Capitolo tredici
La bestia rise mentre la ragazza lottava per liberarsi della cappa. Ma era magica, capace di imprigionare chiunque nel suo tessuto, tranne colui a cui apparteneva. Thaylina respirava a fatica mentre le spire della mantella le si stringevano attorno. E, come promesso, la belva cantò.
Dovrei fare attenzione a quello che desidero.
Alle sette e mezza il signor Garner mi sveglia e mi trascina di nuovo in palestra, dove Mack mi aspetta per torturarmi. Almeno oggi mi lascia tirare qualche pugno.
«Quindi ormai è un’abitudine?», domando al signor Garner mentre camminiamo nel Parco dopo l’allenamento, sudati e doloranti.
«Voglio solo assicurarmi che tu abbia una valvola di sfogo».
«O… che io sappia come colpire più forte quando mi trovo coinvolta in una rissa».
Vorrei non averlo mai detto perché quando il signor Garner mi sveglia venerdì mattina, mi porta al corso di yoga e meditazione di Jasmine. E io pensavo che con Mack fosse dura? Jasmine e le sue parole di pace interiore, i suoi inviti a lasciar correre, tutte le rotazioni e le pose inumane che il mio corpo deve assumere, è molto peggio. Non sono per nulla rilassata. Vorrei ribaltare il signor Garner, guardarlo scorrere tra le posizioni come fosse acqua. Sto per urlare quando finalmente Jasmine ci dice che la lezione è finita.
«Non sopporto di non riuscire a odiarla», mormoro di nuovo quando usciamo. «Questo sarà il nostro mantra».
«Ci lavoreremo», esclama con un ghigno. Lui sembra rilassato e disteso.
Più tardi, prima di incontrare Ashton e Sophia per colazione, riesco a chiamare mia madre. Non siamo riuscite a sentirci per tutta la settimana. La nostra è una telefonata breve, entrambe evitiamo di dirci come vanno davvero le cose. Mi manca. E oggi è più dura degli altri giorni.
Ma non mi aspetto lo confessi, non l’ha mai fatto.
«Ti voglio bene. E ho scelto te». È quello che mi dice ogni anno.
«Ti voglio bene anch’io», rispondo prima di riattaccare. Ci sono tante domande che vorrei farle: come sta, come paga le bollette, ma soprattutto come fa a conoscere Niall. Ma non potrei chiedere nessuna di queste cose oggi.
Cammino un po’ nel Parco, non sono pronta per vedere le ragazze a colazione. Mi fa male il cuore e la gola si stringe per trattenere i singhiozzi. Giro nell’intricato labirinto di siepi fino a quando non raggiungo un’aiuola di rose a forma di cuore. Sono persa nel mio dolore quando sento delle braccia cingermi da dietro.
«Buon compleanno, principessa». Brendan mi bacia la testa. Lo spingo via. «Che c’è? Nemmeno oggi un po’ d’affetto?»
«Non finché continuerai a chiamarmi principessa», sibilo, voltandomi per asciugare le lacrime.
«Mi viene naturale chiamarti così. Giuro che non lo faccio per ricordarti quella notte. Sono un bastardo, ma non fino a questo punto». Dopo un attimo di esitazione, esclama: «Mi dispiace, cercherò di non dirlo più. Ma non ti prometto nulla». Sento che mi sta osservando, cerca di girarmi intorno per guardarmi in faccia. Continuo a evitare il contatto visivo per nascondere le mie emozioni.
«Perché piangi?»
«Come mi hai trovato?», chiedo cambiando argomento.
«Ho seguito il GPS», risponde sinceramente. «Ora, mi dici cosa è successo? Perché sei di cattivo umore proprio oggi?»
«Perché oggi è oggi». Mi siedo sull’altalena a forma di uovo al limitare del giardino. Brendan prende posto accanto a me. Siamo stretti perché non è uno spazio per due, quindi sono quasi seduta in braccio a lui. «Ma che cazzo fai?»
«Rilassati, non ci sto provando». Mi sposta le gambe sulle sue e io mi sistemo sul sedile. «Parlami. Non ti lascerò in pace finché non lo farai».
«Ma cosa te ne frega?»
«Lana, smettila».
Chiudo gli occhi per trattenere le lacrime che si formano all’idea di dirlo ad alta voce. «Mi manca mia nonna». Deglutisco a fatica.
«Quando è morta?», domanda con tono cauto, come se avesse paura di ferirmi.
«Quasi tre anni fa. Ma oggi è più dura perché… questo era il nostro giorno», spiego con voce roca. «Mia madre ha sempre faticato a festeggiare il mio compleanno. Credo che fosse per mio padre, che se n’è andato quando lei aveva diciassette anni, lasciandola incinta e distrutta. Ho la sensazione che fosse l’amore della sua vita e che non l’abbia mai superata. E io le ricordo quel dolore, anche sedici anni dopo».
Ho catturato completamente l’attenzione di Brendan. I suoi occhi marroni inglobano ogni parola, la sua mano è dolcemente appoggiata al mio ginocchio come per consolarmi.
«Ma perché te lo sto dicendo?»
«Perché sono un buon ascoltatore», risponde con un sorriso appena accennato. «Mi stavi dicendo di tua nonna, continua…».
