Capitolo diciassette

La bestia grugnì di rabbia e si avventò sulla strega. Thaylina era ancora troppo debole per aiutare la maga a combattere la belva. Riuscì solo a udire gli schianti della battaglia. Poi ci fu assoluto silenzio.

«Ciao, Sophia?», dico lentamente, ma sembra più una domanda che un saluto.

«Ciao!», canticchia felice, seduta di fronte a me sulla navetta, sistemandosi la gonna sotto il sedere per non farla spiegazzare.

«Non sapevo lavorassi al golf club».

«Infatti non ci lavoro», risponde, sollevando la sua borsa. Sono confusa, ma lei mi spiega: «Sono un membro. Cioè, i miei lo sono. Be’, come i genitori di tutti». Vorrei che arrivasse al punto, ma le sorrido e basta. «Vado in piscina». Mi si avvicina come se dovesse dirmi un segreto. «Di solito ci vado il martedì, ma ho scoperto che Grant fa il bagnino oggi».

Annuisco lentamente, sempre con un bel sorriso stampato in faccia. Non riconosco questa versione ciarliera di Sophia. È come se si fosse fatta di qualcosa… forse è strafatta. «Come lo sai?»

«C’è una persona che lavora lì e mi ha fatto avere una copia dei suoi orari. Lo so, sembra una pazzia, ma l’hai visto? Cioè, è il ragazzo più bello che esista. Ed è così gentile. Sul serio, è un tesoro. Lo conosci, vero?».

Sorriso finto. Annuisco.

Si raddrizza sul sedile in una postura perfetta, sorridendo come una lunatica. Deve passarmi qualsiasi cosa abbia preso.

«Vorrei chiedergli di uscire, ma di fronte a lui non riesco nemmeno a parlare. Credi che verrebbe al ballo con me? Se venisse, morirei, davvero».

«Di chi parliamo?». Ashton si accomoda sul sedile davanti al mio.

Sophia sposta gli occhi da Ashton a me, come se mi chiedesse il permesso di rivelare la sua cotta.

Si mordicchia un labbro e mormora: «Grant».

«Oh, giusto! Come è andata? Mi è dispiaciuto che tu non sia venuta in camera mia l’altra sera. A casa allo scoccare della mezzanotte, mia piccola Cenerentola». Ashton mi dà una pacca sulla testa.

«Sei già strafatta?», domanda Sophia a Ashton con un sussurro dal tono paranoico, guardandosi intorno per assicurarsi che non senta nessuno.

«Sophia vuole chiedere a Grant di andare con lei al ballo», aggiungo. Ashton spalanca gli occhi; ha capito.

«Credi che dovrei farlo?», chiede Sophia rivolta alla mia amica, con aria nervosa e adorabile.

«Mmm, non so. Tu che dici, Lana? Insomma, tu ci parli molto». Mi rivolge uno sguardo come a dire “ma cosa cazzo succede” e scuote brevemente la testa. Sophia si concentra su di me e nei suoi occhi da cerbiatto leggo un’espressione speranzosa.

«Non si sa mai», replico. «Potresti essere perfetta per lui».

Ashton mi tira uno schiaffo sulla nuca. «Scusa, c’era una zanzara. Stava per succhiarti il cervello e renderti idiota».

“Ahia”, sillabo, fulminando la mia amica.

«Lo pensi davvero?». Sophia gongola al mio commento, ignorando il gesto di Ashton.

«Scusaci un secondo, Sophia», esclama Ashton, tirandola su dal suo posto e spingendola lungo il corridoio della navetta.

«Ashton!», la rimprovero. Lei si siede sul mio sedile e avvicina il volto al mio. «Ma cosa cazzo…».

«…hai tu che non va?», termina in un sibilo. «Adoro quella deliziosa zucchetta che è Sophia, ma lei non deve uscire con Grant».

Alzo gli occhi al cielo. «Non sta a me decidere».

«È successo qualcosa? Era arrabbiato perché hai preso a pugni un tizio per difenderlo? Perché io l’ho trovato super sexy. E non pensavo che avesse un ego tanto spropositato da essere infastidito dal tuo gesto…».

«Non era arrabbiato. Cioè, non è che fosse felice di vedermi partecipare a una rissa, ma…». Sospiro. «Ascoltare Sophia che gli muore dietro mi ha fatto mettere in dubbio quello che sto facendo. Sono seria quando dico che io non esco con i ragazzi. E se lui vuole uscire con una, non posso essere io. Quindi deve sapere che ha delle opzioni. Io non sono una di queste».

