Capitolo quattordici

Il lunedì mattina arrivò con una folata di neve e un vento minaccioso. Blake scivolò fuori dal letto e raggiunse il bagno con passi incerti. Si chinò sul lavandino con indosso solo un paio di boxer neri. Il corpo muscoloso e sottile si muoveva rigidamente. Allungò le braccia sopra la testa, e si preparò per tornare all’AcroSki. L’assenza di Dave si era insediata nelle sue ossa e nei suoi muscoli come un dolore sordo.

Si lavò il viso con l’acqua fredda, poi prese un asciugamano e passandoselo sulla faccia iniziò a pensare alle cose da fare per quella giornata: caffè e uovo sbattuto, apertura del negozio, altro caffè. Si chiese se avrebbe incontrato Danica al bar. Un rapido brivido gli attraversò il petto. Stirò le labbra in un sorriso. Era riuscito a superare la notte senza la compagnia di una donna e senza soffrire. Sicuramente un buon segno. Avrebbe fatto un piccolo passo ogni giorno. Si chiese se durante il percorso che lo avrebbe portato a fare a meno delle donne, si sarebbe comportato come un eroinomane e avrebbe avuto delle crisi d’astinenza da sesso.

Aveva un appuntamento con Danica quella mattina. La dottoressa Snow, accesso vietato, si ricordò. Dopo la seduta, avrebbe chiamato Sally e le avrebbe detto di Rusty. Si sentiva in colpa per non averle raccontato subito della bugia del figlio, ma ogni volta che prendeva il telefono gli tornavano alla mente i racconti di Dave degli allenamenti di pallacanestro. Qualcosa non quadrava, e lui non aveva voglia di scoperchiare un vaso di Pandora che non sarebbe stato in grado di governare. Sperò che Danica gli potesse dare un buon consiglio su come gestire la situazione.

Blake aprì la doccia e si tolse i boxer, piegandosi sulle gambe. Sentiva la tensione crescere e poi diminuire. Ripeté l’esercizio: amava la scarica di adrenalina che gli dava sentire i muscoli tornare alla vita.

Continuò la lista delle attività della giornata: assumere una persona che facesse il lavoro di cui si occupava Dave, trovarsi un hobby. “Un hobby. Ne esistono altri a parte le donne e lo sci?”. Subito dopo l’incidente, si era chiesto se sarebbe mai tornato sulle piste; poi si era subito reso conto che lo sci non era una cosa a cui avrebbe rinunciato, ed era sicuro che nemmeno Dave avrebbe voluto che lo facesse. Di sicuro sarebbe stato più attento e avrebbe corso meno rischi. Non poteva certo sciare tutti i giorni. Si era adattato in fretta al cambiamento di stile di vita quando era passato dal fare l’istruttore di sci a essere proprietario di un negozio. Aveva rinunciato a una grossa fetta di libertà, ma era stata la cosa giusta da fare. La sicurezza finanziaria non era sovrastimata.

Entrò nella doccia e restò immobile sotto il flusso d’acqua, lasciando che gli scorresse sul volto e sulla schiena. Chiuse gli occhi e sentì che la tensione muscolare si allentava. Si voltò e appoggiò i palmi sulla ceramica che copriva la parete della doccia. L’acqua stava sciogliendo la tensione che si era installata tra le scapole.

Giorno dopo giorno. Poteva farcela.

AcroSki apriva i battenti alle dieci. Dopo l’arrivo di Alyssa, la dipendente part-time, Blake sistemò un cartello sul bancone nella speranza di evitare infinite domande su Dave. Diceva: “Dave Tuft, socio di AcroSki, è deceduto lo scorso fine settimana. Ne sentiremo profondamente la mancanza. Inviare le condoglianze a…”, seguito dall’indirizzo della chiesa che frequentava Sally. A Blake già mancavano i racconti di Dave sul fine settimana trascorso in famiglia, sebbene ora si chiedesse quanto fossero veri.

