Capitolo tredici

La domenica mattina Danica aveva due pazienti nuovi e una grande idea sul posto in cui portare Michelle. Si infilò i jeans e un maglioncino di lana bianco con il collo a V che aveva da anni. Si mise le sneakers bianche che aveva comprato un secolo prima insieme a Kaylie ma che non aveva mai indossato. Si fermò a guardare le sue ballerine. Anche se piccolo, era già un passo avanti rispetto al tentativo di mettere una linea di demarcazione tra il lavoro e la sua vita sociale. Non aveva mai indossato le sneakers per andare al lavoro. Si avvolse una sciarpa azzurra intorno al collo e prese la vecchia giacca militare di suo padre, che adorava. Mentre andava verso la porta, si guardò allo specchio. Si voltò, osservandosi con attenzione dalla testa ai piedi. Si toccò i capelli, poi i fianchi. “Niente male”. L’abbigliamento sportivo aveva i suoi vantaggi. Per una volta i suoi capelli sembravano appartenere alla persona che li portava. Danica si chiese quale fosse il motivo per il quale non si vestisse in quel modo più spesso. Una semplice sciarpa e la giacca di suo padre al posto del cappotto la facevano sembrare un’altra, e Danica si sentiva diversa fino alla punta dei piedi mentre andava verso l’auto con un nuovo entusiasmo.

Aspettò Michelle nell’ingresso della casa di sua nonna. Lei arrivò vestita tutta di nero, comprese le sneakers. Danica si sentì come una ragazzina. Avrebbe voluto mettersi a saltare e abbracciare Michelle gridando: “Guarda, abbiamo le stesse scarpe!”. Invece disse solo: «Pronta per andare?».

Michelle osservò attentamente il suo nuovo abbigliamento e sorrise, poi annuì.

«La riporterò a casa entro le tre, Nola», disse Danica.

La nonna di Michelle prese la mano di Danica. «Che Dio la benedica, Danica. Lei è un dono per mia nipote, in questo momento».

«Grazie. Anche lei è un dono per me».

Michelle alzò gli occhi al cielo e uscì.

Danica guidò fino al Village, un posto dove andava solo di rado, anche se quando si era trasferita ad Allure dopo la laurea era sicura che ci avrebbe passato molto tempo. Aveva immaginato romantiche passeggiate e cene con vista sulle montagne. Ma poi la vita reale aveva preso il sopravvento, e quelle fantasie erano rimaste solo speranze che lei non voleva nemmeno prendere in considerazione, e le aveva subito messe da parte. Fino a quel giorno.

Parcheggiò in strada davanti allo Steam, un piccolo bar con la fila che arrivava fin fuori della porta. Tutte le strade del Village erano in pavé. Casette a schiera in mattoni e pietra ospitavano negozi e ristoranti. Cancelli in ferro lavorato e lampioni a lanterna in stile antico costeggiavano le viuzze strette. Danica era seduta al posto di guida e ripensava a quando si era innamorata del Village. Quella zona era stata il luogo di ritrovo abituale di Kaylie quando avevano iniziato a uscire. Il luogo di ritrovo di Danica era la biblioteca. Solo dopo la laurea e il ritorno in città si era avventurata di nuovo nel Village ed era rimasta affascinata dalla sua bellezza unica.

«Scendiamo?», chiese Michelle.

Danica afferrò la borsa e aprì la portiera. «Certamente».

Si incamminarono lungo il marciapiede.

«Sono stata qui una volta», disse Michelle.

«Davvero? Molto tempo fa?»

«Sì. Con mia madre, quando ero piccola. Cinque anni, forse. Non so esattamente quando, ma ricordo i mattoni e le luci di notte».

«Sembra un ricordo piacevole». “Non fare la psicologa”. «Cioè, le luci devono essere state belle».

«Be’… credo che ci sedemmo laggiù». Indicò uno spiazzo. «C’erano i fuochi d’artificio, ma non credo che fosse il Quattro Luglio».

«Qui i fuochi li fanno il secondo e l’ultimo venerdì di ogni mese durante l’estate. Non so se li facessero anche allora, ma forse era per questo motivo».

«Forse».

Superarono un tabaccaio, una pasticceria e un altro bar.

«Eccolo». Danica indicò una porta in cima alla quale c’era un’insegna decorativa in legno con la scritta “Gioielli del passato”. Ne aveva sentito parlare e così si era informata su dove si trovasse.

«Che cos’è?»