«E allora cosa sei?»

«Io… sono io. Senza etichette. Senza impegno o aspettative. Senza coinvolgimento emotivo».

«Pensavo non mentissi», esclama arrabbiata. Si alza e mi lascia a bocca aperta. Cosa è appena successo?

Ashton viene assegnata al cart delle bevande con Rhett. Quasi mi dispiace per lui quando lei dà gas e si allontana sul mezzo in tutta fretta, facendo tintinnare le bottiglie sui ripiani.

Io finisco nell’inferno dei poppanti, cioè all’area ristoro del The Deck, con Kaely. Oggi ogni madre con figli è in piscina a godersi lo spettacolo del Principe Filippo sul suo trono. Sono disgustata da come sbavino e non parlo dei bambini.

«Riesci a tenerlo bene?».

Il ragazzo annuisce stringendo la mano cicciottella intorno alla base del cono gelato.

«Sicuro?».

Annuisce di nuovo, lascio andare. Dieci secondi dopo, è tutto per terra. Lui tira fuori il labbro inferiore con gli occhi pieni di lacrime.

«Non metterti a urlare, bambino», mormoro. Poi, canticchiando con un tono più alto, continuo: «Non ti preoccupare, te ne preparo uno speciale».

Metto del gelato in una coppetta, ci appoggio sopra un conetto al contrario e qualche orsetto gommoso che prendo dal mio rifornimento personale sotto il bancone. Non gli orsetti speciali di Ashton, anche se forse quelli servirebbero a placare i bambini in botta di zuccheri. Dove diavolo sono i loro genitori? Perché mi sembra che qui mi tocchi fare la babysitter? E oggi c’è un caos pazzesco.

«Non voglio mai più lavorare qui quando Grant fa il bagnino», borbotto rivolta a Kaely.

«Di solito non è così affollato di martedì», spiega. «Deve essere perché poi ci sono le vacanze. E comunque… Grant. Voi due…?»

«Niente», la interrompo. «Non c’è nulla».

«Ordini pronti!», grida Scoiattolo. Mi allontano da Kaely e dai suoi occhi spalancati per lo stupore.

Scoiattolo sta cantando una canzone che non proviene da nessuna radio ma solo dalla sua testa; intanto gira gli hamburger e gli hot dog, il tutto mentre frigge patatine come se fosse su una giostra di Disneyland. Lui è davvero la persona più allegra del mondo.

«Ma come funzioni tu?», domando, caricando i piatti sul vassoio.

«Eh?», domanda voltandosi verso di me. Le sue parole successive sono spezzettate, come se le ripetesse prima nella testa e solo dopo le pronunciasse. «Oh, mmm, io… esisto e basta. E sono grato di essere vivo. Capito?»

«No», rispondo. Me ne vado, lasciandolo alla sua esistenza di gratitudine.

«Stai bene?», domanda Kaely mentre pulisce le guance di una bambina che, non trovando i cucchiaini, ha deciso di mangiare il gelato al cioccolato con la faccia.

«Io…». Non posso dirlo. Non sto bene. Ma non so cosa mi prenda, se non il fastidio per il commento di Sophia sulla navetta.

La cerco in piscina con il suo bikini vintage a pois e gli occhiali da gatta. Si sta mettendo la crema mentre guarda Grant da sopra le lenti scure, per controllare se anche lui la osserva. Ma lui non lo fa. Ha gli occhi fissi sul delirio in piscina. Soffia il fischietto in direzione di alcuni ragazzi che si spintonano. Un vero bagnino professionista. «È proprio carino, eh?»

«Lo è», risponde Kaely, come se fosse un fatto inopinabile. «Ci meritiamo tutte un bravo ragazzo, Lana».

«Ma lui non è mio».

«Allora fatti da parte», esclama la terza cameriera, passando con dei popcorn e dello zucchero filato. Mi ero quasi dimenticata della sua presenza. «Lascia che ci provi qualcun’altra. Molte di noi impazzirebbero per avere quel tizio».

«Giusto, dovrei farmi da parte», replico a bassa voce.

Kaely apre la bocca così tanto che sembra una bambola gonfiabile. «Non puoi lasciare che la tua fobia abbia la meglio, Lana». Lo dice con tanta convinzione che mi aspetto quasi che sottolinei la frase alzando un pugno al cielo. «Devi affrontare la situazione e sconfiggere la tua più grande paura».

«Ma di cosa diavolo parlate?», domanda l’altra ragazza accanto a Kaely. «Non c’è nulla di cui aver paura con Grant, se non delle altre che provano a fregartelo».