Non riesco a guardarlo quando inizio a parlare, quindi mi concentro su un filo del cuscino. «Mi portava fuori ogni anno. Credo che fosse soprattutto per tenermi lontano da mia madre, che era depressa. Facevamo sempre qualcosa di folle. Per il mio decimo compleanno siamo andate in tutte le gelaterie della città con la missione di provare dieci gusti diversi. Pensavo che mi sarei sentita male. Al mio ottavo compleanno invece, ero ossessionata dalla storia di Pollicina e volevo vivere in un fiore, così ne abbiamo raccolti molti da giardini non nostri o dalle fioriere alle finestre: abbiamo creato un bouquet così grande da doverlo portare con due mani. Abbiamo fatto cose matte! L’ultimo anno che era viva, quando ho compiuto tredici anni, abbiamo steso una coperta davanti a un monumento in centro città mentre passavano le macchine e qualcuna ci ha anche suonato. Mi raccontava sempre delle storie. Alcune reali, altre folli favole». Sospiro. «Vorrei fosse ancora qui».
«Anche io sono molto legato a mia nonna. Mi ha cresciuto lei. Anche prima che succedesse quello è capitato a mia madre, sai», dice piano. «Mia madre aveva solo un paio d’anni più della tua quando sono nato».
Sposto lo sguardo per osservare il suo viso, sorpresa dalla vulnerabilità che sento nella voce.
«Quanti anni avevi quando…?». Non riesco a finire la frase.
«Quattro, l’ho trovata io».
«Cosa?». Mi trema la voce per lo shock.
«È andata in overdose».
«Pensavo avessi detto…». Sono confusa.
«Un’altra volta», esclama dandomi una pacca sul ginocchio. «Il suicidio non è proprio un bell’argomento per il compleanno». Il suo tono diventa più rilassato, gli occhi tornano a focalizzarsi sul presente. «Mi dispiace che tua nonna non sia qui con te e tu sia costretta a stare con noi. Ma ti prometto che questo compleanno te lo ricorderai». Sorride come se nascondesse un segreto.
«Lo sanno tutti?», domando con un brivido.
«Passi il compleanno con un gruppo di delinquenti, certo che lo sanno! Ogni scusa è buona per far festa».
Sospiro.
Brendan si alza e mi porge la mano. «Lily terrà un party dopo il lavoro, metti il vestito più volgare che hai. Oppure metti un costume. Comunque, non vedo l’ora di sculacciarti».
«E pensa che stavi cominciando a piacermi, devi sempre rovinare tutto», esclamo, emettendo un suono disgustato e gutturale mentre mi alzo dall’altalena.
Kaely, Ashton e io passiamo il pomeriggio a servire al The Deck. Non ci metto molto a imparare perché faccio questo lavoro da quando ero piccola; l’unica differenza è che i ritmi di questo posto sono molto più lenti di quelli a cui sono abituata e c’è meno rumore. Anche se so che lui non è qui, spesso mi ritrovo a guardare fuori dalla finestra o oltre la balaustra della terrazza ogni volta che sento passare un golf cart, sperando ci sia Grant a bordo.
Alle ragazze dispiace molto che Brendan mi abbia detto della festa. Speravano di farmi una sorpresa. Io in realtà sono felice che me ne abbia parlato, perché odio le sorprese.
Lascio che Ashton mi arricci i capelli e cedo con riluttanza alla sua richiesta di tenerli sciolti, ma solo perché ha insistito tutto il giorno. Miracolosamente riesce a domare la mia chioma e a evitare che si increspi. Non riuscirei mai a replicare le onde che ha creato. Nina non ha mai capito perché avessi i capelli lunghi a metà schiena ma non li volessi mai tenere sciolti. Forse se avessi qualcuno che me li acconcia ogni giorno, non li legherei.
«Posso pagarti in caramelle gommose perché tu mi faccia i capelli ogni volta che voglio?»
«Preferirei le caramelle alla cannabis, ma accetto anche il resto».
Indosso un vestito, ma per nulla volgare. È un babydoll azzurro pastello con delle spalline sottili sulla schiena. È un po’ corto, mi arriva a metà coscia, ma qualsiasi cosa più lunga di così su di me sembrerebbe una camicia da notte. Ha diversi strati di chiffon su una base aderente e, con i capelli sciolti e mossi sulla schiena, mi sento decisamente bella. Infilo i miei sandali dalla suola spessa che si annodano intorno ai polpacci e applico un velo di gloss sulle labbra, per completare il trucco nei toni dell’oro rosa per cui io e Ashton abbia optato.
«Andiamo a festeggiare il mio dannato compleanno», esclamo mentre io e Ashton ci guardiamo allo specchio. Lei indossa un paio di pantaloni a vita alta a righe bianche e nere che le fasciano le cosce prima di aprirsi a zampa sul ginocchio. Fanno sembrare chilometriche le sue gambe già lunghe. Li ha abbinati con un top a fascia con i brillantini. Non credo abbia le scarpe, ma non vedo i piedi sotto i pantaloni ampi. Sembra una divinità rock con i capelli naturalmente mossi e scuri sistemati su una spalla e gli occhi color zaffiro evidenziati dal trucco intenso.
Non potremmo essere più diverse nemmeno volendo. La Luce e il Buio.
