Capitolo diciassette

Blake era seduto in auto davanti alla chiesa dove si sarebbe tenuto il funerale e osservava le goccioline di pioggia gelida che tagliavano la nebbia densa. La gente entrava in fila nel basso edificio di mattoni, teste chinate e ombrelli sospesi come scudi sotto cui ripararsi. Nulla avrebbe potuto fungere da riparo a Blake dal tormento delle ore che lo aspettavano. La solitudine lo circondava. Era stato l’unico ad arrivare da solo, e fino a qualche giorno prima questa condizione non lo aveva mai preoccupato. Era orgoglioso del modo in cui sapeva entrare in una stanza. La bellezza e la sicurezza in se stesso gli erano state utili, ma adesso non c’era nulla che desiderasse più dell’invisibilità.

Quando squillò il cellulare, fissò il numero. “Danica Snow”. Rispose con la voce impastata di tristezza. «Pronto?»

«Blake?»

«Sì, ciao, Danica… ehm, dottoressa Snow». Che idiota. Qual era il modo giusto di rispondere?

«Danica va benissimo. Sto guardando i miei appuntamenti per la prossima settimana e ho appena visto che non hai confermato la nostra seduta di lunedì. Prima di occupare quell’ora, ho pensato di chiederti se pensavi di venire». Il tono professionale di Danica non lasciava dubbi sui motivi della telefonata.

«Sì, grazie».

«D’accordo. Vuoi che prenoti una seduta per tutti i lunedì? Alla stessa ora?».

Blake si rese conto di non aver prestato la dovuta attenzione alle esigenze di Danica e si districò dal suo disagio quanto bastava per scusarsi.

«Non importa per questa volta, ma se potessi decidere un giorno e un’ora fissi oppure comunicarmi entro il mercoledì di ogni settimana la data per quella successiva mi saresti di grande aiuto».

Blake sospirò. Ancora una volta aveva combinato un casino. Quando sarebbe riuscito a fare le cose per bene? «Mi dispiace, Danica. Sì, tutti i lunedì sarebbe perfetto, grazie. Adesso hai un po’ di tempo, per parlare, voglio dire?».

Seguì un silenzio spiacevole e Blake capì l’antifona. «Non intendo di cose personali. Sono fuori della chiesa per il funerale di Dave. La funzione inizierà tra dieci minuti e non sono sicuro di… non so come comportarmi. Mi sento a disagio».

«Posso dedicarti dieci minuti. Li aggiungerò alla tua prossima fattura».

Ecco. Sempre lavoro. «Grazie». All’improvviso, Blake non si sentiva tanto solo.

«C’è un amico insieme a te?», chiese Danica. «Qualcuno con cui entrare?»

«No. Sono solo».

«Va bene. Ricordati che sei lì perché Dave era un tuo amico, quindi non si tratta di te. Lo fai per mettere la parola fine a un’esperienza, ma in realtà i funerali servono per offrire supporto alla famiglia».

«Non l’avevo mai vista in questi termini».

«Lo so. Le persone sono quasi sempre troppo concentrate sui propri sentimenti per guardare altro, come le persone amate lasciate indietro».

Blake immaginò Danica seduta alla sua scrivania, la penna in una mano, gli occhi pieni di solidarietà.

«Sally e Rusty saranno felici di vederti. Tu eri il suo socio, il suo amico. Anche se stai mettendo in discussione quell’amicizia, loro hanno bisogno di vederti lì. Devi stare lì, per onorare e ricordare Dave».

Oltre il finestrino Blake vide una giovane coppia che entrava in chiesa. L’uomo teneva un braccio sulle spalle della donna, e la stringeva forte a sé sotto l’ombrello. Si chiese se anche loro provassero il suo disagio. «Bene. Che cosa significa esattamente? Che cosa devo fare? Non sono bravo in queste cose. Sono più bravo in un bar». Riuscì a prodursi in una breve risata.