«Grant non si lascerebbe mai fregare», esclama Kaely come se inorridisse all’idea e volesse difenderne l’onore.

«Perché dovrebbe essere lui a scegliere», aggiungo piano.

Kaely annuisce, come se la discussione fosse chiusa. Ma non è così. Grant deve sapere che ha la possibilità di scegliere prima di decidere. Devo ricordarglielo.

Alla fine del turno mi sento appiccicosa, sudata e piena di gelato spalmato in posti dove non dovrebbe stare. Non vorrò mai essere madre. Dopo oggi, ho in mente di farmi togliere le ovaie. Al momento, non desidero altro che una doccia e stare sdraiata su un’amaca con un bel libro per tutta la sera.

Ashton parcheggia il cart delle bevande mentre passiamo. Rhett sembra voler baciare il terreno e ringraziare l’Universo di essere ancora vivo. Ashton non mi guarda. Non posso credere che sia arrabbiata con me per aver fatto la cosa giusta. Ma poi penso che in fondo non la conosco così bene.

Mentre Kaely e io proseguiamo sulla collina verso l’edificio principale, noto Lily che esce dal campo da tennis con Lance. Quando ci vede, ci saluta con la mano. Passiamo accanto a Brendan appoggiato a un golf cart che parla con un signore anziano. La conversazione sembra seria e intensa, probabilmente Brendan gli sta offrendo dei consigli.

«Lana!». Mi fermo quando sento la voce di Grant. Si ferma anche Kaely. Vorrei che invece lei proseguisse. Grant ci raggiunge correndo, ancora vestito da bagnino. «Ciao», saluta con un sorriso smagliante.

«Ciao». Perché mi sembra che tutti abbiano smesso di fare quello che stavano facendo e mi fissino con la stessa attenzione con cui si guarda Netflix?

«Vieni domani?»

«Credo di sì», replico guardandomi intorno. Ci fissano davvero. Tutti. Ma che cazzo fanno?

«Puoi venire presto? Magari intorno a mezzogiorno?»

«Posso provare a chiedere». Che situazione imbarazzante. Tornate a farvi i fatti vostri, gente! Stiamo solo parl…

Questo pensiero viene interrotto dalle labbra di Grant. Non è un bacio lungo. Ma abbastanza perché io mi avvicini a lui, dimenticando che non siamo soli. Poi però me lo ricordo. Grant si scosta e sorride. «A domani».

Non riesco a muovermi.

Kaely si copre la bocca con la mano come una ragazza VM e tutti gli altri tornano a fare quello che stavano facendo con nonchalance, come se non ci stessero fissando, mentre è ovvio che lo stavano facendo.

Ashton mi raggiunge e si china per guardarmi negli occhi. «Ti ha appena reclamato di fronte a tutti. Cosa pensi di fare? Perché per lui non è una cosa da nulla come per te». Credo che sia a un passo dal puntarmi un dito contro il petto e so già che non finirebbe bene. Invece, emette una risata malefica e se ne va.

Cerco di far finta che sia davvero una cosa da nulla. Certo.

Non ci riesco.

«Merda», mormoro.

Per peggiorare le cose, Brendan compare accanto a me e mi cinge le spalle col braccio. «Non ti avevo avvisato che lui è troppo perfetto per gente come noi?». Ridacchia. «Devi proprio sbatterci il naso contro, eh, mio piccolo folletto arrabbiato?».

Mi libero dalla sua presa e mi affretto verso gli spogliatoi. Non mi preoccupo di guardare Lance e Lily. Forse loro sanno che non durerà, che è solo una cotta estiva e che non significa niente. Qualcuno dovrà pur saperlo… io per prima.

Quando Lance, Brendan, Ashton e io arriviamo da Stefan il giorno seguente, io mi sono convinta di dover essere me stessa, non la stupida e frivola versione di me che spunta fuori quando sono con Grant. Così, io e lui possiamo essere solo… niente. Possiamo essere due persone a cui piace frequentarsi e baciarsi, magari anche fare altro se me lo concederà. Ma non saremo mai un noi.

Stefan, Scoiattolo e un paio di altri ragazzi stanno sistemando i giochi in giardino quando arriviamo.

«È davvero presto», osserva Ashton accanto a me. Finalmente si comporta in modo normale. O almeno, spero sia così. «Vuoi cazzeggiare un po’?»

«Sì», rispondo incamminandomi verso la spiaggia.

Quando noto che non mi segue, mi volto. Mi rivolge un’occhiata interrogativa.

«Cosa c’è?»

