Capitolo cinque

Danica stava seduta davanti al televisore con indosso i suoi indumenti preferiti: pantaloni della tuta blu e maglietta, entrambi larghissimi. Stava studiando la cartella di Belinda Trenton. Un suo tipico sabato sera. Danica conosceva fin troppo bene la storia di Belinda. Suo padre non le prestava abbastanza attenzione. Lei cercava sesso, sognando l’amore, e non capiva perché tutti la trattassero così male. Danica voleva essere sicura di non tralasciare nulla di quanto era emerso nelle sedute precedenti. Avrebbe potuto aiutare quella donna, non aveva dubbi. Era la cosa che le riusciva meglio: aiutare le persone insicure e bisognose a farcela da sole e ricominciare daccapo, con un minimo di sicurezza in se stesse e di forza di volontà.

Quando squillò il telefono, Danica appoggiò la cartella sul tavolino basso perfettamente ordinato e guardò l’ora.

«Ciao, Kaylie».

«Come va, sorellina?». Sua sorella minore, Kaylie, era fin troppo euforica per le undici di sera. «Aspetta. Non dirmelo. Sei seduta sul divano ad analizzare le cartelle dei tuoi pazienti per capire come aiutare qualche povero imbecille che non sa come tirarselo su».

«Vorrei che fosse così semplice», rispose Danica pensando a Belinda. «Il Viagra fa meraviglie. Purtroppo questo paziente ha bisogno di altro». Danica sorrise. La sua sorellina sapeva come distrarla dal lavoro.

«Eh, lo so», disse Kaylie ridendo.

Danica alzò gli occhi al cielo. Aveva smesso da molto tempo di cercare di far capire a Kaylie che non aveva bisogno di andare a letto con qualsiasi uomo riuscisse a colpire la sua fantasia. «Sei ubriaca?»

«Diciamo che non sono del tutto sobria. Sono insieme a Camille e le altre. Mi raggiungi?».

Danica e Kaylie erano cresciute nello stesso quartiere di Camille Rochester, che avrebbe sposato Jeffrey Danber qualche settimana dopo. Da ragazzine erano inseparabili, ma ora Danica era una psicologa di ventinove anni, che lavorava dall’alba al tramonto; Camille, di un anno più giovane, era tutta presa dal suo imminente ruolo di sposa; e Kaylie era una cantante ventisettenne che viveva come una pseudorockstar.

«È tardi e sono in tuta. Non puoi restare con Camille?».

Kaylie sospirò. «La conosci. Ha passato gli ultimi vent’anni della sua vita a pianificare il suo matrimonio. Finalmente è arrivato il momento di gloria e io sono stufa di parlare del suo ricevimento, potrei perfino vomitare. Quindi fatti coraggio, mettiti addosso qualcosa che abbia una bella scollatura e fatti trovare qui tra venti minuti. Ti prego!».

«Scollatura?».

Kaylie rise. «Sì, sai quella parte che va sul seno? Mettilo un po’ in mostra. Dio mio, Danica, ti sei rifugiata così tanto dentro il tuo studio e il tuo appartamento da aver dimenticato come si vive».

Danica perlustrò con lo sguardo il suo grazioso salotto. «Almeno ho un appartamento».

«Sta’ zitta», rispose risentita Kaylie. «È come il mio, solo che tu hai un mutuo esagerato».

«E non ho coinquiline stronze. Ho un appuntamento con Michelle domani mattina». Da sei mesi Danica seguiva il caso di Michelle Parce, una ragazza di prima superiore che faceva parte del programma “Big Sister”, quello per adolescenti in difficoltà. Appena tornata ad Allure, si era trastullata con l’idea di aprire un centro ricreativo per ragazzi, un posto sicuro dove potessero incontrarsi e stare insieme senza il bombardamento costante della merce da comprare, come accadeva nei centri commerciali. Aveva persino discusso dell’idea di fornire servizi sociali gratuiti per adolescenti, non proprio terapie mediche, ma un punto di ascolto. Una cassa di risonanza. Invece, aveva ceduto alle pressioni dei genitori ed era diventata una psicologa seguendo la trafila tradizionale, e i suoi sogni si erano allontanati sempre di più. Frequentando Michelle negli ultimi tempi aveva ricominciato a pensare a quel progetto. La madre della ragazza, Nancy, si stava disintossicando dall’alcol, e lei viveva con sua nonna. «Non posso presentarmi con i postumi di una sbornia».

