbiamo così tanta voglia di tornare a Billibotton.»

«Vi ho detto che potete girarci liberamente, lo giuro» sbottò Raych indignato. «E poi, dove vive quel tipo, nessuno vi darà fastidio.»

«E dove vive?» chiese Seldon.

«Posso portarvi là. Non è lontano.»

«Perché vuole vederci?» chiese Dors.

«Non lo so, ha detto così.» Il ragazzino chiuse gli occhi e si sforzò di ricordare: «“Digli che voglio vedere l’uomo che ha parlato con un cistermista dahlita trattandolo come un essere umano. E la donna che ha battuto Marron ai coltelli e non l’ha ucciso, anche se avrebbe potuto.” Sì, credo che siano le esatte parole».

Seldon sorrise. «Certo, Raych. Ed è pronto a riceverci?»

«Vi aspetta.»

«Allora verremo con te.» Seldon guardò Dors con un’ombra di dubbio negli occhi.

Dors annuì. «Per me va bene, forse non sarà una trappola. Si spera sempre.»

74

Quando uscirono, la luce della sera aveva una tonalità gradevole, le nubi simulate che si inseguivano nel tramonto erano sfumate di viola e avevano contorni rosati. I dahliti potevano anche lamentarsi di come erano trattati dal governo di Trantor, ma nella situazione meteorologica computerizzata non c’era nulla che non andasse.

Sottovoce Dors disse: «Pare che siamo delle celebrità, ormai».

Seldon smise di osservare il “cielo” e notò subito una folla piuttosto numerosa intorno all’edificio in cui abitavano i Tisalver.

Tutti li fissavano. Quando capirono che i due stranieri si erano accorti di essere al centro dell’attenzione, la folla fu percorsa da un mormorio che sembrò sul punto di esplodere in un’acclamazione.

«Capisco che dev’essere una situazione seccante, per la signora Tisalver» disse Dors. «Avrei dovuto essere più comprensiva.»

Per la maggior parte, la folla era costituita da gente vestita male; non era difficile indovinare che molti di loro venivano da Billibotton.

D’impulso, Seldon sorrise e alzò la mano in un gesto di saluto che subito suscitò gli applausi. Protetta dall’anonimato della folla, una voce chiese: «La signora non può mostrarci qualche numero col coltello?».

Quando Dors rispose: «No, li uso solo se mi fanno arrabbiare», risuonarono immediatamente delle risate.

Un uomo si fece avanti. Non era di Billibotton e non sembrava nemmeno un dahlita. I baffi erano appena accennati, castani e non neri. «Sono Marlo Tanto, del notiziario olovisivo trantoriano. Potete dedicarci qualche minuto per la nostra edizione notturna?»

«No» rispose Dors. «Niente interviste.»

Il giornalista non si scompose.

«Mi risulta che avete avuto uno scontro con parecchi uomini a Billibotton e che avete vinto.» Sorrise. «È una notizia, questa.»

«No» disse Dors. «Abbiamo incontrato degli uomini a Billibotton, abbiamo parlato con loro e proseguito per la nostra strada. La storia è tutta qui, dovrà accontentarsi.»

«Come si chiama? Dall’accento non sembra trantoriana.»

«Non ho un nome.»

«E quello del suo amico?»

«Senza nome anche lui.»

Il giornalista parve seccato. «Senta, signora. Siete sulla bocca di tutti e io cerco solo di svolgere il mio lavoro.»

Raych tirò Dors per una manica e, quando lei si chinò, mormorò concitato qualcosa.

Dors annuì e tornò eretta. «Secondo me, signor Tanto, lei non è un giornalista ma un agente imperiale che cerca guai a Dahl. Non c’è stato alcuno scontro, ma ha deciso di inventare notizie false per giustificare un intervento imperiale a Billibotton. Non starei qui, se fossi in lei. Non credo che sia molto simpatico a questa gente.»

Alle prime parole di Dors, la folla aveva cominciato a borbottare. Ora il vocio era più forte e la gente si stava spostando lentamente verso Tanto, con fare minaccioso. L’uomo si guardò intorno nervoso e cominciò ad allontanarsi.

