Capitolo otto

La luce del mattino filtrava attraverso le tende sconosciute. Blake sgusciò fuori dal letto e si infilò i jeans, silenzioso come una talpa, un’abilità che aveva sviluppato durante gli ultimi vent’anni. Si sentiva la testa piena come un pallone. Doveva proprio smetterla di chiudere le bevute di una serata con la tequila. Si strinse la cintura intorno alla vita sottile e si guardò allo specchio. Si esaminò alla ricerca di eventuali graffi, succhiotti o di qualsiasi altro biglietto da visita che le donne gli lasciavano come marchio. Nessun segno. Un sospiro di sollievo gli uscì dalle labbra. Si chinò sopra la cassettiera per avvicinarsi allo specchio e toccò i basettoni ribelli che gli coprivano la mascella. Il giorno prima avrebbe detto: “Cavolo, sono ancora un gran figo”. Quel giorno, Blake vide un uomo adulto, egoista e solo. Aveva passato le ultime ore a cercare di dimenticare la morte del suo migliore amico, ma adesso si sentiva braccato come la preda di un avvoltoio che si era posato deciso e minaccioso sulla sua spalla.

Si infilò la maglietta turchese sopra i capelli scuri e spessi e la fece scivolare sui pettorali favolosi che curava con grande dedizione e sforzo. Diede un ultimo sguardo al sedere nudo e ben fatto della mora prosperosa e si avviò verso la porta. La sera precedente non aveva voluto tornare a casa da solo, e lei era proprio ciò di cui aveva bisogno. Dopo che quella strega di Danica lo aveva definito per quello che era, aveva sentito il bisogno di sfogarsi ed era tornato al bar. “Entra, divertiti ed esci”, ricordò a se stesso. Era stato quello il suo mantra, fin da quando era ragazzino. Dave lo aveva soprannominato il «killer delle donne». Solo che quel giorno non si sentiva su di giri come gli capitava di solito dopo una conquista vittoriosa. E Rozy, o Willow, non ricordava quale dei due nomi, era stata sicuramente una buona conquista. Ora, Blake guardava il corpo nudo della donna e si sentiva soltanto molto solo. Sally e Rusty si sarebbero svegliati di lì a poco e si sarebbero resi conto che Dave era davvero andato via per sempre. Blake sapeva di non poter sfuggire al dolore che gli attanagliava il cuore, ma era convinto di poterlo ignorare.

Si allontanò dall’appartamento della ragazza a bordo della sua Land Rover, pensando a Dave. La tristezza lo colpì come un pugno nello stomaco. Aveva sperato di poter scappare dal vuoto che Dave aveva lasciato nella sua vita e dal dolore che quel pensiero gli procurava, ma si era svegliato esattamente come l’uomo che era la sera precedente, soltanto, se possibile, ancora più solo. Doveva andare al lavoro e affrontare un’attività che avrebbe solo amplificato la sensazione della perdita dell’amico. Desiderava poter passare da un letto a un altro, occupare la mente con i giochi a cui si dedicava a letto, fare finta che il mondo reale non esistesse. Ma persino lui era consapevole del fatto che un giorno quel dolore lo avrebbe trovato e lui sarebbe precipitato in un abisso ancora più profondo di sofferenza, perseguitato dall’aggravante dell’autopunizione.

Blake si fermò davanti alle porte a vetri di AcroSki, i piedi saldi al suolo. Sapeva che una volta entrato la realtà lo avrebbe avvinghiato. Non era pronto ad affrontarla. Aveva ridotto i suoi sentimenti a una piccola fiammella, e sapeva che nel momento in cui avesse aperto quelle porte per immergersi nel buio e nel silenzio della stanza, quella fiammella si sarebbe trasformata in un incendio e gli avrebbe bruciato la corazza che si era costruito.

Il cartello sulla porta diceva “Chiuso”: lo avevano messo lui e Dave prima di andare sulle piste la sera dell’incidente. Le immagini dei momenti precedenti la discesa sugli sci tornarono con violenza alla mente di Blake: la rabbia di Dave, la noncuranza di Blake per quella rabbia. “Dave non varcherà mai più questa porta”. Blake fu sorpreso di come il cuore gli battesse nel petto; le mani iniziarono a tremargli. Non poteva farcela. Non poteva affrontare i clienti e fare finta che andasse tutto bene. Aveva provato a fingere la sera precedente e quella mattina, ma adesso doveva rifare tutto daccapo. Doveva prendersi un giorno libero. Non era in grado di lavorare. Annullò mentalmente tutti gli impegni di quella giornata. Avrebbe perso dei soldi, ma non era un problema. Ne aveva tanti. Avrebbe dovuto pagare i due dipendenti part-time. Ed era giusto. Entro qualche minuto avrebbe deciso. Sarebbe fuggito dalla realtà per un altro giorno, ma dentro di sé sentiva il bisogno di qualcosa, e per capire cosa fosse doveva accettare il silenzio.