Esito un attimo prima di lasciare la stanza e mi accerto di avere con me il telefono che mi ha dato Joey. Ho intenzione di chiamare Nina e Tori stasera, anche se non ho in rubrica i loro numeri. Potrei comunque riuscire a rintracciarle. Non esco con loro da più di un mese. Sicuramente è stata la notte peggiore della mia vita, ma mi mancano. Mi manca parlare e ridere delle cose più assurde insieme. Le risse che aizzavamo o spegnevamo, a seconda se si trattava di me o Nina. Flirtare con i ragazzi. Ballare. Intrufolarci in luoghi in cui non c’entravamo nulla ma comportandoci come se invece fosse il contrario. Non perdevamo tempo a chiacchierare di sogni che sapevamo non si sarebbero mai realizzati. Vivevamo ogni momento come se fosse l’ultimo da passare insieme. Spero che quella sera non rimanga il mio ultimo ricordo di loro. Voglio che ce ne siano tanti altri.
E mi dispiace tanto che non sappiano dove sono.
Prima di uscire dalla stanza, sento suonare il mio cellulare della Blackwood. Clicco sul messaggio in entrata.
Ti è stato concesso un pass per trascorrere la notte fuori. Divertiti e stai attenta. Buon compleanno, Lana. Niall.
«Che succede?», domanda Ashton quando mi vede sorridere.
«Passo la notte fuori. Anche tu?»
«Certo». Risponde al sorriso.
Entrambe riempiamo una borsa con le cose per la notte, poi corriamo davanti all’edificio della segreteria da Kaely che ci sta aspettando.
«Dove sono i ragazzi?», domando a Ashton perché non li vedo alla macchina.
«Hanno detto che ci saremmo visti direttamente alla festa».
La casa sembra un faro in mezzo alla foresta con tutte le luci che brillano dietro i vetri. Il vialetto è già pieno di auto. Tutte queste persone non sono qui per il mio compleanno. Quelle a cui tengo potrebbero stare tutte comodamente in questa macchina. Figuriamoci se conosco la decina di ospiti che sono già alla festa, per non parlare degli altri, che continuano ad arrivare nel pochissimo tempo che impieghiamo a parcheggiare prima di entrare.
«Buon compleanno!», esclama Lily aspettandoci con la porta aperta. Mi abbraccia. «Sono così felice che tu sia qui». Mi si scalda il cuore sentendo il suo tono sincero. Anche lei ha recepito il dress-code “capelli sciolti”, ma i suoi sono liscissimi e con la riga in mezzo. Indossa un vestito bianco stile impero con una cintura luccicante in vita. Mi piace tantissimo come si veste e non vedo l’ora di essere più in confidenza con lei per poterle chiedere in prestito degli abiti. E poi è la persona più dolce che abbia mai conosciuto.
«Venite! Volete da bere? Ho saputo che non ami lo champagne». Ci accompagna nell’open space dove un gruppetto di persone chiacchiera con dei calici in mano. Sembra che abbia fatto la scorta di champagne in frigo.
«Posso farti un cocktail con quella base che ti piacerà», propone Ashton come se fosse a casa sua, facendosi spazio dietro il bancone, ora adibito a bar.
«Che anello strano», nota Lily quando appoggio la mano sul piano. Me la solleva per osservare meglio la fede nuziale di Nick che ho al pollice.
«Le ho detto che sembra una fede da uomo», esclama Ashton. Lei l’aveva notato mentre ci vestivamo.
«Serve per ricordarmi», dico loro, «di non innamorarmi mai».
Lily socchiude la bocca e abbassa gli occhi. «Che tristezza». Poi mi abbraccia… di nuovo. «Non avere paura di innamorarti. Il ragazzo giusto per te è lì fuori da qualche parte».
Rido del suo tenero tentativo di consolarmi. Ma non ne ho bisogno.
«Non dirglielo», commenta Ashton, anche lei divertita.
«È la sua fobia», si intromette Kaely, come se questo spiegasse tutto.
«Oh! Dovrei portarvi le borse di sopra», esclama Lily all’improvviso quando le nota per terra, come se si sentisse una pessima padrona di casa. «Torno subito».
Le porgiamo le sacche e lei sparisce su per le scale.
«Ma è davvero sempre così carina?», domando. Mi devo ancora abituare all’infinita premura di Lily. Mi chiedo quale sia la sua maledizione.
«Per quello che ne so, sì», risponde Ashton.
«Mi ricorda te, Kaely», dico.
«Sul serio? Secondo me non ci assomigliamo». Beve un sorso di champagne.
Ashton e io ci scambiamo un’occhiata e cerchiamo di non ridere.
«Sei adorabile», mormora Ashton a Kaely, facendole scoprire il sorriso perfetto.
Con i calici in mano – il mio al gusto di limone ma non dolce come la limonata – usciamo sulla terrazza dove a quanto pare si tiene la festa. Per poco non mi cade di mano il bicchiere perché mi cedono le gambe. Ashton mi afferra dal gomito per impedire che mi storca la caviglia.
«Wow, non iniziare a cadere ora. La serata è lunga. Tieniti le cadute per dopo, magari con un ragazzo sotto di te».
Kaely ridacchia. «Sembri proprio Brendan».