«Roba vintage». L’aria fresca e gli abiti sportivi rendevano Danica più energica. Afferrò la mano di Michelle e la tirò su per i tre gradini in mattoni che portavano al negozio. Il profumo di incenso riempiva l’aria. Scacciaspiriti e decorazioni festose pendevano dal soffitto e lungo le pareti erano allineate mensole piene di indumenti vintage, libri e chincaglierie. Una donna ingioiellata uscì da dietro il registratore di cassa. Indossava bracciali luccicanti fino a metà braccio.

«Come va, mie care? Benvenute in un piccolo pezzo di paradiso». Gli occhi profondi e castani scintillavano di energia. I capelli erano tagliati all’altezza delle spalle e come quelli di Danica erano una massa di ricci naturali, scuri e ribelli.

Danica si sentì avvolta dal suo sorriso caldo e ampio. «Adoro il suo negozio!», esclamò. Per il carattere eclettico e l’aroma di terra, quel luogo le ricordava il dormitorio dell’università. Il suo alloggio al tempo era pieno di poster e oggetti di tutti i tipi, e anche l’arredamento era interessante e assortito: comprendeva persino un piccolo ramo d’albero che usava per appendere le collane. Si chiese quale odore sentissero le persone quando entravano nella sua villetta. Avrebbe dovuto farci più attenzione. Pensò alla sua casa perfettamente organizzata, con il portabanane, i servizi da tavolo e i pezzi di arredamento tutti abbinati, persino il cestino del bagno. Ebbe la sgradevole sensazione di essere diventata banale e di aver reso anche casa sua un posto banale. Cavolo, se era cambiata.

Michelle toccò uno per uno i pezzi che componevano una serie di oggetti di legno levigati e lucidi con linee intrecciate e il coperchio camuffato. Ne prese uno e lo aprì con uno scatto, poi esclamò: «Danica, questo devi vederlo».

Era entusiasmo quello che si sentiva nella sua voce?

«Li fa mio figlio», disse con orgoglio la donna. «Vive in Canada in una piccola cooperativa agricola con i miei due nipoti». Appoggiò una mano sulla spalla di Michelle e la osservò mentre faceva scorrere delicatamente un dito lungo il bordo della scorza rifinita.

«Sono deliziosi». Danica guardò dentro il contenitore. Sopra un velluto rosso c’era la minuscola scultura di un albero; piccolissimi gioielli pendevano da rametti fatti con fili di rame.

«Non posso credere che li faccia suo figlio». Michelle rimise il contenitore più piccolo al suo posto e prese il successivo. «Sono davvero carini».

«È piuttosto bravo. Ma, ovviamente, sono sua madre». La donna si appoggiò contro una vetrinetta. La rotondità del corpo riempiva i pantaloni di cotone blu. «Hai degli occhi meravigliosi. Quanti anni hai? Quattordici? Quindici?»

«Quasi quindici». Michelle scosse la testa, facendo muovere con abilità la frangetta sopra gli occhi.

«Mi piace anche il tuo stile. Hai mai pensato di aggiungere un tocco particolare alla tua aura scura?»

“Aura?”.

La donna prese al volo una sciarpa multicolore dal mucchio sopra un porta abiti a forma di albero e la appoggiò con delicatezza sulle spalle di Michelle, sollevandole piano i capelli e sistemandola sopra il petto. «Sei splendida!».

Danica restò a bocca aperta. Era così facile? Avrebbe potuto semplicemente allungare una mano per fare ciò che poteva fare una madre? O una zia in gamba? L’invidia le trafisse il cuore, mentre guardava la donna che parlava a Michelle con grande disinvoltura. Quando era lei a farlo, si preoccupava di ogni singola parola che le usciva dalle labbra. Era il tono giusto? Sembrava troppo da psicologa? Avrebbe scatenato un brutto ricordo?

La donna era un uragano, passò dalla sciarpa al bancone, dove scelse una lunga collana che aveva un pezzo di stagno piatto all’estremità, sul cui bordo erano stati sovrapposti lune, stelle e fiori che creavano una cornice intorno alla parola Imperfetto. In cima, c’era un portafortuna verde, grande come un’unghia. Danica trattenne il respiro, pensando che a Michelle non sarebbe piaciuta quella parola.

Michelle toccò la collana con un dito. Guardò Danica attraverso la frangetta.

Danica sospirò e si trattenne dal dire a Michelle quanto il verde della sciarpa facesse risaltare i suoi occhi, o quanto l’aggiunta di una semplice collana rendesse improvvisamente femminile e caratteristico il suo look da guerriera. Sapeva che Michelle voleva la sua opinione, ma temeva di dire troppo e di spaventarla. Alla fine incrociò le braccia, la mano destra a coprirle il cuore. Michelle in quel momento avrebbe suscitato l’invidia di qualsiasi adolescente, severa e dolce allo stesso tempo. «È semplicemente bellissima», disse.