«Che importa? Vuol dire che berrai poco. È meglio se ti fai trovare qui tra quindici minuti o ti manderò la truppa. Siamo al Bar None». Kaylie chiuse la telefonata.

Danica odiava l’idea di doversi vestire e andare in un bar rumoroso dopo una lunga settimana di pazienti emotivamente esigenti, ma “mandare la truppa” significava che si sarebbe trovata tutte le ragazze davanti alla porta di casa e non avrebbe potuto in nessun modo liberarsi di loro. Si sarebbero accampate fino a domenica sera. Si costrinse ad alzarsi dal suo comodo rifugio e andò al piano di sopra.

Uscì dalla doccia e si avvolse in un morbido asciugamano bianco. Ripulì lo specchio dal vapore e si esaminò il naso, che non era più rosso. Strinse gli occhi, corrugò la bocca, spostò le labbra a destra e a sinistra. Fece una smorfia come se dovesse baciare qualcuno e sentì un lieve dolore ai lati del naso. Non che baciare fosse anche soltanto una remota possibilità, considerando il deserto totale che era la sua vita sociale. “Bene, sembra che questa sera non sentirò dolore”.

Pensò all’ultima volta in cui aveva provato a essere sexy, secoli prima. L’immagine del petto muscoloso e dei capelli folti di Adone le tornò alla mente, provocandole un brivido lungo tutta la spina dorsale. Le era piaciuto il formicolio che aveva sentito lungo il corpo quando lui le aveva parlato con la sua voce così suadente che sembrava accarezzarla. Ripensò ai jeans che gli stringevano le cosce e a quella maglietta troppo aderente. Che cosa c’era scritto sopra? Rossington? Rossignol? Era una marca? Lei avrebbe dovuto conoscerla? Sua sorella aveva ragione? Si era isolata così tanto da non sapere più vivere? Forse quella sera sarebbe riuscita ad aggiungere un po’ di mordente alla sua vita. Forse quella sera avrebbe provato a considerare gli uomini come facevano Kaylie e Belinda.

Si asciugò i capelli usando il diffusore, pregando in silenzio di ottenere un risultato che le desse un’aria provocante. Si mise a testa in giù e si puntò il phon come fosse una pistola, sparando aria calda sulla massa pesante di capelli. “Vi prego, non vi arricciate”. Con un movimento rapido del collo, i capelli le ricaddero intorno alla testa in una lunga, selvaggia acconciatura stile afro. Minuscoli riccioli spuntavano in tutte le direzioni. Danica ruggì come un leone e lasciò andare il phon. “Sono senza speranza”. Uscì dal bagno.

Entrò nella cabina armadio e osservò l’abito di seta nera lungo fino al ginocchio che aveva indossato per la festa di fidanzamento della sua amica l’anno precedente e grugnì di nuovo. Non aveva nessuna possibilità di riuscire a farci entrare i cinque chili che aveva messo su. Stava lavorando così tanto che non aveva più tempo di fare sport. La cabina armadio di Danica era organizzata per stile e peso. Superò la sezione “aderenti”, nei quali entrava solo durante periodi di totale coercizione fisica, quando il suo corpo era tanto stressato da impedirle di mangiare, per esempio quando sua madre andava a trovarla. Dopo che Danica e Kaylie si erano laureate, la madre si era trasferita in una piccola casa appena fuori città, lontano dai ricordi del suo matrimonio fallito. A causa degli impegni di lavoro molto pressanti, Danica non riusciva a vederla spesso, e a volte si chiedeva se lei si sentisse sola. Purtroppo, quando finalmente si incontravano, soffriva ancora della pressione di essere la figlia più intelligente e più responsabile, e doveva rispondere alle domande di sua madre sui potenziali mariti e nipoti che tanto desiderava; quella pressione sembrava non alleggerirsi mai, rendendo ancora meno piacevole la prospettiva di incontri più frequenti.

