Capitolo nove

Thaylina vide l’uomo con la cappa verde scuro che la guardava dai piedi della torre e il suo cuore saltò un battito.

«Mi fai salire?», le chiese lui.

La ragazza si affrettò giù per le scale ad aprire la porta, disobbedendo alle istruzioni della strega, che le aveva detto di non far entrare nessuno.

«Sapevo che mi avresti accolto», esclamò l’uomo, seguendola in cima alla torre.

La navetta si ferma. Distolgo gli occhi da quelli di Brendan e guardo fuori dal finestrino. Siamo già arrivati. Il viaggio mi è sembrato troppo breve oggi.

«Parleremo più tardi». Brendan si alza e percorre in fretta il corridoio tra i sedili, prendendo il telefono prima di scendere.

Io ci metto almeno un minuto ad alzarmi. Per poco non cado scendendo i gradini. I segreti mi soffocano. E molti non sono nemmeno miei.

«Lana, oggi farai pratica con Kaely al The Grille», mi spiega Cary quando timbro il cartellino. «Sai qual è l’uniforme giusta, vero?»

«Sì», rispondo assente, camminando distratta verso gli spogliatoi. Sono così persa tra i pensieri e le mezze verità che non noto la persona di fronte a me fino a quando non ci sbatto contro. «Oh, scusa».

I miei occhi trovano quelli azzurri come il cielo di Grant. Mi ha afferrato il gomito per non farmi cadere e sembra preoccupato. «Lana? Tutto bene?»

«Oh, sì, scusa… ero sovrappensiero».

«E quindi non riesci a camminare?», scherza.

Mi scrollo la confusione dalla testa e gli rivolgo un sorriso. «A quanto pare».

«Dove lavori oggi?»

«Al The Grille».

«Peccato, io sono al Ninth Bar con Stefan. Mi tieni il posto in mensa?»

«Certo», rispondo, cercando lentamente di decifrare quello che ha detto.

Grant mi passa accanto e si volta a guardarmi: io rimango ferma come un’idiota a fissarlo. Sul serio, il mio cervello non può affrontare nulla oggi.

Mi serve un attimo per processare tutto. Tutto tranne Grant. Quando lui è vicino sembro in catalessi, quindi non ho intenzione di sprecare tempo a pensare cosa diavolo significhi. Devo invece capire perché Niall è così evasivo riguardo mia madre. Perché mi ha rappresentata per anni gratis senza che io me ne accorgessi. E chi paga la mia retta alla Blackwood, visto che Brendan ci tiene tanto.

Il che mi porta a Brendan, anche lui rappresentato da Niall. E lui è fissato su questi dettagli ben più di me. Come mai gli interessa tanto? E perché poi dovrebbe importare a me? Le risposte a queste domande non ripuliranno la mia fedina, e non assicureranno che Vic paghi per quello che ha fatto senza però coinvolgere i miei amici. Quella dovrebbe essere la mia priorità. Il resto è solo una distrazione non necessaria.

Però… non riesco a smettere di pensare a quello che Brendan mi ha detto sulla navetta: qualcuno ha ucciso sua madre. E Niall potrebbe sapere chi è stato.

Forse dovrei parlargli, anche solo una volta.

«Hai dimenticato la combinazione?».

Sobbalzo.

«Oh, no, sono solo un po’ fuori stamattina». Mi rendo conto che sono stata un bel po’ ferma davanti al mio armadietto a fissarlo e Kaely mi ha raggiunta.

«Ashton?», domanda, come se lei fosse la spiegazione. Suppongo che tutti sappiano quello che fa nel tempo libero.

«In realtà, no». Lei indossa già l’uniforme. «Scusa, faccio in un attimo. Ci vediamo di sotto?»

«Certo». Sorride ed esce dallo spogliatoio, con la coda di cavallo ramata, spessa e mossa che ondeggia dietro di lei.

Quando prendo l’uniforme per il The Grille dall’armadietto, un pezzo di carta cade a terra. Il lato che vedo è bianco. Mi piego per raccoglierlo, lo giro e leggo a lettere maiuscole, tutte rosse:

STAI LONTANA DA LUI

Il tratto è pulito e preciso come se fosse fatto con un righello. Anche se non so perché, il mio primo istinto è guardarmi intorno nello spogliatoio e lo faccio. Come se la persona che l’ha scritto potesse essere nascosta in un angolo a osservarmi. È tutto vuoto, fino a quando non entrano tre ragazze che ridono e chiacchierano. Si separano per raggiungere i loro armadietti e cambiarsi per il turno.

