3
Gli occhi di Ranuncolo riflettono il debole chiarore della luce di sicurezza che sta sopra la porta, mentre lui, disteso nell’incavo del braccio di Prim, è di nuovo all’erta per proteggerla dalla notte. Lei è rannicchiata vicino a mia madre. Addormentate, hanno lo stesso aspetto che avevano la mattina della Mietitura che mi condusse per la prima volta ai Giochi. Io ho un letto tutto mio perché mi sto ristabilendo e perché in ogni caso, tra incubi e soprassalti, nessuno riesce a dormire con me.
Dopo essermi girata e rigirata per ore, alla fine accetto l’idea che sarà una notte insonne. Sotto lo sguardo vigile di Ranuncolo, attraverso in punta di piedi il freddo pavimento piastrellato fino al cassettone.
Il cassetto di mezzo contiene la mia fornitura governativa di abiti. Tutti portano identici pantaloni e camicia entrambi grigi, con la camicia infilata nella cintura. Sotto i vestiti, conservo le poche cose che avevo con me quando venni prelevata dall’arena. La mia spilla con la ghiandaia imitatrice. Il dono di Peeta, il medaglione d’oro che racchiude la foto di mia madre e Prim e quella di Gale. Un paracadute argentato che avvolge una spillatrice per attingere acqua dagli alberi. E la perla che Peeta mi ha regalato qualche ora prima che facessi saltare il campo di forza. Il Distretto 13 ha confiscato il tubetto di pomata per la pelle perché venga usato in ospedale, e il mio arco con le frecce, perché solo le guardie sono autorizzate a portare armi. È stato preso in custodia dall’armeria.
Cerco a tastoni il paracadute e faccio scivolare le dita all’interno finché non si stringono intorno alla perla. Torno a sedermi sul letto a gambe incrociate e mi scopro a strofinarmi quella liscia superficie iridescente sulle labbra. Per qualche motivo, è rassicurante. Un fresco bacio proveniente dalla persona che mi ha regalato la perla.
— Katniss? — bisbiglia Prim. È sveglia e mi sta scrutando nel buio. — Cosa c’è che non va?
— Niente. Solo un brutto sogno. Torna a dormire. — È automatico. Chiudere fuori da tutto mia madre e Prim per proteggerle.
Attenta a non svegliare la mamma, Prim scende delicatamente dal letto, prende in braccio Ranuncolo e si siede accanto a me. Tocca la mano che teneva la perla. — Tu hai freddo. — Prende una coperta di scorta dal fondo del letto e copre tutti e tre, avvolgendomi nel suo tepore, oltre che nel calore peloso di Ranuncolo. — Potresti parlarmene, sai. Sono brava a mantenere i segreti. Anche con la mamma.
Se ne è proprio andata, allora. La ragazzina con la camicetta che sporgeva sulla schiena come la coda di una paperella, quella che aveva bisogno di aiuto per arrivare ai piatti e ti supplicava di farle vedere i dolci glassati nella vetrina della panetteria. Il tempo e la catastrofe l’hanno costretta a crescere troppo in fretta, almeno per i miei gusti, e a trasformarsi in una giovane donna che ricuce ferite sanguinanti e sa che nostra madre non è in grado di darle retta più di tanto.
— Ho intenzione di accettare il ruolo della Ghiandaia Imitatrice, domattina — le dico.
— Perché lo vuoi o perché ti senti obbligata a farlo? — chiede lei.
Faccio una risatina. — Entrambe le cose, immagino. No, voglio farlo. Anzi devo, se questo può aiutare i ribelli a sconfiggere Snow. — Stringo con più forza la perla nel pugno. — È solo che… Peeta. Temo che, se vinceremo, i ribelli lo giustizieranno come traditore.
Prim ci riflette su. — Katniss, non credo che tu capisca quanto sei importante per la causa. Di solito le persone importanti ottengono ciò che vogliono. Se vuoi proteggere Peeta dai ribelli, puoi farlo.
Immagino di essere importante. Si sono presi un bel po’ di disturbo, per salvarmi. Mi hanno portato nel 12. — Vuoi dire che… potrei chiedere loro di concedere l’immunità a Peeta? E che sarebbero costretti ad accettare?
