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Durante l’operazione di salvataggio dello scrittore, Crespi era rimasto nell’ufficio di Rambaldi. Mauro aveva telefonato a Santamaria chiedendogli di mettere a disposizione dell’ex cacciatore di serial killer i file dell’indagine, e di fare in modo che i motivi della sua presenza alla stazione Carabinieri rimanessero riservati. Nessun altro doveva sapere, compreso Brogi. Santamaria si fece ripetere le disposizioni due volte, tanto gli era sembrata assurda la richiesta del superiore.

“Maresciallo, deve fidarsi di me” aveva insistito Rambaldi. “Le spiegherò tutto a tempo debito, per ora si limiti a fare come le ho detto. Faccia sistemare Albis nel mio ufficio e ordini ai suoi di non disturbarlo per nessun motivo.”

Santamaria aveva obbedito. Quando Valerio Albis alias Angelo Crespi, si era presentato alla stazione Carabinieri, il maresciallo non gli aveva chiesto nulla. Si era limitato ad accompagnarlo alla scrivania dell’ufficiale e a consegnargli i fascicoli dei due omicidi. Santamaria aveva incontrato di rado quel tipo, in paese. Se ne stava per i fatti suoi, qualcuno diceva che dipingesse, anche se i suoi quadri non li aveva mai visti nessuno. L’unico amico che aveva a Peccioli era Gino Palombini, il fruttivendolo. E il maresciallo si chiese se l’ordine di Rambaldi fosse collegato al ritrovamento del cadavere di Serse Barani. L’indagine per il duplice omicidio era una prova che il comandante della stazione Carabinieri di Peccioli sentiva essere al di sopra delle proprie capacità di investigatore. Doveva per forza affidarsi alle qualità di Rambaldi, anche se dopo il secondo omicidio la sua sicurezza aveva perso un po’ dello smalto di sempre. Del resto, mettere a disposizione di un civile il fascicolo di una indagine in corso era un azzardo professionale. Rambaldi stava mostrando i primi segni di cedimento?

Quando Mauro fece ritorno a Peccioli, Santamaria aveva già fatto rinchiudere Turzi e Baldacci nelle celle di sicurezza. Lo salutò con un’ombra di preoccupazione, il capitano gli doveva una spiegazione.

Rambaldi lo prese per un braccio e gli parlò a bassa voce per non farsi sentire dagli altri colleghi. «Albis può aiutarci a inquadrare i fatti degli ultimi giorni da un punto di vista diverso. In passato ha lavorato per le forze dell’ordine e ha una grande competenza in questo genere di omicidi, ma non mi chieda altro. E non riferisca a nessuno nulla di quanto le ho detto.»

Santamaria annuì, ma senza convinzione. Rambaldi aveva fugato solo parzialmente i suoi dubbi. «Ora ho bisogno che lei si lavori i prigionieri» continuò l’ufficiale «e che scopra se e quanto sono coinvolti. Per me sono solo due spacciatori, anche se hanno tentato di fare a pezzi Marra. Fortuna che lo abbiamo beccato per un pelo con il localizzatore che avevamo piazzato sulla sua moto. Non credo che siano in grado di mettere in scena degli omicidi plateali come quelli con cui abbiamo a che fare. Devo esserne certo e mi fido di lei.»

«Va bene, signor capitano, a quei due ci penso io. Ma lei? Cosa farà nel frattempo?»

«Io cercherò di capire se Albis può aiutarci o no. A proposito… Fuori, per tutto il paese, è ancora pieno di giornalisti, furgoni e unità mobili di stazioni radiofoniche e televisive che sparlano del fantomatico Mostro di Peccioli. Faccia in modo di tenermeli lontani.»

«Surricchio e la Balugani sono al lavoro, con due pattuglie della radiomobile di Pisa.»

«Bene. Sulla scomparsa di Giuditta Natale?»

«Corda è con Varricchio a perquisire l’appartamento. Vediamo se salta fuori qualcosa.»

«Ma Varricchio non ha fatto la notte?»