La donna prese Michelle per mano e la guidò fino allo specchio; le raccolse i capelli dietro le spalle, liberandole il viso.

Michelle si avvicinò allo specchio, accarezzando la sciarpa, toccando la collana. Si chinò in avanti, arrivò a pochi centimetri dalla sua immagine, come se non riconoscesse il proprio volto. Alzò gli occhi e attirò l’attenzione di Danica. Lei si morse il labbro inferiore e aggrottò la fronte.

«Oh, Michelle. Guardati». Danica era in piedi dietro di lei, e osservava Michelle riflessa nello specchio. Era affascinata dal suo nuovo aspetto, ma sapeva che non era il caso di adularla: qualsiasi cosa dicesse poteva provocare in quella ragazza la sua tipica reazione che consisteva nel dire «Chi se ne frega», alzare gli occhi al cielo e andarsene.

Michelle si avvicinò alla donna e l’abbracciò. La abbracciò!

La donna rise. «Oh, tesoro, ma è stato un piacere».

«Ti piace?», chiese Michelle rivolgendosi a Danica.

«Se mi piace? Michelle, sembri una regina. Affascinante e con tanta personalità, ma non come quelle ragazzine altezzose che passano ore a prepararsi». “Bene, sono stata brava, no?”.

La bocca di Michelle si aprì in un sorriso, che poi svanì. Si tolse la sciarpa e la restituì alla donna. «Grazie. È molto carina, ma non ho abbastanza soldi per comprarla».

«Certo, va bene, tesoro. Sai che è qui». La donna guardò Danica mentre Michelle si girava dall’altro lato.

Danica annuì, con un cenno le fece capire che l’avrebbe comprata lei.

La donna sorrise.

Michelle si tolse la collana e la osservò tenendola sul palmo della mano. «È così… simile a me».

La donna mise una mano sotto quella di Michelle e le strinse le dita intorno alla collana. «È tua».

Michelle spalancò gli occhi. «Che cosa? No. Non posso accettare. Grazie, ma…». Lanciò uno sguardo a Danica.

Lei era così felice per Michelle che le venne un nodo in gola.

«Ascoltami. È così raro vedere una persona come te in negozio. Cioè, qui entrano tanti studenti pieni di vitalità», la donna indicò la merce con un gesto della mano, «che parlano ad alta voce e non si fermano mai a osservare ciò che hanno davanti agli occhi. Qualcosa mi dice che tu invece vedi la bellezza in ciò che rende ognuno di noi unico».

Danica prese il portafogli e pagò la sciarpa.

«Danica, no. Non posso permettertelo», la pregò Michelle.

Danica la abbracciò e la strinse a sé. «Sono la tua Big Sister, no? Lo faccio perché mi fa piacere».

«Sei sicura?», chiese Michelle con gli occhi accesi di felicità.

«Al cento percento».

Durante tutto il pranzo, Michelle si toccava la sciarpa e accarezzava la collana con le dita, quasi come se avesse paura che potessero sparire. Danica notò che stava seduta in posizione più eretta, quando camminava sembrava più alta, e il sorriso che era stato così raro la settimana prima non l’aveva mai abbandonata nel corso di tutto il pomeriggio, che trascorsero vagando per altri negozi.

Durante il tragitto in auto verso la casa di sua nonna, Michelle si tenne ben stretta la sua sciarpa.

«Credi che sembri una stupida?», chiese Michelle.

«Stupida? No, al contrario». Danica le sorrise.

«Mi sentivo benissimo quando eravamo al Village, ma ora ho paura che a scuola tutti… non so… pensino che sembro una stupida, che sto cercando di essere una persona che non sono». Michelle abbassò lo sguardo.

Danica fermò l’auto davanti casa di Nola e si girò sul sedile per guardare Michelle in faccia. «So che cosa vuoi dire».

«Davvero?». Gli occhi di Michelle imploravano comprensione.

«Sì. Quando mi sono vestita, questa mattina, mi sentivo giovane, forse perfino un po’ figa. Ma adesso, tornando in città, mi sento quasi… non so… sbagliata, forse? Sono così abituata a indossare abiti professionali che mi sento strana in vestiti così sportivi».

«Mi piacciono tanto le tue sneakers, e anche la tua giacca», ammise Michelle.

“Sì!”. «Davvero?»

«Certo. Sei bellissima, non così… antiquata».