«In effetti, potrebbe essere una cattiva influenza», commenta scherzosamente Ashton.
Non rispondo perché sto fissando il bellissimo viso di Joey Harrison, che non mi ha ancora tolto di dosso i suoi penetranti occhi azzurri da quando sono uscita dalla casa. Mi rivolge un sorriso appena accennato e io noto le fossette. È ancora più mozzafiato di quanto ricordassi con quella camicia button-down bianca, il giubbotto e i jeans scuri aderenti.
«Per favore, non venire qui. Per favore, non venire qui», mormoro sottovoce. Ma lui si sta già muovendo.
Ashton borbotta: «Oh, merda, non un altro».
«Buon compleanno, Lana», esclama Joey, piegandosi in avanti per sfiorarmi la guancia con le labbra. Un brivido mi attraversa il corpo. Immagino lo senta anche lui, perché inspira velocemente e si scosta. «Sei bellissima».
«Grazie», sussurro. Vorrei riuscire a fare un passo indietro per spezzare l’attrazione che c’è tra noi.
«Ciao», esclama gioiosa Kaely, riportandomi alla realtà. «Sono Kaely».
«Io mi chiamo Wil». Joey porge la mano per presentarsi.
«Wil?», domando confusa.
«È così che mi chiamano a scuola».
«Oh, giusto», replico, ricordando a stento che tutti lo chiamano in modo diverso perché il suo nome completo è formato da tre nomi. «Io non ti chiamerò Wil».
Ridacchia. «Non voglio che tu lo faccia». E ricominciamo a fissarci. L’unica ragione per cui capisco che siamo persi uno negli occhi dell’altra è il colpo di tosse di Ashton, che mi ricorda che fuori dal suo sguardo esiste un mondo.
«Cerchiamo i nostri amici ora», annuncia Ashton, trascinandomi via per un braccio. «Piacere di averti incontrato, Wil».
«Sì. Ci vediamo in giro, Lana».
«Ma che problemi hai con i fratelli Harrison? Per fortuna non fai così anche con Lance».
«Non credo che a Lance piacciano le ragazze», le dico mentre salutiamo con la mano alcune persone e ci allontaniamo da Joey.
«A Lance piace un po’ di tutto. Stefan gli è piaciuto quella sera».
«Aspetta», esclamo, voltandomi. «Tu e lui…».
«No», mi rassicura in fretta.
«Io sì», ammette Kaely in tono casuale. «È stato il mio primo. E unico».
Entrambe la fissiamo scioccate.
«Siamo usciti insieme quando la scuola è finita e lui è venuto qui. E… è successo», spiega. «È stato molto dolce. E poi è figo».
Non dovrei più lasciarmi sorprendere da nulla. Ma questo mi sconvolge.
«Provi qualcosa per lui?», domanda Ashton.
«Mi piace», ammette Kaely, abbassando timidamente la testa. «Ma è estate e non voglio rovinarla. Per ora è una cosa tranquilla, quindi va bene così».
Sembra che abbia imparato a memoria quelle parole, come se cercasse di convincere sé stessa oltre che noi. Quello e il fatto di non volerci guardare in faccia rende ovvio che non è sincera nemmeno con sé stessa. Forse crede mentendo di non soffrire. Conosco tutti i sintomi, avendo vissuto con una madre ingenua che credeva a tutto. Una persona che ha sempre pensato che quello che frequentava fosse il tipo giusto per lei, fino a quando lui non rendeva ovvio il contrario.
«Non accontentarti del divertimento se non è quello che vuoi. Non sei un giocattolo», le dico. Le mie parole forse hanno un tono di rimprovero che non volevo avessero. «Ti meriti di essere venerata. E se lui o un altro ragazzo non se ne accorgono, che si fottano». E scelgo di aggiungere: «Be’, non letteralmente», solo per assicurarmi che capisca. Anche se la adoro, mi sembra un po’ ingenua.
«Sì, si fottano!». Ashton solleva il calice per un brindisi.
«Buon compleanno, folletto», esclama Lance alle mie spalle, allungandosi per toccare i nostri bicchieri col suo.
«Parlavamo proprio di te!», dichiara Ashton. Kaely spalanca la bocca.
«Avete appena detto: “Si fottano!”». Ci guarda tutte. «O sarà una serata interessante, o sapete di me e Kaely».
«Scusa», esclama la ragazza con un sorriso forzato.
«Non mi disturba che lo sappiano», replica lui. «Ma tu stai bene? Ho fatto qualcosa di sbagliato?».
«Uh, noi andiamo a prenderci da bere», affermo, trascinandomi dietro Ashton per lasciare i due a parlare in pace.
«Ehi, ma io volevo ascoltare», sbuffa Ashton.
«A volte dici cose che sarebbe meglio non esternare», le spiego prima di bere una sorsata del mio drink per poterne prendere un altro.
«Forse», ammette con riluttanza. «O forse… a volte tu dovresti dire cosa provi».
Rido. «Forse».
Dentro casa troviamo Lily che versa champagne ai nuovi arrivati.
«Lascia fare a me», esclama Stefan comparendo da chissà dove. «Uno shottino per la festeggiata?»
«Sì!», urlano Lily e Ashton all’unisono, facendomi ridere.