— Credo che tu potresti chiedere praticamente tutto e che loro sarebbero costretti ad accettare. — Prim aggrotta la fronte. — Solo, come si fa a sapere che manterranno la parola?
Ricordo tutte le frottole che Haymitch raccontava a Peeta e a me per farci fare quello che voleva. Cosa impedirebbe ai ribelli di sconfessare l’accordo? Una promessa verbale fatta a porte chiuse, persino una dichiarazione scritta, sarebbe facile farle svanire, dopo la guerra. La loro stessa esistenza potrebbe essere negata. Inutile avere testimoni appartenenti al Comando. Di fatto, è probabile che sarebbero proprio loro a decretare la condanna a morte di Peeta. Mi servirà una cerchia di testimoni molto più ampia. Mi serviranno tutti quelli che riesco a trovare.
— Dovrà essere un accordo pubblico — dico. Ranuncolo dà un colpetto di coda che prendo come un cenno di assenso. — Farò in modo che la Coin lo annunci davanti a tutta la popolazione del 13.
Prim sorride. — Ottimo. Non è una garanzia, ma per loro sarà molto più difficile ritirare la parola data.
Provo il genere di sollievo che segue a una vera soluzione. — Dovrei svegliarti più spesso, paperella.
— Vorrei che lo facessi — dice Prim. Mi dà un bacio. — Cerca di dormire adesso, va bene? — E io dormo.
La mattina, vedo che la voce Ore 7.00 Colazione è seguita direttamente da Ore 7.30 Comando, il che mi va benissimo, perché non c’è ragione di rimandare la prima mossa. Nel refettorio mostro rapidamente il mio programma, che comprende un qualche tipo di numero di identificazione, a un sensore. Mentre faccio scivolare il vassoio sul ripiano metallico davanti alle vaschette del cibo, vedo che il menu della colazione va sul sicuro, come al solito: una scodella di cereali, una tazza di latte e una piccola porzione di frutta o di verdura. Oggi, purea di rape. Il tutto viene dalle fattorie sotterranee del 13. Siedo al tavolo assegnato alle Everdeen, agli Hawthorne e a qualche altro profugo, e ingollo il mio cibo, desiderando un bis che qui non c’è mai. Hanno fatto dell’alimentazione una scienza. Te ne vai con le calorie che ti bastano per arrivare al pasto successivo, né più né meno. Le dimensioni delle porzioni si basano sull’età, l’altezza, il tipo di corporatura, le condizioni di salute e l’entità dello sforzo fisico richiesto dal programma di ognuno. Noi del 12 stiamo già ricevendo porzioni leggermente più abbondanti rispetto alla gente del 13, perché vogliono farci aumentare di peso. Immagino che i soldati scheletrici si stanchino troppo in fretta. Però funziona. Nel giro di un solo mese, cominciamo ad avere un aspetto più sano, soprattutto i bambini.
Gale mette il vassoio accanto a me e io cerco di non fissare le sue rape con espressione eccessivamente patetica, perché davvero ne vorrei ancora e lui è già fin troppo rapido nell’allungarmi il suo cibo. Anche se dedico tutta la mia attenzione a piegare con cura il tovagliolo, una cucchiaiata di rape mi si rovescia comunque nella scodella.
— Devi smettere di farlo — dico. Ma, visto che sto già spazzolando quell’extra, le mie parole non suonano molto convincenti. — Davvero. Probabilmente è illegale o roba del genere. — Hanno regole severissime sul cibo. Per esempio, se non finisci qualcosa e vuoi tenertela per dopo, non puoi portarla fuori dal refettorio. Nel primo periodo, a quanto pare, si sono verificati casi di accaparramento di vettovaglie. Per due persone come me e Gale, che abbiamo provveduto al sostentamento delle nostre famiglie per anni, la cosa non è molto piacevole. Sappiamo cosa significa avere fame, ma non siamo abituati a sentirci dire come usare i nostri viveri. Per certi versi, il Distretto 13 è persino più dispotico di Capitol City.