«Non lo saluti nemmeno?»

«Sono impegnati», le dico continuando a camminare.

«Ehi!», grida Grant. Mi fermo e chiudo gli occhi, ricordando a me stessa di fare quello che faccio sempre quando sono con dei ragazzi con cui esco. Sono me stessa.

Mi volto. «Ehi». Trattengo il sorriso che vorrebbe esplodermi sul viso. Il cuore batte a mille. Maledico il mio corpo che sta sabotando il piano.

Lui mi si avvicina e si sporge in avanti come se stesse per abbracciarmi o baciarmi. Io reagisco nel peggior modo possibile… faccio un passo indietro. Lui si irrigidisce, è confuso. Il battito accelera.

«Andiamo in spiaggia», esclamo, cercando di sembrare tranquilla e normale. «O avete bisogno di una mano?»

«No, andate pure». Il suo tono è cauto, come se cercasse di interpretare i miei gesti. Gli rivolgo un sorriso accennato. «Volevo solo salutarti». Poi se ne va. E il cuore mi si stringe nel petto.

«Quindi questa sei tu?». Ashton mi guarda con disappunto. «Sei una stronza». E poi anche lei se ne va, lasciandomi sola con la verità.

Ha ragione, lo sono.

Mi nascondo in spiaggia per l’ora seguente mentre gli altri sistemano il giardino.

Non ho idea di quello che sto facendo. Pensavo di aiutarlo mostrando la vera me. Volevo ricordargli che non può baciarmi davanti a tutti. Reclamarmi. Pensavo di averlo chiarito. Ma questa situazione fa schifo, perché a me piace baciarlo. E parlargli. Cazzo! Mi piace. E ora cosa dovrei fare?

Perché ho anche paura di lui. O meglio, di essere distrutta da lui.

Quando arriva un po’ di gente, vengono tutti in spiaggia e Stefan mi coinvolge in una partita di beach volley, dicendo che manca un giocatore, anche se Ashton è seduta su una sedia a guardare. È alta e gioca a pallavolo per la Blackwood, ho visto delle foto.

«Io arbitro», mi dice con un’alzata di spalle, come se non potesse farci nulla.

Tra tutti gli sport, questo è quello in cui sono più scarsa. Non è un gioco per persone basse, non riesco né a schiacciare né a fare muro; mi prendo dei colpi dai miei compagni di squadra perché non mi vedono quando andiamo in due sulla palla e non so nemmeno battere. Posso salvare la palla però; in quello sono abbastanza brava perché almeno sono già vicina a terra.

Chiaramente nella mia squadra c’è Grant. E, per torturarmi, è senza maglia.

Mi metto davanti alla rete, fisso il mio avversario. «Passerai la partita a prendere pallonate in faccia per tutte le schiacciate che qualcun altro farà».

«Sei adorabile», commenta Brendan facendomi l’occhiolino e facendo a pezzi il mio discorso che avrebbe dovuto intimorirlo. «Ci arrivi almeno alla fine della rete?».

Alzo il dito medio e qualcun altro ride. No, mi correggo. So benissimo chi ride.

Grant.

Siamo quattro contro quattro o meglio, noi siamo tre e mezzo, perché io valgo per mezzo giocatore.

«Sai come alzare la palla per la schiacciata?», mi domanda Grant quando siamo uno accanto all’altra sotto rete. Ho le mani appoggiate sulle ginocchia come una che sa il fatto suo. In realtà imito gli altri.

«No», rispondo.

Prende la palla e mi fa vedere, palleggiandola in alto con la punta delle dita. Poi la tira oltre la rete per far battere Scoiattolo.

«Se riesci a tirarla alta così, a questa distanza», indica un punto con la mano, «io penso al resto».

La mia squadra praticamente mi gioca intorno, colpendo la palla ben prima che sia alla mia altezza, schiacciando e buttandosi sulla sabbia come se fossero impazienti di rilanciare una granata prima che tocchi terra ed esploda. Io cerco di non mettermi tra i piedi.

«Ben fatto, Lana!». Ashton batte le mani quando cado sul sedere, evitando per un pelo di farmi schiacciare da Lance.

«Scusa», mi dice lui, porgendomi la mano. «Non ti avevo visto».

Siamo a un punto dalla nostra potenziale vittoria. Grant e io siamo di nuovo sotto rete. «Ci siamo, Lana, devi alzarmela». Non guarda oltre la mia figura per cercare di prevedere dove finirà la battuta ma mi rivolge un sorriso tanto bello che mi fa inn… no, non quello, quel sorriso che mi piace tanto.

