Capitolo sedici

I colpi alla porta distolsero l’attenzione di Danica dalle cartelle cliniche che stava esaminando.

«Danica!».

“Kaylie”. Danica aprì la porta e Kaylie le passò davanti in preda all’ira. «Non so che cavolo abbia per la testa quel ragazzo, ma santo Dio, se continua a comportarsi come si sta comportando sarò io quella che finirà sul tuo lettino».

Danica seguì con lo sguardo sua sorella mentre imperversava come un temporale nella stanza e poi si lasciava cadere a peso morto sul divano, sparpagliando tutte le cartelle cliniche sul pavimento. «Chi ha fatto cosa questa volta?». Danica raccolse le cartelle e le rimise sul tavolino basso davanti a Kaylie.

«Blake. Quello stronzo. Te lo ricordi, al bar? Ti ha chiesto di essere la sua psicologa, o è solo venuto a parlare con te?». Il volto di Kaylie era rosso di rabbia e aveva gli occhi lucidi. Dal modo in cui stava stravaccata sul divano con la minigonna spiegazzata sembrava un’adolescente imbronciata maltrattata da un giocatore di football.

Danica aveva dimenticato di averle detto che aveva visto Blake. Almeno non aveva confermato che era un suo paziente: un particolare che decise in fretta di non svelare. Ignorò a piè pari la domanda di Kaylie. «Blake? Vuoi dire Blake Carter? AcroSki? Lo stronzo?». “E che diamine!”.

«Sì, lo stronzo. L’ho visto al Bar None». Rivolse gli occhi sprezzanti verso Danica. «Grazie, comunque. Se non mi avessi dato buca, probabilmente non avrei avuto una serata così schifosa».

Danica ordinò le cartelle cliniche e mise quella di Blake in fondo alla pila, poi le sistemò tutte sul tavolo da pranzo e si mise seduta accanto a Kaylie.

Lei sospirò profondamente. «Vediamo se indovino. Era al bar, ma è andato a casa con qualcun’altra?». “Sapevo che oggi avrebbe avuto una ricaduta”.

«Sì. No. Merda. Non è andato a casa con un’altra». Kaylie si coprì il viso e urlò dentro le mani. Quando si scoprì, la rabbia era diventata delusione. «Sembrava che volesse venire a casa mia, ma…».

«Aspetta». Danica la fermò. «Che cosa ne è stato di Chad, o Chaz, o qualunque fosse il suo nome? Non sei appena tornata da un fine settimana con lui?».

«Non giudicarmi, va bene?».

Danica si appoggiò sui cuscini, ripetendosi che Kaylie era sua sorella e non una sua paziente. «Certo. Vai avanti».

«Chaz e io ci siamo divertiti, ma siccome avremmo dovuto vederci io e te, sono andata comunque a bere qualcosa. Lui era lì, e… Gesù, be’, lo hai visto. Credi davvero che io possa stargli lontano?».

“Come se non lo sapessi. È un mio paziente, anche se sta mettendo a dura prova la mia professionalità”.

Kaylie non diede a sua sorella il tempo di rispondere. «Insomma, stavamo andando via e lui si è messo a dire stronzate del tipo che non poteva farlo».

«Ha detto perché?». “Che cosa stai combinando, Blake Carter?”.

«Solo che ha perso il socio, è morto, ci credi?»

«Sì, ci credo».

«E ha detto che non sa cosa dire alla moglie dell’amico».

“Davvero?”. Danica annotò mentalmente il proposito di indagare il disagio di Blake riguardo la moglie di Dave. Guardò le cartelle cliniche e pensò di dire a Kaylie che Blake era diventato un suo paziente. Avrebbe messo subito fine a quella storia. Lui sarebbe stato fuori dai giochi in un attimo. Kaylie non frequentava ragazzi che si rivolgevano a uno psicologo. Dava per scontato che chiunque avesse bisogno di seguire una terapia fosse gravemente malato e debole. Se solo avesse capito quanto una terapia avrebbe potuto aiutarla ad affrontare il suo bisogno di giocare con gli uomini, e che Blake si era rivolto a lei per lo stesso motivo… Ma Danica non poteva dirglielo. Doveva rispettare la privacy di tutti i suoi clienti, anche di Blake, nonostante avesse ferito Kaylie.

«Sembra che in questo momento abbia problemi seri. E poi, perché vuoi un’altra persona oltre a Chad?»

«Chaz».

«Chaz», le fece eco Danica. Chaz poteva essere Rick, Steve, Dean o Carl, per quanto le importasse. Non investiva troppe energie a memorizzare i nomi degli uomini di Kaylie. Arrivavano e partivano più veloci del vento.

Kaylie appoggiò gli stivali sul tavolino basso. Danica le andò vicino, glieli sfilò e li depositò sul pavimento.

«Grazie», disse Kaylie con la più convincente voce da bambina che riusciva a riprodurre. «Credi che sia colpa mia?», chiese.