— Cosa possono farmi? Si sono già presi il mio bracciale comunicatore — dice Gale.
Mentre raschio il fondo della mia scodella, ho un’ispirazione. — Ehi, forse dovrei imporlo come condizione per fare la Ghiandaia Imitatrice.
— Cosa, che io ti passi le rape?
— No, che io e te possiamo andare a caccia. — Questo attira la sua attenzione. — Dovremmo dare tutto alle cucine. Però potremmo comunque… — Non ho bisogno di concludere la frase, perché lui lo sa. Potremmo andare in superficie. Nei boschi. Essere di nuovo noi stessi.
— Fallo — dice. — È il momento giusto. Potresti chiedere la luna e loro sarebbero costretti a trovare un modo per procurartela.
Lui non sa che sto già per chiedere la luna, pretendendo che risparmino la vita di Peeta. Prima di decidere se dirglielo o no, una campanella segnala la fine del nostro turno in mensa. Il pensiero di affrontare la Coin da sola mi rende nervosa. — Cosa prevede il tuo programma?
Gale si controlla il braccio. — Corso di Storia del Nucleare. Nel quale, tra l’altro, la tua assenza è stata notata.
— Devo andare al Comando. Vieni con me? — chiedo.
— Va bene. Ma potrebbero anche sbattermi fuori, dopo quel che è successo ieri. — Mentre andiamo a deporre i nostri vassoi, dice: — Sai, faresti meglio a mettere anche Ranuncolo nel tuo elenco di richieste. Non credo che il concetto di animale domestico privo di utilità sia molto conosciuto, da queste parti.
— Oh, gli troveranno un lavoro, vedrai. E glielo tatueranno sulla zampa ogni mattina — dico. Ma prendo un appunto mentale di includere anche lui, per il bene di Prim.
Quando arriviamo al Comando, la Coin, Plutarch e tutti i loro accoliti sono già riuniti. La vista di Gale fa inarcare qualche sopracciglio, ma nessuno lo sbatte fuori. I miei appunti mentali sono diventati troppo confusi, perciò chiedo subito un pezzo di carta e una matita. Il mio apparente interesse per la riunione (è la prima volta che lo dimostro, da quando mi trovo qui) li coglie di sorpresa. Parecchi di loro si scambiano occhiate. È probabile che avessero in programma di rifilarmi un predicozzo coi fiocchi. E invece è la Coin in persona a porgermi carta e penna, e tutti attendono in silenzio mentre siedo al tavolo e scarabocchio il mio elenco. Ranuncolo. Caccia. Immunità per Peeta, annunciata in pubblico.
Ecco qua. Forse la mia unica occasione di negoziare. Pensa. Cos’altro vuoi? Lo sento, in piedi alle mie spalle. Gale, aggiungo. Non credo di essere in grado di farcela senza di lui.
Sta arrivando l’emicrania e i miei pensieri cominciano a ingarbugliarsi. Chiudo gli occhi e attacco a recitare in silenzio.
Mi chiamo Katniss Everdeen. E ho diciassette anni. Sono nata nel Distretto 12. Ho partecipato agli Hunger Games. Sono fuggita. Capitol City mi odia. Peeta è stato fatto prigioniero. È vivo. È un traditore, ma è vivo. Devo mantenerlo in vita…
L’elenco. Sembra ancora troppo breve. Dovrei cercare di pensare più in grande, di vedere oltre la situazione presente nella quale sono molto importante e immaginare un futuro nel quale potrei anche non valere più niente. Non dovrei chiedere di più? Per la mia famiglia? Per quelli che restano della mia gente? Mi prude la pelle per le ceneri dei morti. Sento l’impatto rivoltante di un cranio contro la mia scarpa. L’odore di sangue e di rose mi punge le narici.
La matita si muove da sola sulla pagina. SARÒ IO A UCCIDERE SNOW. Se verrà catturato, pretendo questo privilegio.
Plutarch dà un colpo di tosse discreto. — Hai fatto? — Alzo gli occhi e noto l’orologio. Sono rimasta seduta qui per venti minuti. Finnick non è l’unico ad avere problemi di attenzione.