La palla fa avanti e indietro oltre la rete. Io la seguo con gli occhi. Come se Grant l’avesse previsto, arriva verso di me. Ho un secondo per realizzare che nessuno la colpirà al posto mio. È mia. La palleggio in aria con i polpastrelli. Non rimbalza in alto come quella di Grant, ma è sufficiente per permettergli di saltare e schiacciare, creando un solco nella sabbia del campo avversario.

La nostra squadra festeggia. Grant si volta per… credo voglia abbracciarmi, ma io gli do il cinque. Sì. Proprio il cinque.

«Bel lavoro!», esclamo come una bambina di sei anni. Lui aggrotta la fronte. Stefan gli dà una pacca sulla schiena. Lance corre alle mie spalle, mi afferra per la vita e mi solleva per farmi girare.

«Lana! Sono così fiero di te! Sei stata bravissima, mio piccolo folletto!».

Rido e per poco non cado quando mi rimette a terra.

Adesso è arrivata altra gente, ma non credo ci siano più di una ventina di persone.

Mi siedo accanto a Ashton e Grant prende posto sulla sabbia di fronte a noi.

«Come è andato il test di chimica?», mi chiede.

«Giusto! Mi sono dimenticata di dirtelo», esclamo con fin troppo entusiasmo, cercando di rendere la situazione meno imbarazzante. Ma non ci sto riuscendo. «Ho preso novantuno su cento. Grazie a te».

«Lo sapevo», replica orgoglioso. «Dovevi solo studiare restando sveglia».

Rido.

«Come è andata sul cart delle bevande con Rhett?», domando a Ashton.

«Quel ragazzo non ha un pulsante di spegnimento», replica lei alzando gli occhi al cielo. «Sono quasi tentata di combinargli un’uscita con Sophia».

«Conosci Sophia, Grant?», domando in attesa di una sua reazione, anche se non so cosa sperare che faccia.

«Sì, l’ho aiutata l’estate scorsa per biologia. Carina. Ma ha la tendenza a parlare molto quando è nervosa». Nessuna reazione.

«È molto dolce, anche se un po’… nevrotica», commento. «Ma è proprio carina. E ha degli occhi davvero belli».

Grant mi guarda con aria interrogativa.

Sento Ashton lamentarsi e mormorare tra i denti: «Piantala».

«Credo che tu le piaccia, forse dovresti…».

«È pronto da mangiare!», grida Stefan dal giardino.

«Che fame!», esclama Ashton facendomi alzare dalla sedia. Mi guardo alle spalle. Grant è ancora seduto e mi guarda andare via con un’espressione confusa. Forse sembra addirittura… ferito.

Ma cosa ho fatto? Non è così che doveva andare. Dovevo ricordargli che ha delle opzioni. Fargli sapere che altre ragazze sono interessate a lui. Ma invece sembrava che volessi combinare un appuntamento per lui.

«Credo di aver capito», esclama Ashton riempiendo il piatto con… qualsiasi cosa.

«Hai fumato?», le domando, ipotizzando una fame chimica.

«Non ancora, ma adoro il cibo». Si lecca via un pezzo di patata dal pollice. Poi si guarda velocemente intorno per assicurarsi che nessuno origli e mi sussurra: «Ti piace».

Poi se ne va. Chiudo gli occhi e sbuffo prima di seguirla.

«Prova a negarlo», mi sfida quando mi siedo accanto a lei sul dondolo del porticato. Questo è più normale perché è su una veranda e non nel mezzo di una strana foresta di betulle come a scuola.

Con la forchetta infilzo l’insalata cercando di ucciderla prima di mangiarla. Mi sto davvero pentendo di averle parlato della mia maledizione.

«Non puoi», commenta. «Perché è vero. Guarda che ti ho capita, Lana. È quello che faccio io e so che è quello che stai cercando di fare tu. Ma non sei davvero te stessa. Sei una ragazza fredda e stronza che vorrei prendere a pugni. Ci sono fin troppe ragazze così alla Blackwood, lo vedrai. Non voglio che la mia più cara amica sia una di loro».

Faccio quello che so fare meglio, cioè restare in silenzio. Vorrei reagire, ma ha appena detto delle cose serie e non posso né difendermi né darle ragione. Alcune delle sue parole, forse nemmeno le capisco.

«Non è un male che ti piaccia, Lana. È un bravo ragazzo. E anche se tu non sei la più brava del mondo, gli piaci».

Mi volto verso di lei, offesa. Ma alla fine sospiro perché ha ragione. E lo so meglio di chiunque altro perché… be’, parla di me.