Danica continuò a essere professionale e diretta. «Blake, puoi farcela. Sei una persona migliore di un ragazzo che sa stare solo in un bar. Guarda nello specchio e dimmi cosa vedi. Ora. Fallo».

Blake girò lo specchietto retrovisore e si guardò il viso. Che cosa vedeva? Si sentì stupido a guardarsi e a cercare di descrivere il proprio aspetto. Un bel ragazzo? Un amico addolorato? Non trovava la risposta giusta.

«Blake? La prima cosa che ti viene in mente, flusso di coscienza. Dimmi che cosa vedi».

«Non ci riesco. Non so che cosa vedo. Un ragazzo. Un ragazzo confuso e squallido». Girò lo specchio dall’altro lato.

Danica sospirò. «Immaginavo che avresti risposto in questo modo. So che adesso non guardi più nello specchio. Fallo di nuovo». Danica restò ad aspettare.

“Al diavolo!”. Blake girò di nuovo lo specchio verso di sé.

«Sono certa che se guardi meglio, vedrai il ragazzo simpatico che vedeva Dave. Lo sciatore bravo, sicuro di sé e divertente, il socio e l’amico. È lì. Lo vedi?».

A Blake venne voglia di ridere. «Forse». Si comportava in modo bizzoso e lo sapeva. Dominò il suo istinto e disse: «Va bene, sì. Vedo quel ragazzo nello specchio».

«Bene. Ora elimina i pensieri su quel tipo squallido. Confuso va bene, ma squallido non è adatto a un funerale. Trova il ragazzo a cui Dave era affezionato e portalo in chiesa. Siediti a metà della navata, non davanti, non in fondo. Davanti è da presuntuosi, le file in fondo sono per le persone che vogliono nascondersi».

«Essere invisibile sarebbe la cosa migliore».

«No, non è vero. Avevi rispetto per Dave, e lui ne aveva per te. Siediti, ascolta la messa, e rifletti attentamente su ciò che viene detto del tuo amico. Onoralo con la tua attenzione e con le tue emozioni. Se piangi, va bene. Se ridi, va bene. Se senti qualcosa, allora sei stato bravo. È questa l’unica cosa importante. Si tratta della famiglia di Dave, non della faccia che hai in quella chiesa. Va bene?».

Il modo in cui Danica disse: “Va bene?”, pieno di solidarietà, fece stringere il cuore di Blake.

«Va bene. Posso provarci».

«Ho fiducia in te, a lunedì».

Blake chiuse la telefonata e si guardò di nuovo nello specchio, cercando nei suoi occhi scuri la persona che Danica sembrava sicura esistesse. “Fallo per Sally e Rusty”. Uscì dall’auto ed entrò in chiesa, individuò la fila a metà navata e si mise seduto accanto a una signora incredibilmente magra e dai capelli grigi, e con la pelle quasi trasparente. Lei lo guardò e gli sorrise, sebbene gli occhi di un colore tra il grigio e il verde fossero già pieni di lacrime.

Blake annuì in risposta. Notò che il posto accanto alla donna era vuoto. Sembrava che anche lei fosse sola. Questo gli diede un po’ di conforto, poi pensò che sentirsi confortato dal dolore degli altri non era forse la cosa migliore. La sua determinazione vacillò, e si ripeté ancora una volta il motivo per il quale si trovava in quel luogo. “Sally e Rusty”.

La funzione proseguì, rapida e triste, quarantacinque minuti di ricordi e racconti significativi dei familiari di Dave. La donna seduta accanto a Blake pianse per tutto il tempo. Blake si sforzò il più possibile di ascoltare ogni parola, ma nella sua mente tornavano le immagini di Dave e del loro ultimo giorno sulle piste. Avrebbe dovuto vedere la sua angoscia; avrebbe dovuto fermarlo, costringerlo a sciare insieme. Ma quello non era Blake. Era stato troppo preso dai suoi pensieri per preoccuparsi dell’amico, e adesso lo aveva perso. “Non si tratta di te”, si ricordò. “Sally e Rusty lo hanno perso”.

