27
«Ti dico che è lui che m’ha voluto qui, maremma maiala! È stato categorico: stamattina in caserma. Del resto sono un collaboratore ufficiale nelle indagini!»
«Marcellini, non rompere» rispose l’agente Simona Balugani. «Siamo nella merda, il capitano è impegnato con un interrogatorio.»
«Interrogatorio? Quale interrogatorio? C’è già un sospettato? È la moglie?»
Dal corridoio che collegava la guardiola agli uffici del piano terra sbucò l’appuntato Galassi. «Si può sapere cos’è ’sto casino? Balugani, avevo detto di non far entrare nessuno.»
«Ma questo dice che c’ha un appuntamento col capitano, è stato convocato, ha detto.»
«Non mi risulta,» replicò l’appuntato «Marcellini, adesso te ne vai, e non insistere sennò ti ammanetto e ti chiudo in cella, quanto è vero iddio! Il capitano non ti può ricevere, questi sono gli ordini. Qui oggi non passa nessuno!»
«Ma porca zozza maledetta, possibile che mi dobbiate trattare sempre in codesto modo? Ma un po’ di rispetto per gli organi di informazione! E dove siamo? In Corea del Nord?»
Dalla porta che conduceva alle celle sbucarono Rambaldi e Saverio Marra.
«Eccolo! Ecco il capitano! Chiedetelo a lui se non è tutto vero! Mi ha dato appuntamento lui, ieri al telefono! Capitano, glielo dica!»
Mauro Rambaldi chiuse gli occhi e imprecò sottovoce. Aveva dimenticato la chiamata del giorno prima al giovane reporter. «Va bene, Galassi, portalo nel tuo ufficio e resta con lui fino a che non arrivo.»
Marcellini tirò fuori dalla ventiquattr’ore un taccuino con una penna e si piazzò davanti a Saverio Marra bloccandogli la strada. «Signor Marra, è stato interrogato? È sospettato? Può darci qualche informazione sull’oggetto delle domande che…»
«Levati dalle palle, Marcellini!» lo apostrofò Marra spostandolo con una manata e guadagnando la porta d’uscita.
«Cammina collaboratore ufficiale, da questa parte» gli urlò contro Galassi, afferrandolo per un braccio. «E smettila di fare il bischero.»
«Questo è abuso di potere!» replicò il giovane «Protesto ufficialmente!»
Quando Galassi si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle, Rambaldi aprì quella della sala d’aspetto. Paola Corsi e Duccio Mascagni, il sindaco di Peccioli, erano seduti sul divanetto in finta pelle e si voltarono verso di lui.
«Signora Corsi mi segua, la prego. Il procuratore Brogi la sta aspettando.»
«Vorremmo parlarci insieme se possibile» disse il sindaco.
«Magari più tardi» rispose Rambaldi. «Intanto le farò compagnia io, dottore.»
«Mi dispiace davvero, signora. Le porgo le mie più sentite condoglianze.»
Paola Corsi aveva appreso la notizia della morte del marito senza lasciarsi andare a eccessi emotivi. Aveva chinato la testa e chiuso gli occhi scuotendo il capo e continuando a ripetere, sottovoce: «No, non è possibile». Brogi l’aveva osservata e la reazione gli era parsa sincera. In linea con la durezza del suo carattere. Il PM le offrì un bicchiere d’acqua ma lei rifiutò portandosi una mano davanti alla bocca per reprimere il pianto. Poi si ricompose, una lacrima le bagnava la guancia e un velo di tristezza le appesantì lo sguardo. Sembrava stanca ma era comunque bella nell’elegante completo Chanel, blu scuro, con un foulard di seta al collo e i lunghi capelli neri perfettamente in piega. «Come è successo? Avete dei sospetti? Voglio vederlo.»
«Come le dicevo stiamo ancora effettuando delle verifiche. Appena il nucleo rilievi scientifici avrà finito, autorizzerò la rimozione del corpo e sarà trasportato all’unità operativa di medicina legale, a Pisa. Lì potrà vederlo e procedere al riconoscimento. L’accompagnerò io.»
«Ma perché tutto questo tempo? Mi ha detto che è stato ritrovato all’alba, sono passate tante ore. Come è morto? Voglio andare a Fonte Mazzola, voglio…»
«Signora Corsi, la prego. Mi ascolti. Si tratta di un delitto sui generis, non conosciamo le cause della morte ma il corpo di suo marito è stato sistemato in una posizione particolare. Prima di rimuoverlo dobbiamo completare gli accertamenti. Le chiedo di aiutarci a intervenire in maniera rapida per catturare l’assassino. Abbiamo bisogno che ci autorizzi a perquisire casa sua.»
«Casa mia? Perché?»
«Ieri sera lei ha dormito fuori e il colpevole, o i colpevoli, potrebbero aver agito in casa approfittando del fatto che suo marito era solo. Possiamo recuperare prove fondamentali per l’indagine.»
«Io non… Va bene, ma voglio prima sentire il mio avvocato, la dottoressa Spanu.»
«Certo, ma le assicuro che in questa fase è fondamentale muoversi con celerità. Le prime ore di indagine sono le più importanti. Lei mi ha già detto che stanotte si trovava a Livorno da una sua amica, giusto? Posso sapere il suo nome?»