«Tua? No. Hai detto anche tu che ha un sacco di problemi, e sembra roba seria. Io starei lontana da lui». Doveva allontanare sua sorella da Blake. Alla lunga, le avrebbe fatto solo del male. Danica ci pensò su per un momento, poi si rese conto che anche Kaylie era in grado di ferire Blake, soprattutto considerando lo stato in cui si trovava in quel momento. Aveva già visto degli uomini arrivare alla grande rivelazione: non erano ciò che avevano pensato di essere; bevevano troppo, pensavano solo a divertirsi, mangiavano in maniera eccessiva, odiavano le donne, odiavano le madri, odiavano la vita. Avrebbe dovuto fare molta strada insieme a Blake prima di capire quali fossero i suoi veri problemi, ma c’era una cosa di cui era sicurissima. Arrivare ad ammettere i propri errori nel modo in cui aveva fatto era stato doloroso per lui e aveva avuto delle conseguenze. Doveva però scoprire, nelle settimane successive, se lui era in grado di cambiare il proprio comportamento. E soprattutto, se era veramente determinato a farlo.

Rifiutarsi di andare con la bambolina Kaylie era un passo nella giusta direzione.

«Che cosa diavolo ti sei messa addosso?», chiese Kaylie con una risata.

Danica abbassò lo sguardo sopra la sua giacca ampia. «Cosa? Mi piace. Ho portato Michelle al Village questo fine settimana e mi sono resa conto di vestirmi come una vecchia».

«Dovevi andare fino al Village per rendertene conto? Vuoi dire che i miei ripetuti avvertimenti non sono serviti a farti aprire gli occhi?». Kaylie sorrise e diede un calcio con il piede coperto dai calzini nella direzione di Danica.

«Ti piace?», le chiese esitante.

Kaylie esaminò l’abbigliamento di sua sorella. «Sì, mi piace. Anche se l’abbinamento con i pantaloni sportivi è sbagliato».

«Che cosa vuoi dire? Il nero si abbina a tutto». Si guardò i pantaloni.

«Di solito è così, ma quella giacca sta bene con i jeans e gli stivali di pelliccia, non certo con i pantaloni sportivi e i tacchi. Sembri Jessica Fletcher, o qualcosa del genere».

«Davvero?». Per questo Blake l’aveva guardata in quel modo strano. Ci era ricascata, si era sentita tanto sicura di sé dentro altri abiti da vecchia signora.

Kaylie prese Danica per mano e la trascinò verso le scale. «Andiamo, sorellina. Ho provato a spingerti verso una metamorfosi per anni». Kaylie salì i gradini come un’adolescente pronta a confidarsi con l’amica del cuore.

Danica la seguiva, sospirando lungo il percorso.

Al piano di sopra, nella stanza della sorella, Kaylie superò il letto e disse: «E le liquirizie?»

«Ne ho un cassetto pieno, purtroppo», disse Danica scherzando.

Kaylie rovistò nell’armadio tirando fuori camicie e magliette e lanciandole addosso a sua sorella. «Mettile sul letto».

Danica passò al setaccio le giacche, i jeans, i leggings e le magliette male assortiti. Si mise seduta sul letto e osservò Kaylie passare dall’armadio alla cassettiera, spulciare tra i gioielli e sistemare in bella mostra collane e orecchini sul ripiano. Aprì il primo cassetto.

«Ferma, quello non lo puoi aprire», disse Danica.

«Mi prendi in giro?», disse Kaylie scavando tra la biancheria di Danica, eliminando i reggiseni e le mutandine più merlettati, e più scomodi.

Lei osservava e scuoteva la testa.

«Non hai mai lasciato che ti aiutassi in questo genere di cose», disse Kaylie dandole la schiena.

«Bene, forse è arrivato il momento di cambiare».

Kaylie si voltò. «Sì, forse è così». Andò a sedersi accanto a sua sorella. Guardarono insieme lo specchio sopra la cassettiera. «Perché lo faccio?».

Danica piegò la testa. «Perché tu adori i vestiti e io non ci capisco granché».

«No, non parlavo dei vestiti. Ma degli uomini. Chaz è così gentile. È tanto buono con me ed è molto affascinante. Ma perché cerco sempre di rimorchiare altri ragazzi, anche se mi piace quello che frequento?».

Danica si guardò bene dal rispondere.

«Andiamo. Sei una psicologa. Puoi aiutarmi?», la pregò Kaylie.

Si fissavano a vicenda attraverso lo specchio. Danica appoggiò la testa su quella di Kaylie. «Non è il mio aiuto che vuoi, Kaylie».

«Forse hai ragione», rispose. «Ma ho capito, sai? Pensi che ci sia qualcosa di sbagliato nel mio modo di comportarmi».

«Non ti giudico. Ti voglio bene», rispose Danica.

«Grazie a Dio c’è qualcuno che mi vuole bene». Kaylie saltò su dal letto e iniziò ad abbinare i capi.

Danica sentì il cuore spezzarsi al pensiero che tutti portano dei pesi sulle spalle. Solo che per alcuni sono più leggeri che per altri.