«Tutto bene?», chiede una a qualche armadietto di distanza dal mio.

«Sì», rispondo chiudendo l’anta. Prima che possa aggiungere altro, prendo l’uniforme e vado a cambiarmi.

Prima il messaggio sul muro, ora questo. Dev’essere la stessa persona. Qualcuno che sa cos’è successo? È l’unica cosa che abbia senso. Ma chi è lui? Mi lamento frustrata. Chiunque stia facendo questi giochetti, se la sta giocando malissimo con le minacce, perché io non le capisco. Sii preciso, pazzoide!

Vedo Brendan camminare verso i cart davanti a me e mi affretto per raggiungerlo.

«Sei tu?», gli mostro il bigliettino.

Lo prende e lo legge. «Wow, ti muovi in fretta, Lana».

«Cosa?»

«Sembra una ragazza gelosa che ti mette in guardia dal toccare il suo uomo».

«Che stupidaggine, sono appena arrivata qui e ho parlato con pochissima gente a parte te. Hai qualche ex psicopatica di cui dovrei essere messa al corrente?».

Brendan scuote la testa. «Io non mi fidanzo proprio per questo motivo». Mi ridà il bigliettino. «Fa’ attenzione. Chiunque sia, non le vai a genio».

«A lei? Ma se sei l’unico che sa qualcosa di me… illegalmente, ma sei comunque l’unico».

«Io non faccio questi giochetti».

«Bugiardo». È il mago dei giochetti, questo era chiaro fin dal primo giorno.

«Non come questi». Indica con un cenno il bigliettino che ho in mano. «Sono disposto a condividere quello che so, quando tu farai lo stesso. Le minacce ambigue non sono il mio stile».

Si allontana, avvicinandosi a un uomo con un orribile cappello a scacchi e la pancia. Si stringono la mano e Brendan si accomoda al posto di guida del cart. Ora noto che è vestito con i pantaloni color cachi e una polo blu, con la scritta KCC sul petto. Tira fuori un cappellino da tennis bianco prima di partire.

È un caddie. Il suo lavoro è aiutare i membri a giocare a golf. Spara stronzate tutto il giorno, la mansione perfetta per lui.

Non so quale porta sia quella di servizio del The Grille, così mi avvicino al bancone dove Kaely sta servendo un gelato a un bambino in costume, bagnato fradicio.

«Ciao», mi saluta allegra. «L’ingresso per lo staff è a destra, sotto le scale». Indica il lato dell’edificio.

Trovo la porta che ha indicato ed entro in un magazzino. I ripiani sono pieni di cibo non degradabile e bevande. Sento delle voci che vengono da più avanti e le seguo. C’è una piccola cucina e un’area di servizio dove un ragazzo alto e magro sta girando degli hamburger sulla griglia.

Mi nota e mi rivolge un sorriso goffo. «Ehi!». I suoi capelli ramati gli finiscono davanti agli occhi, spuntando dal suo cappellino del Kingston Country Club e, insieme alla barbetta che gli cresce sul mento, credo siano gli unici peli che ha in tutto il corpo.

«Ciao», lo saluto, proseguendo verso il bancone dove Kaely e un’altra ragazza stanno prendendo gli ordini da altri bambini in costume.

«Piatti pronti», chiama il ragazzo dal retro, premendo su un campanello.

Quando Kaely si volta per prenderli, mi sorride. «Ciao, mi dai una mano con gli ordini?».

La seguo in cucina dove mi presenta al ragazzo. «Lana, lui è Scoiattolo. Scoiattolo, lei è Lana».

Ho sentito tanti nomignoli, ma mai questo. E non capisco perché si sia guadagnato quel soprannome. Non sembra per nulla uno scoiattolo. Strizzo gli occhi fissandolo per cercare di comprendere.

«Benvenuta al KCC, da non confondere col KFC». Lancia un hamburger in aria e gli fa fare un paio di giri prima di farlo atterrare sulla griglia.

Kaely ride. «Puoi prendere gli hot dog e le patatine?». Tiene in mano un vassoio con due hamburger avvolti nella carta.