Esaminando i documenti sulla scrivania dell’amico, Blake si rese conto della mole di lavoro che svolgeva. Avevano lavorato in tale sintonia che la divisione dei compiti era diventata naturale. Ora lui doveva mettere in ordine tra i conti relativi agli ordini, alla contabilità e allo staff. L’ansia gli procurò un brivido lungo la schiena. Aveva bisogno di qualche minuto per stabilizzarsi prima di dedicarsi alla scrivania di Dave.

«Vado a prendere un caffè. Ne vuoi uno anche tu?», chiese ad Alyssa.

Alta e magra, la corporatura muscolosa di una sciatrice e i capelli raccolti in una coda, Alyssa si voltò verso di lui. «No, grazie. Ma va’ pure. Ora sono impegnata».

Blake si avviò verso la porta. Era rimasto deluso di non vedere Danica al bar prima di aprire il negozio. Si preparò per affrontare il freddo e tornare nello stesso locale.

L’aroma del caffè gli ricordò il giorno in cui aveva involontariamente colpito Danica. Rise tra sé e sé. “Il mondo è piccolo”. Tre donne a un tavolo lo guardavano con insistenza, lo divoravano con gli occhi come se fosse una gigantesca barretta di cioccolato. Blake prese posto in fondo alla fila che scorreva rapidamente, e quando arrivò il suo turno la barista che lo conosceva bene disse: «Ciao, Blake. Il solito?»

«Sì, grazie». Poi ci ripensò e disse: «No, aspetta. Dammi invece un bicchiere di latte con vaniglia e un bagel alla crema».

«Eccoli che arrivano», rispose lei scherzando.

“I cambiamenti fanno bene”. Blake non mangiava un bagel da anni. Si era mantenuto fedele a una dieta ferrea fatta di caffè, proteine, verdura, alcol e, naturalmente, donne. Prese il sacchetto e il caffè dalle mani della barista, pagò e uscì di nuovo nella neve. Camminava a testa bassa, le spalle curve per resistere al vento, e ripensava al bagel.

La porta dell’AcroSki gli sfuggì dalle mani sotto la forza del vento. La spinse per farla richiudere alle sue spalle e si ripulì le spalle dalla neve.

«Fa freddo, eh?», disse Alyssa.

«Ti ho portato una cosa». Blake si tolse il giaccone e andò nell’ufficio. Appoggiò il caffè e offrì il bagel ad Alyssa. Era già impegnato a cambiare le abitudini nella sfera personale; quelle alimentari avrebbero dovuto aspettare.

«Non ne ho bisogno», disse Alyssa, poi si diede un colpetto sullo stomaco.

«Per favore». Blake rise. «Scorta di carboidrati. Ti serviranno oggi, per rimettere in ordine la roba di Dave… per il lavoro che dobbiamo fare». Sentì un dolore al petto mentre la luce negli occhi di Alyssa si spegneva.

«Va bene», disse lei, e se ne andò portandosi il bagel.

La porta si chiuse alle sue spalle, lasciando Blake da solo nell’ufficio che aveva diviso con Dave, solo con i suoi pensieri, i ricordi e le paure. Si mise seduto sulla sedia a fissare la scrivania. Le tracce dell’amico erano ovunque, dalla foto della sua famiglia agli scarabocchi sul calendario, ai post-it attaccati a casaccio sulla parete di fronte.

Blake si piegò e si prese la testa tra le mani. Chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo. Concentrazione. “Che cosa farebbe Dave?”. Era quello il problema. Lo conosceva da molti anni, eppure non riusciva a immaginare come avrebbe agito in quella situazione. La voce di Rusty gli tornò alla mente. “A mio padre non gliene fregava un cazzo di me, lui pensava solo a se stesso”.

«Dave, che diavolo hai combinato?», disse alla stanza vuota.

