Capitolo dieci

Alle sette di lunedì mattina, Danica era seduta nel suo studio e analizzava la cartella del suo primo paziente, ignorando la lucetta rossa che lampeggiava sul telefono. Arrivava sempre presto per preparare le sedute della giornata e quasi ogni giorno vedeva anche un paziente che fissava un appuntamento prima di andare al lavoro. Appoggiò la cartella sulla scrivania ordinata e guardò l’ora. Come tutte le mattine aveva appena il tempo di correre al bar più vicino e prendere un caffè prima di cominciare la seduta. Danica fissò la lucetta lampeggiante. Aveva lasciato che pulsasse tutta la notte. Era dal sabato sera che pensava a come trovare un equilibrio tra il lavoro e una forma di vita sociale. Ma chi voleva prendere in giro? Lei non aveva nessuna vita sociale, e nelle rare occasioni in cui si costringeva a uscire e faceva finta di averla, perdeva il controllo e beveva troppo, e finiva non solo per pentirsene, ma anche per cacciarsi in situazioni molto imbarazzanti. Non rispondere ai messaggi durante il fine settimana era uno dei cambiamenti che sperava di fare.

Danica decise che pretendere di avere i fine settimana liberi era un buon inizio, ma guardò l’ora: le 7:07. Il piede batteva ritmicamente e il cuore correva. Era giusto non rispondere ai messaggi durante il fine settimana, ma ormai era lunedì mattina, e sebbene fosse presto lei era già in modalità lavorativa. Si morse il labbro inferiore, combattendo contro la voglia di ascoltare il messaggio.

Era lunedì. Qualcuno aveva bisogno di qualcosa. Prese il telefono, schiacciò la luce lampeggiante e ascoltò il messaggio del nuovo cliente. Si annotò il numero di telefono e poi chiamò.

«Pronto?», disse una voce profonda.

«Salve, sono la dottoressa Snow. Ehmmm». Si rese conto che non era stato lasciato alcun nome in segreteria ed esitò, per non dire qualcosa che potesse danneggiare la privacy della persona. Per fortuna, non fu necessario che fosse lei a fare domande.

«Oh. Grazie per aver richiamato. Volevo prendere un appuntamento».

Aveva la voce stanca. Non era così per tutti? «Certo. Potrebbe dirmi per favore qual è il problema che l’ha spinta a rivolgersi a me?»

«Io… be’, il mio migliore amico è appena morto. Credo di aver bisogno di parlarne».

Danica ascoltò il suo respiro e capì che aveva bisogno di lei. «Mi dispiace per la sua perdita». Guardò i suoi appuntamenti. Aveva uno spazio per quel giorno alle due, ma aveva pensato di uscire e comprare una maglietta nera per Michelle che non fosse troppo… sgangherata. «Possiamo vederci domani alle tre oppure venerdì all’una e mezza».

«Ah». La delusione trapelò attraverso il telefono. «Speravo di poter iniziare subito».

«Ha avuto propositi suicidi ultimamente?». Danica aguzzò le orecchie. Anche dopo tanti anni di esperienza, non riusciva a trovare un modo più delicato di fare le domande importanti.

«Cosa? No». Lui sospirò. «A essere sincero, ho paura che se ci penso troppo finirò per annullare l’appuntamento. Ma so di averne bisogno».

Sembrava una risposta sensata. Danica si era vista annullare troppi appuntamenti per poterli contare, e si era preoccupata per ognuno dei suoi mancati pazienti per molti giorni a seguire. Era un altro punto sul quale lavorare: staccarsi dalle persone che non volevano il suo aiuto. «Va bene». Danica sospirò. «Oggi alle due è l’unico spazio libero che ho nel pomeriggio. Le comunico che le mie sedute non sono rimborsabili dal servizio sanitario pubblico. Il mio indirizzo è…».

«Lo conosco già. Grazie. A dopo». E chiuse la telefonata.

Danica fissò il ricevitore. Non gli aveva chiesto nemmeno il nome. Riagganciò e scrisse “Nuovo cliente” sul calendario degli appuntamenti, aggiungendo “amico morto”, e poi annotò accanto il numero di telefono.