Stefan prepara un giro di shottini al gusto di anguria e menta. Subito dopo me ne dà un altro.
«Vieni ad aiutarmi con la musica», mi invita Lily prendendomi per mano. «La gente deve ballare».
Mi conduce a un tablet su cui scorro le canzoni e creo una playlist.
«Avrei dovuto avvisarti della presenza di Joey?», domanda, appoggiandosi al bracciolo della poltrona su cui sono seduta.
«Lo chiami Joey? Non Wil?».
Ridacchia come se avessi detto una cosa divertente. «Sono cresciuta con lui, proprio come te. Lo chiamo come facevo da bambina».
«Io non sono proprio cresciuta con lui», le dico, perché non voglio che pensi che abbia più confidenza con Joey di quanta ne ho davvero.
«Be’, sai cosa intendo», esclama con noncuranza. «Ma so cosa prova per te. Tu non provi lo stesso?»
«Mmm». Mi sposto sulla poltrona, sono a disagio. «Non so se io stessa so cosa prova per me. È stata solo una notte e anche decisamente folle, quindi forse pensa di aver provato qualcosa, quando invece era tutto solo amplificato dall’adrenalina».
«Non credo».
La guardo curiosa e lei mi rivolge un sorriso triste. «Ma se non provi le stesse cose, non puoi mica forzare i sentimenti, no? Comunque avrei dovuto dirti che c’era, scusami».
Annuisco, perché non so cosa dire per farla sentire meglio, essendo al contempo sincera. Sì, mi avrebbe fatto piacere saperlo. No, non mi va proprio a genio che sia qui. E cosa cavolo intendeva con tutta quella storia sui sentimenti? Ci conosciamo da pochissimo, è stata una notte.
Mi concentro sulla playlist per qualche minuto ancora prima che Lily riprenda il tablet e faccia partire la musica elettronica, che rimbomba nelle casse. Schiaccia qualche tasto sullo schermo e le luci si abbassano, iniziando a pulsare, anche all’esterno. La gente urla in risposta e poco dopo inizia a muoversi a tempo.
Lily mi prende la mano e rubiamo Ashton da Brendan per portarla fuori con noi. Kaely è seduta in braccio a Lance, quindi roviniamo il momento quando decidiamo di trascinarla con noi. Balliamo fino a essere sudate; i miei ricci sono un macello. Stefan continua a portarci da bere, rendendo più semplice perdersi nella musica. Per tutto il tempo sento addosso gli occhi di Joey che mi fanno venire i brividi. Ma mi sta lontano. Sono contenta che lo faccia perché se si avvicinasse alle mie spalle, so già che gli lascerei appoggiarmi le mani sui fianchi e le labbra sul collo.
«In che camera siamo?», domando a Lily. Devo usare il bagno e bere una bottiglia – o due – d’acqua.
«Seconda porta dalle scale», esclama, prendendomi la mano e usandola per una piroetta. «Torna in fretta».
Mi faccio largo tra la folla. Non so quando sia arrivata tutta questa gente.
Trovo le nostre borse ai piedi di due letti matrimoniali in un’ampia stanza che si affaccia sulla terrazza e sul lago. Per fortuna, c’è anche un bagno. Dopo essermi tolta il sudore dal viso e da in mezzo ai seni, mi sistemo il trucco e torno in camera, dove trovo Joey che guarda fuori dalla finestra la gente che balla al piano inferiore.
«Cosa ci fai qui?», domando. Si volta.
Ha una scatola quadrata in mano, decorata dallo stesso fiocco color lampone che ha usato per il telefono. «Volevo darti questo. Ma non pensavo fosse il caso di farlo davanti a tutti».
«Mi hai preso un regalo?». Mi avvicino a lui lentamente, attenta a mantenere le distanze. Cerco con tutte le mie forze di non guardarlo negli occhi, ma quando allungo la mano per prendere la scatola sfioro le sue dita. Una scintilla di calore mi attraversa il corpo e scende lungo la schiena. Alzo lo sguardo, lui è immobile quanto me.
«L’hai sentito anche tu», dice a voce tanto bassa che lo sento a stento. «So che l’hai sentito».
Deglutisco a fatica e prendo il regalo, poi mi scosto. Dentro c’è il mio cerchietto. Quello che sembra una tiara con quegli intrecci di cristalli. La stessa che mia nonna diede a mia madre e che poi è passata a me. Mi vengono le lacrime gli occhi. Ero convinta di averla persa. Le pietre brillano alla luce.
«L’ho trovata nell’erba», spiega. «Era rotta ma l’ho fatta sistemare. Avevo la sensazione che per te contasse molto».
Mando giù l’emozione che mi si è fermata in gola, ricordando che l’ho indossata a ogni compleanno dal decimo in poi, abbinata a quello strano vestito di tulle. «Grazie».
La prendo e infilo la scatola in borsa prima di mettermi la corona in testa. Mi avvicino allo specchio sopra il mobile e aggiusto i capelli. Joey si avvicina alle mie spalle e io lo guardo riflesso. Mi sorride. Il mio battito accelera. Fa un passo in avanti. Non riesco a respirare. Mi sfiora la spalla con le mani, scende sul braccio e poi passa alla mano. Chiudo gli occhi. Posa le labbra sulla mia pelle. Indietreggio e piego la testa di lato per facilitargli le cose. Mi afferra il fianco e mi volta verso di sé. Sto quasi ansimando, il corpo trema. Sollevo la testa proprio quando lui la abbassa. La sua bocca è frenetica quanto le sue dita sulla mia vita che mi tirano verso di lui. Gemo nella sua bocca, infilo le mani tra i suoi capelli.