— Sì — dico. La mia voce suona roca, perciò mi schiarisco la gola. — Sì. Allora, questi sono i patti. Sarò la vostra Ghiandaia Imitatrice.
Aspetto per dare loro la possibilità di esprimere sollievo, congratularsi e distribuirsi pacche sulle spalle. La Coin rimane impassibile come sempre e mi osserva, niente affatto colpita.
— Però, ho alcune condizioni. — Spiego l’elenco e comincio. — La mia famiglia potrà tenere il nostro gatto. — La più piccola delle mie richieste solleva una discussione. I ribelli di Capitol City la considerano un’inezia – certo che posso tenere il mio animale domestico – mentre quelli del 13 si diffondono in spiegazioni sulle enormi difficoltà che ciò comporterebbe. Alla fine si decide che verremo trasferite al piano più alto, dove disporremo del lusso di una finestra che sporge alla luce di una ventina di centimetri. Ranuncolo potrà andare e venire e farsi gli affari suoi. Dovrà nutrirsi da sé. Se mancherà il coprifuoco, rimarrà chiuso fuori. Se causerà un problema di sicurezza qualsiasi, verrà ucciso all’istante.
Sembra passabile. Non molto diverso dal modo in cui ha vissuto da quando ce ne siamo andati, eccetto la parte dell’uccisione.
Nel caso dovesse dimagrire troppo, posso allungargli io qualche frattaglia, sempre che la mia prossima richiesta venga accettata.
— Voglio andare a caccia. Con Gale. Nei boschi — dico. Questo fa esitare tutti.
— Non andremo lontano. Useremo i nostri archi. E voi potreste avere la carne per le cucine — aggiunge Gale.
Proseguo in fretta, prima che possano dire di no. — È solo che… non riesco a respirare, chiusa qui dentro… Migliorerei più rapidamente, se potessi andare a caccia.
Plutarch comincia a spiegare gli inconvenienti che ci sono qui – i pericoli, le misure di sicurezza extra, il rischio di ferirsi – ma la Coin lo interrompe. — No. Lasciali fare. Dagli due ore al giorno, detraendole da quelle dell’addestramento. Un raggio d’azione di quattrocento metri, con unità di comunicazione e localizzatori da caviglia. La prossima richiesta?
Scorro il mio elenco. — Gale. Avrò bisogno di averlo con me per fare quello che mi chiedete.
— Con te in che modo? Fuori onda? Sempre al tuo fianco? Vuoi che venga presentato come il tuo nuovo innamorato? — chiede la Coin.
Non l’ha detto con particolare malignità, anzi, si è espressa in tono molto pratico. Ma io rimango comunque a bocca aperta per lo stupore. — Cosa?
— Penso che dovremmo mantenere l’attuale idillio con Peeta. Un rapido allontanamento da Peeta potrebbe farle perdere il sostegno del pubblico — dice Plutarch. — Tanto più che tutti la credono incinta di suo figlio.
— D’accordo. Quindi, in video, Gale può essere presentato semplicemente come un compagno di lotta. Va bene così? — dice la Coin. La fisso e basta. Lei ripete la domanda, impaziente. — Per Gale. Ti basta?
— Possiamo sempre inserirlo come tuo cugino — dice Fulvia.
— Non siamo cugini — replichiamo io e Gale all’unisono.
— Vero, ma forse è meglio che davanti alle telecamere manteniamo questa versione, per salvare le apparenze — dice Plutarch. — Fuori onda, è tutto tuo. Qualcos’altro?
Sono innervosita dalla piega che ha preso la conversazione. Dall’insinuazione che potrei sbarazzarmi di Peeta con tanta facilità, che sono innamorata di Gale, che tutta la faccenda non è stata altro che una messinscena. Le mie guance cominciano a bruciare. L’idea stessa che io dedichi anche un solo pensiero a chi voglio che sia presentato come mio innamorato, tenuto conto delle attuali circostanze, è umiliante. Lascio che la rabbia mi sia di stimolo per porre la domanda più importante. — Quando la guerra sarà finita, se vinciamo, Peeta verrà graziato.
