Capitolo uno
C’era una volta una ragazza di nome Thaylina, che viveva in una torre. Nonostante fosse un luogo vecchio e l’aria gelida soffiasse attraverso le pietre, lei adorava quella torre, perché era casa sua.
La ragazza era controllata e protetta da una strega saggia e potente, che l’aveva cresciuta come fosse sua figlia. La strega insegnò a Thaylina a essere assennata quanto lei, così che il mondo non potesse ingannarla.
Sono già sveglia quando vengono a chiamarci. È impossibile dormire in una stanza piena di ragazze che si rigirano su letti con molle scricchiolanti. E poi sono troppo agitata a causa di quello che è accaduto la scorsa notte per dormire. Vedere una ragazza che viene spinta giù dalle scale ed essere arrestata per un reato che non si è commesso spaventerebbe a morte chiunque.
Scendo dalla mia branda, tirando su le coperte fino al cuscino con un solo gesto. Dopo aver infilato le ciabatte che mi hanno fornito, mi dirigo verso i bagni con le altre ragazze, tutte disorientate, fra borbottii e sbadigli.
La sento accanto a me ancora prima di vederla.
«Guarda un po’ chi c’è».
Tengo gli occhi fissi sui ciuffi di capelli che sfuggono dalla treccia della persona che ho di fronte. È troppo presto per queste stronzate.
«Non riesci a stare lontana da qui, eh, Lana?». Non è proprio in grado di tenere la bocca chiusa. «Hai finalmente ucciso qualcuno?».
Mi volto nel momento in cui lei allunga i suoi artigli per afferrarmi i capelli. Le stringo le dita intorno al polso e, con un piede, le divarico le gambe. La colpisco con una ginocchiata al petto ancora prima che riprenda fiato. Nei suoi occhi scuri leggo un’espressione di dolore mentre cerca di respirare.
«Stammi lontana, Sienna», ringhio a un centimetro dal suo viso rigato di lacrime.
Mi ricompongo nel giro di un minuto, confondendomi in fila tra le altre ragazze, che non ci hanno degnate di uno sguardo. Una guardia grida: «Ehi, cosa succede laggiù?». Io sono già in bagno quando raggiunge Sienna.
Dopo una doccia veloce, mi affretto nella sala della colazione. Non ho fame, quindi prendo un bicchiere di plastica e lo riempio d’acqua. Trovo un tavolo in un angolo isolato e mi siedo. E, grazie alla mia aria cordiale, nessuno mi si siede accanto. Proprio come piace a me.
Osservo. Cerco di capire chi comanda. Chi ha paura. Chi fa lo stronzo tanto per fare. Riconosco qualche viso noto, oltre a quello di Sienna. Ma mi ignorano. Le uniche persone che prestano attenzione a me sono quelle curiose. Quelle a cui non hanno detto chi sono o perché farebbero meglio a starmi lontane.
La prima volta che mi sono ritrovata qui è stata due anni fa e ho imparato in fretta che l’unico modo per tenersi lontana dai guai è essere superiore. Devi far capire che non te ne frega nulla di quello che pensano di te. Ma se qualcuno mi tocca, gliela faccio pagare. E saranno guai… per una di noi.
Per essere lasciata in pace, è bastato mandare un paio di ragazze all’ospedale per qualche punto o una steccatura. Mi sono anche guadagnata il rispetto quando è diventato chiaro che non avrei mai fiatato, non avrei mai fatto la spia. Non posso credere di essere di nuovo qui, di dover affrontare di nuovo tutto questo. E solo perché non ho potuto rischiare di rivelare la verità.
Odio la mia maledizione.
Sento che qualcuno è fermo di fronte a me, così alzo la testa e vedo una delle terapiste che mi fissa dall’altro capo del tavolo vuoto. «C’è il tuo avvocato».