Dors alzò la voce. «Lasciatelo andare. Nessuno lo tocchi, non dategli un pretesto per denunciare un’azione violenta.»

E la folla si fece da parte.

«Signora, doveva lasciarlo pestare un po’» disse Raych.

«Ragazzino sanguinario,» disse Dors «portaci dal tuo amico.»

75

Incontrarono l’uomo chiamato Davan in una stanza dietro un ristorante in rovina. Molto dietro.

Raych li guidò, ancora una volta a proprio agio nei cunicoli di Billibotton. Seldon lo paragonò a una talpa negli anfratti di Helicon.

A un certo punto, cauta come sempre, Dors si fermò e chiese: «Torna qui, Raych. Si può sapere di preciso dove stiamo andando?».

«Da Davan» rispose il ragazzino esasperato. «Ve l’ho detto, no?»

«Ma questa è una zona abbandonata. Nessuno vive qui.» Dors si guardò intorno, l’espressione disgustata. Era un deserto e i pochi pannelli luminosi erano spenti o emanavano un fioco lucore.

«A Davan piace così» spiegò Raych. «Cambia sempre posto, un po’ qui, un po’ là.»

«Perché?» chiese Dors.

«È più al sicuro, signora.»

«Da chi?»

«Dal governo.»

«E perché il governo sarebbe interessato a Davan?»

«Non lo so. Sentite, vi dico dov’è e come arrivarci, poi se non volete che vi porti ci andate da soli.»

Seldon intervenne: «No, Raych, ci perderemmo subito. Anzi, è meglio che aspetti per riportarci indietro».

«E io che ci guadagno?» disse subito Rych. «Volete che rimanga lì impalato senza mangiare?»

«Rimani lì e io ti pagherò un bel pasto dopo. Quello che vuoi.»

«Lo dice adesso, signore. Chi me lo assicura?»

Dors fece scattare la mano e in un battito di ciglia stava impugnando un coltello con la lama sguainata. «Non starai insinuando che siamo due bugiardi, vero, Raych?»

Il ragazzino spalancò gli occhi ma non sembrava spaventato dalla minaccia. «Ehi, non ho visto. Lo rifaccia!»

«Dopo, se sarai ancora qui. Altrimenti...» Dors lo squadrò con aria sinistra «ti verremo a scovare.»

«Via, signora, non mi verrà a scovare. Non è il tipo. Comunque, sarò qui.» Raych assunse una posa solenne. «Vi do la mia parola.»

E continuò a guidarli in silenzio, mentre i loro passi risuonavano lungo i cunicoli deserti.

Quando entrarono, Davan sollevò lo sguardo: un’occhiata feroce che si stemperò alla vista di Raych. Poi indicò i due sconosciuti con aria interrogativa.

«Sono loro» disse Raych. E uscì sorridendo.

«Hari Seldon. La signora è Dors Venabili.»

Osservò Davan incuriosito. Davan aveva la carnagione scura e i folti baffi neri dei maschi dahliti, ma aveva anche un accenno di barba. Finora Seldon non aveva mai visto un dahlita che non fosse rasato con cura. Perfino i teppisti di Billibotton si radevano meticolosamente le guance e il mento.

«Come si chiama, signore?» chiese Seldon.

«Davan. Raych ve l’avrà detto, no?»

«Il suo cognome.»

«Niente. Davan e basta. Vi hanno seguiti, signor Seldon?»

«No, sono sicuro: se qualcuno l’avesse fatto, con la vista o con l’udito, Raych se ne sarebbe accorto. E se non ci avesse pensato lui, mi avrebbe avvertito la signora Venabili.»

Dors sorrise. «Hai fiducia in me, Hari.»

«Una fiducia sempre maggiore» rispose Seldon pensieroso.

Davan si agitò nervoso. «Eppure vi hanno già trovati.»

«Come, prego?»

«Ho sentito del falso giornalista.»

«Eh?» Seldon parve un po’ sorpreso. «Secondo me era davvero un giornalista, e per giunta innocuo. Raych ci ha suggerito di dire che era un agente imperiale, un’ottima idea. La folla si è fatta minacciosa e ci siamo liberati di lui.»