Silenzio completo. Sento irrigidirsi il corpo di Gale. Immagino che avrei dovuto dirglielo prima, ma non ero sicura di come avrebbe reagito, considerando che la cosa riguardava Peeta.
— Non gli sarà inflitta alcuna pena, sotto nessuna forma — continuo. Un nuovo pensiero mi balena in testa. — Lo stesso vale per gli altri tributi catturati, Johanna ed Enobaria. — Per essere sincera, non mi importa niente di Enobaria, la brutale rappresentante del Distretto 2. In realtà mi è proprio antipatica, ma lasciarla fuori mi sembra sbagliato.
— No — dice la Coin recisamente.
— Sì — ribatto. — Non è colpa loro se li avete abbandonati nell’arena. E chissà cosa gli sta facendo Capitol City.
— Verranno giudicati insieme ad altri criminali di guerra e trattati come il tribunale riterrà opportuno — dice lei.
— Loro riceveranno l’immunità! — Sento il mio corpo alzarsi dalla sedia, la mia voce risuonare netta e squillante. — Lei si impegnerà personalmente a concederla davanti all’intera popolazione del Distretto 13 e ai superstiti del 12. Oggi stesso. La sua dichiarazione sarà registrata a futura memoria. Lei e il suo governo sarete responsabili della loro incolumità, altrimenti potete anche trovarvi un’altra Ghiandaia Imitatrice!
Le mie parole rimangono sospese nell’aria per un lungo istante.
— È lei! — sento Fulvia sibilare a Plutarch. — Uniforme completa, spari in sottofondo e appena un po’ di fumo intorno.
— Sì, è questo che vogliamo — dice Plutarch sottovoce.
Vorrei lanciare loro un’occhiataccia, ma sento che sarebbe un errore distogliere la mia attenzione dalla Coin. La osservo mentre valuta il prezzo del mio ultimatum, lo soppesa in rapporto al mio possibile valore.
— Cosa ne dice, presidente? — chiede Plutarch. — Potrebbe concedere un perdono ufficiale, date le circostanze. Il ragazzo… non è neppure maggiorenne.
— Benissimo — dice alla fine la Coin. — Ma farai meglio a recitare bene la tua parte.
— Reciterò la mia parte quando lei avrà dato l’annuncio — replico.
— Convocate una riunione di sicurezza nazionale durante la Riflessione, oggi — ordina. — Darò l’annuncio allora. È rimasto nient’altro sul tuo elenco, Katniss?
Il foglio di carta è appallottolato nel mio pugno destro. Liscio la pagina sul tavolo e leggo le lettere sgangherate. — Solo un’altra cosa. Sarò io a uccidere Snow.
Per la prima volta in assoluto, vedo l’accenno di un sorriso sulle labbra della presidente. — Quando verrà il momento, io e te ce la giocheremo a sorte.
Forse ha ragione. Di certo, non sono l’unica a vantare un credito nei confronti della vita di Snow. E credo di poter contare su di lei perché il lavoro venga eseguito. — Va bene.
Gli occhi della Coin sono guizzati verso il suo braccio, verso l’orologio. Anche lei ha un programma cui attenersi. — La lascio nelle tue mani, Plutarch. — Esce dalla stanza, seguita dalla sua équipe, e rimaniamo solo io, Plutarch, Fulvia e Gale.
— Eccellente. Eccellente. — Plutarch sprofonda in una sedia, i gomiti sul tavolo, strofinandosi gli occhi. — Sapete cosa mi manca? Il caffè. Sarebbe poi tanto impensabile avere qualcosa che aiuti a mandare giù la farinata e le rape, vi chiedo?
— Non pensavamo che ci sarebbero state regole così ferree, qui — ci spiega Fulvia mentre massaggia le spalle di Plutarch. — Non ai livelli più alti.
— O almeno credevamo che una piccola scappatoia fosse possibile — dice Plutarch. — Voglio dire, persino il 12 aveva un mercato nero, no?
— Sì, il Forno — dice Gale. — È lì che facevamo i nostri baratti.