Senza aprire bocca, mi alzo e la seguo. A metà di un lungo corridoio, apre la porta della stanza delle visite. Le file di tavoli rettangolari e sedie sono vuote. L’uomo alto, che indossa un bell’abito grigio scuro su misura, è in piedi in mezzo alla stanza che mi aspetta. Dopo avere richiesto che venissi spostata nel carcere minorile, ieri sera, mi ha detto che ci saremmo visti stamattina. Ma non pensavo si presentasse davvero.
Niall Harrison mi rivolge un sorriso gentile, ma i suoi occhi sono preoccupati. «Ciao, Lana». Quest’uomo non dovrebbe essere in questa sala con me. È fuori posto come una raffinata Mercedes in mezzo a un gruppo di auto usate.
Non mi avvicino quando la porta alle mie spalle si chiude, seguita dalle sbarre scorrevoli.
«Dov’è Dwight?», domando, riferendomi all’avvocato che mi hanno assegnato d’ufficio e che mi segue dal mio “disturbo della quiete pubblica” di due anni fa.
«A casa, immagino».
«Perché lei è qui?»
«Per aiutarti».
«Aiutarmi? Perché?». Non posso fare a meno di essere cinica. Non ha motivo di essere qui. Nemmeno uno.
«Perché voglio farlo», afferma Niall.
«Non ho soldi per pagarla».
«Non è un problema».
«Perché sta facendo questo?». La sua evasività inizia a infastidirmi.
«I miei figli sono preoccupati per te. Sono venuti da me e mi hanno chiesto che ti rappresentassi. E lo stesso ha fatto tua madre».
Non mi muovo. «Come conosce mia madre?»
«Perché non parliamo un po’?». Scosta una sedia. Io non faccio un passo, quindi lui esclama: «Almeno siediti, così possiamo rivedere le accuse».
Le mie ciabatte sfregano contro il pavimento a ogni passo. Aspetta che io sia seduta di fronte a lui prima di accomodarsi sulla sedia blu di plastica all’altro capo del tavolo. Mi appoggio allo schienale, le ginocchia contro il tavolo e le braccia incrociate sulla felpa rossa.
«Per ora, hanno intenzione di accusarti solo di possesso di sostanze stupefacenti e violazione di domicilio».
«Violazione di domicilio?»
«Sei stata identificata allo Oaklawn Country Club».
Alzo gli occhi al cielo. Certo che mi hanno identificata.
«Credo che alcune accuse potrebbero essere ritirate. Sono più preoccupato da quella di potenziale intralcio alla giustizia relativa alla rapina a mano armata al supermercato. Mi hanno detto che potrebbero ritenerti complice. Non mi hanno ancora fornito il verbale della polizia, quindi ho bisogno che tu mi dia i dettagli e mi racconti cosa è successo».
Mi sistemo sulla sedia e lo fisso in silenzio.
«Per favore, Lana, lascia che ti aiuti».
Non dico una parola.
Niall serra le labbra e respira a fondo dal naso.
So di mettere alla prova la sua pazienza, ma l’ultima persona che voglio che mi rappresenti è il padre di Parker e Joey. Non solo perché si tratta di loro, ma perché ciò che è accaduto li riguarda così da vicino che non posso fidarmi del loro padre. Non credo nemmeno che sarebbe legale che mi difendesse se fosse a conoscenza del coinvolgimento indiretto dei figli.
«Può occuparsene Dwight».
«Dwight ti rappresenta ancora. Stiamo lavorando insieme al tuo caso. Ma per ora, qui ci sono io», spiega con calma Niall. «Sono riuscito ad accelerare il tuo caso e a spostare l’udienza a martedì. Chiederò alla corte che ti rilascino sotto la custodia di tua madre, ma a causa dei precedenti arresti e delle accuse pendenti di rapina a mano armata, è difficile che me lo concedano». Si formano delle rughe intorno alla sua bocca mentre soppesa le parole successive.
«Cosa?», gli chiedo, temendo il peggio.