Diede uno sguardo ai vestiti che usava al lavoro, tailleur e abiti classici, e li scartò subito. «Scollatura, scollatura», sussurrava. Adocchiò la sezione di sicurezza della sua cabina armadio. Era quella che conteneva gli abiti e le gonne che poteva indossare sia quando era magra sia quando era grassa, e che nascondevano bene le maniglie dell’amore. Prese un abito verde scuro, lungo fino a metà coscia, se lo appoggiò sopra l’asciugamano e si guardò nello specchio grande. “Scollatura. Trovato”. Aveva un delizioso drappeggio che l’aiutava ad aggiungere il punto vita alla sua figura non troppo snella. “Camuffamento”.

Con un sorriso poco convinto, prese l’unico paio di calzature con tacco che possedeva: gli stivali di cuoio neri super sexy, stretti al polpaccio e con tacchi da dieci centimetri. Quelli che Kaylie le aveva comprato nel tentativo di farle adottare uno stile più provocante. Danica fece scorrere un dito lungo il tacco a spillo e abbassò gli occhi sulle file e file di comode scarpe dal tacco basso. “Scarpe da nonnina”. Forse si era spinta troppo nell’altra direzione, annullando tutti i suoi tratti erotici per distinguersi dalle sue pazienti. Danica rifletteva su quel pensiero mentre andava a darsi la crema sulla pelle olivastra.

Con la pelle idratata, il vestito che le nascondeva il bagaglio extra e una semplice collana d’oro, si osservò allo specchio. Le tette e i fianchi sembravano proporzionati. “Dio, questo vestito fa miracoli”. I capelli erano una massa caotica, senza alcuna possibilità di essere domata. Ma non c’era nulla da fare. Aveva gli stessi capelli di suo padre, ma gonfiati dagli steroidi. Lui aveva capelli crespi, come i suoi, con riccioli stretti e dalla forma perfetta. I suoi ricci ingarbugliati, spessi e scuri erano così diversi dalla capigliatura bionda e liscia di sua madre e sua sorella che lei si era sempre sentita una specie di aliena in famiglia. Ma non poteva farci niente adesso. Kaylie la stava aspettando.

Si infilò gli stivali con i tacchi a spillo e si avvicinò all’interruttore della luce: vide il profumo e la liquirizia sul comodino accanto al letto. Non mangiava liquirizia da mesi, da quando c’era ancora John. Diamine, che errore era stato. Quando avevano iniziato a frequentarsi, lui era la sintesi perfetta tra un sagace uomo d’affari e un fidanzato estroverso. Aveva insegnato a Danica a lasciarsi andare, a divertirsi, e addirittura a smettere di analizzare le cartelle dei suoi pazienti la sera. Ma quattro mesi dopo l’inizio della loro relazione, aveva perso il lavoro e non era più riuscito a stare in piedi, o forse non aveva più voluto. Danica si era ritrovata a dover assumere il ruolo di psicologa. Due mesi dopo, si era finalmente liberata di quella relazione e aveva ripreso in fretta le sue prudenti, rassicuranti abitudini. Che cosa si era aspettata? La liquirizia era il suo cibo preferito dopo aver fatto l’amore. Ne aveva mangiata un sacco con John. Almeno il sesso era stato di buona qualità, pensò. Infilò la confezione mai aperta di caramelle nel cassetto del comodino e si spruzzò rapidamente un po’ del profumo che Kaylie le aveva regalato per il suo compleanno, quando era nella fase “troveremo un uomo per te”. I risultati erano stati deludenti. Danica passava le sue serate fuori con le amiche ripensando ai suoi pazienti invece di rilassarsi. Ora si chiedeva se avesse provato davvero a costruirsi una vita sociale. Un uomo sbagliato e la sua professione non dovevano per forza portarla verso la solitudine di una single già vecchia a ventinove anni. Prima di rendersene conto, avrebbe avuto una casa piena di gatti e sarebbe diventata una di quelle anziane tutte sole. Il pensiero la paralizzò. Forse quella sera sarebbe riuscita davvero a lasciarsi andare e divertirsi un po’.