— Ecco, vedete? E guarda un po’ quanto siete onesti voi due! Praticamente incorruttibili. — Plutarch sospira. — Oh, be’, le guerre non durano per sempre. Dunque, lieto di avervi in squadra. — Allunga una mano di lato, dove Fulvia sta già tendendo un grande album di schizzi rilegato in pelle nera. — In generale, sai già cosa ti chiediamo, Katniss. So che hai sensazioni contrastanti sulla tua partecipazione. Spero che questo possa esserti d’aiuto.
Plutarch fa scivolare l’album attraverso il tavolo verso di me. Lo guardo, sospettosa. Poi la mia curiosità ha la meglio. Sollevo la copertina e trovo un’immagine che mi ritrae, dritta e vigorosa, con una uniforme nera. C’è solo una persona che può aver disegnato quella tenuta, a prima vista estremamente pratica, un’opera d’arte a un esame più attento. La forma dell’elmetto, la curva delle piastre che proteggono il torace , l’ampiezza delle maniche che rende visibili le pieghe bianche sotto le braccia. Nelle sue mani, sono di nuovo una ghiandaia imitatrice.
— Cinna — sussurro.
— Sì. Mi ha fatto promettere di non mostrarti questo album finché tu non avessi deciso da te di essere la Ghiandaia Imitatrice. Ero molto tentato, credimi — dice Plutarch. — Va’ avanti. Sfoglialo.
Giro le pagine pian piano, osservando ogni dettaglio dell’uniforme. Gli strati su misura del giubbotto antiproiettile, le armi nascoste negli stivali e nella cintura, il rinforzo speciale sopra il cuore. Nell’ultima pagina, sotto uno schizzo della mia spilla con la ghiandaia, Cinna ha scritto: Io scommetto ancora su di te.
— Quando l’ha… — Mi manca la voce.
— Vediamo… Be’, dopo l’annuncio dell’Edizione della Memoria. Qualche settimana prima dei Giochi, forse? Ma non ci sono solo i disegni. Abbiamo le tue uniformi. Oh, e Beetee ha qualcosa di davvero speciale che ti aspetta di sotto, nell’armeria. Non voglio parlarne per non rovinarti la sorpresa — dice Plutarch.
— Sarai la ribelle meglio vestita della storia — osserva Gale con un sorriso. Di colpo, mi rendo conto che anche lui mi ha nascosto delle cose. Come Cinna, ha voluto sin dall’inizio che fossi io a prendere questa decisione.
— Il nostro piano è lanciare un Attacco via Etere — dice Plutarch. — Realizzare una serie di quelli che noi chiamiamo “pass-pro”, abbreviazione di “passaggi propagandistici”, in cui appari tu, e diffonderli tra tutta la popolazione di Panem.
— E come? Capitol City ha il controllo esclusivo delle trasmissioni — replica Gale.
— Ma noi abbiamo Beetee. Circa dieci anni fa, ha in sostanza ridisegnato la rete sotterranea che trasmette l’intera programmazione. Lui crede che ci siano buone possibilità di farla funzionare. Naturalmente, ci serve qualcosa da mandare in onda. Perciò, Katniss, lo studio è a tua disposizione. — Plutarch si rivolge alla sua assistente. — Fulvia?
— Io e Plutarch abbiamo parlato a lungo di come diavolo potevamo realizzare tutto questo. Secondo noi, la cosa migliore da fare è costruire il tuo personaggio di leader della nostra rivolta dall’esterno verso l’interno. In altre parole, dobbiamo trovare il look da Ghiandaia Imitatrice più sbalorditivo possibile e poi modellare la tua personalità di conseguenza! — dice vivacemente.
— La sua uniforme l’avete già — obietta Gale.
— Sì, ma su Katniss ci sono forse cicatrici e sangue? Risplende del fuoco della ribellione? Sino a che punto possiamo coprirla di sporcizia senza disgustare la gente? In ogni caso, la sua deve essere una figura a effetto. Voglio dire, è ovvio che questo — rapida, Fulvia si avvicina e mi incornicia il viso con le mani — non sarà sufficiente. — Per riflesso tiro indietro la testa di scatto, ma lei è già occupata a radunare le sue cose. — E pensando alla tua immagine, ti abbiamo riservato un’altra piccola sorpresa. Vieni, vieni.