«Sì, ma ha chiesto di rimanere in servizio. Quel ragazzo si sta impegnando anima e corpo, sembra quasi che ne abbia fatto una questione personale… In realtà tutti i miei sono molto coinvolti, vogliono dare il massimo.»

«Ha tirato su una bella squadra, Santamaria. Vedrà che alla fine riusciremo a venirne fuori, e sarà grazie all’impegno di tutti.»

Angelo Crespi alzò gli occhi e rivolse a Rambaldi un cenno di saluto appena percettibile. Mauro chiuse la porta e si sedette di fronte a lui, dal lato opposto della scrivania. Crespi continuò per una decina di minuti a leggere referti e osservare fotografie. Poi posò i fogli sul tavolo, si tolse gli occhiali da lettura e si massaggiò l’attaccatura del naso.

«Allora?» chiese timidamente il capitano.

«Lei è troppo intelligente per aspettarsi che in un paio d’ore io abbia scoperto qualcosa solo da queste carte.»

«Non intendevo questo. Voglio sapere che idea s’è fatto.»

Crespi si stirò tirando entrambi i gomiti indietro e gonfiando il torace. Si passò una mano tra i capelli come se fossero passaggi di un rito che quell’uomo rispolverava dopo decenni. Sì, era il suo modo per iniziare a ragionare. «La scena, in entrambi i casi, è plateale» disse Crespi. «Delitti premeditati e studiati nei minimi particolari, non solo nell’esecuzione ma anche nella preparazione del contesto. Nell’omicidio del museo abbiamo il cadavere della ragazza ricomposto in quella posizione, con la cintura di Isadora in bella vista. E poi l’impianto tv a circuito chiuso disattivato e la scomparsa del tablet e del telefono. Con Barani idem, la meticolosa preparazione del corpo, in un luogo dove l’assassino sapeva di poter agire ancora una volta indisturbato. Conosceva le abitudini e i movimenti di entrambe le vittime. Credo che non ci siano dubbi sul fatto che avesse un appuntamento galante con Roberta Savio. Non le dico nulla di nuovo, ma le analogie sono troppe per non essere certi che si tratti della stessa mano.»

«Sono le conclusioni a cui siamo giunti anche noi.»

«Ma scavando nel passato della ragazza non avete trovato nessuno che corrisponde al profilo. Questo in realtà ci racconta qualcosa sull’assassino: ha preparato l’omicidio di Roberta in modo da non lasciare tracce. Sapeva che lo avrebbe fatto al loro primo incontro, e doveva essere un incontro segreto, al museo in orario di chiusura, dove nessuno poteva sorprenderli. In un paese di cinquemila abitanti sarebbe stato impossibile imbastire una relazione segreta. Uccidendola al primo appuntamento non si è lasciato alle spalle nessuna traccia.»

«Che profilo criminale stiamo cercando?»

«Con quel poco che abbiamo, posso ipotizzare che si tratti di un soggetto sociopatico, freddo, organizzato. Capace di passare inosservato, persino in un paese piccolo come il nostro. Qualcuno, o qualcuna, in grado di apparire, nel suo contesto sociale, diverso da come è in realtà. Probabilmente è un elemento perfettamente inserito nella comunità. Ma lei non ha bisogno di queste lezioni, capitano. Si è laureato in Criminologia con il massimo dei voti, giusto?»

«E Barani?» Rambaldi ignorò l’ironia di Crespi. «Pensa che l’assassino, ammesso che sia lo stesso, avesse un legame anche con lui?»

«La morte di Serse Barani ha i connotati di un colpo di teatro. Anche qui la scena del crimine non è casuale. Il posto in cui a Peccioli si ospitano artisti e spettacoli di ogni genere. La vittima era nota in paese e l’assassino sapeva che la sua morte avrebbe fatto scalpore e creato confusione. Come già detto, io penso che l’assassino sia lo stesso. C’è un filo conduttore nella volontà di fare di questi delitti delle vere e proprie installazioni artistiche che richiamano le opere presenti in paese. Magari Barani è stato scelto per il semplice fatto che passava tanto tempo da solo, nella sua villa, sprovvista di sistemi di allarme. Un particolare che in paese conoscevano in molti. Uno scenario ideale per accanirsi in quel modo sul corpo.»