Sospirò, sorridendo con soddisfazione alla propria immagine nello specchio, e uscì di casa diretta al Bar None.

Kaylie le prese la mano appena varcò la soglia e la trascinò fino al bancone del bar, dove si erano riunite le amiche. Danica dovette impegnarsi al massimo delle sue capacità per restare in piedi sui tacchi super sexy. Forse indossarli non era stata una buona idea. Quando Kaylie finalmente smise di tirarla, lei si aggrappò al bancone, preparandosi alla marea di abbracci che l’avrebbe sicuramente fatta finire stesa sul pavimento.

Stretta in un abitino blu scuro che le metteva in risalto le curve e con una collana che le arrivava all’ombelico, Camille aprì le danze. Spalancò le braccia e le strinse intorno a Danica. «Sei qui!», gridò. Stephanie, Laurie, Chelsea e Marie la seguirono a ruota lanciando strilli acuti e risatine.

Danica ingoiò l’odio che provava per la falsità che sembrava essere insita in gran parte delle donne. Le voci troppo elettrizzate e il gesticolare smodato delle mani le facevano venire il voltastomaco. A volte le sembrava di essere molto più vecchia delle sue amiche. “Che cos’ho che non va?”. Danica mostrò la stessa esuberanza affettata e abbracciò le amiche che aveva imparato ad amare. Un attimo dopo si rese conto di essere felice di vederle. Aveva represso la sua gioia per gli aspetti sociali della vita? “Va bene, Danica. Spegni la psicologa che è in te”. Fu contenta di aver messo i tacchi a spillo perché le permettevano di essere all’altezza dell’avversario sul campo di gioco, in quanto tutte le altre ragazze erano più giovani, più sexy e più determinate di lei, soprattutto in un bar.

Danica accettò la piña colada che le offrì Kaylie e ne bevve un sorso per calmare i nervi. I locali non erano mai stati luoghi in cui si sentisse tranquilla.

«Stiamo bevendo piña colada e fingendo di essere ad Aruba». Squadrò Danica dalla testa ai piedi. «Ma dov’è la donna tutta pudore che conosciamo e amiamo? Sei splendida», disse Kaylie mentre si metteva seduta su uno sgabello accanto alla sorella.

«Com’è il mio naso?».

«Che cosa ti è successo?», disse Kaylie ridendo.

«Uno stronzo mi ha dato una gomitata qualche giorno fa, ricordi? Te l’ho raccontato». Era tipico di Kaylie dimenticare gli unici dieci minuti di difficoltà di Danica. «Mentre ero in coda per prendere un caffè. Incredibile. Poi ha anche avuto la sfacciataggine di girarsi a guardare una bionda, mentre io ero lì con il sangue che mi colava sulla faccia».

«Davvero? Che stronzo».

«È andata proprio così». Le fece bene scaricare le sue emozioni su qualcuno, tanto per cambiare. Danica finì il bicchiere e ne chiese un altro.

«Uhhh, sorellina. Vacci piano. Abbiamo tutta la serata a disposizione».

Danica lanciò un’occhiata alle altre ragazze. Camille, Stephanie e Laurie erano incredibilmente magre, le clavicole sporgenti e senza un filo di grasso sulle braccia nude. Chelsea, Marie e Kaylie sembravano delle perfette Barbie: seni sodi e vita sottile. Ognuna di loro sarebbe stata perfetta per il bellissimo Blake. Danica si mise una mano sullo stomaco e prese il suo bicchiere.

Kaylie la bloccò. «Smettila. Sei bellissima. Ti preoccupi sempre per il tuo aspetto fisico, e invece sei splendida».

Danica alzò gli occhi al cielo. «Certo».

«Sei una psicologa bravissima e non sai guarirti. Sei sempre stata quella dalla bellezza esotica. Rispetto a te, io sono soltanto una carina come tante». Kaylie toccò uno dei ricci ribelli sulla spalla di sua sorella. «Che cosa non farei per avere i tuoi capelli».

Danica bevve un sorso. “Se io avessi il tuo corpo, quello stronzo non avrebbe guardato la bionda”.