«Era proprio un agente, il popolo lo conosce: quel tipo lavora per l’impero. Del resto, voi non fate come me; non usate nomi falsi, non vivete cambiando continuamente posto. Date le vostre credenziali senza cercare di proteggervi nella clandestinità. Lei è Hari Seldon, il matematico.»

«Sì. Perché dovrei inventare un nome falso?»

«L’impero la vuole, no?»

Seldon alzò le spalle. «Resto in posti dove l’impero non può raggiungermi o prendermi.»

«L’impero non è obbligato ad agire apertamente. Io le consiglierei vivamente di sparire dalla circolazione, e intendo sparire sul serio.»

«Come lei?» Seldon si guardò intorno, provando un innegabile disgusto. La stanza era fatiscente come i cunicoli che aveva percorso poco prima. Era deprimente, con un odore soffocante di chiuso.

«Sì» disse Davan. «Potrebbe esserci utile.»

«Come?»

«Ha parlato con un certo Yugo Amaryl, vero?»

«Sì.»

«Amaryl dice che lei può predire il futuro.»

Seldon sospirò. Era stanco di stare in piedi nella stanza vuota. Davan era seduto su un cuscino e in giro ce n’erano altri, ma non sembravano molto puliti. Seldon non voleva nemmeno appoggiarsi alla parete striata di muffa.

«O lei ha frainteso Amaryl,» disse Seldon «o Amaryl ha frainteso me. Io ho dimostrato che è possibile scegliere una situazione di partenza da cui procedere alla previsione storica senza degenerare in una situazione caotica, ma ottenendo un quadro che entro certi limiti risulti prevedibile. Tuttavia non so quale possa essere la situazione di partenza e nemmeno se sia possibile individuarla da parte di una persona o un numero qualsiasi di persone, in un periodo di tempo che non sia infinito. Mi sono spiegato?»

«No.»

Seldon sospirò di nuovo. «Proviamo così. È possibile predire il futuro, ma può darsi che sia impossibile trovare il modo di sfruttare tale possibilità. Chiaro?»

Davan fissò Seldon con aria cupa, poi fissò Dors. «Dunque non può predirlo.»

«Ecco, signor Davan, ora ci siamo.»

«Mi chiami semplicemente Davan. Può darsi che un giorno riesca a trovare il modo di predire quello che avverrà, è così?»

«Non è escluso.»

«Ecco perché l’impero la vuole.»

«No» disse Seldon alzando un dito. «Secondo me, è proprio per questo che l’impero non sta compiendo un serio sforzo per catturarmi. Forse gli piacerebbe, se fosse possibile prendermi senza problemi, ma sanno che per adesso non ho in mano nulla di concreto e quindi non vale la pena sconvolgere il delicato equilibrio di pace su Trantor, interferendo nei diritti locali di questo o quel settore. Ecco perché posso andare in giro usando il mio nome con una discreta sicurezza.»

Per un attimo Davan si portò le mani al volto e mormorò: «È una pazzia». Poi alzò lo sguardò stancamente e si rivolse a Dors. «Lei è la moglie del signor Seldon?»

Dors rispose calma: «Sono la sua amica e protettrice».

«Lo conosce bene?»

«Siamo insieme da qualche mese.»

«Appena?»

«È così.»

«Secondo lei dice la verità?»

«Certo, ma come può fidarsi di me se non si fida di lui? Se Hari per qualche motivo mentisse, anch’io potrei mentire per appoggiarlo.»

Davan guardò i due, impotente, poi disse: «In ogni caso, ci aiutereste?».

«Aiutare chi? E in che modo?»

«Vedete la situazione che c’è a Dahl: siamo oppressi. Non potete non esserne a conoscenza, e da come avete trattato Yugo Amaryl non posso credere che non siate solidali con noi.»

«Siamo pienamente solidali.»

«E conoscerete senz’altro la fonte dell’oppressione.»

«Se si riferisce al governo imperiale, sì, immagino che c’entri in parte. D’altro canto ho notato che a Dahl c’è una classe media che disprezza i cistermisti e una classe criminale che terrorizza il resto del settore.»