Passiamo il pomeriggio a servire hot dog, hamburger, patatine, gelati e un altro milione di cose a bambini e genitori che vengono a passare la giornata in piscina. Mi dicono che di sopra c’è un ristorante più elegante che si chiama The Deck, con un menu più vasto e una balconata che si affaccia sul campo da golf. Tutti iniziano al The Grille. Scoiattolo lo chiama “rito di passaggio”, come se facessimo parte di una tribù.

Purtroppo non guadagno nessuna mancia. Ma è un lavoro facile. A parte per i bambini urlanti che fanno cadere il gelato a terra e quelli che spruzzano il ketchup sul bancone invece che sulle patatine. Comunque non è paragonabile ai clienti ubriachi di Stella che versavano a terra più alcol di quanto ne bevessero, cercavano di toccarmi il sedere e facevano a botte.

Kaely è paziente, una qualità importante quando ci si trova ad affrontare il caos di ordini del pomeriggio. Non parlo molto con l’altra ragazza, di certo, non mi ricordo come si chiama. Scoiattolo invece… è divertente. Sono quasi certa che questo ragazzo venga da una famiglia ricca. Quindi la sua capacità di seguire i ritmi serrati degli ordini mentre canticchia qualsiasi canzone passi la radio e, al contempo, regalandoci spunti filosofici, è impressionante.

«È stato un piacere conoscerti, hai un’aura stellare», mi dice Scoiattolo alla fine del turno mentre pulisce la griglia. «Ci vediamo domani da Stefan?»

«Mmm, forse», rispondo. Non so cosa intenda, né riguardo la mia aura, né riguardo Stefan.

«Oh, devi venire!», esclama Kaely, portando via la cassa con sé mentre un’altra ragazza prende il suo posto al bancone.

Penso a tutte le regole che ha imposto Niall, al fatto che devo andare in giro con uno dei suoi figli, cioè Lance, visto che Parker se ne va oggi e non sono ancora pronta per vedere Joey, anche se fosse qui.

«Se posso, sì», le dico.

Raggiungiamo una zona recintata dietro il The Grille. «Devo portare su la cassa a Cary. Ci vediamo qui tra poco».

Ashton non mi ha portata alla mensa ieri perché voleva tornare alla Blackwood subito dopo il turno, in tempo per prepararsi per la festa di Lily. Ha anche detto che il cibo è meglio a scuola e lei al club non mangia mai. Ma Grant mi sta aspettando, spero. E poi, la navetta non arriverà prima di venti minuti, quindi potrei fare un salto.

Ci sono quattro tavoli da picnic con degli ombrelloni al centro. Vedo dei piatti su un tavolo da buffet in un angolo. Guardo le pietanze e trovo pezzetti di pollo fritti, patatine, pasta e insalata. Ora capisco perché Ashton non mangia qui. Io non sono troppo esigente, quindi prendo pollo e patatine, mi verso un bicchier d’acqua dai grossi thermos arancioni al fondo del tavolo e cerco un posto. Due tavoli sono occupati da adulti e studenti del college. Opto per uno vuoto in un angolo.

Grant arriva alle mie spalle e prende posto alla mia destra.

«Hai tenuto un intero tavolo», nota. «Ottimo».

Mi mordicchio un labbro per non sorridere. «Non sono brava a chiacchierare del più e del meno. E poi, mi sono dimenticata i nomi di tutti. Sedermi da sola mi è sembrato più sicuro».

«Ti ricordi il mio?», scherza.

«Sì».

Aspetta che lo dica.

«Grant», esclamo alzando gli occhi al cielo. «Mangi qualcosa?»

«No, volevo solo vederti prima che te ne andassi».

«Perché?». Mi batte forte il cuore e mi sudano le mani.

«Per invitarti da Stefan domani. Io rimango da lui per l’estate. E ogni lunedì, quando il club è chiuso, invita la gente a casa sua. Volevo essere sicuro che lo sapessi».

«A che ora?»

«Le persone vanno e vengono giorno e notte, quindi quando vuoi. Porta un costume. O un sacco a pelo. Come vuoi. Direi che è una cosa tranquilla».

«Mmm, ci proverò».

«Non sono certo che mi piaccia la risposta, ma è meglio di un no».

Il sorriso non ha ancora lasciato il mio viso. Tra poco mi faranno male le guance se non mi placo. «Se fosse per me, ci sarei. Ma… non decido io».