Fulvia ci fa un cenno con la mano, e io e Gale seguiamo lei e Plutarch nel corridoio.
— Così benintenzionata eppure così sgradevole — mi bisbiglia all’orecchio Gale.
— Benvenuto a Capitol City — ribatto, muovendo solo le labbra. Ma le parole di Fulvia non hanno alcun effetto su di me. Stringo forte l’album di schizzi tra le braccia e mi concedo di sentirmi ottimista. Questa dev’essere la decisione giusta, se era voluta da Cinna.
Saliamo su un ascensore e Plutarch controlla i suoi appunti. — Vediamo un po’. È la Sezione 3908. — Preme un pulsante marcato 39, ma non succede niente.
— Devi usare la chiave — dice Fulvia.
Plutarch estrae da sotto la camicia una chiave attaccata a una catenella e la inserisce in una fessura che prima non avevo notato. Le porte scorrevoli si richiudono. — Ah, ci siamo.
L’ascensore scende per dieci, venti, trenta livelli, molto più giù della profondità cui pensavo arrivasse il Distretto 13. Si apre su un ampio corridoio bianco ai lati del quale si allineano delle porte rosse, quasi ornamentali rispetto a quelle grigie dei piani superiori. Ognuna è contrassegnata solo da un numero. 3901, 3902, 3903…
Mentre usciamo, lancio un’occhiata dietro di me per guardare l’ascensore chiudersi e vedo una grata metallica scorrere sulle porte vere e proprie. Quando mi giro, un sorvegliante si è materializzato da una delle stanze in fondo al corridoio. Una porta si richiude silenziosamente alle sue spalle mentre avanza a grandi passi verso di noi.
Plutarch si muove per andargli incontro, con noialtri al seguito e una mano sollevata in segno di saluto. C’è qualcosa di molto sbagliato, quaggiù. Più dell’ascensore blindato, più della sensazione claustrofobica che dà il trovarsi tanto al di sotto del livello del suolo, più dell’odore pungente di disinfettante. Un’occhiata al viso di Gale e capisco che lo avverte anche lui.
— Buongiorno, stavamo cercando… — comincia a dire Plutarch.
— Siete al piano sbagliato — lo interrompe bruscamente il sorvegliante.
— Davvero? — Plutarch ricontrolla i suoi appunti. — Qui c’è scritto 3908. Forse potresti fare una telefonata di sopra a…
— Temo di dovervi chiedere di andarvene subito. Per le variazioni di incarico, potete rivolgervi all’Ufficio Centrale — dice lui.
È proprio davanti a noi. Sezione 3908. Ad appena qualche passo di distanza. La porta, anzi, tutte le porte sembrano incomplete. Niente maniglie. Devono girare liberamente sui cardini come quella da cui è sbucata la guardia.
— E dov’è? — chiede Fulvia.
— Troverete l’Ufficio Centrale al Livello 7 — dice il sorvegliante, tendendo il braccio per indirizzarci di nuovo verso l’ascensore.
Da dietro la porta 3908 proviene un suono. Un lievissimo mugolio. Tipo quello che potrebbe emettere un cane impaurito per evitare di essere picchiato, ma sin troppo umano e familiare. I miei occhi incontrano lo sguardo di Gale solo per un istante, ma è sufficiente, per due come noi. Lascio cadere l’album di Cinna ai piedi del sorvegliante con gran fragore. Un secondo dopo, lui si china a raccoglierlo. Anche Gale si china, battendo deliberatamente la testa contro la sua. — Oh, scusa — dice con una risatina, afferrandogli il braccio come per riacquistare l’equilibrio e facendolo girare leggermente da una parte rispetto a me.
È la mia occasione. Sfreccio intorno al sorvegliante distratto, spingo la porta 3908 e li trovo: mezzi nudi, coperti di lividi e incatenati alla parete.
Il mio staff di preparatori.