Davan strinse le labbra ma rimase impassibile. «Vero, ma l’impero incoraggia questa situazione. Dahl potenzialmente può creare guai seri: se i cistermisti dichiarassero uno sciopero, Trantor si troverebbe subito a corto di energia, con tutte le conseguenze immaginabili. Ma le classi elevate di Dahl sono sempre pronte ad assoldare i delinquenti di Billibotton e di altri posti, per attaccare i cistermisti e interrompere lo sciopero. È già successo. L’impero permette ad alcuni dahliti di prosperare relativamente, per trasformarli in lacchè imperialisti, e nello stesso tempo si rifiuta di applicare seriamente la legge sul controllo delle armi per non indebolire troppo la criminalità. Il governo imperiale lo fa dappertutto, non solo a Dahl. Non può ricorrere alla forza per imporre la sua volontà, come faceva in passato, quando governava in modo diretto e brutale. Oggi Trantor è diventato così complesso e instabile che le forze imperiali devono tenere le mani alla larga...»

«Una forma di degenerazione» commentò Seldon ricordando le lamentele di Hummin.

«Cosa?» fece Davan.

«Nulla. Continui.»

«Le forze imperiali devono restarsene tranquille e con le mani bene in vista, ma anche così riescono a fare parecchio. Ogni settore è incoraggiato a diffidare dei suoi vicini. In ogni settore, le classi sociali ed economiche vengono incoraggiate a combattere fra loro. Risultato: su Trantor il popolo non ha la possibilità di intraprendere un’azione unitaria. Dappertutto le persone preferiscono lottare fra loro piuttosto che schierarsi unite contro la tirannia centrale, e l’impero governa senza dover ricorrere alla forza.»

«E a suo giudizio cosa si può fare?» chiese Dors.

«Sono anni che cerco di creare un sentimento di solidarietà fra le genti di Trantor.»

«Un compito ingrato e difficilissimo, immagino» osservò Seldon un po’ ironico.

«Supposizione corretta» annuì Davan. «Ma il nostro gruppo si sta rafforzando. Molti “duri” cominciano a rendersi conto che è meglio non usare i coltelli per farsi male a vicenda. Quelli che vi hanno attaccati a Billibotton non si sono ancora convertiti. Comunque, le persone pronte a difendervi dall’agente che credevate un giornalista fanno parte del mio gruppo. Io vivo qui, tra loro. Non è una vita piacevole ma sono al sicuro. Abbiamo sostenitori anche nei settori vicini e ci espandiamo sempre più.»

«E noi come c’entriamo?» chiese Dors.

«Innanzitutto siete due stranieri, due studiosi. Abbiamo bisogno di persone come voi tra i nostri capi. Il grosso delle forze di cui disponiamo è costituito da gente povera e incolta, perché sono le categorie che soffrono di più, ma sono le persone meno capaci di guidare gli altri. Uno di voi due vale cento di loro.»

«Strana valutazione, da parte di uno che vuole liberare gli oppressi» osservò Seldon.

«Non mi riferisco al valore della persona» specificò subito Davan. «Mi riferisco alle capacità di organizzazione e di comando. Il partito deve avere tra i suoi capi uomini e donne di una certa levatura intellettuale.»

«Vale a dire che persone come noi sono necessarie per dare al partito una facciata di rispettabilità.»

«Volendo, si può sempre esprimere qualcosa di nobile in modo beffardo. Comunque, signor Seldon, lei è rispettabilissimo e di doti intellettuali spiccate. Anche se non ammette di poter penetrare le nebbie del futuro.»

«Per favore, Davan, non sia poetico e lasci perdere le espressioni dubitative. Non è questione di ammettere o meno: io non posso prevedere il futuro. Non sono nebbie quelle che ostacolano la mia visuale, ma barriere di acciaio.»

«Mi lasci finire. Anche se attualmente non è in grado di fare previsioni con... com’è il termine che usa?, ah, sì, precisione psicostorica, ha comunque studiato la storia, quindi dovrà avere qualche dote intuitiva sui possibili sviluppi. O sbaglio?»

Seldon scosse il capo. «Forse avrò una conoscenza intuitiva delle probabilità matematiche, ma non so fino a che punto possa tradurla in elementi di rilevanza storica. In realtà, non ho studiato la storia: magari l’avessi fatto! È una lacuna di cui mi rammarico parecchio.»

