Capitolo diciotto

La domenica mattina Michelle aprì la porta con gli occhi pieni di lacrime e il naso rosso. L’intuito da psicologa di Danica si accese immediatamente. «Che cosa è successo?». Entrò nell’ingresso.

«La nonna si è ammalata», spiegò Michelle tra le lacrime.

«Ammalata di cosa? È qui?». Danica si guardò intorno nella piccola stanza, poi lanciò uno sguardo verso la cucina.

«È in camera da letto». Michelle guidò la sua psicologa nel salotto. Le foto di famiglia coprivano la parete sopra il piccolo camino. Il tappeto dorato sotto i piedi era consumato, e aveva assunto il colore smorto della polvere di senape. Su un lato c’era un pianoforte, con le foto di Michelle ritratta a ogni età e una di sua madre da giovane.

«Michelle, sta bene tua nonna? Devo portarla in ospedale?». Danica aspettava una spiegazione mentre Michelle tirava su col naso e si asciugava gli occhi.

Scosse la testa. «No, non ha la febbre né altro. È solo stanca e ha mal di gola».

Danica fece un sospiro di sollievo. «Grazie a Dio. Mi hai spaventata. Ma allora perché piangi? C’è qualche altro problema?». Osservò il viso di Michelle per trovare i segni di altre complicazioni e vide che sotto le lacrime le guance tremavano. «Michelle, che cosa è successo? Puoi dirmelo».

«È solo che…». Si asciugò gli occhi. «È stupido, lo so ma… non posso fare a meno di pensarci… e se la nonna muore? Chi si prenderà cura di me?».

Anche Danica era preoccupata da quella eventualità. La verità era che Michelle non aveva altri parenti a cui rivolgersi. Probabilmente sarebbe stata inserita nel sistema delle adozioni fino a quando non avesse raggiunto i diciotto anni… a meno che sua madre non fosse riuscita a rimettersi in carreggiata.

«Non puoi pensare a una cosa del genere. Tua nonna non è anziana, per niente, e non c’è da preoccuparsi per un raffreddore».

Michelle prese un fazzolettino e si soffiò il naso. «Sapevo che non avresti capito». Si alzò e andò nella sala da pranzo.

Danica la seguì. «Michelle, tesoro, capisco la tua preoccupazione, ma quello che temi non accadrà».

Michelle si voltò a guardarla con gli occhi pieni di astio. «Come fai a saperlo? Non puoi dirlo. Nessuno può dirlo!».

«È vero, ma parliamone. C’è sempre tua madre. Potrebbe…».

«Davvero? Mia madre? Ma sai di chi stai parlando? È stata in una clinica di disintossicazione due volte. Non mi è mai stata vicina. Quando guarisce dura quel tanto prima di trovare un altro uomo alcolizzato e disgustoso con il quale convivere, e io resto da sola a chiedermi quanto passerà fino alla prossima ricaduta. La mia vita è uno schifo».

«Michelle, tua madre non si trova più nella clinica di disintossicazione. Questa volta sei stata tu a scegliere di non vivere con lei. Faceva due lavori per arrivare alla fine del mese. Non è vero che non ti stava vicino, si dava da fare per te. Tirare su una figlia da sola è dura».

«Lo vedi? Sei dalla sua parte», la accusò Michelle.

«No, non è vero. Ma sono sicura che lei sta facendo del suo meglio, e forse tu dovresti darle una possibilità. Quando l’hai vista l’ultima volta?». Danica si rese conto che Michelle non le parlava di un incontro con sua madre da mesi.

«Non ho intenzione di vederla. Sono un’adolescente! Sono io quella che dovrebbe fare sciocchezze, non lei!». Michelle si alzò e incrociò le braccia, singhiozzando e scalpitando di rabbia.

Danica alzò le mani al cielo. «Accidenti a lei!». Vide che Michelle spalancava gli occhi. «Come si permette di ignorare i tuoi bisogni! A che diavolo pensa? Chi si crede di essere?». Danica incrociò le braccia mentre Michelle scioglieva le sue.

«Che cosa stai facendo?», chiese Michelle in tono scocciato.

«Sono stufa. È stata lei a metterti in questa situazione. Al diavolo la malattia o la dipendenza che non può controllare. Dovrebbe crescere!».

«Non credi a quello che dici».

La rabbia nella voce di Michelle iniziava a scemare, e Danica rincarò la dose. «Dico sul serio. Al diavolo la scusa della dipendenza. Lei deve crescere e prendersi le sue maledette responsabilità. La tua povera nonna è a letto malata, a preoccuparsi per sua nipote e per sua figlia, e tua madre cosa fa? Entra ed esce da una clinica di disintossicazione, pagata da chi sai bene», e indicò la stanza da letto di Nola. «E forse si diverte per ogni stramaledetto minuto della sua comoda vita».

«Non può farci niente. È alcolizzata».

Dentro di sé, Danica ammirò Michelle per aver difeso sua madre, ma disse: «Sì, certo che può! Può smettere di bere. Può decidere di smettere di lavorare tanto e quando è sobria passare più tempo con te».

«Non sai quello che dici! Sei una psicologa. Dovresti sapere che la dipendenza non è una scelta», disse Michelle a denti stretti.

“Bene. Sfogati”. «Lo hai detto anche tu. Alcune settimane fa hai detto che lei ha fatto le sue scelte ma potrebbe sempre correggerle, ricordi? E se Nola muore?». Alzò gli occhi al cielo, facendo finta di essere inorridita.