«E solo perché ti piace, non vuol dire che ti innamorerai di lui. È di questo che hai paura, per chissà quale ragione… forse ha a che fare con tua madre. Divertiti e basta. Non stare insieme a lui… ma stacci». Esita e piega la testa di lato come se le sue stesse parole la confondessero. Sicuramente confondono me.

«Sono la tua più cara amica?».

Ride. «Sei proprio brava a cambiare argomento, eh?». Appoggia il piatto e mi abbraccia. «Va bene, non parliamo più di lui. E sì, sei la mia più cara amica. Mi fido di te perché sei vera quando non sei posseduta da un demone».

Rido. «Grazie, credo. E so che sono stata distante, ho troppi pensieri per la testa. Quindi grazie per non avermi presa a schiaffi… di nuovo».

Mi alzo per svuotare il piatto. Grant mi vede mentre torno da Ashton. «Hai un attimo?».

«Battaglia di pistole d’acqua!», grida Scoiattolo, portando un cesto pieno di pistole di plastica bianche e arancioni.

«Andiamo, sei nella mia squadra!», esclama Ashton, comparendo dal nulla e prendendomi la mano.

«Sembra che siamo abbastanza per fare maschi contro femmine», propone Stefan. «Così non facciamo confusione con le squadre».

Nessuno obietta. Dieci ragazze contro dieci ragazzi. Non so se dovrei essere impressionata o terrorizzata dal fatto che i ragazzi abbiano così tante pistole. E non sono quelle economiche che devono essere riempite di nuovo dopo cinque schizzi. Queste sono serie, ti fanno la doccia.

Ci spogliamo. Io tengo addosso i pantaloncini insieme al mio top metallizzato color pesca che lascia la schiena scoperta. Ashton invece si leva tutto, rimanendo solo col costume ciliegia. Credo di sentire qualche commento mentre si toglie i sandali. Inizio a chiedermi se sua madre non sia Gisele Bündchen, ma la modella non è sposata con una rockstar e non è abbastanza vecchia. Chiunque sia la supermodella, Ashton ha sicuramente preso il fisico da lei.

Non so perché sento il bisogno di cercare Brendan. Quando lo trovo, vedo che sta flirtando con una delle ragazze. È curvilinea e se dovesse camminare troppo in fretta le esploderebbe il reggiseno, non parliamo poi di una corsa. Guardo Ashton ma lei non sta prestando attenzione alla scena. Sta invece osservando gli avversari in cagnesco, come a decidere chi colpire per primo. Credo che se avesse della vernice nera, si farebbe delle strisce sulle guance.

«Questo è il piano», mi dice, tirando su la pistola ad acqua sulla spalla come se fosse un’arma militare. «Lasciamo che colpiscano prima le svampite, che sono deboli. Così saranno distratti abbastanza a lungo da permetterci di arrivare al capanno. Io salirò sul tetto e tenderò delle imboscate dall’alto. Tu li colpisci sui fianchi invece».

«Cos’è che vuoi fare?!».

«Via!», urla qualcuno e Ashton parte di corsa. Io cerco di starle dietro.

«Ashton, non credo che salire sul tetto del capanno sia una buona idea».

«Forse hai ragione», grida oltre la spalla. «Giù!», si butta dietro un cespuglio di ortensie. Io mi accovaccio accanto a lei. Usa la pianta come scudo e spara a un paio di ragazzi che si avvicinano sul lato. «Dietro di noi!».

Mi volto e spruzzo addosso a qualcuno, proprio quando mi infradiciano la faccia.

«Tutto bene?», urla Lance ridendo. «Non volevo prenderti in faccia».

«Coglione!», strillo, cercando di colpirlo sul volto ma prendendo invece la nuca di Stefan. «Scusa!».

Ashton e io corriamo inseguite da Lance e Stefan. Si lasciano distrarre dalla scollatura di una svampita e noi riusciamo a fuggire in spiaggia.

«Che piano terribile», commenta Ashton, sbirciando oltre il muro di pietra. «Siamo finite in trappola».

«Ma cosa stiamo facendo, esattamente?», domando. Non è paintball e non abbiamo una bandiera da recuperare per vincere. Non capisco il senso di queste strategie.

«Li facciamo a pezzi», dice in tono minaccioso. Brendan ci volta la schiena. Ashton gli spara sul sedere, anche se credo puntasse in mezzo alle gambe. Nemmeno io sono tanto crudele.