Mi perdo nel suo tocco. In questo bacio. La pressione del suo corpo contro il mio mentre ci stringiamo. Ci spostiamo verso il letto. Sta per tirarmi sulle coperte con sé quando qualcosa si rompe. Va in pezzi, come fosse stato intrappolato e avesse lottato a lungo per liberarsi.
È un pensiero. Tre parole.
È una bugia.
Lo spingo via. E il velo di desiderio si solleva. Riesco a respirare di nuovo quando mi lascia. Sbatto le palpebre come se mi risvegliassi da un sogno. Un sogno molto vivido ed erotico. Ma comunque, non reale.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?». La sua espressione è carica di paura e preoccupazione. «Lana?»
«Non posso farlo». Le mie parole sono lente e metodiche, come se lo stessi realizzando mentre lo dico. Il battito rallenta e ritorna alla normalità. «Non mi sembra giusto».
«Mmm», mormora, incapace di rispondere perché sa che è stato fantastico. Ma non è quello che intendevo. Quello che sentivo non era giusto, a livello emotivo. Non ero legata a lui. E non sto dicendo di aver bisogno di sentimenti per baciarlo. Ma considerando quanta passione c’era dietro i nostri gesti, so che avrei dovuto provare qualcosa.
«Mi dispiace», dico guardandolo e cercando di trovare le parole per spiegare. Per cancellare il dolore che gli fa abbassare lo sguardo. Ma come gli dico che quello che c’è tra noi è un’illusione? La pulsione. L’attrazione. Il bisogno. È solo desiderio. E la parte di me che ha lottato per liberarsi dall’incantesimo del suo tocco sa che non è questo che voglio. «Vorrei fosse di più».
«Davvero?». Si siede sul letto e si passa una mano tra i capelli. «Perché se è così, lasciamo che sia qualcosa di più. Provo qualcosa per te, Lana. Per me non è solo attrazione fisica».
«Per me sì», sussurro. Chiude gli occhi come se accusasse un colpo. Dannata maledizione. «È questo che intendo. Vorrei che fosse qualcosa di più ma non lo è. Ed è per questo che mi dispiace».
Annuisce lentamente.
«E Joey, come puoi provare qualcosa per me? Se è stata solo una notte…».
«Non ti ricordi», esclama con una risata vuota. «Ti ho incontrata prima, Lana».
Socchiudo gli occhi, cerco tra i ricordi. «Me ne ricorderei». Se fosse vero, me ne ricorderei sicuramente.
«Suppongo di no», aggiunge scuotendo la testa, sconfitto. «È successo a una festa in casa, a Sherling, con Lincoln, l’estate prima dell’anno fra matricole a scuola. Tu eri lì con le tue amiche. Abbiamo parlato per un po’. Volevo chiederti il numero ma sei scomparsa».
«C’era… c’era anche Parker?», domando, scavando nella mia memoria. Joey non può essere cambiato così tanto in due anni. Quella è stata l’estate in cui Parker mi ha baciata. Gli ho parlato a lungo durante una festa. O almeno, pensavo fosse lui.
«Credo di sì».
Ti prego, non dirmi che li ho confusi. Era buio. Eravamo in tanti in un appartamento sotterraneo. Quando sono tornata dal bagno non sono riuscita a trovare il ragazzo con cui stavo parlando, quindi mi sono messa in un angolo a osservare la gente come faccio di solito. È lì che mi ha raggiunta il tizio che cercavo. Ma è stato Parker a baciarmi. Ho baciato il ragazzo sbagliato.
Cerco di riflettere mentre Joey continua.
«Ti ho vista qualche volta in giro quando ero con mio fratello. Non ci siamo più parlati fino al mese scorso. E avrei voluto farlo tante volte. Ma tu… mi metti in soggezione».
«Sul serio?», rido, chiedendomi se non sarebbero andate diversamente le cose se quell’estate avessi baciato lui e non Parker. Forse avrei sentito una connessione oltre l’attrazione fisica, come quella che lui prova per me… forse se avessimo avuto più momenti da condividere, se ci fossimo conosciuti meglio…
«È stato difficile guardarti da lontano quando mi piacevi così tanto», ammette con un sorriso triste che gli mette in mostra le fossette. È bellissimo, non ha senso negarlo. E per un attimo, sono tentata dall’ignorare la voce che sento nella testa e saltargli addosso. Ma so che lui vuole di più di un mero atto fisico e se lo facessi, sarebbe come mentirgli. E non lo merita.
«Venivi a casa nostra quando eravamo bambini», esclama, cogliendomi di sorpresa. «Eravamo davvero piccoli. Lo sapevi?».
Scuoto la testa, sono sorpresa, non lo sapevo.
«Non me lo ricordo bene nemmeno io. Ma ho trovato delle foto e dei video in qualche cassetto mentre ero in soffitta la scorsa settimana».