«L’esperta di storia sono io» intervenne Dors. «E se vuole, posso dire alcune cose.»

«Prego» disse Davan, il tono garbato ma in parte di sfida.

«Innanzitutto, nella storia galattica ci sono state molte rivoluzioni che hanno rovesciato una tirannia: a volte su singoli pianeti, a volte in gruppi di pianeti, più raramente in seno all’impero o ai governi regionali pre-imperiali. Spesso si è trattato soltanto di un cambio di tirannia. In altre parole, una classe dirigente viene sostituita da un’altra, a volte da una più efficiente e quindi più capace di conservare il potere, mentre i poveri e gli oppressi rimangono tali o precipitano in una situazione anche peggiore.»

Davan, che aveva ascoltato con estrema attenzione, disse: «Lo sappiamo tutti. Forse la lezione del passato potrà insegnarci cosa evitare e, del resto, la tirannia che ci troviamo di fronte adesso è autentica, quella che potrebbe esistere in futuro è solo potenziale. Non ci si può sottrarre ai cambiamenti temendo che la situazione possa cambiare in peggio: se lo facessimo, addio speranza di riuscire un giorno a sconfiggere l’ingiustizia».

«Secondo punto da tenere presente» riprese Dors. «Anche se siete nel giusto, anche se la voce della giustizia grida vendetta, di solito l’equilibrio delle forze pende dalla parte della tirannia al potere. Con le dimostrazioni e le rivolte dei “duri” armati di coltello si può ottenere ben poco, finché c’è un esercito dotato di armi cinetiche, chimiche e neuroniche pronto a usarle contro la gente in situazioni di emergenza. D’accordo avere dalla vostra parte tutti gli oppressi e perfino le persone rispettabili, ma in qualche modo bisogna convertire alla causa le forze di sicurezza e l’esercito imperiale. O almeno minare seriamente la loro fedeltà verso i governanti.»

«Trantor è un mondo decentrato, con molti apparati governativi. Ogni settore ha un apparato proprio e alcuni governi locali sono anti-imperialisti. Con un settore forte dalla nostra parte la situazione cambierebbe, no? Non saremmo più straccioni che combattono armati di coltelli e sassi.»

«Avete davvero l’appoggio di un settore potente, oppure è soltanto una vostra ambizione?»

Davan tacque.

«Immagino» proseguì Dors «che stia pensando al sindaco di Wye. Supponiamo che sia così: se il sindaco vuole sfruttare il malcontento popolare per avere più probabilità di rovesciare l’imperatore, stando alla logica il suo obiettivo dovrebbe essere quello di salire al trono imperiale, non le pare? Perché dovrebbe rischiare di perdere la posizione che occupa attualmente per un obiettivo minore? Solo per un ideale di giustizia, solo perché viene trattata indecentemente della gente che in fondo non può interessargli granché?»

«In pratica sta dicendo che un capo potente disposto ad aiutarci potrebbe tradirci» osservò Davan.

«È una situazione fin troppo comune nella storia galattica.»

«Ma sapendo in anticipo una cosa del genere, potremmo essere noi a tradirlo.»

«Cioè vi servireste di lui fino a un certo punto per poi intervenire e farlo assassinare, magari facendo pressioni su qualche membro importante del suo gruppo di potere?»

«Forse non proprio così, ma in caso di necessità un modo per liberarci di lui ci sarebbe.»

«In tal caso, avremmo un movimento rivoluzionario in cui i protagonisti principali dovrebbero essere pronti a tradirsi l’un l’altro, ognuno aspettando semplicemente l’occasione giusta. Mi sembra la ricetta migliore per una situazione caotica.»

«Non ci aiuterete, allora?» chiese Davan.