Ci abbassiamo quando lui si volta. Con le spalle al muro, facciamo capolino con le pistole cariche. Brendan spunta da sopra il muro e io lo colpisco in piena fronte. Grida spostandosi.

In quel momento, ci tendono un’imboscata. Stefan e Lance saltano da dietro il muro e rotolano a terra, rimettendosi in fretta in piedi e sparandoci come se fossero in un film d’azione. Grant e Scoiattolo sono sulle scale e Brendan ci schizza addosso dall’alto.

Sto cercando di sparare anche io e proteggermi al contempo. È inutile.

«Ritirata!», grida Ashton. Corriamo verso il pontile abbandonando le armi sulla spiaggia. Quando arriviamo alla fine, saltiamo in acqua. Io cerco di tuffarmi bene, Ashton opta per un tuffo a bomba. Non me l’aspettavo. Risaliamo in superficie ridendo. Potrei aver cominciato a ridere mentre ero ancora sott’acqua, quindi tossisco come una matta.

A sorpresa, i ragazzi si tuffano con noi, librandosi in aria prima di toccare l’acqua.

Stefan mi afferra una caviglia e mi tira sotto. Io grido appena prima di ingoiare un bel po’ di acqua di lago. Quando sono sotto, sento una mano che mi prende per il polso e mi tira in superficie.

Riemergo e mi trovo faccia a faccia con Grant.

«Stai bene?», domanda preoccupato.

Tossisco, deglutendo ancora più acqua che aria. «Sì, continuo a dimenticarmi che non so respirare sott’acqua».

Sorride.

Mi guardo intorno in cerca di un appiglio, perché non sono mai stata troppo a mio agio in acqua. Nuoto verso il trampolino. È abbastanza lontano dalla battaglia che si svolge nel lago e che ora coinvolge tutti. Ora dovrei riuscire a non farmi più tirare sotto. Perché usare le pistole quando abbiamo un lago intero?

Grant mi segue a distanza, forse per assicurarsi che raggiunga il trampolino sana e salva, da bravo bagnino quale è.

Mi allungo verso la corda a lato della piattaforma. Credo che Grant se ne andrà nuotando e torni dagli altri, invece mi resta accanto. Rimane comunque a qualche metro, come se avesse paura di avvicinarsi.

«Non sono una gran nuotatrice», gli dico. «Non ho mai preso lezioni».

«Me ne sono accorto quando mi hai detto di non saper fare il morto. È una delle prime cose che ti insegnano dopo le bolle».

«Quelle le so fare», esclamo, mettendo in acqua la bocca per dimostrarglielo. Ride.

«Sei quasi pronta a diventare un girino».

«Imparo in fretta», replico con un sorriso e lui fa lo stesso.

Poi si fa serio. «Mi dispiace per ieri».

Serro le labbra, non so cosa dire, perché sono quasi certa parli del bacio.

«Non avrei dovuto baciarti di fronte a tutti. Ci ho messo un po’ a spiegarmi perché oggi mi stessi evitando. Poi ho capito tutto quando qualcuno è venuto a chiedermi dove fossi, come se fosse scontato per me saperlo. Come se stessimo insieme».

«Come se fossimo un noi», dico piano. Grant annuisce, scusandosi silenziosamente. Continua a stare in acqua ma mi si avvicina un po’.

«Vuoi… reggerti? Cioè, sono sicura che tu abbia dovuto nuotare con cinquanta chili legati addosso durante il tuo addestramento nella marina, ma se vuoi puoi reggerti al trampolino con me».

«Erano cento i chili», replica, rivelando di nuovo il suo bellissimo sorriso. «Ma sì, credo che mi faccia comodo un appiglio».

Nuota e prende la corda anche lui. Ora che è molto vicino, mi sono dimenticata come si respira.

«Ho capito tutto quello che hai detto l’altra sera riguardo al fatto che tu non frequenti nessun ragazzo. E non vorrei mai che tu non fossi te stessa con me. Ma non mi interessa Sophia e nessun’altra. Mi piaci tu, Lana. E non so come comportarmi per continuare a rispettare i tuoi paletti».

Deglutisco, contenta che questa volta non ci sia acqua nella mia bocca.

«Anche tu mi piaci», dico. Vorrei non aver parlato. «Ma non posso uscire con te».

Annuisce dispiaciuto, tiene gli occhi bassi. Credo che stia per tornare dagli altri, ma invece sposta i suoi occhi azzurri come il cielo su di me. «E se scrivessimo delle regole tutte nostre? Nessuna etichetta. Nessuna possessione, ma l’esclusività sì. Non riuscirei a vederti con un altro ragazzo e non perché voglio che tu sia mia, ma perché sarei divorato dalla gelosia».