Dopo la messa, Blake si tirò su e offrì la mano alla donna per aiutarla ad alzarsi.

«Grazie», disse la signora con voce tremante. «Odio queste funzioni e, alla mia età, devo andarci ogni settimana».

«Conosceva bene Dave?», chiese Blake.

«Non proprio. Lo vedevo arrivare e ripartire in auto ogni settimana, ma era un amico della mia vicina, così ho voluto portargli il mio saluto». Si avviarono insieme verso la porta.

«La sua vicina è qui?», chiese Blake.

«Sì, nella fila in fondo». Indicò con un cenno della testa una donna piccola e bionda. «Povera cara. L’ha presa proprio male. Non so che cosa farà adesso».

Blake non riconobbe la donna, anche se avrebbe dovuto, pensò. A parte alcuni compagni di sciate, non aveva idea di chi fossero le persone con cui Dave passava il suo tempo. Secondo quanto lui stesso raccontava, non tante a parte la sua famiglia. Ma quella donna non si sarebbe seduta accanto ai familiari se fosse stata tanto intima? Osservò la donna indossare un pesante cappotto di lana e uscire in fretta dalla chiesa, da sola.

Dopo la funzione al cimitero, Blake si avvicinò a Sally. Fu felice di avere con sé l’ombrello da reggere. Aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa che non fosse il fatto che il suo migliore amico stava per essere messo sottoterra. Aveva sperato che Sally aspettasse fino alla primavera per farlo, dando a tutti il tempo di accettare l’idea che Dave non ci fosse più. Ma lei era stata inflessibile sulla scelta del seppellimento immediato e, sebbene Blake capisse la necessità di mettere un punto, questo non lo aiutava a sciogliere il nodo che sentiva alla gola.

Blake abbracciò Sally. «Mi dispiace tanto». Si chiese se lei gli rimproverasse qualcosa, ma non osò domandarglielo. Non era pronto per sentire la risposta.

Sally annuì, incapace di parlare attraverso le lacrime. Si appoggiò a lui e pianse. Blake la stringeva forte, mentre Rusty lo guardava con la coda dell’occhio. Blake immaginava la preoccupazione di quel ragazzo, aveva paura che lui rivelasse a Sally che non era andato all’allenamento. Persino Blake si rendeva conto che quello non era né il momento né il luogo adatto per quel tipo di discussioni. Fece un cenno a Rusty per tranquillizzarlo e vide che la sua aria preoccupata lasciava il posto a un’espressione più sollevata.

Sally si staccò da Blake e si asciugò gli occhi.

«Dave sarebbe stato felice di averti qui», disse.

Blake notò che non aveva detto che lei era felice di averlo lì. “Si tratta della sua famiglia, non di te”. «Era un brav’uomo, Sally. Vorrei averlo fermato…».

Sally scosse la testa e nuove lacrime le rigarono il viso. «No. Non potevi fermarlo. Forse questo evento si stava preparando da tanto tempo».

«Che cosa…».

Lei gli si avvicinò, in modo che Rusty non potesse sentire. «Io e Dave avevamo dei problemi». Sally cercò il suo sguardo e Blake si chiese se aveva notato la sua incredulità; poi lei continuò: «Dobbiamo parlare».

Blake era rimasto senza voce. Sally strinse le labbra come fanno le donne quando trattengono dei singhiozzi violenti. Il suo petto sussultava. Blake lanciò uno sguardo a Rusty che si era allontanato da loro e si era fermato vicino al parcheggio, a testa bassa. “Dave, che cosa stava succedendo?”.

«Sally… non sapevo», iniziò Blake.

Lei scosse la testa, poi guardò Rusty. «Non dire nulla. Domenica Rusty andrà a casa di un amico nel pomeriggio. Puoi passare intorno all’una?».

Blake ebbe la sensazione di trovarsi sull’orlo del dirupo, un solo passo nella direzione sbagliata e sarebbe scivolato nel vuoto. “Si tratta di Sally e Rusty, non di me”. «Certo. Ci sarò».