«Una ragazza ha chiamato la stazione di polizia ieri sera, dicendo che una sua amica era stata spinta giù dalle scale».
Appoggio a terra i piedi con un tonfo sordo. Niall aggrotta la fronte alla mia reazione involontaria.
«Perché me lo sta dicendo?»
«Un agente che conosco personalmente mi ha informato che il sospetto descritto ti assomiglia molto. Il detective a cui è stato assegnato il caso vuole interrogarti».
Non rispondo. Cerco di non reagire. Ma i suoi occhi azzurri rimangono fissi su di me, assorbendo la tensione della mia mascella e il tremolio dello sguardo. Non posso rischiare che quest’uomo mi legga dentro.
«Non ne sai nulla? Non vorrei essere preso alla sprovvista se decidessi di farti interrogare».
«Cosa è successo alla ragazza? Quella che è stata spinta dalle scale», domando, sentendo un dolore nel petto.
«È in coma», spiega solennemente. «Non sono certi che se la caverà».
Mi manca il fiato mentre mi sporgo in avanti, appoggiando le mani sul tavolo per tenermi su. Parker aveva detto che stava bene. Aveva mentito? Non sapeva quanto fossero gravi le lesioni?
«È stata cosciente per poco dopo che l’hanno portata in ospedale e ha iniziato a chiedere di…». Niall legge direttamente dagli appunti, sillabando ogni parola con tono confuso. «La mia principessa delle fate».
Guarda le mie mani tremanti. Le tolgo dal tavolo e incrocio di nuovo le braccia sul petto.
«Non dirò nulla se mi porta alla polizia, quindi non si scomodi».
«Non hanno molte prove. Chi ha chiamato non si è mai presentato in centrale. Quindi declinerò la richiesta di interrogatorio, per ora». La voce di Niall è cauta e calma. «Lana, devi dirmi qualcosa riguardo la rapina a mano armata. Ti prometto che quello che dirai rimarrà tra noi. Non è necessario che Dwight lo sappia se tu non vuoi. Nessuno saprà la verità, in caso fosse meglio tenerla nascosta».
Lo osservo mentre mi fissa, chiedendomi se manterrebbe la parola anche se la sua lealtà fosse messa a dura prova. Lealtà alla sua famiglia. A quella di Vic. Tutto per salvare me, una ragazza che nemmeno conosce. Il suo sguardo è intenso, sincero e trasmette una specie di forte senso di protezione che nessuno mi aveva mai riservato prima.
«Posso dirle cosa è successo al supermercato, ma non il nome del ragazzo con la pistola».
«Sarà difficile provare che non hai nulla a che fare con l’accaduto se non posso fornire il nome del reale perpetratore», spiega, infastidito dalle mie condizioni. «Perché insisti a volerlo proteggere?»
«Non è lui che proteggo. Proteggo chi era con me quella notte».
Niall si appoggia allo schienale e fissa i documenti che ha di fronte, sul suo viso si disegna un’espressione contemplativa. La convinzione che leggo nei suoi occhi quando li posa di nuovo su di me mi fa capire come mai può permettersi l’abito che indossa. È lo sguardo di un uomo che conosce esattamente quali sono le regole e sa bene come infrangerle senza muovere un dito.
«Dimmi cosa è successo nel supermercato. Non voglio sapere nulla di quello che hai fatto prima di entrarvi. O quando ne sei uscita. Solo i dettagli della rapina in sé».
Respiro a fondo e faccio una cosa che ho fatto poche volte nella mia vita, e non parlo del raccontare la verità, perché quella è l’unica cosa che so fare. Questa volta racconto l’intera verità perché non fa differenza. Sono abituata a omettere i dettagli perché, quasi sempre, la gente non è in grado di reggere la totale onestà. Ma oggi Niall Harrison ascolta esattamente quel che è accaduto in quello squallido supermercato… ogni secondo di quell’episodio.
Quando ho finito, si porta le dita alle labbra, contemplando le mie opzioni.