«Non riesco a immaginarti né geloso, né arrabbiato. Non credo tu abbia difetti».

«Li ho, fidati. Il gesto di ieri lo prova. Ero così preso dall’idea di baciarti che non ho nemmeno pensato a chi ci fosse intorno. Non ho preso in considerazione che potesse infastidirti. Sono stato egoista. E per quanto mi dispiaccia di non averti chiesto il permesso, non mi pento di averti baciata. Non penso ad altro dalla sera delle lucciole».

Gli sto fissando le labbra. «Sì, anche io», mormoro. Anche ora non riesco a pensare ad altro. Ho rivissuto mille volte quel bacio da quando è successo. Ma mi sono spaventata, temendo che lui volesse più di quello che sono disposta a dargli. E la paura mi ha trasformata in un demone, come mi ha affettuosamente chiamata Ashton.

«Allora, cosa facciamo? Cosa vuoi fare tu

«Baciarti», sussurro. Lui ride.

«A quello ci arriveremo», esclama nuotando di fronte a me. Allunga entrambe le mani alla corda sopra la mia testa, imprigionandomi. «Vogliamo provarci con questo non-uscire-insieme?». Abbassa gli occhi sulla mia bocca. «Tu sii te stessa, io me stesso. E possiamo vederci, chiacchierare, essere buoni amici che si baciano e…».

«Sì», replico, catturando le sue parole prima che concluda la frase.

Gli cingo la vita con le gambe per ancorarmi a lui. Lui mi stringe con un braccio mentre con l’altro rimane attaccato al trampolino. Il bacio è frenetico, pieno di desiderio. Sussulto quando la sua lingua danza con la mia. Lo sento gemere. Lo lascio andare e gli butto le braccia al collo. La sua presa sulla corda è l’unica cosa che ci impedisce di finire al largo o affogare.

Grant mi bacia la mandibola e il collo, mi sfiora con la lingua. Reclino la testa, gli infilo le mani tra i capelli. Tutto il mondo è sparito. Siamo nel nostro reame fantastico pieno di luce e calore. Sono quasi certa che se lasciasse la presa, l’acqua formerebbe una bolla intorno a noi per permetterci di stare vicini.

Torna alla mia bocca, la mano mi risale il fianco, il pollice proprio sotto l’orlo del mio bikini. Giuro che sono a un passo dal denudarmi quando sento: «Wow! Scusate».

«Ecco dov’eri finita», esclama Ashton da sopra il trampolino, facendo capolino un paio di metri sopra di noi.

Lance sta risalendo la scala. Raggiunge il trampolino e immagino porti via Ashton perché la sento lamentarsi e urlare: «Ehi, ma stavo guardando!».

Mi aspetto che Grant mi lasci e si allontani, ma invece china il capo e chiede: «Com’è la regola delle effusioni in pubblico?».

Apro la bocca stupita.

«Perché se dici che non possiamo toccarci in mezzo alla gente, potrei dover tenere le distanze e indossare un collare elettrico per non scordarlo».

Rido. «Quindi sono io il tuo difetto?».

Grant sorride. «Nemmeno per sogno». Mi bacia la guancia. «Forse lo è il mio impulso di baciarti».

«Possiamo pensarci?», domando, ancora sospesa a metà tra questo mondo e il nostro reame magico. «Sono ancora un po’…».

«Persa? Come se non sapessi se è stato reale o un sogno?», conclude, descrivendo alla perfezione quello che ho provato.

«Esatto», replico meravigliata.

«È stato reale», mi rassicura lasciandomi. L’acqua fresca mi ricorda subito che non è stato un sogno mentre sfiora i punti in cui il suo corpo caldo era incollato al mio.

Galleggia sulla schiena, battendo i piedi nell’acqua per allontanarsi. Lo osservo e in quel momento desidero rivelare a tutti che usciamo insieme anche se non siamo una coppia. I diamanti neri sul pollice brillano alla luce come promemoria.

Non mi innamorerò di lui.

Mi sorride e nei suoi occhi brilla una malizia giocosa ma seducente.

Non posso innamorarmi di lui.

Abbassa il mento in acqua e fa le bolle; scoppio a ridere.

Non dovrei innamorarmi di lui.

«Smettila di guardarmi così», esclama. «Oppure decido io le regole per entrambi». Il mio cuore salta un battito al solo pensiero.

Per favore, qualcuno mi impedisca di innamorarmi di lui.