Essere in cura da una psicologa gli dava un senso di sottomissione, ed essere sottomesso non era una condizione nella quale Blake si sentisse a proprio agio. Seduto di fronte a Danica, si ripeteva che stare lì era una sua scelta. Non lo aiutava. Continuava a sentirsi come un alunno al liceo nella stanza della preside. Nella stanza di una bellissima preside.

«Di cosa vuoi parlare oggi, Blake? Sei pronto per raccontarmi di Dave?».

Blake osservò i capelli ribelli di Danica, poi spostò lo sguardo sulla camicetta e sui pantaloni sportivi, cercando di capire cosa ci fosse di diverso.

«Hai finito?», chiese Danica, fissandolo con le sopracciglia alzate.

«Scusa. Non ti guardavo in quel modo». Blake si passò una mano sul viso chiedendosi se la stesse guardando in quel modo.

«In quale modo?», chiese Danica.

«Sai, come gli uomini guardano le donne. Oggi sembri diversa, e stavo cercando di capire perché».

Danica sorrise. «Va bene, grazie per averlo notato».

«Ah!», esclamò Blake. «Sapevo che c’era qualcosa di nuovo. Ma, a dire la verità, non capisco cosa sia».

Danica scosse la testa. «Non importa. Non siamo qui per parlare del mio abbigliamento. Dave, ricordi?».

Blake sospirò profondamente e incrociò le braccia. «Dave, certo». “Da dove inizio?”. «Qualche giorno fa ho accompagnato il figlio quindicenne di Dave, Rusty, all’allenamento di pallacanestro. Be’, io pensavo di portarlo all’allenamento di pallacanestro, ma lui è uscito di nascosto insieme ai suoi amici e io l’ho scoperto».

«Non è così strano per un adolescente». Danica scrisse qualcosa sul suo blocchetto per appunti.

«No, ma…». “Diglielo. Scopri tutte le carte”. «Va bene, ti spiego tutto. Dave mi raccontava spesso degli allenamenti di basket del figlio ai quali diceva di andare tutte le settimane, e di quanto fosse meravigliosa la sua famiglia, ma a sentire Rusty invece non assisteva mai a quegli allenamenti».

«Capisco. Dave ti ha mentito. Questo come ti fa sentire?». Danica si appoggiò allo schienale della sedia e osservò Blake guardandolo fisso negli occhi.

Lui era molto teso. «Non è esattamente questo che mi dà fastidio. Molti fanno finta di vivere una vita migliore di quella che vivono in realtà, credo. Tutti abbiamo la tendenza ad abbellire le cose». Blake muoveva nervosamente le mani, poi si chinò in avanti, intimidito dal silenzio di Danica. Alzò di nuovo gli occhi per guardarla e capì cosa aveva di diverso: la giacca. L’ultima volta che si erano incontrati lei indossava abiti molto eleganti. Quel giorno portava un’ampia giacca di cotone sopra qualcosa che sembrava un sottogiacca dello stesso tessuto. Chiunque altro avrebbe avuto un’aria sciatta. Danica sembrava tutto meno che sciatta.

Blake si appoggiò allo schienale e disse: «La cosa che mi dà fastidio, credo, è che forse non conoscevo affatto Dave, anche se era il mio migliore amico. Cioè, lavoravamo insieme, dividendoci i compiti, e andavamo a sciare insieme. Ma se dovessi dire cosa facesse Dave in determinate situazioni, o cosa accadesse nella sua vita a un livello più profondo, dovrei ammettere di non averne la più pallida idea. Rusty ha detto che a suo padre non gliene fregava un ca…». Blake non completò la parola. «Scusa. Ha detto che a Dave non gliene importava nulla di lui, né di chiunque altro, ma l’uomo che conoscevo io non era affatto una persona così. Il Dave che conoscevo io adorava la sua famiglia».

«A volte la percezione degli adolescenti è deviata da qualcosa che stanno sperimentando nella loro vita. È possibile che lui abbia percepito l’attenzione dei genitori come inquisitoria, una spina nel fianco».