«Pensa che l’assassino sia un artista? Magari qualcuno che ha subito qualche torto dalla Fondazione?»

«No, anche se è quello che vuol farci credere. Come le ho già detto, l’aspetto… artistico è evidente ma credo sia un pretesto. Una montatura. Non intuisco un progetto, un filo conduttore. Insomma, non c’è un’estetica coerente, nella messa in scena di queste morti. Ci vedo più una volontà di depistaggio.»

Rambaldi rifletté qualche secondo su quest’ultima affermazione. «Quello che mi sfugge, che non riesco a inquadrare, è il nesso fra le due morti.»

«Non c’è un nesso. O meglio, c’è ma non lo vediamo ancora, abbiamo una visione parziale perché il quadro generale non è ancora stato svelato.»

«Vuole dire che ci saranno altri morti?»

«Dipende.»

«Da cosa?»

«Da lei. Riuscirà a prenderlo prima della prossima vittima? In caso contrario… continuerà fino a quando non avrà raggiunto il suo obiettivo.»

«Cosa glielo fa pensare? Come fa a sapere che continuerà a uccidere?»

«Non lo so, posso solo immaginarlo. Perché lo fa con molta dedizione. Perché gli piace apparire, farsi ammirare, le sue installazioni sono indubbiamente segno di un narcisismo estremo. E poi perché non è ancora chiaro quale sia il suo scopo. E immagino che il suo disegno sia di rivelarcelo solo alla fine.»

«Il suo scopo… Se solo lo conoscessimo.»

«In quel caso, forse, ne sapremmo abbastanza per catturarlo. Ma al momento possiamo solo giocare d’anticipo e tirare a indovinare.»

«Lei se la sente di fare delle ipotesi?»

«Sì. Ci ho pensato. Anche prima di leggere i fascicoli. Penso di avere capito quali siano le intenzioni dell’assassino.»

«E che aspetta a parlarne?»

Angelo Crespi sorrise. «Quindi ci siamo, capitano Rambaldi. Finalmente arriviamo al punto.»

«Che intende?»

«Possiamo smetterla di girarci intorno… Lei sapeva benissimo che avevo maturato un’idea molto prima di leggere queste carte. Già dopo il primo omicidio. E sa perfettamente che ho cercato in tutti i modi di ignorarla quell’idea, per il semplice fatto che se si rivelasse fondata, sarebbe un disastro. Per lei, per me… per tutti. Ma lei, capitano Rambaldi, sa già di cosa sto parlando, vero? Perché ha avuto la stessa intuizione. È impossibile che non sia così. E ha voluto tirarmi dentro per dimostrare a sé stesso di avere ragione. Ha voluto che fossi io a confermare i suoi timori. Perché sa bene che a quel punto sarebbe stato impossibile, per il sottoscritto, tenersi fuori da questa storia.»

Rambaldi poggiò i gomiti sul ripiano della scrivania, senza distogliere lo sguardo da quello di Angelo Crespi.

«Lei è un ottimo investigatore, capitano Rambaldi. Perché ha compreso che per risolvere un caso di omicidio non sempre è sufficiente analizzare prove, reperti, raccogliere testimonianze, individuare un movente. Lei ha capito che, a volte, occorre formulare ipotesi… ardite. Anche se non si basano su prove concrete. Ha capito che bisogna rischiare, perché spesso è l’unico modo per ottenere risultati.»

Mauro continuava ad ascoltare in silenzio. Ora giocavano a carte scoperte, e lui stava per raggiungere lo scopo che si era prefissato.

«Lei lo ha capito, Rambaldi.»

Il capitano scosse la testa.

«Andiamo… Sono un ex cacciatore di serial killer, esperto in delitti rituali. Mi sono rintanato in questo paese e dipingo, una attività che potremmo definire artistica. Questo assassino mette in scena delitti apparentemente rituali che hanno a che fare con l’arte. È fin troppo evidente il collegamento… Questi omicidi sono dei messaggi. E sono indirizzati a me.»