«Perché?» disse la donna alzando lo sguardo, di scatto. «Sono sospettata? Vuole che le fornisca un alibi?»
«Signora la prego, capisco che è scossa, ma si tratta di una formalità. Abbiamo l’obbligo di ricostruire i movimenti delle persone più vicine alla vittima.»
«Non ero da nessuna amica. Ero con Duccio. Duccio Mascagni.»
«Signor sindaco, vuole dirmi perché stamattina non siamo riusciti a contattarla?»
«Perché ero con la signora Paola Corsi. Abbiamo passato la notte a Livorno, in un mio appartamento. Quando il dottor Brogi, stamattina, l’ha chiamata al telefono, eravamo insieme. Avevo spento il cellulare. Ho capito che c’era qualcosa che non andava e abbiamo parlato, l’ho convinta a dire la verità sul nostro rapporto e mi sono offerto di accompagnarla. Non immaginavo… Non avevo idea che Serse…»
Mauro Rambaldi annuì. Erano nell’ufficio del brigadiere Corda mentre il PM Brogi stava interrogando la moglie della vittima in quello del maresciallo Santamaria.
«Dottor Mascagni, prima di arrivare qui avevate già avuto notizia del ritrovamento del cadavere, all’anfiteatro di Fonte Mazzola? Mi dica la verità, questo è un colloquio informale.»
«Assolutamente no capitano, mi creda! Potrà sembrarle grottesco, date le circostanze, ma io sono scioccato e addolorato della morte di Serse Barani. Siamo stati amici per una vita e mi sento doppiamente in colpa. Di non aver avuto il coraggio… di non aver avuto il tempo di dirgli come stavano le cose guardandolo in faccia. E ora è troppo tardi.»
«Le chiedo, per favore, di essere più preciso riguardo alla giornata di ieri. A che ora ha incontrato la signora Corsi, dove avete cenato, quali sono stati i vostri spostamenti. È una procedura che…»
«Sì, volete mettere le nostre versioni a confronto per vedere se stiamo mentendo. Non ho nulla da nascondere, capitano e sono a sua disposizione. Lo sono stato dall’inizio e continuerò a esserlo, per aiutarla a prendere i responsabili di questo incubo. Peccioli è il mio paese, come primo cittadino devo pensare a tutelarlo e proteggerlo.»
«Mi fa piacere sentirglielo dire. Tenga» disse Rambaldi avvicinandogli, sulla scrivania, un bloc-notes di fogli a quadretti. «Scriva tutto qui. Luoghi, orari, tutto quello che ricorda. La lascio per qualche minuto.»
Rambaldi spalancò la porta dell’ufficio di Galassi e trovò Marcellini che discuteva con l’appuntato. «Ah, capitano…» disse il carabiniere «per favore me lo tolga dalle mani altrimenti non rispondo più di me!»
«Ancora con queste minacce! Guardi che tengo nota di tutto e informerò i miei lettori del vostro atteggiamento discriminatorio e violento!»
«Galassi, vai di là, chiama il maresciallo e vedi se c’è qualche aggiornamento. Ci vediamo fra un po’.»
«Comandi» rispose l’appuntato uscendo.
Rambaldi afferrò una sedia con le rotelle e si sedette di fronte al giovane: «Marcellini, stammi a sentire perché ho poco tempo. Devi uscire prima possibile, magari in edizione straordinaria sul sito web del tuo giornale, con un pezzo sugli omicidi. Devi alludere al fatto che i Nómadas sono coinvolti in questo duplice omicidio».
«Non stanno già in galera?»
«Solo Ponziani e Rubini. A me interessano gli altri due. Sergio Turzi e Massimo Baldacci. Devo farli uscire allo scoperto.»
«C’entrano qualcosa con la morte di Barani? Per questo Marra era qui stamattina?»
«Non posso dirti nulla, stiamo indagando. Arrangiati con quello che sai.»
«Ma… ma… sta scherzando, vero? Del secondo omicidio so solo che si tratta di Barani perché all’anfiteatro non fanno avvicinare nessuno! E l’ho saputo al bar stamattina, pensi un po’! Non ho niente per mettere insieme un articolo, mi venga incontro, per pietà!»
«Ok, senti. Scrivi che la vittima del primo omicidio aveva intenzione di denunciare una rete di spacciatori, senza citare i Nómadas, ma fallo capire. E su Barani metti che la sera precedente era a casa da solo e che il corpo è stato trovato ricomposto in una strana posizione.»
«Strana posizione?» chiese Marcellini che stava prendendo appunti sul taccuino.
«La stessa della statua dell’anfiteatro. Il gigante che esce dal terreno.»
«Come sarebbe? Mi vuole dire che… cioè, è stato sotterrato fino alla cintola?»
«Non ti dico altro, ora vattene che ho da fare.»
«Come “non ti dico altro”? Almeno mi dia una fotografia del ritrovamento del cadavere! Risponda a qualche domanda! Mi dica se ci sono dei sospetti che…»
«Ciao, Marcellini!» lo interruppe Rambaldi. «Balugani!» chiamò aprendo la porta.
«Comandi signor capitano.»
«Accompagnalo fuori. Se fa resistenza ti autorizzo a sparargli.»
«Ah, quasi quasi spero che la faccia» rispose la ragazza.