Blake si fermò a riflettere su quelle parole. «Sì, è possibile, ma ha detto anche che Dave non assisteva agli allenamenti».

«Be’, gli adolescenti spesso vedono solo il qui e ora, quindi è probabile che Dave sia mancato solo agli ultimi allenamenti, o forse che non ci sia mai andato. Questo avrebbe cambiato le cose tra te e Dave?»

«No, tra di noi no, ma significa che mi ha mentito».

«E questo come ti fa sentire? Come credi che avresti potuto cambiare questa circostanza? Avresti potuto fare qualcosa per evitare che lui ti mentisse?»

«Non lo so. Avrei potuto fargli delle domande, parlargli di più».

«E se invece il problema fosse chi eri tu all’interno della vostra relazione? Vedi, Blake, tutti noi abbiamo un ruolo in ogni relazione. A volte siamo gli aggressori, a volte il centro dell’attenzione; a volte, ne facciamo parte solo per una questione di apparenza, come se fossimo una specie di moglie-trofeo. Altre volte, però, possiamo essere la persona che dà forza all’altro, o che ha bisogno di ricevere forza dall’altro. Non possiamo essere tutto in ogni relazione». Danica appoggiò il blocchetto degli appunti sulla scrivania. «Vedi, a volte le amicizie non sono adatte a condividere gli aspetti più difficili della nostra vita; ma l’amicizia più superficiale, oppure quella nella quale condividi solo i momenti più allegri, non è per forza meno importante. Anzi, a volte ha una grande rilevanza. Forse è questo il tipo di amicizia che avevate tu e Dave. Forse lui sentiva di poter essere quel tipo di persona con te, quella con la quale non si affrontavano i problemi».

«Secondo me molti di noi hanno un po’ di ognuna delle caratteristiche che hai elencato». Blake si chinò in avanti, riflettendo sulle parole di Danica.

«A volte, sì. Ma se tutti quegli aspetti della loro personalità non sono già presenti, non riusciranno a fingere così bene di averli. Quindi devi chiederti qual era il tuo ruolo nella relazione con Dave».

Blake si appoggiò di nuovo allo schienale e incrociò le braccia. “Io ero quello che lui incitava, quello che invidiava. Ero quello che prendeva tutto alla leggera e si scopava le donne”. «Non credo di essere stato un buon amico».

«È un giudizio piuttosto duro. Eri l’amico di cui Dave aveva bisogno? Lui era l’amico di cui tu avevi bisogno?».

Danica lo stava di nuovo guardando in quel modo che gli faceva stringere lo stomaco, come se si aspettasse una risposta perspicace che Blake non le sapeva dare. «Come faccio a saperlo?», le chiese.

«Be’, avevi la sensazione che alla vostra amicizia mancasse qualcosa quando Dave era vivo, oppure è una sensazione che provi solo adesso? Il dolore può manifestarsi in molti modi e può modificare i ricordi».

“Cazzo, se è brava”. Stava modificando i ricordi della loro amicizia? «Credo che la nostra fosse una bella amicizia. Ci divertivamo insieme… io mi divertivo insieme a lui. Non posso sapere se fosse così anche per Dave».

«No, non puoi, e non puoi cambiare il tipo di amico che eri per Dave, anche se credo che non fossi un cattivo amico. Di solito le persone non vanno in giro con amici che trovano noiosi». Danica si portò la matita alle labbra. “Oh, quelle labbra”. «Blake, è possibile che la morte di Dave ti stia spingendo a chiederti che tipo di amico tu sia in generale? Voglio dire con gli altri, non solo con Dave?».

Lui incrociò le braccia.

Danica mise la penna sulla scrivania e si appoggiò allo schienale della sedia. «Sembri un mucchio di cavi elettrici pronti al contatto. A che cosa stai pensando in questo momento? Che cosa c’è che non mi dici?».