Seldon, che aveva seguito perplesso la conversazione fra Davan e Dors, rispose: «Non è così semplice. Ci piacerebbe farlo, siamo dalla vostra parte. Nessun uomo sano di mente può appoggiare un sistema imperiale che si regge stimolando l’odio e il sospetto reciproco. Anche se sembra che funzioni, il sistema può essere descritto solo come metastabile, cioè troppo soggetto a scivolare nell’instabilità in una direzione o nell’altra. Il problema è: come possiamo aiutarvi? Se avessi la psicostoria, se potessi indicarvi gli sviluppi più probabili o dirvi quale azione, fra un numero di alternative possibili, avrebbe più probabilità di portare a esiti favorevoli, mi metterei volentieri a vostra disposizione. Purtroppo, la psicostoria non ce l’ho. L’aiuto maggiore che posso dare consiste nel cercare di sviluppare la psicostoria».

«E quanto ci vorrà?»

Seldon alzò le spalle. «Non sono in grado di dirlo.»

«Non può chiederci di aspettare indefinitamente!»

«Che alternativa ho, dal momento che adesso non vi sarei di alcuna utilità? Ma le dirò una cosa. Fino a non molto tempo fa ero convinto che sviluppare la psicostoria fosse impossibile. Ora non ne sono più tanto convinto.»

«Cioè, ha in mente una soluzione?»

«No, ma ho la sensazione intuitiva che una soluzione sia possibile. Non riesco a capire da cosa sia provocata: può darsi che sia soltanto un’illusione, comunque ci sto provando. Lasciatemi continuare, forse ci incontreremo ancora.»

«Oppure, se tornerà dov’è adesso, alla fine si troverà in trappola. Lei pensa che l’impero la lascerà in pace finché lavorerà alla psicostoria, ma io sono sicuro che l’imperatore e il suo leccapiedi Demerzel non abbiano voglia di aspettare in eterno, proprio come me.»

«La fretta non gli servirà a nulla» replicò Seldon calmo «dal momento che non sono dalla loro parte, bensì dalla vostra. Andiamo, Dors.»

Si voltarono e si allontanarono da Davan, lasciandolo solo nella squallida stanza. All’esterno trovarono Raych che li aspettava.

76

Raych in quel momento stava mangiando, leccandosi le dita; appallottolò il sacchetto in cui c’era il cibo, qualunque cosa fosse. Nell’aria ristagnava un forte odore di cipolle, ma in qualche modo diverso. Forse dipendeva da una sostanza fermentante.

Scostandosi un po’ per sottrarsi all’odore, Dors chiese: «Dove hai preso la cena?».

«Me l’hanno portata i ragazzi di Davan. Lui è un tipo a posto.»

«Allora non dobbiamo pagartela noi, giusto?» chiese Seldon pensando al proprio stomaco vuoto.

«Mi dovete qualcosa!» esclamò Raych lanciando un’occhiata avida in direzione di Dors. «Uno dei coltelli della signora, per esempio.»

«Niente coltello» disse Dors. «Riportaci indietro e ti darò cinque crediti.»

«Con cinque crediti non ci compro nessun coltello.»

«Avrai solo cinque crediti.»

«È una signora carogna» sbottò Raych.

«Sono una signora carogna svelta di coltello, Raych, quindi cammina.»

«D’accordo, non si scaldi.» Raych agitò una mano. «Da questa parte.»

Ripercorsero i cunicoli deserti, ma Dors, guardandosi intorno, a un certo punto si fermò. «Fermo, Raych. Ci stanno seguendo.»

Il ragazzino pareva esasperato. «Ma qui non si dovrebbe sentire nulla!»

Seldon piegò la testa di lato. «Infatti.»

«Io me ne sono accorta» disse Dors. «Ora, Raych, niente sciocchezze. Dimmi subito cosa succede, altrimenti prenderai tante botte in testa che vedrai storto per una settimana. Non scherzo!»

Raych alzò un braccio assumendo una posa difensiva. «Ci provo, signora. Sono i ragazzi di Davan e stanno solo proteggendoci, casomai dovesse arrivare qualche duro.»

«I ragazzi di Davan?»

«Già. Sono nei corridoi di servizio.»

All’improvviso Dors afferrò Raych per la collottola e lo sollevò da terra.

«Ehi, signora, ehi!» sbraitò il ragazzino penzolando.

«Dors, non essere troppo severa con lui» intervenne Seldon.

«Sarò ancora più cattiva se penserò che mente. Io devo badare a te, Hari, non a lui.»