«Come fa mia madre a conoscere la tua famiglia?», domando. Non ho mai trovato una sua foto con gli Harrison.
«Non lo so. Non mi hanno voluto dire molto quando ho chiesto chi fossero le persone negli scatti, mi hanno solo risposto che non erano più in contatto. Ma sapevo che eri tu la bambina delle foto. È difficile non riconoscerti, anche se camminavi a malapena».
«Non credi sia strano il fatto che ci conoscessimo da piccoli? E che ora le nostre famiglie non lo ammettano? Soprattutto visto che tuo padre mi sta aiutando». E questo mi porta a chiedere: «Sai se è lui che paga la mia retta alla Blackwood?»
«Non so», risponde, sorpreso dalla domanda. «È tutto molto strano. Non sapevo che conoscesse già tua madre quando gli ho chiesto di rappresentarti». Si ferma per un attimo, riflette. «Sto lavorando per lui in studio quest’estate. Posso cercare qualche informazione, se vuoi. Se per te è importante. Magari le ha fatto da avvocato, no?»
«Vorrei saperlo», replico, grata. «Non mi piacciono i segreti. Sono brutti quasi quanto le bugie».
«Ma tu non hai dei… segreti?»
«Non molti. E tu ne conosci uno».
«Di me puoi fidarti». I suoi occhi azzurri trovano i miei e una scarica mi attraversa i lombi.
«Lo so». Ed è vero. Sono convinta che Joey sia onorabile e che farà quello che è giusto per proteggere le persone a cui tiene. Forse l’Onore è la sua maledizione. Questo potrebbe spiegare il suo sforzo per mantenere tale il mio segreto, perché anche lui vuole fare quello che è giusto per Allie.
«Vorrei che riuscissi a confidarti con me».
Posso solo offrirgli un sorriso stentato come scusa.
Si alza e sistema i vestiti. «Amici?»
«Non odi quella parola?», scherzo.
«Ora più di qualsiasi altra. Ma non voglio perderti… di nuovo».
«Non succederà». Mi avvicino a lui. Appena lo abbraccio sento la scarica elettrica che mi attraversa e mi sforzo di scostarmi.
«Forse non dovremmo…», mormora sospirando.
«Toccarci?». Voglio ridere. «È intenso, eh?».
Alza le spalle e arrossisce. Mi mordicchio un labbro dispiaciuta, rendendomi conto che la sensazione era più forte per lui che per me.
Va alla porta e mi aspetta. «Dai, andiamo a festeggiarti».
Alcune persone ci guardano mentre scendiamo le scale insieme. Ma sinceramente non mi importa. Che pensino quello che vogliono.
«Festeggiata!», grida Ashton dal bar. Sorrido. «Bevi con me!».
Mi volto per chiedere a Joey di unirsi a noi, ma è già uscito. Capisco il bisogno di allontanarsi. Ma la distanza fa male. Sento il brivido lasciato dalla sua assenza. Mi sento anche libera da qualcosa che aveva tentato di prendere il sopravvento. Non voglio essere controllata, mai, nemmeno dai miei stessi impulsi.
Accetto il bicchiere di champagne da Ashton e brindiamo.
Mi si avvicina e sussurra, con tono complice: «Torno a scuola con Brendan».
«Sicura?».
Annuisce con un sorriso malizioso.
«Lui non ha il pass per stare fuori?»
«Non credo che qualcuno alla Blackwood si fiderà mai abbastanza da concederglielo», dice con una risata.
«Allora non bevi più». Prendo il suo bicchiere e finisco lo champagne in un sorso. Forse mi usciranno le bolle dal naso. «Terribile». Rabbrividisco.
Ashton ride e prende una bottiglietta d’acqua.
«Immagino che qualcuno dovrà pur fare sesso il giorno del mio compleanno», sospiro, brindando con la bottiglia d’acqua. «Non raccontarmi mai i dettagli della vostra serata». Sussulto all’idea di Brendan che… non riesco nemmeno a finire il pensiero.
Usciamo in terrazza e Lily e Kaely ci trascinano in pista. Ci sono ancora molte persone e, per la prima volta, mi chiedo che ora sia. Poi decido in fretta che non mi importa, perché stanotte non ho il coprifuoco!
A un certo punto durante la dozzina di canzoni successive mi tolgo le scarpe e Ashton sparisce con Brendan.
Prima di andarsene, Brendan mi bacia sulla testa e mi sussurra all’orecchio: «Sembri davvero una principessa». Poi aggiunge: «Non arrabbiarti». Ashton lo trascina via prima che possa vedere la mia reazione sconvolta alle sue parole: le stesse che mi ha detto Allie. Kaely mi prende per mano e mi fa girare, riportandomi alla realtà. Lily mi porge un altro shottino.
Dopo quelle che sembrano ore – ma non tengo il conto – la musica diventa tranquilla e romantica. La gente inizia a buttarsi sui divani, parlano, si baciano o crollano ubriachi. Io mi sposto alla fine del ponte e metto in acqua i piedi doloranti. Stranamente, l’acqua sembra più calda dell’aria. Non mi ero resa conto di quanto facesse fresco fino a quando non ho smesso di ballare.
Rabbrividisco.