«Ero arrabbiata. Lei non può guarire da sola. E la nonna non morirà. Tu dovresti aiutarmi e non spaventarmi». Michelle tornò quasi di corsa in salotto.

Danica restò nella sala da pranzo, le braccia incrociate, le anche sporgenti come un’adolescente arrabbiata. Osservò Michelle che tornava lentamente indietro e vide un sorriso incresparle le labbra.

«So che cosa stai cercando di fare. Ho capito tutto». Con la mano indicò Danica, dalla testa ai piedi. «Mi stai imitando».

Danica alzò le spalle e sorrise. «Puoi biasimarmi?»

«Sì!», disse Michelle, poi si lasciò cadere con un tonfo sul divano.

Danica si sedette accanto a lei e le cinse le spalle con un braccio, poi la strinse a sé. «Non possiamo sceglierci i nostri genitori, e c’è una cosa sulla quale devi riflettere. Non credo che Nola ci lascerà, ma forse dovremmo andare a fare visita a tua madre».

«Non voglio», ammise Michelle.

«Va bene, ma ricordati che non sei sola. Tua madre ci sta provando, e questa volta forse riuscirà a trovare la strada giusta. Non potrai saperlo se non le dai almeno una possibilità».

Michelle non rispose. Restò sprofondata sul divano, si avvicinò a Danica e, con grande sorpresa della sua psicologa, non si liberò del braccio che le circondava le spalle. A Danica piaceva tenerla stretta a sé. Ricordava di quando stava seduta nella stessa posizione insieme a sua madre, e il conforto che ne riceveva era innegabile. Lei non era la madre di Michelle, ma era felice di poterla aiutare.

Dopo che Michelle si fu calmata, Danica passò alcuni minuti da sola con Nola. Era distesa nel letto, completamente vestita, con una coperta sulle gambe. La testa era appoggiata su un cuscino e lei stava comodamente leggendo.

«Come si sente?», chiese Danica.

«Oh, non benissimo ma nemmeno malissimo. Ho un brutto raffreddore che mi sta logorando. Sto bene, davvero, sono solo molto stanca. Ho sentito tutto, e sono in pensiero per lei. Quell’angoscia per la madre sfinirebbe qualsiasi ragazza».

Danica socchiuse la porta alle sue spalle. «Come sta sua madre?»

«È difficile dirlo. Adesso sembra aver trovato la retta via, ma chi può dirlo».

«L’ha incontrata?». Danica notò i merletti sulla cassettiera e il pesante cardigan lasciato sopra una sedia a dondolo nell’angolo. Tutte le nonne avevano una sedia a dondolo? La cura con cui era tenuta quella camera da letto ricordò a Danica sua nonna e quanto le mancava.

«Oh, sì. Cosa crede che faccia quando Michelle è insieme a lei?». Mise da parte il libro e con un gesto invitò Danica a sedersi sulla sottile coperta a fiori.

Lei accettò l’invito.

«Lo sa, quello che è successo non mi sorprende affatto. Mio marito era un alcolizzato. Cinquantadue anni, e alla fine morì. Odio il fatto che Nancy abbia seguito i suoi passi».

«Non è esattamente una sce…».

«Ho sentito tutto e ho capito. Fa parte del corredo genetico, o roba del genere. Non lo capisco bene, ma sono cose che odio in ogni caso». Guardò verso la finestra, come se stesse osservando un ricordo che prendeva forma. «Nancy è una brava persona. Era una ragazza buonissima. Fino alla nascita di Michelle non aveva mai bevuto, né assunto altre sostanze. Non so. Forse per lei era un peso troppo grande, tirare su una bambina e tutto il resto. Avrei dovuto starle più vicino». Nola appoggiò una mano sulla gamba di Danica. «Facciamo ciò che possiamo, giusto?»

«Nola, lei viveva a due ore di strada da sua figlia quando nacque Michelle, giusto? Me lo ha detto sua nipote».

«Sì, è vero. Ma il senso di colpa materno è profondo. Cerco di rimediare con Michelle. È una brava ragazza. Ho paura, però, che possa iniziare a bere come sua madre». Nola prese un bicchiere d’acqua dal comodino e ne bevve un sorso.

«Anch’io sono preoccupata. Non riesce a prendere in pugno la sua vita. Credo che se le insegniamo a riconoscere i pericoli, le probabilità che accada anche a lei… È una ragazza intelligente. Penso che capirà». Danica sperò che le sue parole fossero vere.

«Oppure no». Nola la guardò e alzò le spalle. «Se c’è una cosa che ho imparato nella vita è che possiamo insegnare, sperare e pregare, ma alla fine ogni persona decide delle proprie azioni».

«Sarebbe d’accordo se andassi a trovare Nancy?». Danica non era sicura che lo avrebbe fatto davvero ma stava riflettendo sulla possibilità che potesse essere utile.

«Ma certo. Nancy è molto contenta che Michelle abbia incontrato lei. Credo che voglia davvero cambiare la sua vita ma credo anche che sia un percorso difficile. Michelle si sta facendo grande e detesta sua madre, e questo fa soffrire molto Nancy. Ma la colpa, davvero, è sua. Ha un consiglio per una vecchia signora?».

Danica sospirò. «Non so. Continui ad amarla, continui a darle consigli». Guardò la foto sul comodino di Nola, suo marito e Nancy da bambina. «Ancora meglio, continui ad amare entrambe, a dare consigli a entrambe. Tutti hanno bisogno del supporto della famiglia». Mentre lo diceva, pensava a Kaylie, non a Nancy.