«Oh». Sembra confuso. «Stai… frequentando qualcuno? Parker?»

«No!». Lo dico così forte che qualcuno ai tavoli accanto si gira. Mi faccio piccola per la vergogna. Grant ride.

«Suppongo non ti piaccia troppo».

«Non è questo, è solo che… no. Non frequento nessuno. Non è questo il motivo. È che sono nuova alla Blackwood e ci sono delle regole riguardo l’allontanarsi dal campus. In poche parole, mi serve un accompagnatore».

«E questo potrebbe rendere difficile il frequentare qualcuno».

«Io non esco con nessuno». Non riesco a non essere sincera con lui. E dico cose terribili. È come se lui amplificasse la mia maledizione.

Esita. «Non esci con nessuno. Hai paura di innamorarti. Mi stai uccidendo». Mi rivolge un sorriso bellissimo, quasi mi si ferma il cuore. «Sei contraria anche agli amici maschi?»

«Sì», esclamo. Vorrei sbattere la testa contro il tavolo. Mi sono appena friendzonata da sola a causa della mia sincerità. Oh, merda. All’improvviso mi rendo conto di quello che ho detto davvero e desidero sbattere la testa con più forza ancora. «Cioè, non sono contraria all’essere amica di un ragazzo».

«Lo sei mai stata?»

«No, ma non mi piacciono molte persone, quindi non significa nulla. Ho un paio di amiche a casa».

Grant continua a ridere della mia implacabile onestà, come se fosse adorabile e non una tremenda umiliazione. Io invece vorrei nascondermi sotto un masso. «Forse io posso essere il primo», esclama alzandosi. «Spero che ci vedremo domani».

Abbasso le palpebre mentre le porte si chiudono alle mie spalle. Cosa è appena successo? E perché il cuore mi batte all’impazzata? Mio Dio, che qualcuno mi fermi.

Mi alzo e butto il cibo, che non ho toccato, nell’immondizia. Kaely mi raggiunge proprio mentre sto per andarmene.

«Scusa, mi devo cambiare prima che arrivi la navetta. Ci vediamo dopo».

«Okay», risponde con un sorriso. Credo sorrida sempre. Una persona può davvero essere così gentile? E felice? «Spero tu riesca a venire da Stefan, domani». Prima che me ne vada, mi si avvicina e dice: «Oh, ho appena visto Grant allontanarsi. Sorrideva. Credo che tu gli piaccia». Le brillano gli occhi come se fosse emozionata all’idea.

«Mmm, non mi conosce», replico, cercando di scrollarmi di dosso l’immagine di Grant, che mi confonde e mi dà le palpitazioni.

«Allora fai in modo di venire alla festa, così ti conoscerà». Il suo sorriso sincero sta per convincermi a ricambiare il gesto. Me ne vado prima che accada.

Non sono una persona allegra. Non sono nemmeno una stronza fredda, a differenza di quello che altri potrebbero affermare. Sono… cauta. Ma mi piacciono le feste. Quindi ora devo solo trovare Lance e sperare che anche lui la pensi come me.

Quando esco dall’ingresso dello staff dopo essermi cambiata, trovo Parker ad aspettarmi a bordo della sua Land Rover.

«Ceni con me prima che torni a New York?». Quando esito, aggiunge: «Ho già sistemato tutto con la Blackwood. E poi, dobbiamo finire un discorso».

Penso a quello che Brendan ha detto prima riguardo al raccogliere informazione e forse Parker può davvero aiutarmi. Se trovassi io, prima della polizia, la ragazza che ha fatto la chiamata, potrei spiegarle tutto e impedire che mi denunci. Non so come Parker possa invece aiutarmi con Vic. Non sono ancora convinta che dovrebbe sapere quello che è successo sulle scale. Perché vorrebbe dire confessargli tutto riguardo quella notte. Ho imparato a mie spese che basta che una persona parli e in un attimo tutti sanno tutto. E io, di lui, non mi fido.

Mi tiene aperta la portiera del passeggero. «Grazie»:

«Hai parlato con Nina o Tori da quando sei qui?», domanda quando usciamo dal parcheggio.

«Non le hanno approvate».

«Che merda, mi dispiace».

«Non fa niente».

«Vuoi chiamarle ora?». Mi offre il suo telefono.