Sento un giubbotto sulle spalle. Ci nascondo dentro il viso senza voltarmi verso il proprietario. Sento profumo di oceano e sole. Non so come mi siano venuti in mente quegli odori, ma è quello che mi ricordano. Grant compare al mio fianco con i pantaloni eleganti e scuri rimboccati e senza scarpe. Anche lui mette i piedi in acqua.
«Buon compleanno, Lana».
Mi vengono le lacrime agli occhi. Non ho idea di cosa causi quest’emozione improvvisa. Forse è lo champagne che ho bevuto. O… forse… è lui. Perché vedere il suo bel viso accanto al mio in questo momento, mi fa stringere il cuore nel modo più bello possibile. «Sei qui», mormoro.
«Ehi», dice come per consolarmi e mi tira a sé, facendomi appoggiare la testa al suo petto. «Scusa se ci ho messo tanto. Non sapevo di stasera fino a che… non importa. Sono qui».
«E io non sono per nulla sobria», singhiozzo, asciugandomi una lacrima dalla guancia.
Grant ride. «Non mi aspettavo lo fossi». Mi passa una mano tra i capelli. «Sei bellissima».
Sollevo la testa pigramente. «Prima stavo molto meglio».
«Sono contento di non esserci stato, allora. Avrei rotto la mia stessa promessa». Sorride calorosamente. Indossa una camicia bianca button-down, sbottonata tanto da scoprire una parte del petto… di cui vorrei vedere di più. Il suo corpo è nato per indossare abiti eleganti che lo fanno sembrare sofisticato e… be’, principesco.
«Anche tu sei bello», gli dico. È la verità.
Lui sorride e poi mi scosta i capelli dalla guancia e me li sistema dietro le orecchie. «Com’è andato il compleanno?»
«Mi sono divertita», rispondo. «Abbiamo ballato molto».
«Ti piace ballare?»
«Lo adoro».
Si scosta. Sussulto per la separazione. Si alza. «Allora balla con me». Mi porge la mano. Sorrido e la prendo, tirandomi su a fatica e facendo cadere dalle spalle la sua giacca. E in quel momento è evidente quanto io sia bassa rispetto a lui, che è gigante. Ma non mi prende in giro né commenta la mia altezza, anche se potrebbe farlo. Invece mi prende la mano e mi fa fare una piroetta. Il mio vestito gira con me. Ridacchio in modo frivolo mentre lui mi tira a sé, posando la mia mano sul suo cuore. Con l’altro braccio mi cinge senza farmi barcollare, come se la differenza d’altezza non esistesse. Ci incastriamo alla perfezione.
Non sento la musica ma troviamo il nostro ritmo con l’acqua che sbatte contro il pontile. Le luci della terrazza sono spente, fatta eccezione per una, all’interno della casa. Ci muoviamo sotto un cielo stellato.
«Grazie di essere venuto», gli dico, premendo la testa al suo petto, con le palpebre pesanti.
«Non mi sarei mai perso la serata».
Dopo essermi persa in lui per una o due canzoni immaginarie, mi chiede: «Vuoi rientrare?»
«Sì». Quando ci voltiamo verso la casa, noto una sagoma in piedi davanti a una finestra al primo piano. Scompare subito. «Non mi sarei lasciata baciare stasera, nemmeno da sobria».
Grant si ferma. Barcollo e mi accomodo su una sedia di fronte al falò acceso. Lui prende posto accanto a me.
Mi copro il viso con le mani e confesso. «Ho baciato un altro stasera». Sbircio tra le dita, mi preparo alla sua reazione. Rimane in silenzio, aspetta che continui. C’è sempre qualcosa da aggiungere. La mia maledizione, amplificata da Grant e dallo champagne, fa uscire dalla mia bocca un fiume di parole. «Ho capito che era sbagliato appena ci siamo baciati. Ma è una persona con cui sono già stata ed è successo. Non accadrà mai più. Dovevo dirtelo, non so perché».
«Wil?».
Annuisco, non voglio sapere come lo sappia. «Sei suo amico?».
Fa cenno di sì. «Giochiamo a lacrosse insieme».
«Questo vuol dire che non vuoi più avere a che fare con me? Anche io ho una regola: non toccare un ragazzo con cui sia stata una mia amica…».
«Non ho quella regola io», dice accennando un sorriso. «Non mi piace sentirlo, ma è parte della tua maledizione, no? La sincerità».
«Non avrei dovuto dirtelo», esclamo infossandomi nella sedia con fare melodrammatico. Mi pento di averlo fatto.
«Ma hai voluto». Mi prende la mano. «E questo significa… qualcosa, anche nel tuo discutibile stato di sobrietà». Sorride, scherza. «Vuoi essere sincera con me, anche se la verità fa male. Non mi dispiace. E so che ci stiamo ancora conoscendo. Poi, tu non concedi appuntamenti. Penseremo a come gestire questa cosa che c’è tra noi».
«Qualsiasi cosa sia», esclamo, sapendo che non è per nulla simile a quello che ho provato in passato. Con Grant non riesco a trattenere la sincerità. E per quanto mi spaventi essere così onesta, così aperta, così nuda con lui – anche da ubriaca – sono contenta. Mi sento sicura di poter essere me stessa, in tutta la mia maledetta sincerità.