«Non sto mentendo» protestò Raych dimenandosi.

«Sono certo che non mente» disse Seldon.

«Be’, lo vedremo. Raych, di’ a quei tipi di uscir fuori in modo che possiamo vederli.» Dors lasciò andare il ragazzino e si spolverò le mani.

«Lei è un po’ matta» disse Raych offeso. Poi alzò la voce. «Yay e voialtri! Venite fuori, per Davan. Qualcuno venga qui.»

Una breve attesa, poi da un’apertura non illuminata lungo il corridoio sbucarono due uomini dai baffi scuri, uno con una cicatrice che gli attraversava tutta la guancia. Entrambi brandivano un coltello.

«Quanti altri ce ne sono, oltre a voi due?» chiese Dors brusca.

«Un po’» rispose uno. «Ordini, vi stiamo scortando. Davan vuole che non vi succeda nulla.»

«Grazie, ma cercate di essere ancora più silenziosi. Raych, continua.»

Raych disse imbronciato: «Mi ha maltrattato e io dicevo la verità».

«Hai ragione» ammise Dors. «Almeno, penso che tu abbia ragione e mi scuso.»

«Non so se devo accettare le sue scuse» replicò il ragazzino impettito. «Be’, d’accordo, solo per questa volta.» E riprese a camminare.

Quando raggiunsero la strada, il drappello invisibile di guardie svanì, o almeno, neppure Dors riuscì a sentirle. Ormai, comunque, stavano entrando nella parte rispettabile del settore.

«Non credo che abbiamo dei vestiti che ti vadano bene, Raych» disse Dors meditabonda.

«Perché le servono dei vestiti che mi vadano bene, signora?» (Raych sembrava più rispettoso, una volta fuori dai corridoi.) «Io ho i miei.»

«Pensavo che ti sarebbe piaciuto venire nel nostro alloggio e fare un bagno.»

«E perché? Uno di questi giorni mi laverò e metterò l’altra maglietta.» Raych guardò Dors, l’espressione scaltra. «È dispiaciuta per avermi maltrattato, vero? E sta cercando di fare la pace.»

Dors sorrise. «Sì, più o meno.»

Raych agitò la mano con fare altezzoso. «Non è successo niente, non mi ha fatto male. Ehi, lei è forte per essere una donna. Mi ha sollevato come se fossi aria.»

«Ero irritata, Raych. Devo preoccuparmi del signor Seldon.»

«È la sua guardia del corpo?» Il ragazzino lanciò un’occhiata interrogativa a Seldon. «Ha una signora come guardia del corpo?»

«Non posso farci nulla» si giustificò Seldon con un sorriso forzato. «Lei insiste. E quel che è certo è che sa fare bene il suo lavoro.»

«Pensaci bene, Raych. Sicuro di non voler fare un bagno? Un bel bagno caldo?» gli chiese Dors.

«Impossibile. Crede che quella donna mi lascerà entrare ancora in casa?»

Dors alzò lo sguardo e vide che Casilia Tisalver, di fronte al portone degli appartamenti, fissava prima lei e poi il ragazzino dei bassifondi. Era impossibile stabilire a chi dei due avesse rivolto l’occhiata più rabbiosa.

Raych li salutò. «Be’, ci vediamo, signore. Signora... magari quella non farà entrare nemmeno voi.» Mise le mani in tasca e si allontanò, ostentando un’aria disinvolta e indifferente.

«Buonasera, signora Tisalver. Piuttosto tardi, vero?» disse Seldon.

«È molto tardi» replicò la donna. «E per di più oggi di fronte a questo complesso per poco non c’è stata una sommossa, a causa del giornalista contro cui avete aizzato la feccia.»

«Noi non abbiamo aizzato nessuno» disse Dors.

«Ero presente» ribatté la signora Tisalver intransigente. «Ho visto tutto.» Si scostò per lasciarli entrare, ma indugiò alcuni secondi per esprimere in modo inequivocabile la propria riluttanza.

«Da come si comporta, si direbbe che l’episodio di oggi sia stato la classica ultima goccia» osservò Dors mentre salivano nelle loro stanze.

«E allora? Cosa può fare?» chiese Seldon.

«Chissà.»