Ci rifletto ma decido di rifiutare. «Chiamare Nina dal tuo cellulare non mi sembra una buona idea. Non credo nemmeno che risponderebbe».

Parker ridacchia con arroganza. «Sì che risponderebbe». Quando nota il mio sguardo incattivito, si corregge. «In fondo, andiamo ancora d’accordo». Lo sento imprecare sottovoce.

«Forse neanche la cena è una buona idea».

«Lana», insiste. «Mi dispiace, non avrei dovuto dirlo così».

«Riportami a scuola», gli dico, incrociando le braccia sul petto.

«Ma cosa c’è?». Stringe la presa sul volante. «Sei gelosa? È per questo che ti comporti così?»

«Mi prendi in giro, Parker?», grido. «Non ti interessa di me. Pensi solo a quello che riguarda te. Per questo mi comporto così».

Parker accosta accanto a un’altra macchina in uno spiazzo con una bella vista sulle colline. Non capisco cosa ci sia di tanto speciale.

Guarda fuori dal finestrino, un muscolo gli si tende nella mascella. Quando finalmente parla, ha un tono basso e controllato. «So che a volte mi comporto come un coglione. E dico cose da ragazzo borioso». Si volta e mi prende la mano. «Ma ci tengo a te, Lana. E voglio aiutare».

«Me o te stesso?»

«Perché dici così?».

Cerco di ignorare il tono offeso della sua voce. «So che sei uno di quelli che hanno organizzato tutto e quello che è accaduto sulla scala potrebbe ricondurre a te se qualcuno lo scopre. Hai bisogno che tenga la bocca chiusa perché non ti becchino».

«Ma so già che non lo diresti a nessuno, mi fido».

«Forse invece dovrei parlare».

Parker non risponde. Invece, scosta la mano dalla mia, si sistema sul sedile e torna a guardare fuori dal finestrino.

«Una ragazza è in coma in ospedale. Non credi che sia più importante dei tuoi traffici illeciti?».

Parker volta la testa verso di me. «Certo. Ma né io né te l’abbiamo mandata in coma. E far sapere alla polizia della festa non farà alcuna differenza. Non è così che possiamo aiutarla».

«Ma confessando chi l’ha spinta, sì». Questa è la conclusione più ovvia, se solo fosse così semplice.

«Allora confessa».

Il suo incoraggiamento mi coglie alla sprovvista.

«Cosa?»

«Confessa chi è stato. Non continuare a proteggerlo».

Mi abbandono sul sedile, sconfitta. «Non lo sto proteggendo».

«E allora cosa? È l’altra ragazza? Sei preoccupata che dica qualcosa alla polizia? Era ubriaca. Ed è riuscita a stento a dirmi cosa ha visto quella notte, figurati cosa può ricordare ora».

«Ha visto me. Solo me».

«Ma non cosa è successo. Lei è arrivata dopo».

«Vero. Ma lì c’ero solo io. Può identificarmi. E allora sarò obbligata a confessare o…». Rivivrò ogni istante al supermercato. «Non ho alcuna prova».

«Chi…».

«Non chiedermelo. Non te lo dirò».

«Perché? Perché non ti fidi?»

«Perché non farebbe la differenza anche se lo sapessi», esclamo, usando le sue stesse parole contro di lui. «Mi inventerò qualcosa. Voglio solo che Allie si riprenda». Ricaccio indietro le lacrime che mi appannano la vista. «Non si meritava quello che le è successo. Stava solo cercando di aiutarmi…».

«Ehi», mi consola Parker, slacciando la sua cintura e la mia per stringermi contro il petto. Non faccio resistenza. «Voglio che tu stia bene. Lascia che ti aiuti. Voglio farlo e non per egoismo, giuro».

«Non puoi», mormoro col viso contro la sua spalla.

«Allora dimmi almeno questo, poi lasceremo perdere». Parker mi solleva la testa perché lo guardi in quegli occhi azzurri. «Ho sentito quello che Allie ha detto in ospedale. Chiunque sia stato, hai paura che ti faccia del male?».

La preoccupazione che leggo nel suo sguardo è reale e mi sento una stronza per aver pensato fosse egoista. Ma la sua domanda è troppo complessa per una verità semplice. Perché onestamente, Vic potrebbe volermi fare del male. È capace di qualsiasi cosa e io lo so bene.

Non distolgo lo sguardo. Voglio essere certa che mi veda convinta. «Non ho paura».