«Siete andati via insieme?», domanda.
«Sì».
«A bordo dello stesso veicolo?».
Esito prima di rispondere, ma visto che non sa chi altro ci fosse in macchina, replico: «Sì».
«E lui aveva ancora la pistola quando eravate a bordo del veicolo?»
«Mmm», mormoro, incerta su come rispondere, visto che Nina gliel’aveva presa. Alzo le spalle con fare evasivo. «Ce l’aveva quando siamo entrati in macchina».
La bocca di Niall si incurva in un mezzo sorriso, ha colto la mia verità creativa. «Okay». Rimane in silenzio a lungo, i suoi pensieri intrappolati dietro uno sguardo immobile, fisso sul taccuino. Niall abbassa le mani e respira a fondo prima di posare gli occhi su di me, intensi come prima. «Senza un nome, probabilmente ti accuseranno di intralcio alla giustizia. Ma possiamo richiedere un patteggiamento». La frase seguente accende un fuoco dentro di me. «Dovresti fare il suo nome, Lana».
«Perché?»
«Per proteggere te stessa», esclama. «Soprattutto perché non hai partecipato alla rapina».
La rabbia mi risale la gola e fuoriesce dalla bocca. «E gli altri in macchina con me? Dovrei dimenticarmi di come questo potrebbe rovinare le loro vite? Per cosa? Per dare il nome di una persona che non verrà mai incarcerata?»
«Questo chi lo dice?», domanda con le sopracciglia aggrottate. «Abbiamo le registrazioni. Tu sei una testimone. Tutti i presenti in auto vi hanno visti andare via insieme, quindi anche loro potrebbero confermare la sua identità».
«Ma abbiamo tutti fatto finta di niente. Anche se nessuno era al corrente dei dettagli, certamente eravamo consapevoli che qualcosa di strano fosse accaduto. Non voglio coinvolgerli». Stringo i pugni. «Non farò il suo nome».
Niall sospira. «Non rendi le cose più semplici, né per me né per te».
«E lei cosa ci guadagna da tutto questo?», domando impaziente. «Ha qualcosa a che fare con mia madre? Come la conosce?».
Il volto dell’uomo rimane inespressivo. «Voglio aiutarti, Lana. La vita che ti è toccata… non è colpa tua. Non è questo il tuo posto».
«E questo cosa significa?», chiedo.
Niall continua come se non mi avesse sentito. «Ho fatto qualche telefonata stamattina e, se il giudice è d’accordo, possono trasferirti». Mi sporgo in avanti in attesa. «Ma non andrai a casa». Piego la testa di lato, come se non avessi capito bene. «Dovresti avere l’opportunità di costruirti una vita migliore, lontano da tutto questo. Una chance che non ti verrebbe data in carcere».
«Ma di cosa sta parlando?», insisto. «Dove ha intenzione di mandarmi?»
«Devo ancora lavorare ai dettagli, quindi per ora preferirei non rispondere».
Lo guardo con fare sospettoso, sperando di non aver commesso un errore permettendogli di rappresentarmi.
«È la tua unica opzione, Lana… se vuoi una vita fuori dalla prigione». Niall chiude la cartellina e la infila in una ventiquattrore di pelle. «Per quanto riguarda Allison Pixley, la ragazza in coma, non dire nulla. Se ti accuseranno formalmente, vorrà dire che hanno altre prove. In quel caso dovrai parlarne con me. Ma solo in quel caso».
Penso che potrei annuire, ma temo che quel piccolo movimento potrebbe essere preso come un cenno di ammissione di colpa.
Niall scosta la sedia e si alza. È silenzioso, mi guarda, si concentra sul viso per un secondo di troppo. Noto che un muscolo si tende nella mascella.
«Giuro che continuerò a fare tutto il possibile per proteggerti». E senza aggiungere altro si volta, bussa alla finestra della porta metallica e comunica alla guardia che abbiamo finito.