La rabbia fece tendere ancora più forte i muscoli di Blake.

«Sono indiscreta, lo so. Ma, Blake, non sono sicura che il problema sia che tu non conoscessi Dave, credo invece che possa essere qualcosa di più generale: forse che tu non conosci te stesso abbastanza bene».

Blake espirò forte e disse: «D’accordo, sì. Non ho altri amici. Ecco, va bene? L’ho detto. Non sono una persona con la quale gli altri escono volentieri. Sono uno con cui le donne vanno a letto e con cui gli uomini possono andare a farsi una birra ogni tanto, o andare a sciare. Mi considerano una specie di creatura magica perché posso andare a letto con tutte le donne che voglio». Si sentiva le gote in fiamme. Era un leone in gabbia che aveva bisogno di fuggire. Si alzò e si avvicinò alla finestra, indispettito dal fatto che lei potesse restare così calma mentre lui era furioso. «Era questo che volevi sentirmi dire?». “Stronza”.

«Non stiamo parlando di me». Parlava come una maestrina, una preside, un agente di sorveglianza.

«Bene. Forse ho fatto un errore a venire qui». Si passò una mano tra i capelli, poi incrociò le braccia, fissando un punto fuori dalla finestra.

«Sta solamente a te dirlo».

«Te ne stai seduta lì come una dea arrogante, come se non avessi mai fatto qualcosa che ti abbia fatto sentire una persona pessima». Si girò e guardò Danica, seduta con le gambe accavallate, appoggiata allo schienale della sedia. Sembrava calma, fredda e padrona di sé, mentre la rabbia di Blake ribolliva violentemente.

«Mi dispiace che tu ti senta così. Tutti noi facciamo cose che ci fanno sentire inadeguati, ed è del tutto naturale arrabbiarsi quando mettiamo a fuoco sentimenti che preferiremmo non ci appartenessero».

«Ah, quindi adesso io sarei inadeguato?», disse Blake fremendo di rabbia.

«No». Danica sorrise, ma gli occhi la tradirono. Dicevano qualcosa del tipo: “Certo che lo sei”.

Blake incrociò le braccia e la fissò, questa volta aspettando che lei continuasse a parlare. La mise con le spalle al muro.

«Quello che voglio dire è che se non sei soddisfatto della tua relazione con Dave, non puoi farci più niente, ma puoi cambiare le cose che non ti soddisfano di te stesso relativamente alle tue amicizie, o a qualsiasi altra cosa».

Blake afferrò il cappotto dall’attaccapanni e disse: «Credo che abbiamo parlato abbastanza per oggi».

Danica si alzò, le labbra appena dischiuse, il viso dolce, gli occhi teneramente compassionevoli. «Va bene. Sei tu il paziente».

Blake sentì l’improvvisa voglia di prenderla tra le braccia e baciarla fino a farle uscire da dentro tutta quella arroganza. Era tanto provocante quanto irritante. Si avvicinò alla porta e afferrò la maniglia. «Grazie».

Quando Danica parlò, lo fece con voce sicura e decisa: «Blake, la terapia è difficile. Le cose di solito peggiorano prima di migliorare».

Lui si voltò a guardarla, una mano sulla sua via di fuga, l’altra che stringeva il cappotto.

«Non sei qui perché sei perfetto. Sei qui perché hai deciso di affrontare un problema. Stiamo cercando di tirare fuori le cose che possono non essere quelle che vorresti sapere di te stesso. Pensa alla tua mente come a un giardino. Stiamo dissodando il terreno, riportando in superficie le cose sepolte: le cose sporche, difficili, marce o dimenticate che sono state nascoste forse per troppo tempo. Questa è la parte difficile. Prendila per quello che è».

Blake non sapeva cos’altro dire. Sebbene la rabbia lo stesse torturando, sapeva che Danica aveva ragione.

«In seguito sarà più facile. Te lo prometto».

Blake uscì senza dire una sola parola.