Scoppiarono a ridere insieme.

«Sì, non così antiquata. È proprio questa la mia sensazione. E mi piace talmente tanto che ho deciso di provare a vestirmi ogni giorno in questo modo. Mi piace questo stile. Il mio look è completamente diverso».

«Dovresti proprio farlo».

«Michelle». Danica le prese una mano, poi ci ripensò e la lasciò andare. «Mia sorella mi ha detto una cosa che mi è sembrata molto vera, e credo che lo sarà anche per te. Non dobbiamo essere ciò che si aspettano i nostri genitori o le persone che ci circondano».

«Hai una sorella?»

«Sì». Danica sorrise pensando a quanto fosse strano che qualcuno non conoscesse Kaylie. «Una bellissima, simpatica, estroversa, tremendamente pericolosa sorella minore».

Michelle scoppiò a ridere.

«Comunque, ciò che mia sorella voleva dire era che non dobbiamo vivere in base alle aspettative degli altri».

«Che cosa significa? Mi dici sempre che devo essere la persona migliore possibile. E anche la nonna».

«Sì, devi essere la persona migliore possibile. Ma non è di questo che parlavo. Ti faccio un esempio. Per tutta la mia vita sono stata la figlia intelligente, quella responsabile. E tutti consideravano mia sorella quella creativa, come se fosse tutto ciò che si aspettavano da lei. A lei era consentito essere meno… non so. Accademica, credo. Ma da me, da me si aspettavano che fossi il topo da biblioteca, la laureata». Danica pensò alla sua incapacità di separare ciò che era sul lavoro da ciò che era a casa. «La conformista. E così, eccomi qui, a cercare di capire se sono quella che sono perché è ciò che gli altri si aspettavano o perché era ciò che io volevo davvero».

«E?».

Danica sospirò. «Non lo so. Ho messo a fuoco il problema da poco, e sono ancora nella fase della riflessione. Ma non vedi come questo riguarda anche te?»

«Sono molto lontana dall’essere un topo da biblioteca, quindi non credo», disse Michelle scherzando.

«Non è questo che volevo dire. Da te tutti si aspettano che tu sia, in mancanza di una parola migliore, quella problematica. Anche se secondo me non lo sei. Voglio dire che…».

«So bene che cosa vuoi dire». Michelle si sistemò sul sedile girandosi verso Danica. «Sono così! Vivo così. Tutti mi vedono come la ragazza di cui avere compassione a causa di mia madre o perché vivo con mia nonna. È così, la mia normalità è avere la loro compassione. È questo che vuoi dire?».

Danica non riusciva a credere che quella conversazione si stesse svolgendo in modo così calmo e proficuo. Lei immaginava risposte sprezzanti, gli occhi rivolti al cielo come fanno gli adolescenti. «Sì, è proprio questo che voglio dire. E tu non devi essere quel tipo di persona se non vuoi».

Michelle abbassò lo sguardo, giocherellando con la frangia della sciarpa. «In un certo senso, lo voglio. Cioè, sono problematica».

Danica le prese la mano. «No, non lo sei. Tua madre lo è, non tu. Tua nonna è una donna dolcissima che sta facendo quello che può per crescere un’adolescente. Non sei tu quella problematica, Michelle. È l’ambiente in cui sei nata a esserlo. Non voglio dire che sei perfetta, perché sarebbe una bugia».

«Tu odi le bugie».

«Vero». Danica sorrise, felice che Michelle avesse capito quel lato del suo carattere. Le aveva mentito una sola volta. Avevano appena iniziato il programma Big Sister, Michelle non aveva chiamato Danica per annullare un’uscita e quando Danica era andata a prenderla aveva mentito dicendo di averle lasciato un messaggio. Danica non aveva esitato a pretendere onestà e Michelle non le aveva mai più detto bugie. «Odio le menzogne. La verità è che siamo tutti imperfetti. Le ragazze nella tua classe che ti considerano diversa sono solo spaventate. E se fosse la loro madre ad avere problemi? Che cosa farebbero? Come affronterebbero la situazione? Vedi, tu le spaventi perché la tua posizione le costringe a riflettere».

Michelle fece un verso con la bocca, poi annuì. «Credo di capire».

«Non voglio darti lezioni. Ma devi capire che non sei problematica. Non devi infilarti nella casella in cui ti vogliono mettere gli altri. Puoi indossare con orgoglio i colori che vuoi, la collana e le tue imperfezioni. Perché, Michelle, sono più belle della paura che quelle ragazze indossano». “Se solo riuscissi a seguire il mio consiglio”.