Blake irrigidì i muscoli delle gambe, si stirò la schiena e girò la chiave nella toppa. “Posso farcela”. Attraversò la soglia e si trovò nell’aria fredda del negozio. Al mattino era sempre così, prima che si accendesse il riscaldamento. A testa bassa si precipitò verso l’ufficio, cercando di ignorare l’assenza dell’ironia di Dave: “Ehi, killer delle donne. A chi è toccato questa notte? Una bruna o una bionda?”. Blake entrò nell’ufficio, accese la luce e chiuse la porta, lasciandosi alle spalle il fantasma del suo migliore amico. Il petto si alzava e abbassava a ogni respiro. Rovistò tra le carte sulla scrivania, aprì freneticamente i cassetti uno a uno, poi passò al setaccio i documenti che contenevano. “Dove diavolo è finito?”.

Pensava al giorno precedente, quel pezzo di carta che Dave gli aveva infilato nella tasca. Che cosa ne aveva fatto? “Merda!”. Lo doveva trovare subito. Voleva prendere appuntamento con una persona che lo aiutasse a cambiare il suo modo di comportarsi prima di ripensarci. Questa volta voleva impegnarsi con qualcosa di più che semplici parole.

Blake prese il telefono e chiamò i dipendenti, dando loro la notizia della morte di Dave. Avevano bisogno anche loro di tempo per elaborare il lutto, quindi la pausa dal lavoro non li meravigliò. Tornò lentamente nel negozio, uscì dalla porta e la chiuse a chiave alle sue spalle, insieme al vuoto lasciato dall’assenza di Dave. Il cartello “Chiuso” dondolava sul vetro. Blake sapeva che i clienti sarebbero rimasti delusi, ma era più che determinato ad affrontare quella situazione di petto. L’adrenalina lo costrinse a correre verso la sua auto. Entrò, respirando pesantemente. Stava facendo la cosa giusta. Ne era sicuro. La morte di Dave era la spinta di cui aveva bisogno per cambiare la propria vita. Schiacciò il pedale a tavoletta e fu a casa in ventotto minuti.

Fece le scale di corsa fino al terzo piano e aprì la porta del suo appartamento. Entrò come una furia e non si accorse nemmeno della porta che si richiudeva alle sue spalle. Corse verso il cestino dei panni sporchi e li rovesciò sul pavimento, cercò i suoi jeans, rovistò nelle tasche e si ritrovò tra le dita il pezzo di carta. Sospirò profondamente e lo strinse nel palmo della mano.

Andò a sedersi sulla trapunta marrone del letto a due piazze e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, la fronte contro le mani chiuse a pugno. Pensò alla sua prossima mossa. Aveva davvero bisogno di aiuto? Non era in grado di affrontare la morte di Dave come facevano tutti gli altri? Non poteva lasciare che il dolore e la nostalgia lo avvinghiassero e lo lasciassero cadere in una profonda depressione? Avrebbe affrontato la vita come aveva sempre fatto: passando da una donna all’altra, ignorando i propri sentimenti. Affidandosi solo alla protezione che gli davano i suoi piaceri. Cosa c’era di sbagliato in questo?

Aprì la mano e guardò il pezzo di carta spiegazzata. La grafia meticolosa di Dave lo fissava, la sua voce vagava nell’aria. “Il tuo problemino con la mamma”. Blake non pensava a sua madre, almeno non sul serio, da anni. Era andata via quando lui era ancora un bambino. Si distese sul letto e chiuse gli occhi. Dave se ne era andato. Per sempre. Era stato il suo unico vero amico. Tutti gli altri erano figure passeggere, secondarie, innocue. Una lacrima gli cadde lungo la guancia. Lui la asciugò con rabbia. Porca miseria. Non era più un bambino. Tutti muoiono! Faceva parte della vita. Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro.

Il cellulare squillò. Blake lo guardò. “Sally. Merda”. Lasciò che rispondesse la segreteria telefonica, poi digitò il numero che aveva sul pezzo di carta. Doveva essere forte per Sally, e nello stato mentale in cui si trovava non poteva. Il cuore gli batteva forte nel petto. Uno squillo. Due. Poteva chiudere subito la telefonata. Tre. “Chiudi”. Segreteria telefonica. «Risponde lo studio della dottoressa Snow…».

«Salve, ehm… vorrei prendere un appuntamento». Aggiunse il suo numero di telefono e poi allontanò il cellulare dall’orecchio. Lo riavvicinò. «Grazie». Chiuse la telefonata e poi si rese conto di non aver lasciato il nome. Non avrebbe richiamato per nessun motivo. Sapeva di correre il rischio di cancellare l’appuntamento. Fece il numero di Sally.